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Casa San Sergio. Ritiro del 17 maggio 1959
Omelia
Il dono dello Spirito Santo
Prima meditazione
Cosa significa adorare lo Spirito Santo?
Che cosa vuol dire per noi, praticamente, avere la devozione allo Spirito Santo? Prima di tutto credere a questa presenza attiva di Dio nel cuore della creazione, nel seno della Chiesa, nell’intimo dell’anima dell’uomo. Credere davvero che Dio è all’opera oggi come al principio dei giorni, anzi più di quanto non fosse quando creava le cose. Credere veramente che questa azione divina sollevi tutta la massa umana, ordini tutta la vita del mondo alla sua trasfigurazione finale, a una glorificazione dell’universo, onde l’universo tutto deve divenire, al termine, una rivelazione della gloria divina.
Vuol dire soprattutto credere che questo divino Spirito agisce nel modo più segreto, più intimo ma più efficace in seno alla Chiesa, e fa servire ai suoi piani anche gli errori degli uomini, anche le loro limitazioni, le loro debolezze, i loro stessi peccati. Vuol dire credere che anche nel cuore di ogni uomo lo Spirito Santo è all’opera, per continuare, per prolungare in lui e in tutta quanta la Chiesa, attraverso tutti i tempi, il Mistero di una Incarnazione divina che è l’assunzione della natura creata da parte di Dio, un’assunzione onde la natura creata viene ad essere nella più intima unione con la Divinità.
Credere soprattutto che se Egli è nell’intimo del nostro cuore ed è Lui che ci muove, ci sostiene, ci illumina, ci conduce nelle sue vie, può sempre rimediare ad ogni nostra stortura, ad ogni nostro peccato, onde è possibile sempre, non solo una nostra salvezza, ma anche che gli errori passati divengano ora condizione di più alta e magnifica vita, di più alta gloria di Dio.
Vuol dire soprattutto credere che questo divino Spirito agisce nel modo più segreto, più intimo ma più efficace in seno alla Chiesa, e fa servire ai suoi piani anche gli errori degli uomini, anche le loro limitazioni, le loro debolezze, i loro stessi peccati. Vuol dire credere che anche nel cuore di ogni uomo lo Spirito Santo è all’opera, per continuare, per prolungare in lui e in tutta quanta la Chiesa, attraverso tutti i tempi, il Mistero di una Incarnazione divina che è l’assunzione della natura creata da parte di Dio, un’assunzione onde la natura creata viene ad essere nella più intima unione con la Divinità.
Credere soprattutto che se Egli è nell’intimo del nostro cuore ed è Lui che ci muove, ci sostiene, ci illumina, ci conduce nelle sue vie, può sempre rimediare ad ogni nostra stortura, ad ogni nostro peccato, onde è possibile sempre, non solo una nostra salvezza, ma anche che gli errori passati divengano ora condizione di più alta e magnifica vita, di più alta gloria di Dio.
Siamo il santuario dello Spirito
Ora, è precisamente questo che molto spesso ci manca. La nostra fede è una fede astratta, atto dell’intelligenza che aderisce a una verità che non ha riferimento con noi, atto dell’intelligenza che aderisce a un mistero del quale sembra a noi di non far parte, che ci sembra non soltanto distinto da noi, ma assolutamente estraneo alla nostra povera vita, alla nostra povera anima.
La devozione allo Spirito Santo riconduce la verità del Mistero cristiano nel nostro cuore, fa di questo Mistero il mistero della nostra stessa esistenza, della nostra medesima vita. Perciò la devozione allo Spirito Santo prima di tutto vuol dire credere in Dio, credere in Cristo, credere nella Chiesa, ma credere in un Dio che è prossimo all’uomo, che è divenuto per l’uomo principio di vita, ragione della propria esistenza, fine ultimo nel quale la nostra esistenza trova riposo.
Vuol dire credere in un Dio che non ti abbandona mai, che ti ama in tal modo che Egli, se tu crederai, avrà sempre vittoria: vittoria sulle tue imperfezioni, vittoria sulle tue impotenze, vittoria sui tuoi stessi peccati. Credere vuol dire non sentirci mai soli, ma sentirci piuttosto coadiuvati da una onnipotente e infinita sapienza, sostenuti da un amore indefettibile e immenso.
Chi di noi crede questo? Quanto spesso il mistero nel quale crediamo è un mistero dal quale noi ci sentiamo come esiliati.
In fondo, ogni nostra esitazione, ogni dubbio, ogni scoraggiamento, ogni sgomento dell’anima di fronte alle esigenze divine non sono che una infedeltà, non sono che un atto di incredulità in questa azione costante di Dio nel cuore dell’uomo.
Avere la devozione allo Spirito Santo vuol dire sentirci come invasi da ogni parte, da ogni parte penetrati da un’azione segreta, sì, ma onnipotente, continua, divinamente efficace e infinitamente amorosa. Che cosa, di fatto, dice la misura della nostra santità, se non precisamente questa nostra fede così povera, così debole, così intermittente, onde siamo noi a chiudere le porte del cuore al Signore, onde siamo noi che ci sottraiamo, sottraiamo le nostre potenze facendo sì che esse non siano più strumento di questo amore dolcissimo?
Devozione allo Spirito Santo vuol dire: non credere più che vi sia per noi una impossibilità, un limite ai nostri desideri, una misura alla nostra santità, un termine ai nostri poteri. Vuol dire far credito a Dio, vuol dire sentirci veramente abitati da questa forza divina, personale, intima, efficace.
Ora, è precisamente questo che molto spesso ci manca. La nostra fede è una fede astratta, atto dell’intelligenza che aderisce a una verità che non ha riferimento con noi, atto dell’intelligenza che aderisce a un mistero del quale sembra a noi di non far parte, che ci sembra non soltanto distinto da noi, ma assolutamente estraneo alla nostra povera vita, alla nostra povera anima.
La devozione allo Spirito Santo riconduce la verità del Mistero cristiano nel nostro cuore, fa di questo Mistero il mistero della nostra stessa esistenza, della nostra medesima vita. Perciò la devozione allo Spirito Santo prima di tutto vuol dire credere in Dio, credere in Cristo, credere nella Chiesa, ma credere in un Dio che è prossimo all’uomo, che è divenuto per l’uomo principio di vita, ragione della propria esistenza, fine ultimo nel quale la nostra esistenza trova riposo. Vuol dire credere in un Dio che non ti abbandona mai, che ti ama in tal modo che Egli, se tu crederai, avrà sempre vittoria: vittoria sulle tue imperfezioni, vittoria sulle tue impotenze, vittoria sui tuoi stessi peccati. Credere vuol dire non sentirci mai soli, ma sentirci piuttosto coadiuvati da una onnipotente e infinita sapienza, sostenuti da un amore indefettibile e immenso.
Chi di noi crede questo? Quanto spesso il mistero nel quale crediamo è un mistero dal quale noi ci sentiamo come esiliati.
In fondo, ogni nostra esitazione, ogni dubbio, ogni scoraggiamento, ogni sgomento dell’anima di fronte alle esigenze divine non sono che una infedeltà, non sono che un atto di incredulità in questa azione costante di Dio nel cuore dell’uomo. Avere la devozione allo Spirito Santo vuol dire sentirci come invasi da ogni parte, da ogni parte penetrati da un’azione segreta, sì, ma onnipotente, continua, divinamente efficace e infinitamente amorosa. Che cosa, di fatto, dice la misura della nostra santità, se non precisamente questa nostra fede così povera, così debole, così intermittente, onde siamo noi a chiudere le porte del cuore al Signore, onde siamo noi che ci sottraiamo, sottraiamo le nostre potenze facendo sì che esse non siano più strumento di questo amore dolcissimo?
Devozione allo Spirito Santo vuol dire: non credere più che vi sia per noi una impossibilità, un limite ai nostri desideri, una misura alla nostra santità, un termine ai nostri poteri. Vuol dire far credito a Dio, vuol dire sentirci veramente abitati da questa forza divina, personale, intima, efficace.
Limite allo Spirito è la nostra fede
Ma vedete: precisamente perché questa fede non è più l’atto di una intelligenza che aderisce a una verità astratta, a una verità che ci è estranea, ma è l’adesione dell’anima a un mistero che è il mistero della nostra medesima vita soprannaturale, appunto per questo la fede non può essere altro che il mettersi a disposizione di questa forza, l’abbandonarsi docilmente, totalmente, pienamente, amorosamente a questa divina potenza che vive in noi, che si agita in noi, che da noi vuol prorompere, in bellezza e gloria, in fulgore di santità.
Quante volte ci vien fatto di pensare che tutto quello che si dice essere il messaggio cristiano sia, non dico favole, ma tuttavia esagerazioni, e che in fondo noi dovremmo contenere il messaggio cristiano a un insegnamento di rettitudine morale, di modestia, di pietà, diffidando di quanto vi è in esso di più grande, di più vero, di più alto? Diffidiamo. E il messaggio cristiano diviene soltanto parole. Quante parole! Parole che non creano, parole che rimangono puro suono di voce, bellezza oratoria, poesia, e non parola creatrice, di vita e di santità. Quante volte mi son domandato se io credevo! E debbo rispondere che non lo so. Ma non so nemmeno se voi credete, e non so nemmeno se vi è uno che crede. Sì, san Francesco forse. Si parla di eroismo della fede nei santi; ma è il minimo che possono dare! Se di fronte a un messaggio cristiano che ci parla dell’amore di Dio, che ci parla di un Dio che si fa uomo, che ci parla di un Dio che muore per l’uomo, di un Dio che si fa cibo dell’uomo, forza dell’uomo, luce dell’uomo nello Spirito, che cosa è mai la fede anche dei più grandi santi? Che cosa spera san Giuseppe Benedetto Cottolengo da Dio? Qualche marengo d’oro. E che cos’è? Certo, noi siamo molto inferiori a san Giuseppe Benedetto Cottolengo, intendiamoci. Ma che cosa sono i marenghi d’oro che può sperare san Giuseppe Benedetto Cottolengo di fronte a questo amore infinito? Perché ci sentiamo così piccini? Perché limitiamo così i nostri desideri?
Quante volte ci vien fatto di pensare che tutto quello che si dice essere il messaggio cristiano sia, non dico favole, ma tuttavia esagerazioni, e che in fondo noi dovremmo contenere il messaggio cristiano a un insegnamento di rettitudine morale, di modestia, di pietà, diffidando di quanto vi è in esso di più grande, di più vero, di più alto? Diffidiamo. E il messaggio cristiano diviene soltanto parole. Quante parole! Parole che non creano, parole che rimangono puro suono di voce, bellezza oratoria, poesia, e non parola creatrice, di vita e di santità. Quante volte mi son domandato se io credevo! E debbo rispondere che non lo so. Ma non so nemmeno se voi credete, e non so nemmeno se vi è uno che crede. Sì, san Francesco forse. Si parla di eroismo della fede nei santi; ma è il minimo che possono dare! Se di fronte a un messaggio cristiano che ci parla dell’amore di Dio, che ci parla di un Dio che si fa uomo, che ci parla di un Dio che muore per l’uomo, di un Dio che si fa cibo dell’uomo, forza dell’uomo, luce dell’uomo nello Spirito, che cosa è mai la fede anche dei più grandi santi? Che cosa spera san Giuseppe Benedetto Cottolengo da Dio? Qualche marengo d’oro. E che cos’è? Certo, noi siamo molto inferiori a san Giuseppe Benedetto Cottolengo, intendiamoci. Ma che cosa sono i marenghi d’oro che può sperare san Giuseppe Benedetto Cottolengo di fronte a questo amore infinito? Perché ci sentiamo così piccini? Perché limitiamo così i nostri desideri?
Il vero senso dell’umiltà
Ma l’umiltà, al contrario, non vuole precisamente lo spezzarsi della fiducia in noi stessi? Non opera precisamente questo annientamento di ogni nostra fiducia perché noi possiamo abbandonarci, finalmente e pienamente, all’azione di Dio, all’azione di un Dio che ci ama, di quel Dio che ha creato i mondi e vuole che i mondi siano la pura rivelazione della sua gloria?
No, veramente, io ritengo che chiunque di noi non pensi, non voglia diventare più grande di san Francesco, non crede affatto in Dio. Sono parole molto dure quelle che vi dico, ma mi sembrano vere. E non c’è altra verità di questa. Perché se ci crediamo davvero che Dio ci ama, come possiamo noi pensare che Dio debba soltanto aiutarci per farci un po’ più bellini, insomma, per essere un po’ più pii, per cercare di limitarci nel fare gli atti di impazienza? Pensate che cosa tremenda è mai questa! A che cosa noi riduciamo Dio! Come lo limitiamo, lo mortifichiamo, pretendendo da Lui soltanto questo, che Dio ci debba servire per fare un atto di impazienza di meno! Che Dio debba servirci e non che debba vivere in noi, che debba operare in noi per creare un mondo nuovo di santità e di gloria, un mondo nuovo di bellezza e di purezza infinita!
Devozione allo Spirito Santo allora vuol dire credere in Dio ma in un Dio che è veramente dono all’uomo di Sé: dono vero, dono reale, dono di cui devi entrare in possesso, dono di cui non puoi entrare in possesso senza essere tu santo della stessa santità di Dio, grande della sua medesima grandezza, puro della sua stessa purezza infinita, potente nella tua vita e nelle tue opere così come onnipotente è Dio. Non estinguete lo Spirito, non contrastate lo Spirito, ci dice san Paolo (cf. 1Ts 5, 19). Noi lo facciano tutti i giorni, perché costringiamo Dio alle nostre miserie, perché lo vogliamo comprimere nelle nostre povere idee, nei nostri piccoli disegni. Ma non è Lui che dà un limite a noi, siamo noi che continuamente poniamo a Lui dei limiti nella nostra misera fede.
No, veramente, io ritengo che chiunque di noi non pensi, non voglia diventare più grande di san Francesco, non crede affatto in Dio. Sono parole molto dure quelle che vi dico, ma mi sembrano vere. E non c’è altra verità di questa. Perché se ci crediamo davvero che Dio ci ama, come possiamo noi pensare che Dio debba soltanto aiutarci per farci un po’ più bellini, insomma, per essere un po’ più pii, per cercare di limitarci nel fare gli atti di impazienza? Pensate che cosa tremenda è mai questa! A che cosa noi riduciamo Dio! Come lo limitiamo, lo mortifichiamo, pretendendo da Lui soltanto questo, che Dio ci debba servire per fare un atto di impazienza di meno! Che Dio debba servirci e non che debba vivere in noi, che debba operare in noi per creare un mondo nuovo di santità e di gloria, un mondo nuovo di bellezza e di purezza infinita!
Aprirsi all’onnipotenza di Dio
Credere! Ogni mio atto deve essere atto divino. E se veramente in ogni mio atto devo vivere la vita di Dio, in ogni mio atto deve vivere l’immensità del suo amore, la pienezza della sua gioia, la sua eternità. Debbo in ogni istante cercare di adeguarmi all’infinità di Dio, o almeno, se non posso così adeguarmi alla sua infinità da divenire io Dio stesso, devo abbracciare tutte quante le cose, debbo dilatarmi quanto tutta la creazione. Perché di fronte alle scoperte moderne noi rimaniamo un po’ sgomenti, un po’ smarriti, ci sembrano cose grandi? Ma che cosa mai sono tutte le scoperte degli uomini! Poter anche andare negli astri, avere a proprio servizio le leggi dell’universo: che cosa è mai tutto questo se noi lo poniamo a confronto dell’atto dell’anima che crede e si abbandona all’onnipotenza divina, sicché questa onnipotenza per mezzo dell’uomo opera? Che confronto, che proporzione vi può essere fra queste scoperte, fra queste attività e l’atto del cristiano che ama? Ma vi è un confronto e una proporzione tutta a nostra svantaggio, nonostante tutto, perché noi vogliamo ridurre Dio, come dicevo, alla nostra misura.
Quando nascerà un santo che veramente si lasci totalmente prendere da Dio, possedere da Lui così da divenire egli stesso lo strumento per il quale Dio anche oggi fa presente la redenzione universale del Cristo, la fa presente e l’applica, la fa presente e la realizza? Non in atto primo, ma in atto secondo, facendo sì che tutta quanta l’umanità che ora è travagliata come da un pericolo di morte si rinnovi, respiri, ringiovanisca, si apra a nuovi ideali di bellezza e di gloria, di luce e di santità.
Credere, dicevo. La devozione allo Spirito Santo vuol dire prima di tutto credere. Credere in questa presenza attiva di Dio nel cuore del mondo, nell’intimo dell’anima umana, nell’intimo dell’anima di ciascuno di noi. Non si può separare l’azione di Dio nella Chiesa dall’azione di Dio nel cristiano. Dio che è al lavoro in seno alla Chiesa è il medesimo che è al lavoro nella mia anima. Questa dottrina è una delle più feconde e delle più importanti per la nostra vita spirituale.
Sentire cum Ecclesia
Lo Spirito di Dio non agisce nel seno del cristiano solo in quanto questi fa parte della Chiesa: è tutto nella Chiesa ed è tutto in ogni anima. E allora ne deriva che vi è un segno, una garanzia all’azione dello Spirito che agisce in noi, nel fatto che l’azione dello Spirito nell’uomo è conforme a quella che lo Spirito stesso esercita in tutta la Chiesa. Lo Spirito non soltanto risiede nei nostri cuori ma ci fa strumenti di una redenzione universale, collaboratori del Regno di Dio; e ciò non per il fatto che, facendo parte della Chiesa, siamo chiamati a lavorare per essa, no! Lo Spirito vive in noi realizzando in noi tutto il Mistero cristiano. E la garanzia di questa sua azione è la conformità con l’azione che esercita in tutta la Chiesa.
Perciò la devozione allo Spirito Santo è legata al “sentire cum Ecclesia”, non per una mia adesione esterna, per un mio piegarmi a esigenze esterne, ma perché lo Spirito che è in me è anche l’anima di tutta la Chiesa, e la sua azione in me non può essere diversa dalla sua azione nella Chiesa...
Quando nascerà un santo che veramente si lasci totalmente prendere da Dio, possedere da Lui così da divenire egli stesso lo strumento per il quale Dio anche oggi fa presente la redenzione universale del Cristo, la fa presente e l’applica, la fa presente e la realizza? Non in atto primo, ma in atto secondo, facendo sì che tutta quanta l’umanità che ora è travagliata come da un pericolo di morte si rinnovi, respiri, ringiovanisca, si apra a nuovi ideali di bellezza e di gloria, di luce e di santità.
Perciò la devozione allo Spirito Santo è legata al “sentire cum Ecclesia”, non per una mia adesione esterna, per un mio piegarmi a esigenze esterne, ma perché lo Spirito che è in me è anche l’anima di tutta la Chiesa, e la sua azione in me non può essere diversa dalla sua azione nella Chiesa...