quinta-feira, 20 de junho de 2019

Don Divo Barsotti. Il mistero della Presenza Reale di Gesù nell'Eucarestia

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  Divo Barsotti. Il mistero della Presenza Reale di Gesù nell'Eucarestia

Adunanza e Ritiro Firenze 9-6-1985

La festa del Corpo del Signore soprattutto celebra un aspetto, ed è per me il fondamentale del mistero Eucaristico. È vero che non possiamo separare i tre aspetti propri di questo mistero, ma dobbiamo anche riconoscere che uno fra questi è il fondamento degli altri, e questo aspetto è il mistero della Presenza reale. È proprio questo mistero che è il fondamento degli altri due aspetti, cioè del Sacrificio e della Comunione. Nel Sacrificio perché questa Presenza non sarebbe vera, reale, se non facesse presente Gesù in un atto dell'essere suo. 

E l'atto in cui si fa presente Gesù, non può essere altro che l'atto nel quale Egli eternamente rimane, e questo è l'atto della sua morte, perché non succede nulla all'atto nel quale l'uomo esce del tempo. Dopo che il tempo è finito, non c'è successione; in quell'atto anche l'umanità di Gesù eternamente rimane. È l'atto nel quale Egli vien meno alla vita passibile e nel quale la divinità, ecco, finalmente irrompe nella natura umana e la glorifica, morte e resurrezione sono uno stesso evento, non si possono separare. Il venir meno alla vita passibile, coincide perfettamente in Cristo, a questa irruzione della divinità nella natura umana che viene glorificata.
È un mistero grande l'Incarnazione nella vita passibile; come può Dio assumere le natura umana e questa natura umana rimanere debole, inferma, rimanere soggetta alle leggi del tempo? È evidente che tutto questo avviene perché il Cristo assume la natura umana facendosi solidale con una umanità peccatrice. 

Ma nello stesso momento in cui per le sua morte Egli redime l'umanità, nella stessa umanità sua trabocca, irrompe, tutta la gloria della divinità che gli è propria, in quanto è Figlio di Dio. Rimane uomo, ma la sua natura umana viene come investita e trasfigurata da questa divina potenza. 
Allora ecco che il mistero della Presenza divina coincide col Sacrificio, con la Messa. Nel Sacrificio, infatti, si fa presente Gesù nella sua morte e resurrezione. Non potrebbe esser presente se non si facesse presente in questo atto: ecco il Sacrificio.

D'altra parte com'è vera la Presenza del Cristo? La presenza del Cristo non può essere una presenza locale, perché una presenza locale, sia locale in senso fisico, sia locale in senso metafisico, implica sempre la dislocazione, dove ci sono io non ci sei tu, è semplice! È presente a me Tizio? Prima di tutto c'è una distanza, anche se non ci fosse una distanza spaziale, ci sarebbe una distanza di spazio metafisico, perché quello che sei tu, quello che provi tu, quello che senti tu, io non lo conosco, siamo totalmente divisi, anche sul piano spirituale.

 E allora come il mistero della Presenza reale fonda il mistero della comunione? Precisamente così, perché non è presente Nostro Signore se non si fa presente in me. La presenza del Cristo implica l'immanenza del Cristo in ciascuno di noi, altrimenti non è presente, è una presenza fasulla come la presenza vostra a me, voi non siete mica presenti, né io sono presente e voi, dov'è la nostra presenza?
Se siamo sconosciuti a noi stesi, a noi stessi non siamo presenti, perché è soltanto un segmento del nostro essere che istante per istante noi possiamo realizzare, non tutto l'essere nostro, siamo alienati perfettamente, le metafisica dell'essere implica precisamente questo un'alienazione, non è l'alienazione dell'economia secondo il Marcuse, è l'alienazione della vita presente. 
Dove sei tu? In questo momento cosa pensi? C'è tutto un mondo che ti rimane estraneo, che ti rimane estraneo in questo momento. In questo momento se guardi me non pensi alla tua mamma. Ore se te lo ricordo pensi anche alla tua mamma, non pensi più a Pietro e se pensi a Pietro dov'è tutta la tua vita? l'essere tuo?

Viviamo proprio goccia a goccia l'essere nostro, non siamo presenti nemmeno a noi stessi. Ore se si parla del mistero della Presenza rea le, questo mistero della Presenza reale che cosa implica? La comunione implica che il Cristo si doni totalmente a me; dipende poi della mia fede se lo ricevo, ma da parte sua, Egli è veramente presente, cioè mi si dona totalmente, m'investe fino nel profondo, Egli diviene immanente a me come il Padre è nel Figlio, come il Figlio è nel Padre. 

Infatti quello che dice le Sacra Scrittura del Padre e del Figlio: "Io sono nel Padre e il Padre è in me", Gesù lo dice a proposito di Sé e del comunicando! "Rimanete in me ed Io in voi", le stesse cose. Per il Mistero eucaristico il Cristo è in me e io sono nel Cristo. Tanto che il termine ultimo della Presenza reale non è più significato per me dal pane e dal vino, ma dal cristiana, perché veramente io sono il termine di questa Presenza.

Ma allora che cos'è queste Presenza? e come realmente per me si fa presente il Cristo? È certo una Presenza sui generis, è la vera Presenza, è la Presenza di fronte alla quale ogni concetto di Presenza che noi possiamo avere quaggiù, è molto limitato, relativo, non c'è una vera Presenza nel mondo attuale. Si è detto prima che noi nemmeno siamo presenti noi stessi, figuriamoci se sono presenti le cose. La presenza e la realtà del Cristo, Presenza reale, implicano un mondo nuovo; il mondo definitivo, il mondo della realtà ultima. La presenza del Cristo nell'Eucaristia è presenza escatologica.

Noi viviamo l'escaton, non viviamo soltanto nel tempo, nel tempo viviamo la fine, oltre la resurrezione del Cristo non vi è nulla, noi viviamo realmente la fine. La presenza reale del Cristo è la presenza ultima, presenza che è al di là del tempo, presenza che implica il superamento dello spazio. Si diceva prima che i condizionamenti del tempo dello spazio, impediscono la Presenza. 

Il tempo, dov'è Matteo di dieci anni fa? trovalo se ti ci riesce, il tempo ci disloca. Ora hai 25 anni, dieci anni fa ne avevi 15, fra dieci anni ne avrai 35, e allora? E allora una presenza non c'è. C'è un passato e un futuro e si passa sempre da questo passato a questo futuro, anzi dal futuro al passato meglio. E il presente? fermalo, se ti riesce. Ti ricordi quello che chiede Faust a Mefistofele? Attimo fermati! Ma non si ferma, quando si ferma si muore. E veramente allora si ferma, perché noi in quell'atto rimaniamo per sempre. Ma ecco, la presenza dunque di Cristo è una presenza escatologica, la presenza che implica la fine del tempo, implica il conseguimento finale. Noi non abbiamo da conseguire attraverso la storia una fine che trascende ora quello che viviamo, la storia c'è, ma soggettiva, nel senso che noi possiamo e dobbiamo sempre più inserirci nel Cristo, ma la fine è presente, perché Egli non è soltanto l'Alfa, E gli è l'Omega, è la fine, e non può essere la fine se è Dio, non c'è nulla al di là di Dio. 

Se Nostro Signore è Dio come fa ad esserci qualcosa oltre che Lui? E di fatto ecco, la Chiesa non vive oltre che questo atto. Vive nel tempo, ma nel tempo vive la fine, perché dovunque tutti i giorni il sacerdote dice la medesima Messa, anche se c'è stato il rinnovamento liturgico, la Messa rimane la stessa, ora come domani, domani come ieri, sempre. La fine è presente nel tempo; la presenza del Cristo dunque nell'Eucaristia è presenza escatologica, è una presenza che implica il superamento della successione del tempo, che implica il superamento dei condizionamenti dello spazio.

Implica il superamento dei condizionamenti dello spazio perché? C'è Nostro Signore nelle chiese? C'è anche qui, allora quanti ce n'è di Nostro Signore? quanti sono? Uno solo, ma proprio perché è liberato dai condizionamenti dello spazio, Egli è presente, ogni luogo dello spazio può avere un rapporto nella fede di coloro che credono, un rapporto con Lui, ed Egli rimane unico, pur essendo presente ad ogni anima che crede in Lui. Non è, intendiamoci, che questa realtà, che questa presenza siano soggettive, sono oggettive, la fede è l'organo mediante il quale io realizzo, vedo, quello che è, non invento, non fantastico. 

Non è per il fatto che hai gli occhi che inventi il sole; no, ma gli occhi sono gli organi mediante i quali tu vedi il sole, così la fede è l'organo mediante il quale io posso percepire, posso realizzare la presenza del Cristo, questa Presenza che trascende ogni luogo e ogni spazio. La presenza nell'Eucaristia perciò, come insegna San Tommaso D'Aquino, non è una Presenza locale, e non è una Presenza temporale. Come vi ho detto altre volte, se fosse una Presenza temporale che vecchione che sarebbe Nostro Signore! Immaginate voi un uomo di 2000 anni? Anche quando saremo morti, noi non cresceremo mica negli anni, vero? è chiaro! siamo fuori del tempo, e così anche il Cristo. Non è più condizionato dal tempo e non è più condizionato dallo spazio. Se fosse condizionato dallo spazio, Nostro Signore sarebbe piccino piccino, ogni particola non peserebbe nulla. Non è lì, lì sono le specie del pane che garantiscono la Presenza. Ma in rapporto a questa Presenza, io entro soltanto mediante la fede, ricordiamocelo bene, perché è la fede soltanto l'organo mediante il quale entro il rapporto reale con la Presenza.

Senza la fede non si raggiunge, le specie garantiscono, ma non sono il Cristo, sono il segno che assicura la Presenza, perché noi siamo uomini, abbiamo bisogno di segni, sacramenti. La Presenza, questa è la Presenza.

Ma come si fa presente per me? Perché se questa presenza è presenza escatologica, io non vivo forse nel tempo? Ecco il problema grosso; si è detto, attraverso la fede, la fede che cos'è? è il cammino dell'anima per il quale l'anima compie il passaggio da questo mondo a Dio. La fede è sempre l'atto mediante il quale tu entri in rapporto reale con Dio, che è inaccessibile, con Dio che è incomunicabile, con Dio e che trascendenza infinita. E anche il Cristo, ora dopo la resurrezione, diviene inaccessibile e invisibile come Dio anche nella sua umanità. Mediante la fede, ecco, io ho il potere ecco l'organo, di trascendere un cammino. Si dice che l'Eucarestia è la Pasqua, è il mistero della Pasqua, è il mistero della Pasqua perché è un passaggio; mediante l'Eucarestia noi compiamo questo passaggio, ogni quolvolta noi facciamo un atto di fede nella Presenza reale del Cristo noi facciamo un atto che è molto superiore e quello di tutto Israele che ha passato il Mar Rosso. Là si passò dalla terra dell'esilio a una terra di libertà. Io passo da questo mondo al Padre, perché anche Gesù nelle sua Presenza reale, anche come uomo, è nel seno di Dio, cioè è nel mondo divino, questo mondo che è mondo invisibile, che è mondo inaccessibile alla creatura, io passo in questo mondo.

Vi rendete voi conto dunque, che cos'è l'Eucarestia? È per noi il modo di entrare in un'altra dimensione, di vivere nel mondo ultimo, nel mondo definitivo di vivere l'escaton, di vivere già l'entrare nostro in paradiso. Anche se non abbiamo una percezione totale, un'esperienza totale di questo passaggio, il passaggio è reale, noi entriamo in questo mondo. Prima visibile, ora invisibile, dice Sant'Ignazio, di Gesù dopo le morte e con la sua resurrezione. 

Ma per la fede Egli diviene di nuovo percepibile a noi, noi lo crediamo, noi l'attingiamo, noi entriamo in un rapporto reale con Lui.
Ma che cosa vuol dire per noi, che Gesù si fa presente a noi? È una cosa semplice, vuol dire che anche noi, attraverso l'Eucaristia, ci trasformiamo, precisamente, come si è trasformata l'umanità di Gesù, da passibile in impassibile, anche noi ci trasformiamo, acquistiamo sempre più la forma Dei. Guardate che può sembrare un po' difficile, ma comunque poi si viene molto al facile, che cosa vuol dire tutto questo? Una cosa semplicissima, noi dobbiamo entrare nel suo mondo, vivere la sua vita, dobbiamo entrare nel silenzio del Cristo. Ecco, vivere l'Eucarestia, vuol dire entrare in questo silenzio.

Egli è la Parola ed è infinito silenzio. Io debbo contemplare Gesù nell'Eucarestia perché la contemplazione di Gesù Eucarestia, mediante precisamente questa fede; mi trasformi in Lui stesso, mi faccia vivere le sua medesima vita. Si è detto tante volte, non si tratta per noi di adorare Gesù, si deve anche adorare, ma non si tratta di adorare Gesù, si tratta di entrare nell'adorazione che è propria della Sua umanità. Se io veramente vivo una mia comunione col Cristo, l'adorazione dell'umanità sacrosanta del Verbo, dinanzi alla faccia del Padre, diviene il mio atto, io contemplo il Padre con gli occhi del Cristo, io adoro il Padre col cuore di Gesù, entro nella Presenza. 

Si è detto prima che la Presenza implica un'immanenza, implica il Cristo che vive in me, implica che io viva nel Cristo. Vivere l'Eucarestia è l'entrare precisamente nell'anima stessa di Gesù, entrare nel cuore stesso di Gesù, entrare nei sentimenti stessi di Gesù: "Hoc sentite in vobis quod in Christo Iesus", dovete avere gli stessi sentimento del Cristo, quali sentimenti? Prima di tutto il silenzio del Cristo. Tutta la spiritualità, non solo quelle cristiana, magnifica il silenzio; non si capisce perché si debba magnificare il silenzio, o anche si può capire, ma la ragione fondamentale è precisamente questa: noi dobbiamo scendere in questo deserto o meglio dobbiamo affondare in questo silenzio del Cristo dinanzi alla faccia del Padre. La visione del Padre paralizza, si potrebbe anche dire, le potenze umane del Cristo in un'adorazione perfetta, in una lode pura: il silenzio. Di fronte a questo Dio davanti al quale noi siamo, l'anima non ha altra parola che questa fine di ogni sua parola, nell'ammirazione, nello stupore, nell'adorazione, nella lode. Certo il silenzio raccoglie anche tutte le potenze, ed ha tanti altri aspetti da considerare, ma l'aspetto fondamentale è questo: è la creatura che viene come eclissata dalla luce divina.

Durante la sua vita mortale Gesù viveva di fronte al Padre, ma anche a Lui il Padre, si rivelava attraverso i segni, viveva anche Lui nella sua vita passibile una economia sacramentale; viveva il rapporto col Padre nel compimento della sua volontà che gli faceva accettare la morte, nel compimento della sua volontà che voleva da Lui il suo ministero, la sua predicazione. E tuttavia, anche vivendo in questa economia sacramentale, la vita interiore di Gesù era una vita di adorazione, era anche nella sua vita mortale una eclisse di Sé; "La mia dottrina non è mia, non voglio la mia volontà ma la tua", sempre una eclissarsi di fronte a Dio. 

Ma ora che Egli vive nella visione pura, anche nella sua umanità del volto del Padre, Egli non è che silenzio di adorazione e di amore. Il cristiano mediante l'Eucaristia deve entrare in questo silenzio, vivere al cospetto del Padre, vedere il Padre con gli occhi del Cristo e in questa contemplazione rimanere come fermo, fissato per sempre, in un'adorazione e in una lode perfetta, il silenzio. È la prima cosa che mi sembra che ci insegni di Gesù, perché veramente hai sentito mai la sua voce? Gesù è vivente, ma vivente proprio in questo silenzio assoluto. Silenzio assoluto in un'adorazione perfetta; parlo della sua umanità. Egli non esce da questo silenzio, Egli non esce da questo abisso di pura adorazione e di lode, Egli non emerge mai, tutta l'eternità sarà questo atto unico e di adorazione e di lode: il silenzio del Cristo.

Noi dobbiamo vivere questo, si entra nel Cristo per vivere questo. Allora si capisce come non si può essere cristiani senza far silenzio, è inutile parlare di Cristianesimo se non si fa silenzio e, se non si sente il bisogno del silenzio. Perché sono tutte chiacchiere le nostre, non è Cristianesimo, se non sentiamo non dico questo bisogno, questa necessità, è un fatto naturale; la luce divina ci eclissa, non puoi vivere di fronte alla luce infinita di Dio, senza sentirti cancellato. Quando un'anima vive la dissipazione continua e riempie tutta la sua giornata di cianfrusaglie, di tutti i pensieri, preoccupazioni, non si vive un contatto con Dio.

Non è forse vero che un contatto con Dio ci brucia? Hai provato mai a toccare tu qualche cosa di rovente? Nessuno può tener fermo in mano un ferro rovente. Ecco che Dio è fuoco consumante per l'anima, la Presenza divina implica davvero questo silenzio, silenzio che è umiltà, il venir meno di noi stessi, il semplificarsi di tutta la vita in una atto solo di adesione, di contemplazione a Dio: ecco la vita del Cristo. Egli è presente, vivo, ma mi sembra che sia morto, precisamente, non sapevate? La vera vita è la morte, quale morte? La morte di questa vita che è molteplicità di atti, che è molteplicità di pensieri, che è dissipazione dello spirito perché si va qua e là, perché non si vive l'unità. I morti sono vivi o sono morti? I morti sono vivi, siamo noi che siamo morti, e non parlano mai, perché vivono troppo e così anche il Cristo.

Ma la vera vita è al di là di questa barriera, al di là di questa molteplicità di pensieri, di preoccupazioni, di cure che ci dislocano, che riempiono la nostra vita di vuoto. La vera vita è al di là della morte, al di là cioè di tutto questo ciarpame che è proprio della vita presente.

La pura presenza di Dio! Ecco la vera vita, l'anima che si fissa in Dio e vive tutta la pienezza della vita divina, vive questo amore immenso e vive questa gioia pura, in un silenzio che non è vuoto, è il silenzio pieno dell'adorazione dell'amore. "Guardami nell'Eucaristia", diceva una volta il Signore a un'anima. Guardate che dobbiamo eliminare certe espressioni che sono ereticali, "Gesù prigioniero di amore". Prigioniero? È lui che è libero, attraverso la morte ha acquistato la libertà propria di Figlio di Dio, Figlio di Dio anche nella natura umana. Prigioniero, ma che prigioniero! Siamo stupidi a pensare questo; 

dell'Eucaristia Egli è nella vita di Dio! Egli è presente in forma Dei, anche la sua umanità vive la vita stessa divina. Altrimenti noi pensiamo quello che si diceva prima, che la vera vita è questa qui, la morte insomma venga più tardi possibile e poi ci sarà e non ci sarà, insomma, sarà una vita umbratile come la vita dell'Odissea di Omero o quella di Virgilio. Non è la vera vita, è qui che non viviamo, e qui che non possiamo aspirare altro che a morire, perché è una cosa qui impossibile da tollerare, se si dovesse vivere 200 anni, sarebbe un disastro tale che ci si ammazzerebbe. 

Non si potrebbe vivere, non siamo fatti per vivere nel tempo, tutta la nostra anima aspira a qualche cosa che ci liberi dai condizionamenti propri della vita mortale, ci liberi da questa molteplicità di atti nei quali noi ci perdiamo, ci visitiamo, ci perdiamo. Noi dobbiamo vivere attraverso l'Eucaristia l'entrare progressivo nel mondo divino, perché l'entrare nel mondo divino non avviene soltanto mediante la morte, avviene attraverso tutta la vita. Attraverso tutta la vita c'è tutto questo procedere, questo processo, mediante il quale noi entriamo in Dio. 

Ed entrare in Dio per noi è sempre più entrare nella semplicità, nella unità, è sempre più entrare nella immutabilità, è sempre più entrare nella infinità, negli attributi negativi di Dio i quali precisamente si oppongono a quelle che sono le condizioni proprie della creatura come tale. Ma se mediante l'Eucaristia dobbiamo arrivare a vivere la stessa vita divina, noi dobbiamo arrivare a vivere una certa partecipazione a questi attributi negativi di Dio e prima di tutto la semplicità: tutta la vita si raccoglie in un atto solo: l'amore.

Il Cristo nell'Eucaristia, fa presente il mistero pasquale che è il mistero nel quale Cristo ha vissuto in modo più perfetto e definitivo l'amore. L'amore al Padre - perché il mondo sappia che io amo il Padre, dice Gesù nel XVI capitolo di Giovanni - e vive l'amore per gli uomini; "li amò fino all'estremo". In questo atto di amore Egli sussiste eternamente, anche la nostra vita mediante l'Eucaristia sempre più diviene una vita che diviene amore, anzi l'essere nostro si trasforma in un atto solo di amore che ci consuma totalmente. 

Ed è un atto di amore che ci unisce a Dio e un atto di amore che ci unisce ai fratelli, come Gesù nell'atto in cui Egli eternamente sta, Egli vive la sua unità, solidarietà con tutti gli uomini perché in quell'atto ha redento tutto il mondo e vive il dono totale di Sé anche nell'umanità al Padre, vive alla destra del Padre, entra nel seno di Dio, anche nella sua umanità. 

Prima di tutto ecco, il vivere questa presenza nel Cristo vuol dire, precisamente una certa partecipazione - che nella sua umanità risorta è piena - come è possibile a una creatura, una certa partecipazione anche progressiva per noi, di quelli che sono gli attributi negativi di Dio. La semplicità, l'unità, "e nell'amare è il mio solo esercizio", diceva San Giovanni della Croce. Il santo non vive più che l'amore, non è altro che l'amore, gli pesti i piedi ama, gli dai uno schiaffo ama, gli fai una carezza ama, mangia ama; non altro che l'amore. Ogni atto si identifica al dono che egli fa di se stesso ai fratelli e al Signore. Questo è il santo, a questo dobbiamo pian piano arrivare, ma pian piano ci vorrà tutta la vita, ma dobbiamo attraverso l'Eucaristia arrivare a questo, a non essere che amore, così come è Gesù.

Dunque il silenzio di Gesù, l'adorazione di Gesù, l'umanità del Cristo dinanzi al volto del Padre; poi questa nostra trasformazione totale nell'amore. Ecco che cosa vuol dire vivere l'unità, vivere la semplicità, ma vivere anche l'immutabilità. Anche qui, alla molteplicità degli atti, al cambiamento continuo di sentimenti, pensieri, subentra sempre più la semplicità che porta a vivere anche un atto unico, o almeno sempre più porta a vivere l'immutabilità di un sentimento solo, quello dell'amore, una volontà sola, quella di aderire a Dio.
L'immutabilità dell'essere nell'amore, ti porta vivere l'infinità dell'essere nell'amore, un amore che non conosce confine, un amore che si estende sempre di più, perché non può conoscere un limite e un confine al suo esercizio e, è una partecipazione agli attributi negativi di Dio. Questa è la vita cristiana.

Non pensate di doverlo fare voi, perché fosse così ci sarebbe da impazzire, lo fa il Signore se noi veramente ci lasciamo trasformare da Lui. La Comunione eucaristica infatti è il viatico, non è soltanto il viatico quando si fa avanti di morire, perché siccome dobbiamo morire tutti i giorni e lo dice San Paolo "muoio tutti giorni", se tu muori tutti i giorni hai bisogno tutti i giorni di un viatico, per andare al di là, ecco il viatico. L'Eucaristia è sempre questo viatico che implica il passaggio continuo, ma un passaggio sempre più grande, un passaggio sempre più vero, un passaggio di tutto l'essere nostro nel mondo di Dio. È un viatico che noi dobbiamo prendere tutti i giorni, fintanto che poi non arriverà il definitivo passaggio di tutto l'essere nostro nel mondo divino con la morte anche fisica, se non ci saranno le reliquie del peccato che ci manterranno nel purgatorio per qualche tempo. Ma l'Eucaristia è quello che ci accompagna, è quell'aiuto, quel mezzo divino e divinamente efficace che ci accompagna in questo passaggio che non sarebbe possibile. 

Era possibile per gli Ebrei passare il Mar Rosso se un vento gagliardo non seccava il fondo del mare? Sarebbero piombati nell'acqua come l'esercito del Faraone, sarebbero morti, così per noi è impossibile passare nel mondo divino, se il Cristo stesso non ci porta, ecco la Comunione. Il Mistero eucaristico è il mezzo escogitato da Dio per il quale l'uomo compie questo passaggio nel mondo di Dio. Lo compie anche se non se ne rende conto. Quando siamo usciti dal seno della nostra mamma ce ne siamo accorti? Così possiamo non accorgerci di questo passaggio nel mondo divino, possiamo non avere una percezione chiara, piena, di questo passaggio, ma il passaggio c'è. Proprio mediante l'Eucaristia noi passiamo da questo mondo in un mondo infinitamente più vasto, il seno di Dio. Mediante l'Eucaristia noi entriamo nel mondo di Dio, l'Infinito! Quale è la nostra patria? Il seno stesso di Dio, questo infinito! Ecco, che cosa deve farci vivere l'Eucaristia! Come vedete è una cosa grande, non è la Comunione eucaristica un centellinarsi di Nostro Signore che sta nel nostro cuore; se vogliamo vivere veramente il Mistero eucaristico, noi dobbiamo vivere questo

Il Cristo non si fa presente in noi e che in quanto noi entriamo nella sua presenza, perché non è più il Cristo che viene a noi, il Cristo non ritorna più in questo mondo, siamo noi che mediante l'Eucaristia e entreremo nel suo mondo e il suo mondo è l'adorazione del Padre, il suo mondo è l'amore totale per il Padre e per gli uomini, il suo mondo è questa pienezza di vita, questa purezza di amore, questo silenzio puro. Una vita di morte? La morte è soltanto il segno di una vita che non ha più condizionamenti. Non avendo più condizionamenti non ha forma, non avendo forma è come Dio, ha qualche cosa di illimitato che è proprio di Dio. Ecco la vita che ci deve dare l'Eucaristia. Dobbiamo vivere questo mistero, il Signore ci chiama a vivere questo mistero. 

Oggi è il Corpus Domini, dobbiamo sapere che se noi viviamo questo mistero, noi viviamo precisamente questo passaggio, noi entriamo nel mondo divino, noi viviamo la stessa vita di Gesù, la sua adorazione. Non adoriamo Gesù, ma viviamo la sua adorazione. Non amiamo Gesù, che volete che sia l'amore anche di Santa Teresa? Non amiamo, ma noi entriamo nell'amore del Cristo che ci partecipa il suo amore: quello che è l'Eucaristia. Fintanto che siamo noi ad amare, oh, non sa che farsene Nostro Signore del vostro amore, ma è Dio che deve amare in voi. È il passare in Lui, in modo che divenga vostro quello che è suo, perché precisamente mediante l'Eucaristia noi diveniamo un solo Cristo per vivere una sola vita: "vivo io, ma non son più io che vivo è Cristo che vive in me".

Ecco miei cari fratelli, quello che ci insegna il Mistero eucaristico, in quanto noi vogliamo rispondere, vogliamo capire che cos'è questa Presenza e come per noi si fa presente Gesù. Gesù si può far presente per noi solo nella misura che entriamo in questa Presenza, solo nella misura che noi proprio mediante l'Eucaristia facciamo nostra la sua condizione di vita, viviamo in Lui ed Egli in noi. Bisogna evitare dunque, io non voglio condannare nemmeno quelli che nella loro semplicità possono pensare a un venire di Gesù a loro, di ritornare di Gesù a questa vita, pensarlo e vederlo così come Egli viveva quaggiù fra gli uomini. Io non condanno queste anime semplici, ma dico che non è questa la verità. Egli può essere presente per noi, se noi entriamo in questa sua Presenza. Di fatto se noi non entriamo in questa Presenza tutto è morto, l'Eucaristia, anche per tanti cattolici, e non dico del popolo, ma anche i teologi, l'Eucaristia diventa un simbolo vuoto, una cosa che non dice più nulla. E si vede e si dice. 

Ma è evidente, perché sotto il segno del pane del vino Gesù non vive la nostra vita, non parla. Gesù non vive la nostra vita, non è un essere di questo mondo, non è nel tempo, non è in questo mondo, non è visibile, la sua vita è il puro silenzio di Dio e io debbo entrare in questo silenzio. Ecco la vita contemplativa. Il silenzio non è una virtù ascetica, è soltanto un'esperienza mistica di quella che è la vita divina, questo silenzio che è pienezza totale. Quando tu sei pieno, non c'è più la molteplicità degli atti, dei pensieri, rimani come colmo in un atto solo, dicevo prima, o di ammirazione o di stupore o di adorazione o di lode, l'estasi pura dello spirito in Dio

Dobbiamo vivere questo. Il Signore che riceveremo anche stamani, ci doni di vivere questo. Sia per noi davvero il mezzo che ci conduce nel seno del Padre, sia per noi davvero, il Cristo nell'Eucaristia, veramente la causa esemplare della nostra santità, la santità nostra è la santità di Dio e l'umanità di Gesù vive ora glorificata con la resurrezione la vita stessa di Dio. Che noi possiamo vivere questa medesima vita! Il silenzio di Dio, l'amore di Dio; ma poi ancora l'infinità, l'immensità, l'immutabilità divina!

Omelia

"Questo è il mio Corpo che è dato per voi. Questo il Calice del mio Sangue sparso per voi in remissione dei peccati". Le parole di Nostro Signore secondo i Vangeli di Marco e di Matteo, prima di tutto ci assicurano la teologia paolina. Non è un'invenzione di Paolo, che la morte di Cristo sia per la redenzione del mondo, non è un accidente qualunque capitato perché il procuratore romano o i sacerdoti non potevano tollerare la predicazione di questo uomo. Tanti altri falsi messia sono stati uccisi, o perché facevano ombra al procuratore romano, o perché non rispondevano alle attese dei sommi sacerdoti. E se non ci fossero queste parole dell'istituzione e poche altre, però tutte dette dal Signore, proprio nell'imminenza della sua Passione, noi potremmo dubitare che anche la morte di Gesù fosse una conseguenza naturale, si può dire, della gelosia e dell'odio dei suoi nemici, ma che Egli non l'avesse preveduta e l'avesse soltanto passivamente supportata, sia pure con i migliori sentimenti, anche di abbandono alla volontà del Padre. 

Ma sono le parole dell'istituzione che ci dicono che la sua morte è per noi, è per la nostra salvezza. Ed è proprio per questo, vedete, che la morte di Croce non è separabile dal Mistero eucaristico, questo perché fa tutt'uno con il mistero della Croce, dal momento che nella morte di Croce, il sacrificio non è consumato che da Dio. La consumazione di Dio, cioè l'accettazione da parte di Dio e l'offerta che Gesù ha fatto del suo Corpo e del suo Sangue, della sua vita, si manifesta nella resurrezione gloriosa, perché il fuoco della divinità, ecco investe l'umanità del Cristo e la trasformo. 

Ma dove è una comunione del Cristo con gli uomini? In che modo gli uomini hanno partecipato sacrificio; in che modo gli uomini veramente hanno tratto da questa morte di Croce una loro redenzione? Non potrebbe essere soltanto un'invenzione di Paolo che la morte di Croce è per la salvezza del mondo? Che Gesù ha voluto morire, che ha accettato liberamente, con amore la morte per la nostra salvezza? Sono queste parole che ce lo dicono, più di qualsiasi altra parola dei Vangeli; sono queste parole che ci assicurano come Egli, non soltanto avesse preveduto la morte, ma la avesse accettata liberamente, e la avesse accettata liberamente proprio per noi. Il "per" è finale, dice il motivo, dice la ragione della morte, Egli muore per noi; in vista di noi, in beneficio di noi: e ecco quello che ci dicono le parole dell'istituzione. Ma d'altra parte noi non vediamo in che modo gli uomini comunicano a questa morte, ecco perché prima di morire Egli istituisce l'Eucaristia, prima ancora che i suoi nemici gli diano la morte, Egli già in un atto che precede la sua morte fisica dona già il suo Corpo e il suo Sangue ai discepoli, e i discepoli comunicano al Corpo e al Sangue versato.

Nella Chiesa anche oggi, il sacrificio di Gesù si fa presente, ma si fa presente per essere comunicato al mondo, ma si fa presente perché noi possiamo mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue, perché mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue noi entriamo in comunione con Lui. Ogni qualvolta noi celebriamo il Mistero eucaristico, dice Paolo, noi annunciamo la morte di Gesù fintanto egli Egli venga. L'annunceremo, in che modo l'annunceremo? Non annunceremo soltanto la morte, annunceremo anche la sua resurrezione. Secondo gli Atti, l'annuncio cristiano non è soltanto l'annuncio di una morte salvifica, è l'annuncio anche di una resurrezione in cui la salvezza già si vede operante. Come si annuncia? 

L'annuncio apostolico, l'annuncio della Chiesa è soltanto un discorso che il popolo di Dio fa a chi non ha fede? È soltanto un annuncio che narra un avvenimento passato o non è piuttosto un annuncio che implica la nostra trasformazione in Colui che noi annunciamo? La vera manifestazione, il vero annuncio della morte e resurrezione del Cristo è la partecipazione nostra a questo stesso Mistero; noi dobbiamo capire che il Mistero eucaristico ci chiama precisamente a trasformarci in Cristo Gesù. E trasformarci in Cristo Gesù vuol dire morire a noi stessi e far sì che Dio veramente ci trasformi in Sé per essere noi quaggiù nel mondo il sacramento della sua presenza. È soltanto così che Gesù ha rivelato il Padre, la sua umanità è stata il sacramento primario di Dio, perché attraverso la sua umanità gli uomini hanno veduto Dio. Non si vede direttamente Dio, ma chi vede Gesù, vede il Padre: "Chi vede me, vede il Padre". È questo l'annuncio fatto dal Signore, è questa la funzione rivelatrice del Verbo Incarnato, nella sua umanità Egli si è reso visibile al mondo. Ed è ugualmente nella nostra umanità che il Cristo deve rivelarsi, ora, agli uomini. Nella umanità che attratto dal seno della Vergine Egli si è reso ora visibile, ma - come altre volte vi ho detto - il mondo ha la necessità di vederlo, perché non possiamo noi aderire nella fede alla rivelazione divina se questa rivelazione divina è cessata per noi. La rivelazione deve essere ferma, fino alla fine dei tempi. Come la creazione è rivelazione di Dio non solo per i popoli pagani, ma anche oggi per noi, come non fu soltanto rivelazione di Dio all'Ebraismo antico, ma è ancora mezzo di rivelazione per noi, così deve essere mezzo, sacramento vivo, presente, visibile di Dio, il Cristo Signore, perché è in Cristo che Dio si è rivelato ultimamente.

 Ma come si rivela agli uomini il Cristo, se noi non siamo trasformati in Lui? Quello che Gesù diceva: "Chi vede me, vede il Padre", ora ogni cristiano ha il dovere di dirlo, dovere, perché si impone per noi una trasformazione, dovere perché veramente implica per noi l'obbligo di una nostra trasformazione nel Cristo. Chi vede me vede il Cristo, questo lo deve dire il cristiano. L'uomo ha il diritto di incontrarsi con Gesù se si incontra con uno che deve continuare la sua missione nel mondo. Il mondo ha il diritto a questo. Il mondo nei riguardi della Chiesa, i cristiani nei riguardi del Sacerdote, ma anche ogni cristiano nei riguardi dell'altro cristiano. Ognuno deve essere il sacramento visibile di Gesù Salvatore. 

Come è possibile tutto questo? Si diceva già nella meditazione precedente, mediante l'Eucaristia, noi viviamo la Presenza del Cristo perché Cristo c'investe, perché il Cristo entra in noi, perché Cristo in Sé ci trasforma, è questo il compito nostro. Tante volte vi ho detto, la vita cristiana non consiste in una morale, la morale certamente è inerente alla vita cristiana, ma non è essenzialmente la vita cristiana, la vita cristiana è Cristo. "Mi vivere Christus est", la vita cristiana è il mistero di una comunicazione che Dio ha fatto di Sé mediante il Verbo suo, mediante il Figlio suo agli uomini e che continua a fare mediante la Chiesa nella quale continua il mistero di una incarnazione divina.

Se noi celebriamo la Festa del Corpus Domini, noi dobbiamo capire che non tanto si tratta per noi di portare in processione il Santissimo Sacramento, perché per la massima parte degli uomini oggi, non vi è più una fede così viva da saperlo scoprire sotto il segno del pane. Ma dobbiamo capire che invece tutta la nostra vita deve essere questa processione sacra, deve essere un manifestarci al mondo, un entrare nel mondo per portare agli uomini il Cristo. Dobbiamo portarlo nella semplicità della nostra vita, dobbiamo farlo presente nell'umiltà della nostra condizione umana, dobbiamo renderlo soprattutto visibile nel nostro amore per tutti. La rivelazione suprema del Cristo è stata precisamente la sua morte, secondo San Giovanni nel IV Vangelo. 

Per noi la rivelazione che dovremmo dare del Cristo presente nella nostra medesima vita, noi l'avremmo soltanto nella misura che sapremo amare come ha amato Gesù. Tutto questo non possiamo presumere di viverlo se il Signore stesso non ci trasforma in Sé. Ecco il perché della Comunione eucaristica. Il Mistero eucaristico non è un mistero che noi dobbiamo tenere chiuso. Voi sapete che nell'Oriente cristiano anche oggi non c'è nemmeno la riserva, o almeno se c'è anche la riserva, non è adorata, non vi è nessun culto per l'Eucaristia al di fuori della Messa, perché il fine dell'Eucaristia è il cristiano. Una certa devozione eucaristica rischia di compromettere quello che è il vero valore del Mistero eucaristico, perché fa sì che noi ci ordiniamo al Sacramento e questo è contro la teologia, perché sacramenti sono per gli uomini, non gli uomini per i sacramenti. 

Fine dell'Eucaristia è il cristiano, perché l'Eucaristia si dona noi per trasformarci precisamente nel Corpo di Cristo, per far sì che in noi si renda visibile Gesù benedetto; ed è questa consegna che dobbiamo ricevere stamani in questa Santa Messa che noi celebriamo. Egli si dona noi: "Prendete, mangiate, questo è il mio Corpo, che è dato per voi". E noi dovremo mangiarlo, una volta mangiato il pane non esiste più, il segno del pane non esiste più. Ma se il segno del pane non esiste più, il Cristo rimane e rimane per trasformarci in Sé. Non si digerisce Gesù, è Lui piuttosto che in Sé ci trasforma. Noi dunque mediante il Mistero eucaristico che stiamo per celebrare, dobbiamo donarci a Cristo perché Cristo ci prenda, ci possegga, ci assumo, ci faccia veramente suo Corpo e si renda visibile in noi e si renda operante per mezzo nostro nel mondo. 

Questa e l'esigenza propria della Chiesa. La Chiesa non adempie la sua missione se non vive la missione del Cristo. Ma non può vivere la missione del Cristo che in quanto in Lui si trasforma, la Chiesa e la Chiesa siamo tutti noi, dobbiamo capirlo. È una grandezza immensa quella alla quale Dio ci chiama. È una missione di un'estrema gravità quella di cui noi siamo investiti; la responsabilità che ricade su di noi! Certo è Gesù che ci ha salvato mediante la sua morte. Ma se al mondo presente la morte non è annunciata, non è fatta presente e non è operante, che attraverso la Chiesa, che attraverso noi, in fondo la redenzione compiuta in atto primo, ma non raggiungerà gli uomini di oggi, non raggiungerà i miei compagni di viaggio, non raggiungerà le nazioni che vivono oggi, che vivono oggi l'assenza di Dio, che vivono oggi il silenzio di Dio!

Miei cari fratelli, siamo noi disposti ad accettare questa missione? a viverla? Oh , dovrei dirvi una cosa che mi sembra tanto lapalissiana che non meriterebbe il conto di dirla, però so che in alcune famiglie è stato detto che noi non dobbiamo fare apostolato, non dobbiamo avere nessuna missione, noi facciamo la vita contemplativa! Non possiamo dividere la nostra dignità di figli di Dio dalla missione del Cristo nei riguardi del mondo, c'è un modo di vivere questa missione, ma tutti noi dobbiamo sentirci responsabili, tutti noi dobbiamo caricarci del peccato del mondo, tutti noi dobbiamo sentirci responsabili della salvezza degli uomini, tutti noi, perché noi si ha una trasformazione nel Cristo che in quanto diveniamo figli di Dio e salvatori dell'umanità. Ora se noi possiamo sentire meno questa dignità infinita di essere figli di Dio, è la cosa più grande, ma proprio perché è più grande ci trascende infinitamente e non riusciamo a realizzarla sul piano psicologico. Però di essere salvatori del mondo noi possiamo realizzarlo. Realizzarlo non perché noi possiamo presumere di salvare questo mondo se Dio attraverso di noi non lo salva, ma perché noi ci rendiamo conto della gravità della situazione umana, del male che veramente è traboccato nell'universo, ha dilagato su tutte le anime. Noi possiamo renderci conto di che cosa il mondo ha bisogno, di come il mondo sia privo di Dio. Ebbene come sottrarci a questa missione? 

La Comunione eucaristica che noi facciamo stamani, non deve soltanto trasformarci in Gesù, Figlio di Dio, deve anche renderci strumento di questo universale salvezza, che è stata la missione del Cristo che si fa presente in ciascuno di noi. Non quasi che manchi qualche cosa alla morte di Croce, ma nel senso che questa morte di Croce raggiunga oggi gli uomini come annuncio di salvezza, e come dono di salvezza, attraverso il ministero sacerdotale di tutta la Chiesa. Non del ministero soltanto del sacerdozio ministeriale, ma del sacerdozio di tutta la Chiesa, perché tutti i cristiani sono partecipi del sacerdozio di Cristo e la partecipazione al sacerdozio di Cristo ci impegna tutti a vivere suo stesso sacrificio di amore. Non vi è altro esercizio al sacerdozio che quello di offrire noi stessi in dono di amore Dio come figli, in dono di amore ai fratelli, come offerta di salvezza. È quello che dobbiamo fare. 

La Messa è la nostra Messa, non c'è un atto diverso fra quello che vive il Cristo e quello che deve vivere il cristiano, siamo tutti impegnati nella stessa missione, tutti impegnati nel vivere la stessa dignità, ed è la dignità del Figlio di Dio, ed è la missione di Gesù Salvatore. Se queste figliole avessero letto un pochino la triplice consacrazione, avrebbero capito invece che proprio nella Comunità noi dobbiamo vivere questa missione di salvezza. Quando ci si consacra alla Chiesa, fino all'effusione del sangue, si ripetono queste parole che si dicono anche il giorno della prima Consacrazione, fino alla morte di Croce. La triplice consacrazione è più importante della formula dei voti. La formula dei voti dice un modo di vivere questa consacrazione, ma la triplice consacrazione dice tutto il contenuto della nostra consacrazione a Dio. Consacrazione al Verbo, consacrazione alla Vergine, Consacrazione alla Chiesa. Se noi leggiamo questa triplice consacrazione ci rendiamo conto quale dimensione abbia la nostra vita cristiana, una nostra trasformazione in Cristo Gesù e per essere figli di Dio e salvatori del mondo. Che la Comunione eucaristica che stiamo per fare, veramente ci trasformi, ci faccia sacramento di Cristo Signore fra gli uomini.

Noi con la fede e possiamo scoprirlo anche sotto il velo del pane, gli altri debbono scoprirlo non più sotto il velo del pane, ma in noi la trasparenza di questa presenza del Cristo deve essere tale che si imponga anche a chi non ha fede e faccia nascere la fede anche in chi non l'ha. La nostra santità miracolo vivente di una presenza di Dio dovrebbe essere tale da ridonare agli uomini la fede che hanno perduto.

Seconda meditazione

Si è detto stamani che bisogna vedere che cosa implica il fatto che nel tempo noi viviamo la fine, perché la Presenza del Cristo è già l'Escaton, è già la fine dei tempi. Che cosa vuol dire tutto questo? Debbo dirvi che nel mio orgoglio, veramente grosso, io trovavo una certa difficoltà ad accettare di vivere oggi, per quelli che verranno domani. Io sono escluso dal processo del tempo, dal processo della storia. Naturalmente dovevo accettarlo, fintanto che non ho capito invece che non era orgoglio il mio, era un'esigenza che è propria del cristiano. Il cristiano deve veramente legare i due estremi. Io sono fratello e devo vivere in comunione con tutte le nazioni anche della preistoria, con tutti i popoli che ormai sono anche scomparsi. Non sono slegati da me, non sono separati da me. Se io vivo in Cristo, se io sono in Lui, io sono veramente anche in un legame vivo, vero con tutti gli uomini del passato. Posso dire di più che come tutta la storia antica tendeva a Cristo e in Cristo trovava il suo compimento, così io debbo se voglio vivere la mia vocazione cristiana, debbo essere il compimento della religione egiziana, della religione assiro-babilonese, della cultura cinese, non posso sentirmi diviso ed estraneo, perché sarebbe un negare la mia cattolicità. Essere cristiano vuol dire essere cattolico ed essere cattolico vuol dire avere un respiro universale che tutto abbraccia, nell'unità, perché si noti bene, la cattolicità e l'unità sono non solo due prerogative fondamentali della Chiesa, ma anche due prerogative fondamentali del cristiano come tale. Anche il cristiano deve essere uno e deve essere cattolico. Ebbene proprio per questo motivo, dovevo sentire come in Cristo si adempiva tutta la storia, così si adempie in me. Devo dunque sentire che la religiosità, la vita, la cultura dei popoli anche più lontani da me, trovano un loro compimento in Cristo totale, in me in quanto sono nel Cristo. Non sono estraneo a nulla, non posso sentirmi estraneo a nulla. Ma questo lo sapevo già da tempo, questo lo dicevo in quel librettino piccolo: "La lotta con l'Angelo". Questa volta ho capito un'altra cosa, che hanno voglia a continuare a camminare i secoli, io sono già arrivato in fondo, perché sono nel Cristo, cioè veramente nulla la storia potrà raggiungere a quello che io vivo se io vivo nel Cristo. Del Cristo io vivo già la fine, non vivo nel 1985, vivo nel 447450, vivo cioè la fine, e tutto il tempo è incluso nell'atto della mia adesione a Cristo Gesù. E questo mi ha dato un grande respiro, vuol dire che il Signore non mi toglie nulla, non mi nega nulla, non mi interessa nulla se domani scoprono qualche cosa, l'ho già scoperta io. Non l'ho scoperta, ma quello che implica ogni scoperta, sia scientifica sia anche ogni approfondimento filosofico, non è approfondimento e non è vera scoperta se non è qualcosa che di fatto già implicitamente contiene il Cristo Signore, perché come si è detto tante volte, non si può andare oltre il Cristo. Tutti i secoli, tutti millenni non potranno aggiungere nulla a Cristo Gesù.
Ecco quello che ho capito, allora sono stato veramente contento. Vedete nel mio orgoglio sento veramente di essere cattolico, sì che veramente io abbraccio ogni cosa. Non per me, sono un segmento del tempo infinitesimale, sono un'intelligenza estrema e limitata, non per quello che io sono, in me stesso, per il fatto che io sono nel Cristo, non l'anno 1985, ma vivo tutto lo spessore del tempo, che tutto Egli in Sé, non solo conclude, ma riassume, perché se lo concludesse soltanto, sarebbe già una perdita, perché bisogna che includa tutto quello che precede, non essere soltanto una fine. Una fine sarebbe sempre qualche cosa di povero, se la fine non include tutto il processo, ora invece nel Cristo vi è tutto e tutto è incluso e tutto è presente. La presenza del Cristo, non è soltanto la presenza, è la presenza dell'umanità salvata in quanto Dio stesso l'assume. Ed ecco allora che il nostro tempo non si aggiunge all'eternità, non è altra cosa dall'eternità, come la creazione non è altra cosa da Dio, per dire in altre parole, perché non è Dio, ma non è nemmeno diviso da Dio, ma anche la creazione è in Dio, e così il tempo, non è qualche cosa divisa dall'eternità, è nell'eternità stessa. Ora se io vivo l'atto del Cristo e nell'atto del Cristo io vivo una certa partecipazione alla divina eternità, all'immutabilità divina, in questo atto io vivo già tutto lo spessore del tempo, nulla mi è veramente negato. Tutto questo come? Mediante l'Eucaristia, è sempre lo stesso mistero, il Cristianesimo vuol dire vivere l'Eucaristia, null'altro.
E dobbiamo capire che anche la devozione alla Madonna, anche questa maternità di Maria, io o la vivo nella Messa o non la vivo fatto. Per questo quando dico la Messa mi vien fatto di fermarmi molto quando parlo della Vergine perché voglio realizzare precisamente questo mio incontro con Lei, questo sentirmi suo figlio, perché è in quel momento che Ella mi riceve come figlio. Non mi ha forse ricevuto i piedi della Croce? E non è nell'atto stesso della Croce che si fa presente per me, che io vivo la mia filiazione da Lei? che Ella vive la sua maternità nei miei confronti? Togliete la Messa, anche la Madonna rimane un'estranea, è sempre in Cristo che tutto si fonda. E in Cristo tutto si fonda non nella sua nascita, non nella sua predicazione, non nei miracoli che Egli fa, ma nel Cristo nell'atto della sua morte e resurrezione. Questo atto è l'atto veramente che riassume ed è tutta la vita dell'universo. In questo atto si realizzano tutti i misteri, perciò sia realizza anche la maternità di Maria. Ecco come devi vivere la Messa. In questo atto si realizza la maternità di Maria. Certamente Maria lo vive poi anche se tu non ascolti la Messa, però è nell'atto del Cristo che muore e risorge che Ella stessa diviene la Madre di tutti i viventi, associata al Cristo, come corredentrice del genere umano.
Nell'atto del Cristo, non vivo soltanto la mia comunione con Dio, la mia comunione con un Dio che è l'Eterno, vivo anche tutto lo spessore del tempo; non un segmento del tempo, non la mia piccola vita. Nella mia piccola vita si fa presente tutta la vita dell'universo, in che modo? Probabilmente tutta la luce del sole attraverso dei cristalli, le lenti, si fa presente in un solo raggio, tutta la luce, avete visto come le lenti possono bruciare, probabilmente così, non lo so, è un fatto però che nulla mi è più estraneo, nulla è da me diviso, nulla posso sentire totalmente altro da me. Altro da me sono soltanto le persone a cui debbo ordinarmi, ma i valori, non sono estranei. Tempo, mondo, valori umani, tutto mi è dato. E mi ha dato tutte le grazie; fosse c'è stata qualcuna di voi un po' gelosa di Santa Teresa? o di San Francesco? Io sono stato un po' geloso di non essere Santo Tommaso o di non essere San Francesco, è stupidità, perché Dio ha dato quelle cose a me, non le ha date mai ad uno per sottrarle a me. Se Dio si ordina totalmente ciascuno, non vi è grazia che Dio faccia ad un'anima, che non la faccia anche a me, perché sono inseparabile da qualsiasi anima. Di qui che cosa ne viene? Che ho la santità di San Francesco? L'avrei se avessi la sua fede. Il problema è sempre questo, la misura poi del dono non è in Dio che si dona, è in noi che non crediamo, in noi che non ci apriamo ad accogliere il dono divino, perché il dono di Dio rimane il dono di Dio. Dio non si dà per parte; Dio ama ciascuno come se fosse l'unico a Sé. E amando ciascuno come se fosse unico, ama ciascuno con tutto il suo amore; perciò non toglie nulla che Egli abbia dato che non abbia dato te; posso pensarlo? Lo posso pensare, debbo viverlo, la cosa grave è che debbo viverlo e invece non lo vivo, chi di voi lo vive? Probabilmente anche qui l'ha potuto vivere soltanto un'anima così semplice e così umile come la Vergine, perché tutti gli altri sono stati condizionati anche nella loro fede anche dalla loro esperienza umana, che è sempre una esperienza relativa. Ma dobbiamo capirlo perché anche questo è un mistero profondo del Cristianesimo, il relativo non è l'assoluto, ma l'Assoluto si fa presente soltanto nel relativo, altrimenti non si fa nemmeno presente, e il relativo sono io e il relativo è la mia vita. Si è fatto presente in Cristo Signore, in un uomo, Nostro Signore. È vissuto trentacinque anni, in Palestina. Limitatissimo, condizionatissimo più di me, perché non sapeva che l'aramaico probabilmente, perché ha viaggiato molto meno di me. Condizionato e pur tuttavia Egli veramente è Dio.
L'umanità che Egli ha assunta nei suoi condizionamenti anche più grandi, non impedisce a Lui di essere Dio. Il sacramento della sua umanità fa presente Dio stesso. Il relativo non è l'assoluto, come dice il buddismo, ma l'assoluto non si fa presente che nel relativo. D'altra parte se non si facesse presente nel relativo, dove si andrebbe a finire dopo la morte? È invece dopo la morte che la nostra anima diviene veramente la condizione di una presenza divina, Dio tutto si rivela noi, Dio tutto si fa presente in noi, Dio tutto si comunica a noi. Il relativo è il sacramento dell'Assoluto e il relativo che è sacramento dell'assoluto sono io. Per me questo relativo che fa presente l'assoluto siete anche voi, in una certa misura, perché debbo riconoscere anche in voi Dio, ma prima che in voi debbo saperlo riconoscere in me, nel mio atto, nella mia vita, nel mio essere, perché Dio in Cristo si è comunicato a me, senza il Cristo no, ma in Cristo Dio si è comunicato a me, perché Cristo tutto si è ordinato a me, Egli si dona me. Non si è incarnato per Se stesso, perché che ragione aveva l'Incarnazione se non era per noi: "Propter nos et propter nostram salutem descendis de coelis". E allora se il Cristo si ordina me è evidente che io divengo il sacramento stesso di una presenza divina. Di una presenza tanto più vera quanto più vera è la mia fede, di una presenza tanto più grande, quanto più grande è la mia fede, perché dico grande quando si tratta di Dio? Perché è evidente, Dio è l'Infinito, però noi diamo la misura sempre questo infinito e la diamo precisamente secondo la fede che abbiamo. Ed ecco allora quello che sempre vi ho detto: che in fondo la vita del cristiano è soltanto soprattutto l'esercizio di fede. Ma la fede che cosa ci chiede? Veramente si capisce come il mondo oggi non creda più, perché quello che il Cristianesimo impone di credere è talmente sproporzionato alle nostre stesse ambizioni, è talmente sproporzionato alla nostra esperienza umana, che noi rimaniamo interdetti, sgomenti, e non riusciamo più a credere. Ma giustamente diceva San Giovanni della Croce, che in nessuna altra cosa l'uomo si proporziona a Dio. Le altre virtù sono proprie dell'uomo. La fede ci proporziona a Dio, infatti ci fa capaci di Lui nella misura che crediamo. È ecco perché possiamo crescere sempre nella fede e questa fede è sempre autentica, non possiamo mai pensare che si creda troppo, perché siccome ha per oggetto Dio, la fede può crescere infinitamente, non perché credo tante più cose; la Madonna non credeva nemmeno il purgatorio, perché era implicito in Lei l'adesione alle verità di fede che allora non mi erano esplicitamente rivelate, e che soltanto attraverso lo Spirito Santo della storia della Chiesa sono divenute esplicite, poteva benissimo non saper nulla del purgatorio e io invece lo so. Non è nel sapere più cose che la nostra fede aumenta, è nella intensità della adesione, ed è nella apertura e nell'abbandono a questo Dio che si abbandona noi che la fede diviene più grande. Per questo la fede di Santa Gemma Galgani era più grande di quella dei teologi che facevano scuola di teologia a Lucca, perché Santa Gemma Galgani non sapeva nulla del Padre Celeste, non riusciva nemmeno a capire il rapporto fra Nostro Signore e il Padre, stando ai suoi scritti, ma la sua fede era molto più grande dei teologi, perché la teologia facilmente può divenire un'ideologia, l'adesione a Dio certamente può divenire un'adesione poi alle singole verità. Ma più che alle singole verità la fede è l'adesione a Dio stesso nel suo mistero. È questa adesione di tutto l'essere a un Dio non nel suo mistero impenetrabile, ma nel mistero per il quale Dio si è voluto comunicare al mondo, si è donato a me, perché io non posso aderire nella fede al mistero impenetrabile e trascendente nella sua vita, in quanto questo mistero mi sarà nascosto anche nella vita eterna, anche nel cielo. Io posso aderire soltanto alla rivelazione che Dio mi fa di Se stesso, ma questa rivelazione non è esattamente tutto Dio. Perfino Nostro Signore nella sua umanità non conosce il Padre come lo conosce il Verbo divino nella sua natura divina, perché ha un'intelligenza umana anche Lui, non si identifica la conoscenza umana del Cristo alla sua conoscenza divina come Verbo di Dio. Comunque rimane vero questo, che nella misura che cresce la mia fede, io veramente vivo che cosa? Si diceva prima, veramente vivo tutto, tutto posseggo, perché Dio si dona a me, veramente divengo il sacramento che fa presente Dio, e il relativo diviene segno dell'assoluto. Questo è vero del Cristo, in modo perfetto, in noi è vero soltanto nella misura della nostra fede, la nostra fede in un Dio che si comunica in Cristo all'uomo, perché anche Dio non entra in rapporto con noi che attraverso l'Incarnazione del Verbo. Se si mette fra parentesi il Cristo, Dio stesso rimane sconosciuto, ritorna ad essere puro mistero. Ma voi mi dite, nell'Antico Testamento dio era conosciuto, precisamente in quanto già l'Antico Testamento è un processo di incarnazione divina. Non possiamo pensare l'Incarnazione indipendentemente da questo processo. Già il fatto stesso che Dio parli, implica un'incarnazione, Dio si fa parola umana per essere accettato dall'uomo. Allora, quello che vi dicevo prima, quello che mi ha sbalordito è proprio questo sentirmi alla fine dei tempi. Dopo di me il diluvio, diceva Luigi XIV, dopo di me non c'è nulla dico io, non c'è nemmeno il diluvio: io in Cristo vivo la fine. Vivo non solo il passato, vivo anche tutto il futuro, la Presenza è al di fuori del passato e del futuro, è prima ed è dopo questo segmento del tempo che è l'avventura dell'uomo, questo segmento del tempo ancora più piccolo c'è la vita di ciascuno di noi. Noi viviamo la fine, vivere il Cristo. Ma una fine che include tutta l'avventura umana, perché tutta la salva. La morte di Cristo veramente è la salvezza di tutto il passato, è la salvezza di tutto l'avvenire perché l'atto del Cristo è di per sé l'Escaton, è veramente la salvezza di tutto, tutto include in sé.
Se io vivo in quell'atto e, nella misura che il Cristo fa presente in me questo suo, ecco io vivo la vita non solo di Dio, la vita di tutta l'umanità. Tutti sono in me, io sono in tutti. Chi lo può dire questo? È orgoglio spaventoso il dirlo, perché abbiamo così poca fede, ma pure implicitamente possiamo dire che è vero per tutti, esplicitamente lo sarà sempre più nella misura che in noi cresce, con la fede, anche la nostra trasformazione nel Cristo. Se noi potessimo vivere la stessa vita di Maria, noi potremmo vivere allora un'associazione così perfetta a Gesù, che come il Cristo è salvatore di tutto il mondo, così la Vergine ottiene di essere la Madre di tutti i viventi. Una povera fanciulla, una povera bambina, madre di tutti i viventi! Perché? Che cosa ha fatto? Come può essere madre per quelli che verranno? Eppure è stata Madre nell'atto in cui Ella è stata ai piedi della Croce, non dopo, perché non c'è un dopo per la Madonna, perché non c'è un dopo per Nostro Signore; non c'è un dopo. Con la morte tutti sono fissati per sempre in quell'atto in cui la morte li trova.
La Vergine è Madre di tutti in quell'atto che l'ha associata a Cristo Signore, ed è l'atto in cui Egli ha redento l'universo, ha redento il mondo. Dobbiamo capire che non c'è una vita oltre la morte, la morte ti fissa eternamente in quello che vivi. Di qui l'importanza che nella vita presente cresca la fede, perché noi nella fede sempre più ci proporzioniamo al dono di Dio e lo possiamo accogliere, non dico senza misura, perché una misura necessariamente l'abbiamo, ma eliminando tutto quello che la nostra poca fede invece potrebbe mettere come limite al dono di Dio.

Terza meditazione (commento sulla relazione su Cassiamo)

Nel primo libro delle circolari ho scritto che noi siamo monaci, la nostra spiritualità è una spiritualità monastica. Per noi Basilio e Cassiano sono anche oggi maestri di vita, dobbiamo imparare dal loro insegnamento che cosa il Signore ci chiede e penso che la conferenza che abbiamo ascoltato or ora sia di una grande importante per tutta la Comunità.
Noi dovremmo conservare questa conferenza come quella della Bruna che io non ho conosciuto ancora nell'Archivio qui di Firenze, perché appunto è estremamente importante avvicinare questi grandi Maestri, conoscerli e soprattutto far tesoro dei loro insegnamenti. Per quanto riguarda quello che ha detto sulla preghiera a proposito di quelle pagine, dobbiamo renderci conto che l'Occidente ha fatto tesoro di quelle parole perché la preghiera liturgica s'inizia sempre con quelle parole "Dues in adiutorum intende Domine ad iuvantem me festina", invece nell'Oriente non ha avuto fortuna questa formula, perché la formula Orientale è "Signore Gesù Cristo abbi pietà di me peccatore" che è più evangelica. Comunque importa poco la formula, perché in fondo, ogni formula può essere buona. La cosa importante è, diceva San Francesco di Sales, che incessantemente salga a Dio questa richiesta di aiuto e questo sentimento di abbandono alla sua misericordia in una confidenza pura, in un abbandono perfetto. È questa preghiera come una freccia tirata nel cuore di Dio che sveglia continuamente l'anima, la mantiene desta nel suo rapporto col Signore e lentamente può davvero trasformare una vita. A proposito di tutta la conferenza, vorrei dire che sarà sempre importante ricorrere per noi sia alle Regole di San Basilio sia alle Collationes di Cassiano, non tanto alle Istituzioni cenobitiche, perché gli abiti non li portate nessuno, il nostro monachesimo è un monachesimo interiorizzato, evidentemente ci saranno anche quelli che vivranno anche nel IV grado e avranno una veste, ci saranno quelli del III grado che non avranno veste, ma la maggior parte vive nel mondo ed essi non potranno avere una veste monastica, e la loro vita sarà senza regole fisse, perché sarebbe impossibile darle.
Sull'Istituto cenobitico, la prima opera di Cassiano, è importante per gli otto peccati capitali, che sono otto anche secondo Evagrio, perché anche qui Cassiano si manifesta discepolo di Origene attraverso Evagrio che forse ha conosciuto. Indubbiamente tutta la spiritualità orientale è passata in occidente proprio attraverso il tramite di Cassiano che ha scritto in latino. E Cassiano è l'autore di questa spiritualità orientale forse il più ricco e il più profondo di tutti come dottrina. Addirittura si può dire che è stato il maestro di tutta la spiritualità cristiana fino al 1300-1400. San Tommaso D'Aquino ogni giorno leggeva la Bibbia e una conferenza di Cassiano in ginocchio a capo scoperto, tanto è il valore poi di questa dottrina spirituale. L'unico appunto che si può fare a Cassiano è che egli nella XIII Collatio, indulge al semi pelagianesimo, un po' come tutti gli orientali, che c'è questo punto qui che è la sua debolezza, ma come opera di spiritualità è certamente una delle più grandi di tutta la tradizione cristiana. E quelli che verranno al IV grado, sia qui come altrove voglio che si formino precisamente sulle regole di San Basilio e sulle conferenze di Cassiano, perché non si può essere monaci se veramente non assimiliamo l'insegnamento di questi grandi maestri. Non soltanto su un piano dottrinale, su un piano poi di esecuzione di vita, perché evidentemente la spiritualità moderna è meno monastica, più impegnata direttamente nelle attività, nelle opere, sente meno questo urgenza di vivere l'intimità con Dio, la contemplazione divina.

Conclusione e sintesi degli argomenti svolti (dopo i Vespri)

Si tratta di fare alcune brevi riflessioni su quanto abbiamo detto, insistendo su un unico punto. Si è detto dunque che il Signore si fa presente, ma non si può far presente che in un atto. E l'atto nel quale si fa presente è l'atto della sua morte e resurrezione. Ora che cosa è questo atto della morte e resurrezione di Gesù? È l'atto nel quale Egli si dette a noi. È proprio questo che anche il sacerdote dice nella Consacrazione: "Questo è il mio Corpo, che è dato per voi. Questo è il Calice del mio Sangue che per voi è sparso". Ora che cosa vogliono dire queste parole; io credo che basterebbe meditare queste parole per a rinnovare tutta la devozione eucaristica nella Chiesa. Che cosa vogliono dire? Gesù è in atto di donazione, in atto di donazione totale perché per noi muore, l'atto della sua morte non è superato, io debbo sapere che nessuno mi ama come in questo momento mi ama il Cristo, che si dona tutto a me. Non si è dato a me duemila anni fa, Egli vive ed è presente in quel medesimo atto con il quale Egli si dà, si dà totalmente. Che cosa vuol dire vivere il Cristianesimo? Vuol dire vivere il mistero del Eucaristia e questo vuol dire prender coscienza del fatto che Dio è presente in un atto di amore infinito, in un atto di amore per il quale Egli tutto si dà ciascuno di noi. Di qui ne viene che vivere la vita cristiana vuol dire vivere un rapporto essenziale di amore mai interrotto: di notte, di giorno, mentre mangio, mentre cammino. Gesù si dà a me, tutta la mia vita non è che accogliere questo dono. Noi possiamo fare la Comunione sacramentale una volta sola, ma di fatto tutta la vita dovrebbe essere questa comunione, perché mai interrompe Gesù questo suo atto per il quale si dà. È evidente però, che il dono che il Cristo ci fa di Se stesso, Corpo Sangue Anima e Divinità, esige, e in qualche modo anche suppone, il dono nostro a Lui. Vedete l'Eucaristia è il mistero dell'Alleanza, ma che cosa vuol dire e che è il mistero dell'Alleanza? È il mistero che realizza il nostro matrimonio. Chi vive nel matrimonio potrà vivere questa unione con il Cristo e l'unione del Cristo con lui attraverso l'altra persona, che in qualche modo è per l'anima sacramento del Cristo. Per chi non vive nel matrimonio, ma vive nella castità perfetta, deve vivere direttamente questo matrimonio, questa unione nuziale con il Cristo, ora e qui, sempre.
La vita cristiana implica che si viva in atto permanente il dono di noi stessi a Cristo; e il dono che Cristo fa a noi è la vita del cielo che è un matrimonio, è il vero matrimonio; il matrimonio quaggiù ha un valore soltanto in quanto richiama quello, questa unione che Dio ci fa di Se stesso, questo dono che Dio ci fa di Se stesso nel Cristo; mediante il quale dono noi viviamo una sola vita con Lui, e diveniamo con Lui un solo Corpo e viviamo con Lui di un solo Spirito. Ecco l'Eucaristia è precisamente questo, è il compimento di una unione nuziale che esige il dono totale di me stesso a Dio. Ecco perché in comunità si fanno la Consacrazione e i voti, proprio nell'istante medesimo che si riceve Gesù nel Mistero eucaristico. Si inizia il rito della nostra Consacrazione all'Offertorio, la vera consacrazione avviene quando tu doni tutto te stesso a Lui e ricevi in cambio Lui, Corpo Sangue Anima e Divinità, e in questo duplice dono si realizza l'unità perfetta e diveniamo con Lui un solo corpo e dobbiamo vivere con Lui una medesima vita. Ci rendiamo conto di questo? In questo momento facciamo la Comunione? viviamo questa Comunione? In questo momento viviamo l'atto supremo del dono di noi stessi a Lui per ricevere in questo momento medesimo tutto il dono che Lui ci fa di Se stesso? Che cosa volete che sia la vita nei confronti di questo amore immenso, che non è mai negato, che è sempre attuale e ci dona tutto il paradiso, perché ci dona tutto Dio.
Vi ho detto prima che la devozione eucaristica da quelle semplici parole dovrebbe essere tutta rinnovata, infatti si parla di adorazione del Santissimo, Lui è lì ed io sono qua, e qualche volta la presenza reale del Cristo si pensa come la presenza di un oggetto sacro, piuttosto che di una persona vivente che ama, piuttosto di una persona vivente che ama me e con tutto Se stesso. Ma alla considerazione di queste poche parole che vi dico acquistano un nuovo senso e una nuova profondità quello che vi dicevo altre volte, cioè quello che ha scritto il canonico Alamano, servo di Dio: l'Eucaristia è l'atto permanente per il quale il Cristo non sta nel tabernacolo, che ci fa nel tabernacolo? Si dona a ciascuno, a ciascuno che si apra ad accoglierlo. Per aprirsi ad accoglierlo bisogna avere fede. Come si chiama l'anello che si mette il dito? Si chiama la fede, ci vuole la fede anche per l'unione dell'uomo con la donna, avere fede vuol dire far credito all'altro, è un fidarsi, è un abbandonarsi all'altro. Ebbene noi non possiamo ricevere il Cristo che in questo atto, per il quale ci apriamo continuamente ad accogliere questo amore immenso. Ma d'altra parte non possiamo accogliere nemmeno questo amore se a nostra volta non ci doniamo, è tutta qui la vita e non c'è altro, dove sono le virtù? Le virtù non sono altro che l'espressione di questo dono, se non sono questo dono si ritorna ad un'etica, a una morale umana che arricchisce il singolo, ma lo chiude in se stesso, ecco la virtù degli stoici. Non ha nulla a che vedere la virtù degli stoici con la vita cristiana; la vita cristiana è amore. Amore di un Dio che si versa totalmente, trabocca continuamente nel cuore dell'uomo, e amore dell'uomo che non trova altro modo di vivere che nel dono di sé a questo Dio dal quale si sente amato, perché da questo abbiamo conosciuto l'amore che Egli per primo ci ha amato. Il nostro amore è soltanto un amore di risposta.
Ecco vivere questo, sentire veramente questa corrente misteriosa di amore che passa da Lui a noi, da noi a Lui è e crea e realizza continuamente l'unità, l'unità di una medesima vita, l'unità di un medesimo amore. Come dal Padre al Figlio, dal Figlio al Padre è tutta la vita della Trinità nell'unità dello Spirito Santo, così da Cristo a me, da me al Cristo è tutta la vita cristiana nell'unità di un medesimo spirito che è l'unità dell'amore, tutta qui la vita cristiana. Ma ci sentiamo noi amati così? Non si tratta che Gesù è morto una volta per sempre per noi, e che ora non pensa più a noi, è in questo momento che Egli fa presente l'atto della sua morte come atto di amore. La morte non conta proprio nulla, di che mi facevo della morte di Nostro Signore se la morte di Nostro Signore non fosse stato l'atto di amore per il quale Egli si donava me e si donava al Padre? In questo c'è la redenzione umana, non nel fatto che Egli muore, ma nel fatto che nella morte si dona, ma nel fatto che la morte è il dono supremo che fa di Se stesso. Questo ho scritto una volta nel diario, che il dono più bello che Dio ci ha fatto è quello di poter morire, perché fintanto che non si muore non ci si dona e tu rimani costì, ma nemmeno può donarsi totalmente, perché se tu muori, non ci sei più costì e non ricevi più nulla. Il dono supremo di noi stessi si può fare soltanto a Dio e si fa soltanto nell'atto della morte. Allora non riteniamo nulla per noi, allora non possiamo conservare nulla per noi, il nostro atto di morte non può essere altro che un atto di puro abbandono a uno che ci ha amato. Può essere che non sia atto di amore, ma se noi realizziamo davvero la vita cristiana l'atto della morte è l'atto supremo della vita perché è l'atto veramente in cui l'amore trionfa, è il dono supremo, totale, definitivo, senza compensi, almeno nell'atto stesso che ami, che ti doni, perché il compenso viene dopo, dopo la morte, Dio non ti anticipa il paradiso. Ora ecco in questo atto di morte nel quale Gesù totalmente si dà a me, non conserva per Sé nulla, né la stima, né il dolore, né la vita, nulla, nemmeno l'unione col Padre, nulla riserva per Sé, tutto si dà, in questo atto Egli sussiste eternamente. Che cosa implica per me il vivere la vita cristiana? Non impedire che io possa riceverlo, perché la pena più grande per uno che ama è non essere amato, essere rifiutato. Pensate che cosa è la vita del Cristo incontro a tanti cuori chiusi, tanti cuori che rifiutano di accogliere questo amore infinito, per superficialità, per distrazione, per mancanza di fede.
Egli è l'amore che si dona, un amore infinito, un amore attuale, un amore personale e tutto per me: "mi ha amato e ha dato tutto Se stesso per me". Il Cristo vive in questo atto eterno di donazione, per te e per me.
Nessun amore umano può mai fare ombra all'amore del Cristo. Ogni amore umano, quando è vero, non può essere altro che il sacramento di questo amore, significativo di questo amore, infatti il matrimonio è sacramento, è sacramento in quanto è segno di quell'altro amore. Perciò non è mai un altro amore oltre all'amore del Cristo, no, è significativo di quell'amore, ecco il matrimonio. Per questo San Paolo dice che il matrimonio è un grande sacramento. E questo lo dice in riferimento al Cristo e alla Chiesa, perché nell'unione dell'uomo e della donna si fa presente sacra mentalmente sotto il segno dell'altra persona il mistero dell'Alleanza. Il mistero per il quale Dio si unisce all'umanità, e l'umanità si unisce a Dio. Ora ciascuno di noi è veramente il termine ultimo dell'amore di Dio.
Dio ama la Chiesa, che cos'è la Chiesa? L'amore è sempre un fatto personale e non termina che nella persona, ciascuno di noi è tutta la Chiesa. A ciascuno di noi Egli totalmente si dà. Noi non realizziamo pienamente quello che è la Chiesa, perché precisamente non amiamo con l'amore stesso con cui ama Gesù, e perché non crediamo pienamente al suo amore per noi. Ma allora si tratta di vivere questo mirabile dramma di amore, ecco cos'è il Cristianesimo. Fare la Comunione che cosa vuol dire? Vuol dire matrimonio rato e consumato, non è soltanto matrimonio rato, non è soltanto una promessa di amore, non è soltanto un legarsi dinanzi all'altare, è la consumazione dell'unione medesima perché tu ricevi non solo lo Spirito, non solo la Divinità, il Corpo stesso. Il matrimonio si consuma nel dono del corpo, nell'unione fisica, bene questa unione fisica si realizza ogni volta che si fa la Comunione, perché non ricevo soltanto l'anima di Nostro Signore, ricevo il suo Corpo, ricevo il suo Sangue. Davvero il Figlio di Dio è lo Sposo di ogni anima, davvero la vita cristiana è questa unione mirabile, per la quale nell'unità di un amore, noi viviamo una unica vita. Ecco che cos'è il Mistero eucaristico. Questo linguaggio molto spesso non si sente, si ha paura, ma la paura che noi preti abbiamo di trattare queste cose, dice soltanto come noi siamo succubi di una profanazione di quello che è il mistero più grande della vita anche umana, che è l'amore umano, che è l'unione nuziale. Si è profanato talmente l'amore, che oggi non riusciamo più a capirne la grandezza, anche sul piano biologico. Quante volte vi ho detto che veramente l'uomo diviene un uomo soltanto quando si innamora, altrimenti prima è un ragazzo che è soltanto egoista e non pensa che a sé. Ma l'amore umano, se è grande, è grande perché è significativo dell'amore divino. Ecco allora come si comprende la bellezza e la grandezza del Cantico dei Canti, che è riunione di canti profani di amore vero, di amore umano; questo cantico diviene poi il libro che esprime meglio di ogni altro quello che è l'Alleanza divina, l'economia, cioè il disegno di Dio di donarsi all'umanità e di trarre a Sé l'umanità in un vincolo eterno di amore. Tutto questo si compirà in un modo perfetto nel cielo, ma si vive già quaggiù realmente con l'Eucaristia. Non è una devozione fare la Comunione, non è un atto soltanto di pietà, è un Dio che si dona a ciascuno, è un Dio che si dona totalmente, un Dio che si dona personalmente a ciascuno, Dio ed è l'Infinito, Dio ed è l'Immensità, e io lo ricevo. E non posso riceverlo che in quanto precisamente io stesso a questo Dio io mi dono, perché il matrimonio implica il consenso vicendevole, implica con consenso vicendevole anche il dono vicendevole dell'uomo alla donna e della donna all'uomo. "Totum pro toto", Dio aspetta il nostro dono, il dono di noi stessi, ecco quello che vuole l'Eucaristia. L'Eucaristia già di per sé invoca e aspetta la nostra consacrazione. Ecco perché dicevo che la Consacrazione si fa nell'atto medesimo che riceviamo l'Eucaristia, perché non possiamo ricevere il Cristo senza che noi diveniamo dono di amore a Lui. Egli deve possederci totalmente così come noi lo possediamo, per vivere questo duplice possesso nell'unità di un amore che ci fa un solo corpo e un'anima sola. Ecco questa è l'Eucaristia. Tutto questo dicevo è semplicemente non una meditazione, basta che noi pensiamo anche per un istante solo alle parole dell'istituzione.
Questo è il mio Corpo che è dato per voi. Dato per me. È dato per te, pure non sei impazzito ancora, speriamo di sì, che un giorno o l'altro tu sei davvero pazzo di amore, in alcuna risposta a questo amore immenso che Dio ci porta: "Questo è il mio Corpo che è dato" e non tanti anni fa; l'atto è presente. La morte non è superata, io vivo la sua Morte come atto di amore infinito e personale, tanto è vero questo atto che immediatamente lo ricevo, ecco la Comunione. E voi sapete che nel Concilio Ecumenico Vaticano II, è stato insegnato ed è uno dei più grandi insegnamenti del Concilio è proprio questo che la Comunione non è parte integrante, è parte essenziale della Messa; Egli si fa presente soltanto per donarsi, senza la Comunione mancherebbe qualche cosa di essenziale alla Messa. E di fatto il sacerdote, anche se fosse in peccato mortale deve comunicarsi, almeno come rappresentante della Chiesa, perché Gesù si fa presente nell'atto del dono che è dato per voi. E se rimane nel tabernacolo, rimane presente solo per darsi; allora tutta la vita deve essere una comunione, non debbo fare soltanto una Comunione eucaristica, ma nemmeno due soltanto - ora è permesso di farne due -, no, io debbo farne almeno 575000 ogni giorno. Ogni istante debbo accogliere questo amore immenso, ogni istante io debbo donarmi a questo amore immenso, ecco la vita cristiana! È difficile amare? e non si tratta altro che di amore che ti ha amato fino alla follia, ha ragione Santa Maria Maddalena de' Pazzi a dire che Gesù era pazzo, pazzo di amore. È davvero incomprensibile pensare che un Dio ami così.
Io non ho altro da dirvi, vi chiedo soltanto di vivere il Mistero eucaristico, di viverlo secondo quelle dimensioni che vi ho detto oggi.
U.S.F.P.V.

© Divo Barsotti