sexta-feira, 22 de julho de 2011

IL PROGRESSISMO

 

Viviamo nell’epoca delle «parole». Per vincere battaglie civili (e non solo queste) si coniano parole e detti icastici, riassuntivi (slogans). Per abbattere uomini si impiega qualche termine o classifica, che le circostanze suggeriscono atti allo scopo di demolire. Per anestetizzare cittadini e fedeli si coniano parole.
Ciò che stupisce è il fatto per il quale gli uomini, invece di lasciarsi abbattere da autentiche spade, si lascino abbattere da sole parole. Perciò i termini, gli slogans, le classifiche di moda vanno vagliati, capiti, eventualmente smascherati.
Comincio pertanto a pubblicare delle note chiarificatrici. Spero che il nostro clero vorrà leggersele bene, per evitare una sorte ingloriosa.
Cominciamo dal termine più in voga, usato come un fendente o come una protezione per il proprio operato: «progressismo».
Di tanta gente si dice che è o non è «progressista». Vediamoci chiaro e, se ci fosse da restituire un termine alla esatta funzione, non coartata, come è serena e dolce la nostra italica parlata, non bisogna ricusare quel merito.
Elenchiamo pertanto i casi più frequenti nei quali si usa il termine «progressista». Porgiamo uno specchio perché ognuno ci si guardi. 

Cardinal Giuseppe Siri
da «Rivista Diocesana Genovese» - gennaio 1975
 
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«Viviamo in un’epoca in cui si ha paura persino delle parole! […]  Cova dappertutto, la paura, la timidezza, le compromissioni trovano seguaci, difensori, tutori dappertutto. […] Si ha vergogna di Dio».