(di Cristina Siccardi su Riscossa
Cristiana) Dolore e sconcerto hanno assalito moltissimi fedeli, sacerdoti,
parroci, religiosi e religiose alla notizia che all’ordine dei Francescani
dell’Immacolata, Congregatio Fratrum Franciscanorum Immaculatae, sia
stato, di fatto, impedito di celebrare la Santa Messa in rito antico. Una
domanda si è levata: ma la Chiesa è Madre o matrigna? La Chiesa, come Corpo
mistico di Cristo è Madre, ma, spesso, come autorità umana, soprattutto dopo il
Concilio Vaticano II, è matrigna.
Moltissime anime, dicevamo, stanno soffrendo per questa prova
ingiusta perché in profonda contraddizione con il Motu Proprio di
Benedetto XVI emanato nel 2007, Summorum Pontificum, che
liberalizzava la Messa in rito tridentino, rito, peraltro, che non è mai stato
abolito e continuava ad essere valido quanto dichiarato da san Pio V, nella
Bolla Quo primum tempore:
«…in virtù dell’Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i
sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo
generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di
incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui
dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che
Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti
secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine
appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da
quella che Noi abbiamo prescritta, né, d’altra parte, possano venir costretti e
spinti da alcuno a cambiare questo Messale.
Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario
ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto,
ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà,
decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che
incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro
e Paolo…».
Ai Francescani dell’Immacolata non sarà più consentito seguire
le norme di Benedetto XVI, «papa emerito», ancora vivente, scritte nel
Summorum Pontificum:
«…Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo
l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e
mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della
Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti
anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come
segue:
Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote
cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il
Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il
Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno,
eccettuato il Triduo Sacro [dalla Messa in Cena Domini alla Veglia Pasquale
inclusa]. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il
sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo
Ordinario.
Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle
Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella
celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare
la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962,
possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società
vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la
cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le
leggi e gli statuti particolari.
§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il
Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962».
Siamo di fronte ad un vero abuso di potere, perpetrato
attraverso un’interpretazione distorta delle norme vigenti: nel diritto canonico
non è mai lecito interpretare le norme contro la loro ratio e,
soprattutto, contro la salus animarum, suprema legge e principio
supercostituzionale di tutto l’ordinamento della Chiesa. Scrive Sandro Magister:
i Francescani dell’Immacolata
«si vogliono fedeli alla tradizione, nel pieno rispetto del
magistero della Chiesa. Tant’è vero che nelle loro comunità celebrano messe sia
in rito antico che in rito moderno, come del resto fanno in tutto il mondo
centinaia di altre comunità religiose – per fare un solo esempio i benedettini
di Norcia – applicando lo spirito e la lettera del motu proprio “Summorum
pontificum” di Benedetto XVI.
Ma proprio questo è stato loro contestato da un nucleo di
dissidenti interni, i quali si sono appellati alle autorità vaticane lamentando
l’eccessiva propensione della loro congregazione a celebrare la messa in rito
antico, con l’effetto di creare esclusioni e contrapposizioni dentro le
comunità, di minare l’unità interna e, peggio, di indebolire il più generale
“sentire cum Ecclesia”.
Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un
visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario.
Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto
dell’11 luglio:
“In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha
disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani
dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e
che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere
esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso
e/o comunità che ne farà richiesta”.
Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato
contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della
messa in rito antico “sine populo” non esigono alcuna previa richiesta
di autorizzazione:
“Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale,
sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii
sui”[1].
Mentre per le messe “cum populo” pongono alcune condizioni, ma
sempre assicurando la libertà di celebrare.
In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è
possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica,
oggi presieduto da un cardinale, l’americano Raymond Leo Burke, giudicato amico
dai tradizionalisti.
Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica
da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è
ammesso»[2]. Pertanto i Francescani dell’Immacolata, dovranno attenersi
al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.
Certo è che la situazione è davvero grave: diritti soggettivi
di sacerdoti e fedeli, garantiti da almeno 500 anni di costante imperio
pontificio e di consolidata prassi ecclesiale, salvo che per i 38 anni
intercorsi tra la riforma liturgica del 1969 ed il Summorum Pontificum
del 2007 (con progressivi allentamenti di tali vincoli, quanto meno a partire
dal 1984), vengono ora messi in discussione. Cosa ancora più grave è il modo con
cui ciò viene realizzato: non una riforma legislativa chiara ed organica, ma
l’avallo pontificio di un atto amministrativo, che viene così reso non
impugnabile presso le superiori istanze.
Dev’essere profondamente tragico e penoso per i Francescani
dell’Immacolata, costretti a celebrare la Messa soltanto nella forma moderna…
lacrime versate per chi e per cosa? Occorre, inoltre, prestare molta attenzione:
il Vetus Ordo non è una realtà chiusa in se stessa. Vivere la Santa
Messa antica significa avere uno stile cattolico diverso, autentico: nella nuova
si vive la mensa, l’ “assemblea” convocata banchetta insieme e partecipa al
sacerdozio, nell’antica il celebrante compie, in persona Christi, il
Santo Sacrificio del Calvario e i fedeli, che assistono, si abbeverano alla
fonte della Grazia eucaristica. Non si tratta semplicemente di gusti estetici
più raffinati ed eleganti; paramenti sacri più belli o paramenti più brutti; più
fiori sull’altare, più candele accese o meno; di organi o chitarre; di cori
angelici o cori rock… si tratta di vivere o meno la Santa Messa come Sacrificio
propiziatorio.
Finalmente, però, di fronte a questi fatti, qualcuno aprirà gli
occhi e dirà: «è vero, dunque, che il rito della Messa divide!», infatti, ha
ancora scritto Magister: «un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è
stato incrinato. Da un’eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà
presto la regola»[3].
Nel 1965 padre Stefano Maria Manelli O.F.M. Conv. riscoprì e
meditò le Fonti Francescane e gli scritti di san Massimiliano Maria Kolbe. Fu
così che la vigilia di Natale del 1969 chiese al Superiore generale dei Frati
Minori Conventuali, padre Basilio Heiser, di avviare una nuova opera di vita
francescana. Il superiore assecondò l’istanza. Nella Regola sta scritto:
preghiera e povertà, penitenza e intenso lavoro di apostolato. Ma che preghiera!
E quale povertà! Quelle che toccano il Cuore di Dio e fanno piovere grazie sulla
terra, oggi così arida proprio perché invece di vivere povertà e preghiera si
declama il pauperismo e, invece di pregare, si decanta la cosiddetta «dignità
umana», il pacifismo, l’ecumenismo, la libertà religiosa… e poi si calpesta la
dignità di chi rispetta la Fede, la speranza, la carità, le virtù teologali, le
virtù cardinali, i dogmi, la dottrina della Chiesa di sempre.
I Francescani dell’Immacolata sopportano il duro freddo dei
mesi invernali; calzano i sandali con i piedi nudi, anche sotto l’acqua e nella
neve. Per quanto riguarda il nutrimento non si acquista nulla, ma si aspetta
tutto dalla Provvidenza. Molto rigore, eppure… un florilegio di vocazioni ed
ecco che il gruppo di frati viene riconosciuto dalla Chiesa: il 22 giugno 1990,
solennità del Sacro Cuore di Gesù, l’allora Arcivescovo di Benevento Mons. Carlo
Minchiatti, «per decisione del Santo Padre» (cfr Segreteria di Stato Prot. n.
258.501), firmò il decreto di erezione del nuovo Istituto di Diritto diocesano,
e il 23 giugno 1990, festa del Cuore Immacolato di Maria, avvenne l’erezione
effettiva dell’Istituto presso il Centro La Pace di Benevento, con la
professione dei voti di circa 30 religiosi. La rapida crescita dello stesso
ordine nel mondo e le credenziali dei vescovi nelle cui diocesi si trovano le
case dell’Istituto, portò il 1º gennaio 1998, solennità della Madre di Dio, al
riconoscimento pontificio (cfr. CRIS Prot. n. B 242-1/94). La novità proposta
dal fondatore consiste nel «voto mariano», che viene emesso nella professione
religiosa al primo posto, seguito dai voti di castità, povertà, obbedienza.
Il carisma dell’Istituto è francescano-mariano, che consiste
nel vivere il francescanesimo alla luce dell’Immacolata secondo la Regola
bollata di San Francesco d’Assisi e la Traccia mariana di vita francescana, con
la consacrazione illimitata all’Immacolata, che riporta i religiosi alle pure
origini mariane del francescanesimo (Santa Maria degli Angeli) e ai recenti
esempi e insegnamenti di san Massimiliano Maria Kolbe (“folle” dell’Immacolata e
martire della carità), con una spinta particolare alla missionarietà e all’uso
dei mass-media per l’apostolato.
Quale sarà ora l’atteggiamento che terranno i Francescani?
Quello di rimanere fedeli alla Tradizione della Chiesa? Oppure, come già hanno
fatto altri in passato, perché impauriti dalle sentenze e dalle drastiche misure
nei loro confronti, di cedere alle pressioni e alle minacce?
Qui non si tratta di una disobbedienza, ma del contrasto fra
due obbedienze: obbedire agli uomini o a Dio. Nessuna norma di Santa Madre
Chiesa può contenere un danno alla salvezza delle anime; se lo contenesse
cesserebbe ipso facto di essere norma della Chiesa e sarebbe arbitrio
personale degli uomini di Chiesa che l’hanno varata. Questo, nel diritto
canonico, non ha unicamente valore etico, ma valore giuridico immediatamente
applicabile. Da ciò consegue che chiunque resista ad un comando ingiusto non
viola il diritto, ma lo applica e, a contrario, chi applica una norma
ingiusta viola il diritto canonico.
A raddrizzare le sorti della Chiesa in crisi solitamente sono i
santi, mentre le autorità costituite, di norma, tutelano e perpetuano le
ricchezze della Tradizione nei momenti di fulgore spirituale: pensiamo a
Sant’Atanasio nell’epoca dell’eresia ariana, così colpevolmente tollerata dai
Pontefici del tempo, in complice sudditanza con il potere politico; a Santa
Ildegarda di Bingen fra i catari e il lassismo di conventi e monasteri, di
Vescovi e Imperatori; all’energia restauratrice della romana Sede Apostolica di
santa Caterina da Siena, vincitrice della pusillanimità pontificia nei confronti
del Re di Francia; a san Francesco d’Assisi, punta di lancia del dominio
universale di Innocenzo III, contro ogni forma di democraticismo pauperista e di
supremazia statolatrica nei confronti della Chiesa (quel san Francesco che
rivendica, di fronte al Sultano, il diritto dei crociati a muovere guerra
all’Islam ed ai suoi seguaci, non solo in Europa, ma anche in Terra Santa, come
testimoniato da Fra’ Tommaso da Celano, suo primo biografo); ai santi della
Controriforma, così strenuamente impegnati a combattere e reprimere eresie e
tentazioni esoteriche: da san Roberto Bellarmino, confratello del regnante
Pontefice, splendido accusatore nel processo contro Giordano Bruno, a san Carlo
Borromeo, grandiosa personificazione della povertà e del sacrificio in privato,
quanto della magnificenza nell’adempimento delle sue funzioni di Vescovo, a san
Filippo Neri, consigliere dei Papi e sublime asservitore dell’ironia e della
gioia di vivere alla purezza di dottrina e di costumi, a san Francesco di Sales,
eroico leone della lotta anticalvinista nella stessa Ginevra ed in tutte le
terre circostanti.
Scriveva il grande Cardinale Newman, che nell’assistere alla
Messa antica nelle chiese di Roma, di Sicilia e di Milano e nello studiare i
Padri della Chiesa si convertì al Cattolicesimo:
«È degno di non poco rilievo il fatto che, sebbene,
storicamente parlando, il quarto secolo sia l’età dei dottori, illustrata com’è
dai santi Atanasio ed Ilario, i due Gregori, Basilio, Crisostomo, Ambrogio,
Girolamo ed Agostino (e tutti costoro anche santi vescovi), eccetto uno,
nondimeno, proprio in quel periodo la Tradizione Divina affidata alla Chiesa
infallibile, venne proclamata e conservata molto di più dai fedeli che
dall’episcopato»[4].
Non è forse ciò che sta accadendo? Ma oggi i santi dove sono?
Gli eroi della Fede dove sono? Coloro che con parole e azioni sappiano
manifestare la verità dove sono? Forse la Divina Provvidenza, di fronte al
crollo del Cattolicesimo, ai suoi principi dottrinali e morali, sta chiamando i
Francescani dell’Immacolata alla resistenza? Che cosa avrebbe fatto al loro
posto san Paolo, che, come egli stesso dichiara ha apertamente resistito a
Pietro perché palesemente sbagliava[5]? Avrebbe ceduto alle superiori
istanze gerarchiche o sarebbe rimasto fedele alla Fede per la quale esiste la
Chiesa?
In questa vicenda, apparentemente marginale, si gioca una
partita di grande importanza per l’evoluzione della crisi che attualmente
travaglia la Chiesa: si scontrano l’arbitrio, che trova unicamente
nell’ideologia rivoluzionaria conciliarista la sua ragion d’essere, ed il
diritto cristiano, che è tale perché discende dalla verità naturale e rivelata.
Molto bene ha messo in evidenza ciò Enzo Bianchi[6] nel suo articolo di
attacco calunnioso alla Fraternità Sacerdotale San Pio X: l’unica vera ragione
per proibire e/o anche solo ostacolare la celebrazione della Santa Messa nel
rito antico è che essa costituisce la pietra d’inciampo sulla strada del cammino
modernista. Di ciò si era già ben avveduto san Pio da Pietrelcina, quando,
all’indomani del Concilio Vaticano II, si rifiutò di abbandonare la Messa di
sempre, nonostante gli ordini e le pressioni delle competenti autorità; tale
rifiuto fu tanto fermo da indurre Paolo VI ad ammirarne lo zelo di Fede e la
determinazione fino al punto da concedergli personale indulto. Appare quindi
evidente la grandissima responsabilità che incombe sui Francescani
dell’Immacolata, responsabilità che trova nel Padre spirituale del loro
fondatore[7] lume di consiglio ed esempio di azione: essi si trovano
posti di fronte alla scelta fra il martirio dei santi della Chiesa, seme dei
Cristiani, e l’inutile martirio della propria consumazione fisica e spirituale
nell’iniqua obbedienza all’ingiustizia… il Crocefisso di Giotto, che imperioso
sta nella loro maestosa chiesa di Ognissanti a Firenze, li sta a guardare.
[1] Nota di Sandro Magister: «Curiosamente, ancora sei
anni dopo la pubblicazione, il motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto
XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in
due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l’ungherese».
[2] S. Magister, La prima volta che Francesco
contraddice Benedetto, in:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350567
[3] S. Magister, La prima volta che Francesco
contraddice Benedetto, in:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350567
[4] J.H. Newman, Gli ariani del IV secolo, Jaca
Book-Morcelliana, Milano 1981, p.361.
[5] Cfr. Gal 2, 11.
[6] http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2575:la-fraternita-san-pio-x-ed-enzo-bianchi-il-santone-perde-lennesima-stupenda-occasione-per-star-zitto-di-cristina-siccardi&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123
[7] Padre Stefano Manelli è figlio spirituale di Padre
Pio, dal quale ebbe l’ispirazione di fondare i Francescani dell’Immacolata.
Fonte: www.corrispondenzaromana.it
Fonte: www.corrispondenzaromana.it