sábado, 25 de junho de 2011

CARD. RANJITH: TEOLOGIA DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA. RISPOSTA ALLE OBIEZIONI



Presentiamo un estratto della dissertazione che S.E.R. il Card. Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka), ha tenuto al Convegno "Adoratio2011" (Roma, 20 - 23 giugno 2011). L’intervento completo lo potete trovare qui.





del Card. Malcolm Ranjith
“Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).
1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).
La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
[…]
OBIEZIONI ALL’ADORAZIONE
[…]
Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..” (Mysterium Fidei 10). E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede” (ibid 14). Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’” (Mysterium fidei 44). In effetti, l’intera enciclica di Paolo VI è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino” (25, AAS60 (1968) 442-443). Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium fidei 65).
Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
2. Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”. Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato” (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra). Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.
Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.
Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. E’ forse questa la ragione per cui Lutero non diede molta importanza alla teologia del sacerdozio, specialmente nella sua dimensione sacrificale, come è esposto nella lettera agli Ebrei. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Mediator Dei, 68). Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).
[…]
E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati. Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso. Proprio questo il papa sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66).
In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità. In questo, personalmente preferirei l’atmosfera devota e orante della Messa tridentina dove la partecipazione dell’assemblea è più sommessa, pacata e raccolta, il che è rispettoso del grande mistero che avviene sull’altare.Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana” (Sacramentum Caritais, 52). Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
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Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia (cap. II) e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio (n. 13), ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.
Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede” (MF 9-10). Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” (Mysterium Fidei, 11). L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione.
Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium Fidei, 57). Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristica (no. 56-65) e il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium Fidei, 65).
E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo VI pubblicata ancor prima della conclusione formale del Concilio (8 dicembre 1965), può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI.
[…]
Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).
L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione. Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo” (God is near us. Ignatius Press, San Francisco 2003, p. 97).
E’ in questa luce che dovremmo comprendere la famosa frase di Sant’Agostino: “nemo autem illam Carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando” – o “nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo” (Enarrationes in Psalmos 98,9, CCL XXXIX, 1385). Soltanto l’adorazione infatti apre il nostro cuore verso un senso autentico di partecipazione all’Eucaristia, poiché lo dilata all’esperienza del profondo amore di Dio manifestato nell’Eucaristia e verso un’unione vera e profondamente personale con Cristo al momento della Comunione (“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” – Ap. 3,20).
In questo senso, le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.
E’ triste notare come in alcuni luoghi le chiese e i santuari si sono trasformati in piazze da mercato o teatri o sale da concerto. Mi è capitato di entrare un giorno in una cattedrale di un’importante città europea dove vi era gente che aspettava la celebrazione di una Messa nuziale: era come una grande piazza di mercato dove tutti erano impegnati in animata conversazione. Non vi era certo alcun spirito di raccoglimento o il minimo senso di riverenza adorante in preparazione all’Eucaristia. Mi hanno raccontato di una Eucaristia in una chiesa parrocchiale in Germania, dove rappresentavano un dramma teatrale con l’assemblea che partecipava mediante preghiere e scenette, e il parroco faceva il presentatore. Ho chiesto all’amico che mi raccontava la vicenda, che effetto gli aveva fatto, e lui mi ha risposto con le parole “tanto rumore per nulla”.
[…]
Lasciate che concluda con le belle parole del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, vero apostolo di adorazione: “Oh, se avessimo gli occhi degli angeli per vedere nostro Signore Gesù Cristo, che è qui presente su questo altare e ci guarda, come Lo ameremmo! Mai vorremmo andarcene via da Lui. Vorremmo restare sempre ai Suoi piedi; sarebbe pregustare il Cielo: tutto il resto non avrebbe più gusto per noi” (Il Curato d’Ars,il piccolo catechismo del Curato d’Ars, Tan Books and Publishers Inc. Rockford, Illinois 61105, 1951, p.41).Grazie.

Roma, 22 giugno 2011
Malcolm Card. Ranjith Arcivescovo di Colombo
(traduzione dall'inglese di don Giorgio Rizzieri)
 
http://blog.messainlatino.it/

Importância e centralidade da liturgia in Papa Bento XVI e a Liturgia

 

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Importância e centralidade da liturgia

Prof. Davide Ventura

in Papa Bento XVI e a Liturgia


Que a liturgia seja um tema que está no coração do Papa Bento XVI é coisa amplamente demonstrada pela dimensão e pela frequência de suas intervenções nesta matéria nestes primeiros anos de seu pontificado.

Inúmeros já são os discursos, as alocuções, as catequeses dedicadas ao tema, que retorna com insistência também nos documentos “maiores”, das encíclicas ao recente motu proprio “Summorum Pontificum”.

Estas intervenções, ocorridas em épocas próximas a nós e “sob os refletores” do pontificado, são bastante conhecidas, embora não resultará inútil dedicar-lhes uma visão de conjunto. Menos conhecidas talvez sejam as muitas obras que o Papa escreveu sobre a liturgia antes de sua eleição, como teólogo – somadas a variadas entrevistas e discursos.

Todo este material manifesta uma total continuidade com o seu atual magistério, e se desenvolve com uma força de pensamento e uma profundidade de análise que deixa o leitor admirado.

Ademais, pela sua condição menos “rígida” do que a dos documentos magisteriais, em geral relativamente breves e focados em circunstâncias particulares, os escritos do então Cardeal Ratzinger são de grande ajuda para manifestar plenamente o pensamento na sua inspiração de fundo. Sem pretender substituir uma leitura das obras em questão (que, ao contrário, é fortemente recomendada), estas páginas visam a examinar algumas orientações fundamentais do pensamento litúrgico do Papa baseando-se em suas palavras, escritas ou pronunciadas, tanto antes quanto depois de sua eleição; e isto para ajudar a melhor nos orientarmos também nas controvérsias que tal ensinamento tem ocasionalmente suscitado – como sempre acontece quando o sal do Evangelho recusa-se obstinadamente a perder seu sabor.

Por que afinal um tal posto central para a liturgia? Não teriam razão aqueles ambientes eclesiais que tendem a relegá-la a um segundo plano, como se se tratasse de um simples elemento formal – uma questão de usos e de costumes, no fundo, pouco importante? Não para o Papa.

No livro-entrevista “Rapporto sulla fede”, assim se exprime o então cardeal: “Além dos modos diversos de conceber a liturgia há, como de costume, modos diversos de conceber a Igreja, enfim Deus e as relações do homem com Ele. O discurso litúrgico não é marginal: foi o próprio Concílio a recordar-nos que aqui nos encontramos no coração da fé cristã”.

O ponto não é banal: se o fim do homem é conhecer, amar e servir a Deus, então torna-se essencial o modo em que a gente se põe diante d’Ele para receber os dons sacramentais, para expiar as próprias faltas, para render graças pela salvação oferecida em Cristo. A vida cristã é uma relação pessoal com o Pai que chama para si os seus filhos; é portanto fundamentalmente diálogo. Este diálogo pode ser privado e individual; mas para ser realmente tal, tem de ser sustentado e quase imerso naquele perene canto de amor da Esposa para seu Esposo que é a liturgia pública da Igreja. E este canto tem ritmos e tonalidade bem próprios, que se tornam, eles próprios, conteúdo, e não meramente forma. “Lex orandi, lex credendi”, diziam os cristãos dos primeiros séculos: os modos e as formas do orar – entendido como orar público, litúrgico – determinam os conteúdos do crer. E, historicamente, é inegável que as mudanças ocorridas na “lex orandi” acompanham e assinalam invariavelmente mudanças paralelas das acentos e da compreensão dos conteúdos da fé.

Em outra obra, o então cardeal retoma o mesmo tema recordando a atitude, a seu ver, superficial com que por muitos foi acolhido o convite do Concílio Vaticano II a uma renovação da liturgia: “Poderia parecer a muitos que a preocupação por uma forma correta da liturgia fosse uma questão de pura praxe, uma procura pela forma de Missa mais adequada e acessível aos homens de nosso tempo. Neste ínterim, vê-se sempre mais claramente que na liturgia trata-se da nossa compreensão de Deus e do mundo, de nossa relação com Cristo, com a Igreja e com nós mesmos. Na relação com a liturgia se decide o destino da fé e da Igreja. Assim a questão litúrgica adquiriu hoje uma importância que antes não podíamos prever”. (J. Ratzinger, “Cantate al Signore um canto nuovo”, p. 9).

Num outro lugar ainda o mesmo conceito é expresso com drástica concisão: “Estou convencido de que a crise eclesial em que nos encontramos hoje depende em grande parte do colapso da liturgia” (J. Ratzinger, “La mia vita”, p. 112).

Mas no pensamento do Papa a importância da liturgia se estende também para além dos limites da Igreja, por constituir um elemento fundamental da vida e do ambiente humano: “O direito e a moral não estão unidos se não estiverem ancorados no centro litúrgico e não tirarem dele inspiração. [...] Somente se a relação com Deus é justa também as outras relações do homem – as dos homens entre si e do homem com as outras realidades criadas – podem funcionar”. (J. Ratzinger, “Introduzione allo spirito della liturgia”, p. 16.).

É um texto extremamente empenhativo, e serámos tentados a pô-lo em dúvida se as circunstâncias de nosso tempo não confirmassem tão clamorosamente sua validade.

Mas onde reside o fundamento desta influência do culto litúrgico sobre a vida humana em geral? O futuro Papa responde na sequência do texto citado: “A adoração, a justa modalidade do culto, da relação com Deus, é constitutiva para a justa existência humana no mundo, assim é exatamente porque ao longo da vida cotidiana faz-nos partícipes do modo de existir do ‘céu’, do mundo de Deus, deixando assim transparecer a luz do mundo divino no nosso mundo. [...] (O culto) prefigura uma vida mais definitiva e, deste modo, dá à vida presente a sua medida. Uma vida à qual falta esta antecipação, na qual o céu não é mais esboçado, torna-se pesada e vazia”.

Trata-se de uma visão de notável força: para o Papa a liturgia da Igreja torna-se o canal privilegiado do governo divino sobre a terra, e possui em si uma força demiúrgica que plasma no seu modelo os eventos mundanos, fazendo-se “medida” para a “vida presente”. A liturgia é o céu sobre a terra; esta por isso deve falar a língua do céu – este é o motivo pelo qual não se trata de procurar a forma “mais adequada e acessível aos homens de nosso tempo”, como mencionado acima.

Continua...
Fonte: Papa Ratzinger Blog
Tradução: OBLATVS

 



O valor do missal antigo

e oMotu Proprio “Summorum Pontificum

”Prof. Davide Venturain Papa Bento XVI e a Liturgia
 
Leia antes: Parte IPagamos de imediato o necessário tributo à atualidade, e entre as muitas questões abertas ligadas à liturgia detemo-nos sobre aquela que o magistério do Papa confrontou mais recentemente – e que suscitou as maiores reações também na opinião “laica”. É conhecido por muitos que em 1970 o Papa Paulo VI promulgou o novo missal elaborado nos anos precedentes pela comissão encarregada da realização da reforma litúrgica iniciada por impulso do Concílio Vaticano II. Tal missal continha, com efeito, substancias mudanças em relação àquele que até então estava em vigor, editado por João XXIII em 1962.Este último não era senão a última revisão menor de um tipo litúrgico que remontava em continuidade à reforma efetuada pelo Concílio de Trento (o assim chamado Missal de Pio V). Por sua vez, Pio V havia no século XVI simplesmente revisto e reproposto um repertório de textos litúrgicos que se transmitira com mínimas mudanças durante toda Idade Média, remontava na sua substância a Gregório Magno (século VI), e continha partes que remontavam à mais remota antiguidade cristã.E aqui se dá o problema: enquanto, como se viu, o missal romano conheceu até 1962 – ao longo de dezessete séculos de história – somente modificações graduais e não particularmente substanciais, bruscamente em 1970, foi introduzida uma forma litúrgica que se distanciava de modo significativo desta imemorável tradição.Contextualmente à introdução do novo se teve na prática a proibição do uso do missal tradicional, coisa que provocou vivas reações em muitos ambientes, ao ponto de se tornar uma das maiores motivações por detrás do cisma promovido por Mons. Lefebvre.O documento publicado por Bento XVI em 7 de julho passado, com o título “Summorum Pontificum”, põe finalmente em ordem, definindo a situação jurídica, que se tornara ao menos ambígua, da liturgia tradicional em relação à reformada. Vale a pena, vista a histórica importância do documento, percorrer os seus conteúdos fundamentais. Em primeiro lugar o Papa declara que o precedente missal jamais fora ab-rogado. Não se trata por isto de uma “reintrodução”, mas sim do reconhecimento de uma perene validade que a introdução do novo missal de 1970 não diminuiu de fato. Ao contrário, depois de algumas observações históricas que louvam a antiguidade e a continuidade de uso durante toda a história da Igreja latina, o Papa define a relação entre os dois Missais com as seguintes palavras: “O Missal Romano promulgado por Paulo VI é a expressão ordinária da ‘lex orandi’ da Igreja Católica de rito latino. Todavia o Missal Romano promulgado por São Pio V e novamente editado pelo B. João XXIII deve ser considerado como expressão extraordinária da mesma ‘lex orandi’ e deve ser tido com a devida honra pelo seu uso venerável e antigo. Estas duas expressões da ‘lex orandi’ da Igreja não conduzirão de modo algum a uma divisão na ‘lex credendi’ da Igreja; são de fato dois usos do único rito romano. Por isto é lícito celebrar o Sacrifício da Missa segundo a edição típica do Missal Romano promulgado pelo B. João XXIII em 1962 e jamais ab-rogado, como forma extraordinária da Liturgia da Igreja”.Depois desta afirmação capital, o Papa prossegue definindo que todo sacerdote possa usar o Missal tradicional nas suas Missas privadas, às quais podem associar-se de própria vontade também outros fiéis. Os institutos de vida consagrada são livres para celebrar, eventual ou mesmo habitualmente, com o velho missal. Grupos estáveis de fiéis no interior das paróquias podem, por sua vez, pedir ao pároco que celebre para eles com o missal de 1962. O pároco é convidado a “acolher com generosidade” a tais pedidos; uma vez que esteja pessoalmente impossibilitado (e – se supõe – que por motivos válidos e não pretextos), o pedido deve passar ao Bispo Diocesano.“Ao Bispo solicita-se vivamente ouvir o desejo deles. Se ele não pode providenciar tal celebração, a coisa seja referida à Pontifícia Comissão ‘Ecclesia Dei’. O bispo que deseja satisfazer a tais pedidos dos fiéis leigos, mas por várias causas está impedido, pode confiar a questão à Pontifícia Comissão ‘Ecclesia Dei’, que lhe dará conselho e ajuda”. Se a situação o aconselha, o Bispo pode reagrupar os pedidos com a constituição de uma “paróquia pessoal”.Compreende-se claramente a intenção do Papa: a Missa tradicional, estando ainda em vigor, constitui um direito dos fiéis; os seus pedidos (desde que não feitos para disseminar discórdia...) de aceder a esta forma litúrgica sejam ouvidos: a nível paroquial, onde possível, ou mesmo diocesano. De modo algum tal pedido pode ser simplesmente ignorado – a própria autoridade da Santa Sé, por meio da Pontifícia Comissão ‘Ecclesia Dei’, torna-se fiadora dele.Depois se reconhece aos membros do clero, obrigados à recitação cotidiana do breviário, possam cumprir esta obrigação mediante o breviário publicado por João XXIII.Extremamente rica de conteúdo é também a carta enviada pelo Papa a todos os bispos em concomitância com a publicação do Motu proprio. Nela diz-se que, no ato de publicação do novo missal de Paulo VI, havia quem pensasse que o uso da forma mais antiga desapareceria por si mesma. Isto porém não aconteceu, e a adesão ao uso antigo permaneceu exatamente “nos países em que o movimento litúrgico havia dado a muitas pessoas uma conspícua formação litúrgica e uma profunda, íntima, familiaridade com a forma anterior da Celebração litúrgica”. Não se trata por isto necessariamente, segundo o Papa, de uma forma de rebelião contra a autoridade da Igreja, mas que “... muitas pessoas, que aceitavam claramente o caráter vinculante do Concílio Vaticano II e que eram fiéis ao Papa e aos Bispos, também desejavam todavia re-encontrar a forma, que lhes é cara, da sagrada Liturgia”.E não se trata somente de anciãos: “Aparece claramente que também pessoas jovens descobrem esta forma litúrgica, sentem-se atraídas por ela e a consideram uma forma, particularmente apropriada para eles, de encontro com o Mistério da Santíssima Eucaristia”.Se esta liturgia, tão antiga e venerável, jamais fora juridicamente ab-rogada, de onde nasce sua quase total desaparição, especialmente considerando que já o Papa João Paulo II havia publicado durante o seu pontificado atos que pediam aos bispos tomarem providências a fim de que os pedidos legítimos para celebrar segundo tal forma fossem mais largamente acolhidos?Mais que de Roma, o problema surgiu entre os episcopados nacionais, “sobretudo porque frequentemente os Bispos, nestes casos, temiam que a autoridade do Concílio fosse posta em dúvida”.Assim, enquanto os documentos de João Paulo II haviam deixado aos bispos uma larga margem aplicativa, Bento XVI conclui que “surgiu uma necessidade de um regulamento jurídico mais claro que, no tempo do Motu Proprio de 1988 não era previsível; estas Normas visam ainda a liberar os Bispos do dever de sempre de novo avaliar como fazer para responder às diversas situações”.“Roma locuta, causa soluta” diziam os antigos: Roma falou, a causa está resolvida. Hoje, infelizmente, isto está longe de ser um fato previsível; mas que Roma tenha falado claramente, isto ninguém poderá por em dúvida.Continua...
fonte:http://christeaudinus.blogspot.com/

QUANDO A LITURGIA SE VOLTA PARA O CULTO DO HOMEM

QUANDO A LITURGIA SE TORNA MERA BRINCADEIRA


“A história do bezerro de ouro alerta para um culto autocrático e egoísta em que, no fundo, não se faz questão de Deus, mas sim em criar um pequeno mundo alternativo por conta própria. Aí, então a Liturgia se torna mera brincadeira. Ou pior: ela significa o abandono do Deus verdadeiro, disfarçado debaixo de um tampo sacro.” (RATZINGER, Joseph. Introdução ao Espírito da Liturgia. Paulinas: Prior Velho (Portugal), 2006, p.16)

“Este culto torna-se uma celebração da comunidade para com ela própria; ele é uma auto-afirmação. A adoração de Deus torna-se num rodopio em volta de si próprio: o comer, o beber, o divertir-se; A dança em volta do bezerro de ouro é a imagem do culto à procura de si, tornando-se numa espécie de auto-satisfação frívola.” (RATZINGER, Joseph. Introdução ao Espírito da Liturgia. Paulinas: Prior Velho (Portugal), 2006, p.16)





QUANDO SE TORNA CELEBRAÇÃO DE SI

Cada vez menos é Deus que se encontra em destaque, cada vez mais importância ganha tudo o que as pessoas aqui reunidas fazem e que em nada se querem submeter a um “esquema prescrito”. O sacerdote que se volta para a comunidade forma, juntamente com ela, um círculo fechado em si. A sua forma deixou de ser aberta para cima e para frente; ela encerra-se em si própria. Voltar-se em conjunto para o Oriente, não era uma “celebração da parede” e não significava do sacerdote “virar costas ao povo”: no fundo, isso não tinha muita importância. Porque da mesma maneira como as pessoas na Sinagoga se voltavam para Jerusalém, elas voltavam-se aqui em conjunto “para o Senhor”. (RATZINGER, Joseph. Introdução ao Espírito da Liturgia. Paulinas: Prior Velho (Portugal), 2006, p.59)

“Considero as inovações mais absurdas das últimas décadas aquelas que põem de lado a cruz, a fim de libertar a vista dos fiéis para o sacerdote. Será que a cruz incomoda a eucaristia? Será que o sacerdote é mais importante do que o Senhor” (RATZINGER, Joseph. Introdução ao Espírito da Liturgia. Paulinas: Prior Velho (Portugal), 2006, p.62)





QUANDO VIRA DIVERSÃO DE GÊNERO RELIGIOSO


“A dança não é uma forma de expressão cristã. Já no século III, os círculos gnósticos-docéticos tentaram introduzi-la na Liturgia. Eles consideravam a crucificação apenas como uma aparência: segundo eles, Cristo nunca abandonou o corpo, porque nunca chegou a encarnar antes de sua paixão; consequentemente, a dança podia ocupar o lugar da Liturgia da Cruz, tendo a cruz sido apenas uma aparência. As danças cultuais das diversas religiões são orientadas de maneiras variadas, invocação, magia analógica, êxtase místico; porém, nenhuma dessas formas corresponde à orientação interior da Liturgia do “sacrifício da Palavra”. É totalmente absurdo, na tentativa de tornar a Liturgia “mais atraente”, recorrer a espetáculos de pantominas de dança, possivelmente com grupos profissionais, que muitas vezes, terminam em aplauso. Sempre que haja aplauso pelos aspectos humanos na Liturgia, é sinal de que a sua natureza se perdeu inteiramente, tendo sido substituída por diversão de gênero religioso.” (RATZINGER, Joseph. Introdução ao Espírito da Liturgia. Paulinas: Prior Velho (Portugal), 2006, p.147)
 
http://sacerdotibus.blogspot.com/ 

Venerável Pio XII:O Cristo Senhor, "sacerdote eterno segundo a ordem de Melquisedeque" (56) "tendo amado os seus que estavam no mundo",(57) "na última ceia, na noite em que foi traído, para deixar à Igreja, sua esposa dileta, um sacrifício visível, como exige a natureza dos homens, o qual representasse o sacrifício cruento que devia cumprir-se na cruz uma só vez, e para que a sua lembrança permanecesse até o fim dos séculos e nos fosse aplicada sua salutar virtude em remissão dos nossos pecados cotidianos... ofereceu a Deus Pai o seu corpo e o seu sangue sob as espécies de pão e de vinho e deu-os aos apóstolos então constituídos sacerdotes do Novo Testamento, para que sob essas mesmas espécies o recebessem, e ordenou a eles e aos seus sucessores no sacerdócio, que o oferecessem"

 








CARTA ENCÍCLICA DO PAPA PIO XII
MEDIATOR DEI
SOBRE A SAGRADA LITURGIA
SEGUNDA PARTE

O CULTO EUCARÍSTICO

I. Natureza do sacrifício eucarístico
59. O mistério da santíssima eucaristia, instituída pelo sumo sacerdote Jesus Cristo e, por vontade sua, perpetuamente renovada pelos seus ministros, é como a súmula e o centro da religião cristã. Em se tratando do ápice da sagrada liturgia, julgamos oportuno, veneráveis irmãos, deter-nos um pouco, chamando a vossa atenção para esta importantíssima temática.

60. O Cristo Senhor, "sacerdote eterno segundo a ordem de Melquisedeque" (56) "tendo amado os seus que estavam no mundo",(57) "na última ceia, na noite em que foi traído, para deixar à Igreja, sua esposa dileta, um sacrifício visível, como exige a natureza dos homens, o qual representasse o sacrifício cruento que devia cumprir-se na cruz uma só vez, e para que a sua lembrança permanecesse até o fim dos séculos e nos fosse aplicada sua salutar virtude em remissão dos nossos pecados cotidianos... ofereceu a Deus Pai o seu corpo e o seu sangue sob as espécies de pão e de vinho e deu-os aos apóstolos então constituídos sacerdotes do Novo Testamento, para que sob essas mesmas espécies o recebessem, e ordenou a eles e aos seus sucessores no sacerdócio, que o oferecessem".(58)

61. O augusto sacrifício do altar não é, pois, uma pura e simples comemoração da paixão e morte de Jesus Cristo, mas é um verdadeiro e próprio sacrifício, no qual, imolando-se incruentamente, o sumo Sacerdote faz aquilo que fez uma vez sobre a cruz, oferecendo-se todo ao Pai, vítima agradabilíssima. "Uma... e idêntica é a vítima: aquele mesmo, que agora oferece pelo ministério dos sacerdotes, se ofereceu então sobre a cruz; é diferente apenas, o modo de fazer a oferta".(59)

62. Idêntico, pois, é o sacerdote, Jesus Cristo, cuja sagrada pessoa é representada pelo seu ministro. Este, pela consagração sacerdotal recebida, assemelha-se ao sumo Sacerdote e tem o poder de agir em virtude e na pessoa do próprio Cristo;(60) por isso, com sua ação sacerdotal, de certo modo, "empresta a Cristo a sua língua, e lhe oferece a sua mão".(61)

63. Também idêntica é a vítima, isto é, o divino Redentor, segundo a sua humana natureza e na realidade do seu corpo e do seu sangue. Diferente, porém, é o modo pelo qual Cristo é oferecido. Na cruz, com efeito, ele se ofereceu todo a Deus com os seus sofrimentos, e a imolação da vítima foi realizada por meio de morte cruenta livremente sofrida; no altar, ao invés, por causa do estado glorioso de sua natureza humana, "a morte não tem mais domínio sobre ele"(62) e, por conseguinte, não é possível a efusão do sangue; mas a divina sabedoria encontrou o modo admirável de tornar manifesto o sacrifício de nosso Redentor com sinais exteriores que são símbolos de morte. Já que, por meio da transubstanciação do pão no corpo e do vinho no sangue de Cristo, têm-se realmente presentes o seu corpo e o seu sangue; as espécies eucarísticas, sob as quais está presente, simbolizam a cruenta separação do corpo e do sangue. Assim o memorial da sua morte real sobre o Calvário repete-se sempre no sacrifício do altar, porque, por meio de símbolos distintos, se significa e demonstra que Jesus Cristo se encontra em estado de vítima.

64. Idênticos, finalmente, são os fins, dos quais o primeiro é a glorificação de Deus. Do nascimento à morte, Jesus Cristo foi abrasado pelo zelo da glória divina e, da cruz, a oferenda do sangue chegou ao céu em odor de suavidade. E porque este cântico não havia de cessar, no sacrifício eucarístico os membros se unem à Cabeça divina e com ela, com os anjos e os arcanjos, cantam a Deus louvores perenes, (63) dando ao Pai onipotente toda honra e glória.(64)

65. O segundo fim é a ação de graças a Deus. O divino Redentor somente, como Filho de predileção do Eterno Pai de quem conhecia o imenso amor, pôde entoar-lhe um digno cântico de ação de graças. A isso visou e isso desejou "rendendo graças"(65) na última ceia, e não cessou de fazê-lo na cruz, não cessa de realizá-lo no augusto sacrifício do altar, cujo significado é justamente a ação de graças ou eucaristia; e porque isso é "verdadeiramente digno e justo e salutar".(66)

66. O terceiro fim é a expiação e a propiciação. Certamente ninguém, fora Cristo, podia dar a Deus onipotente satisfação adequada pelas culpas do gênero humano; ele, pois, quis imolar-se na cruz, "propiciação pelos nossos pecados, e não somente pelos nossos, mas ainda pelos de todo o mundo".(67) Nos altares se oferece igualmente cada dia pela nossa redenção, afim de que, libertados da eterna condenação, sejamos acolhidos no rebanho dos eleitos. E isso não somente por nós que estamos nesta vida mortal, mas ainda "por todos aqueles que repousam em Cristo, os quais nos precederam com o sinal da fé, e dormem o sono da paz",(68) pois, quer vivamos, quer morramos, "não nos separamos do único Cristo".(69)

67. O quarto fim é a impetração. Filho pródigo, o homem malbaratou e dissipou todos os bens recebidos do Pai celeste, por isso está reduzido à suprema miséria e inanição; da cruz, porém, Cristo, "tendo em alta voz e com lágrimas oferecido orações e súplicas... foi ouvido pela sua piedade",(70) e nos sagrados altares exercita a mesma mediação eficaz; a fim de que sejamos cumulados de toda bênção e graça.

68. Compreende-se, portanto, facilmente, porque o sacrossanto concílio de Trento afirma que com o sacrifício eucarístico nos é aplicada a salutar virtude da cruz para a remissão dos nossos pecados cotidianos.(71)

69. Também o apóstolo das gentes, proclamando a superabundante plenitude e perfeição do sacrifício da cruz, declarou que Cristo com uma só oblação, tornou perfeitos para sempre os santificados.(72) Os infinitos e imensos méritos desse sacrifício, com efeito, não têm limites: estendem-se à universalidade dos homens de todo lugar e de todo tempo, porque, nele, o sacerdote e a vítima é Deus Homem; porque a sua imolação como a sua obediência à vontade do Eterno Pai foi perfeitíssima, e porque foi como Cabeça do gênero humano, que ele quis morrer. "Considera como foi tratado o nosso resgate: Cristo pende do madeiro; vê a que preço comprou; ...derramou o seu sangue, comprou com o seu sangue, com o sangue do Cordeiro imaculado, com o sangue do unigênito Filho de Deus... Quem compra é Cristo, o preço é o sangue, a aquisição é todo o mundo".(73)

70. Esse resgate, porém, não teve logo o seu pleno efeito: é necessário que, depois de haver resgatado o mundo com o elevadíssimo preço de si mesmo, Cristo entre na real e efetiva posse das almas. Conseqüentemente, a fim de que, com o beneplácito de Deus, se cumpra para todos os indivíduos e para todas as gerações até o fim dos séculos, a sua redenção e salvação, é absolutamente necessário que cada um tenha vital contato com o sacrifício da cruz, e assim os méritos que dele derivam lhe sejam transmitidos e aplicados. Pode-se dizer que Cristo construiu no Calvário uma piscina de purificação e de salvação e a encheu com o sangue por ele derramado; mas se os homens não mergulham nas suas ondas e aí não lavam as manchas de sua iniqüidade, não podem certamente ser purificados e salvos.

71. A fim de que, pois, os pecadores individualmente se purifiquem no sangue do Cordeiro, é necessária a colaboração dos fiéis. Se bem que, falando em geral, Cristo haja reconciliado com o Pai por meio da sua morte cruenta todo o gênero humano, quis todavia que todos se aproximassem e fossem conduzidos à cruz por meio dos sacramentos e do sacrifício da eucaristia, para poderem conseguir os frutos salutares por ele granjeados na cruz. Com esta atual e pessoal participação assim como os membros se configuram cada dia mais à sua Cabeça divina, assim também a salvação que vem da Cabeça flui para os membros, de modo que cada um de nós pode repetir as palavras de são Paulo: "Estou crucificado com Cristo na cruz, e vivo não mais eu, mas Cristo vive em mim".(74) Como realmente, em outra ocasião, de propósito e concisamente dissemos, Jesus Cristo enquanto morria na cruz, deu à sua Igreja, sem nenhuma cooperação da parte dela, o imenso tesouro da Redenção; quando, ao invés, se trata de distribuir tal tesouro, não só participa com sua esposa incontaminada desta obra de santificação, mas deseja que tal atividade jorre, de certo modo, por ação dela.(75)
72. O augusto sacrifício do altar é insigne instrumento para aos crentes distribuir os méritos derivados da cruz do divino Redentor: "toda vez que se oferece este sacrifício, cumpre-se a obra da nossa redenção".(76) Isso, porém, longe de diminuir a dignidade do sacrifício cruento, dele faz ressaltar a grandeza, como afirma o concílio de Trento,"(77) e lhe proclama a necessidade. Renovado cada dia, admoesta-nos que não há salvação fora da cruz de nosso Senhor Jesus Cristo;(78) que Deus quer a continuação deste sacrifício "do surgir ao pôr-do-sol", (79) para que não cesse jamais o hino de glorificação e de ação de graças que os homens devem ao Criador, visto que têm necessidade de seu contínuo auxílio e do sangue do Redentor para redimir os pecados que ofendem a sua justiça.

56. Sl 109,4.
57. Jo 13,1.
58. Conc. Trid., Sess. XXII. c, 1.
59. Ibidem, c. 2.
60. Cf. s. Tomás, Summa Theol., III, q. 22, a. 4. 
61. João Cris. In Joan. Hom., 86,4.
62. Rm 6,9.
63. Cf . Missal Rom., Prefácio.
64. Cf. Ibidem, Cânon.
65. Mc 14,23.
66. Missal Rom., Prefácio.
67. 1Jo 2,2 .
68. Missal Rom., Cânon.
69. S. Agostinho, De Trinit., 1. XIII, c.19.
70. Hb 5, 7.
71. Cf. Sess. XXII, c.1.
72. Cf. Hb 10,14.
73. S. Agostinho, Enarr. in Ps,147, n.16.
74. Gl 2,19-20.
75. Carta. Encicl. Mystici Corporis, do dia 29 de junho de 1943.
76. Missal Rom., Secreta do Dom. IX depois de Pentec.
77. Cf. Sess. XXII. c. 2 e cân. 4.
78. Cf. Gl 6,14.
79. Ml 1,11.

sexta-feira, 24 de junho de 2011

* O Novus Ordo Missae terminou por produzir uma fase... * A "MEDIATOR DEI" DO VENERÁVEL PIO XII * O Novus Ordo Missae terminou por produzir uma fase... * A Santa Missa e Seu Valor :"Todas as Missas tem um... * Dedicação da Capela de Nossa Senhora da Santíssima... * Porque todo Padre deveria obedecer à Igreja e v o . o Trinity Sunday in the Ambrosian Rite in Legnano * Our Lady of Good Success Prophecies: Persecution o..


O Novus Ordo Missae terminou por produzir uma fase de desunião litúrgica entre os católicos. Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei








Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei

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Apresentamos a intervenção do Professor Roberto de Mattei por ocasião do Congresso
Litúrgico realizado no mosteiro beneditino de Notre Dame em Fontgombault, França, 22-
24 de julho de 2001. Com tema principal “Cristo é o sujeito da liturgia, não a
comunidade”, o congresso reuniu bispos e autoridades eclesiásticas, tendo como seu
principal conferencista o então Prefeito da Congregação para a Doutrina da Fé, Cardeal
Joseph Ratzinger. Dentre os participantes do mundo “tradicionalista” podemos destacar
Dom Gérard Calvet, abade de Le Barroux; Mons. Camille Perl, da Comissão Ecclesia
Dei; e Padre Arnoud Devillers, então superior da Fraternidade São Pedro.
Roberto de Mattei, historiador italiano renomado, professor de História do Cristianismo
na Universidade Européia de Roma, é autor de várias obras, com destaque para sua
biografia do Beato Pio IX e seu último livro “La liturgia della chiesa nell’epoca della
secolarizzazione”. Também discursou no congresso realizado em Roma, sob patrocínio da
Comissão Ecclesia Dei, por ocasião do primeiro aniversário do motu proprio Summorum
Pontificum; na oportunidade, Prof. De Mattei teve seu artigo "Il rito romano antico e la
secolarizzazione" publicado no L’Osservatore Romano.



CONSIDERAÇÕES SOBRE A REFORMA LITÚRGICA
por Roberto de Mattei
Tradução de Marcelo de Souza e Silva
Fonte: Revue Item
Eminência,
Reverendíssimos Padres Abades,
Reverendos Padres,
Minha intervenção como vós bem podeis imaginar, não será a de um liturgista
nem de um teólogo, mas a de um homem de cultura, de um historiador, de um católico
leigo que tenta situar os problemas da Igreja no horizonte de seu próprio tempo.
Nesta perspectiva, eu me proponho a desenvolver certas considerações sobre as
raízes históricas e culturais da Reforma litúrgica pós-conciliar. Com efeito, eu estou
convencido de que quanto mais este quadro for esclarecido, mais a compreensão e a
solução de problemas complexos que temos diante de nós serão facilitadas.
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei
Fratres in Unum.com

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Todo problema, e o da liturgia não é exceção, para ser tomado em sua essência,
deve ser efetivamente situado num contexto mais vasto. Aquele que quereria estudar a
arquitetura gótica, por exemplo, não poderia negligenciar sua relação com a Escolástica
medieval tão bem ilustrada por Erwin Panofski, assim como para se compreender a arte
figurativa dos séculos XIX e XX, seria necessário recorrer aos estudos de Hans Sedlmayr,
que dela retém a dimensão ideológica profunda. Assim, um discurso sobre a arte deve ir
além da arte, um julgamento técnico-estético não basta; assim também, um discurso sobre
a liturgia deve ir além da própria liturgia, tentando encontrar o sentido derradeiro dela
mesma. Porque a liturgia não é somente o conjunto de leis que regulamentam os ritos.


Estes ritos, em sua variedade, remetem à unidade de uma fé. Sem este conteúdo, o culto
cristão seria um ato exterior, vazio, desprovido de valor, uma ação não sagrada, mas
“mágica”, típica de certas concepções gnósticas ou panteístas do mundo. Neste sentido, foi
bem dito que: “o culto, compreendido em toda sua plenitude e profundidade, vai muito além da
ação litúrgica”.

Em suas fórmulas, em seus ritos, em seus símbolos, deve refletir o dogma. O
dogma, disse-se, é para a liturgia o que a alma é para o corpo, o pensamento para a
palavra. É, pois, necessário tornar íntima e profunda a relação entre a liturgia e a fé, que
foi tradicionalmente expressa na fórmula lex orandi, lex credendi. Neste axioma nós
podemos encontrar uma chave para a leitura da crise atual. O axioma lex orandi, lex
credendi, na teologia do século XIX ao início do século XX, os teólogos modernistas reinterpretaram
segundo as categorias de seu pensamento que, sob a influência das
ideologias então dominantes, nutriam-se de um evolucionismo de matriz simultaneamente
positivista e irracionalista. Georges Tyrell, em particular, considerado por Ernesto
Buonaiuti como a personagem “mais intimamente impregnado de fé e entusiasmo
pela causa modernista”, identificou a revelação com a experiência vital (religious
experience), que se realiza na consciência de cada um. Portanto, é a lex orandi que
deve ditar as normas da lex credendi e não o inverso, visto que “o credo está contido de
modo implícito na prece e deve ser extraído dela a todo custo; e que toda formulação deve
ser posta e explicada pela religião concreta que ela formula”.
Deve-se ainda escrever a história do modernismo após sua condenação; mas é
certo que várias dessas instâncias penetraram no interior do “Movimento Litúrgico”
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei


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a tal ponto que Pio XII se viu constrangido a intervir com sua importante encíclica
Mediator Dei de 20 de novembro de 1947, para retificar desvios. O Papa condenou em
particular “o erro daqueles que pretendiam que a Santa Liturgia fosse quase uma
experiência do dogma”, fundando-se sobre uma leitura errônea do adágio lex orandi, lex
credendi. “Não é assim – afirma Pio XII – que ensina e ordena a Igreja; (...) se nós
queremos distinguir de modo geral e absoluto as relações que existem entre a fé e a
liturgia, pode-se afirmar com razão que a lei da fé deve estabelecer a lei da prece”. Pio
XII reafirma, portanto, a objetividade da fé sobre a liturgia compreendida como
“experiência religiosa” subjetiva, em oposição àqueles que pareciam indicar na “práxis
litúrgica” a nova norma da fé católica.



Após a constituição Sacrossanctum Concilium de 4 de dezembro de 1963, a
Reforma litúrgica, empreendida por Paulo VI em aplicação aos decretos conciliares, à qual
sucedeu a constituição apostólica Missale Romanum de 3 de abril de 1969, pôs novamente
na ordem do dia a relação entre a lex orandi e a lex credendi. Os primeiros e mais influentes
críticos da Reforma litúrgica, foram os Cardeais Ottaviani e Bacci, apresentando a Paulo
VI um Breve Exame Crítico do Novus Ordo Missae, definiram o novo rito como “um
distanciamento impressionante da teologia católica da Santa Missa tal como ela foi
formulada na XXII sessão do Concílio Tridentino”. Cumpre lembrar que esta sessão
definira a Missa como Sacrifício verdadeiramente propiciatório no qual “o próprio Jesus
Cristo está contido e imolado de modo não sangrento”. As críticas dos Cardeais Ottaviani e
Bacci, e de outros autores que seguiram, sublinharam como a nova lex orandi de Paulo VI
não refletiam de modo adequado este ponto da lex credendi tradicional da Igreja. Abriu-se
então uma discussão, ainda não terminada, que levou a casos de consciência e a fraturas no
interior da Igreja.

O Novus Ordo Missae, nascido também para realizar uma forma de
reencontro litúrgico com os não-católicos, terminou por produzir o oposto: uma fase
de desunião litúrgica entre os católicos.
A tese de fundo cuja síntese eu tentarei expor é a seguinte: a relação lex credendilex
orandi, implícita na Reforma litúrgica, deve ser lida à luz da nova teologia que preparou
o Concílio Vaticano II e que, sobretudo, quis orientar os desenvolvimentos dele. A lex
credendi expressa pelo Novus Ordo Missae surge nesse sentido como uma revisão da fé
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei




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católica pela “virada” antropológica e secularista da nova teologia; uma teologia que, urge
sublinhar, não se limita a repropor os temas modernistas, mas os toma por seus como o
marxismo, isto é, segundo um pensamento que se apresenta como uma “filosofia da
práxis” radical e definitivo. Isso significa que um julgamento global da Reforma, sobretudo
trinta anos após, não se pode limitar a uma análise teórica do Novo Rito promulgado por
Paulo VI, mas deve necessariamente se estender à “práxis litúrgica” que seguiu sua
instituição.
A Reforma litúrgica hoje não pode ser considerada estaticamente, nos documentos
que a fundaram, mas deve ser vista em seu aspecto dinâmico, tendo atenção para com a
multiplicidade de elementos que, ainda que não estivessem previstos pelo Novus Ordo, se
tenham tornado uma parte inteira daquilo que poderia ser definido como práxis litúrgica
contemporânea.



A secularização da liturgia da Missa, que é a ação sagrada por excelência,
foi sempre regulada por um rito, isto é, por seu ordo; de acordo com as palavras de Santo
Agostinho: “totum agendi ordinem, quem universa per orbem servat Ecclesia”. Com a
Reforma litúrgica, a essência do Sacramento que permanecia válida e guardava toda sua
eficácia, não mudou, mas se “fabricou”, de acordo com a expressão do Cardeal Ratzinger,
um rito ex novo. O rito, cuja definição clássica remonta a Servio (Mos institutus religiosis
caeremoniis consecratus), não é com efeito a ação sagrada, mas a norma que guia o
desenrolar desta ação. Ele pode ser definido como o conjunto das fórmulas e das normas
práticas que é necessário observar para o cumprimento de uma função litúrgica
determinada, mesmo se por vezes o termo tem um significado mais vasto e designa uma
família de ritos (romano, grego, ambrosiano). É justamente para isso que os sacramentos,
em sua essência, são imutáveis, os ritos podem variar de acordo com os povos e os tempos.


Em teoria, o Novus Ordo de Paulo VI estabeleceu um conjunto de normas e de
preces que regulavam a celebração do Santo Sacrifício da Missa em substituição do antigo
Rito romano; de fato, a práxis litúrgica revelou que nos encontrávamos diante de um novo
rito que pode tomar todas as formas, multiforme. No decurso da Reforma se introduziu
progressivamente toda uma série de novidades e de variantes, certo número dentre
elas não previstas nem pelo Concílio nem pela constituição Missale Romanum de
Paulo VI. O quid novum não saberia estar limitado à substituição do latim pelas línguas
vulgares. Ele consiste igualmente na vontade de conceber o altar como uma “mesa”, para
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei


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sublinhar o aspecto do banquete em lugar do sacrifício; na celebratio versus populum,
substituída à versus Deum, com, por conseqüência, o abandono da celebração voltada para
o Oriente, isto é, voltada para o Cristo simbolizado pelo sol nascente; na ausência de
silêncio e de recolhimento durante a cerimônia e na teatralidade da celebração
acompanhada freqüentemente por cantos que tendem a profanar uma Missa na qual
o sacerdote quase sempre tem o seu papel reduzido para “presidente da assembléia”;
na hipertrofia da liturgia da palavra em relação à liturgia eucarística; no “sinal” da paz que
toma o lugar das genuflexões do sacerdote e dos fiéis, como ação simbólica da passagem
da dimensão vertical para a horizontal da ação litúrgica; na santa comunhão recebida pelos
fiéis de pé e na mão; no acesso das mulheres ao altar; na concelebração tendendo à
“coletivização” do rito. Ele consiste, sobretudo e enfim, na mudança e na substituição das
preces do Ofertório e do Cânon. A eliminação em particular das palavras Mysterium Fidei
da fórmula eucarística, pode ser considerado, como observou o Cardeal Stickler, como o
símbolo da desmistificação e, portanto, da humanização do ponto central da Santa Missa.
O fio condutor dessas inovações pode ser expresso na tese segundo a qual se nós queremos
tornar a fé em Cristo acessível ao homem de hoje, nós devemos viver e apresentar essa fé
dentro do pensamento e mentalidade atuais. A liturgia tradicional, por sua incapacidade de
se adaptar à mentalidade contemporânea, distanciou o homem de Deus e se tornou assim
culpada da perda de Deus em nossa sociedade.
A Reforma se propunha a adaptar o Rito, sem prejudicar a essência do
Sacramento, para permitir à comunidade cristã essa “participação no sagrado” que não
podia ser realizada através da liturgia tradicional. Graças ao princípio da “participatio
actuosa”, a comunidade inteira tornara-se sujeito e portadora da ação litúrgica. “O termo,
aparentemente tão modesto, de ‘participação ativa’, plena e consciente, é índice de um
plano de fundo inesperado”, observou o Padre Angelus Häussling, sublinhando a relação
entre a “participatio actuosa” da Reforma litúrgica e aquela que, na escola de Karl Rahner,
foi chamada de “virada antropológica” (anthropologische Wende) da teologia. Não parece
ser exagero afirmar que a participatio actuosa da comunidade chega a ser o critério último
da Reforma litúrgica na perspectiva de uma secularização radical da liturgia. Tal
secularização comporta a extinção do sacrifício, ação sagrada por excelência, que será
substituída pela ação profana da comunidade que se auto-glorifica, ou, segundo as palavras
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei
Fratres in Unum.com


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de Urs von Balthasar, visa a responder ao louvor da Graça de Deus com uma “contraglória”
puramente humana. Não é mais o sacerdote, in persona Christi, isto é, o próprio
Deus, que age, mas a comunidade dos fiéis, in persona hominis, para representar as
exigências deste mundo moderno que um discípulo de Rahner definiu “como santo e
santificado em seu profano, isto é, santo sob forma anônima”. A uma “Palavra divina,
sacral e plurissecular”, que tem por conseqüência “uma liturgia sacralizada e separada da
rotina”, opõe-se uma Palavra de Deus que “não é pura revelação, mas também ação: ela
realiza o que ela manifesta”; ela é a “auto-realização absoluta da Igreja”.
A distinção, proposta por Rahner, entre a “secularização”, que deveria ser
positivamente admitida enquanto fenômeno inevitável, e o “secularismo” anti-cristão, que
não seria nada além de uma forma equivocada da secularização, é claramente capciosa. De
fato, a palavra secularização, ainda que tenha uma quantidade de sentidos diferentes, é
comumente compreendida – assim como o secularismo – como um processo de
“mundanização” irreversível da realidade, que é progressivamente privada de todo aspecto
transcendente e metafísico. Com efeito, a secularização se apresenta não somente como
uma aceitação de fato de uma secularização sempre crescente do mundo atual, mas
também como idéia de um processo irreversível e, enquanto irreversível, verdadeiro. A
secularização é “verdadeira”, visto que a verdade é de todo modo imanente à história; o
sagrado é “falso” por sua ilusão de transcender a história e de afirmar uma distinção
qualitativa entre a fé e o mundo, entre transcendente e transcendental. A fé no poder da
história toma assim o lugar da fé na Providência e no poder de Deus. Esta filosofia da
história se funda sobre o mito, próprio do iluminismo, do mundo tornado “adulto” que
deve se libertar dos valores do passado, concernentes à infância da humanidade, para se
chegar a um nível de vida totalmente racional. Tal visão encontrou expressão rigorosa no
pensamento protestante, sobretudo na tese de Bonhoeffer sobre a “maturidade do mundo”
(Mündigkeit der Welt) que fala por si só, uma maturidade que se alcança com a eliminação
do sagrado na vida em todas as dimensões. Esta maturidade foi levada a sua última
coerência pelo marxismo gramsciano que representou o desenvolvimento conseqüente ao
século XX da filosofia das Luzes e o ponto de chegada do secularismo enquanto
imanentismo radical.
A teologia progressista, sobretudo após o Concílio, quis substituir a filosofia
tradicional pela filosofia “moderna”, subordinando-se inevitavelmente ao marxismo. Este
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei


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último representava o progressismo católico da primeira filosofia que conseguira
transportar seu critério de verdade na práxis e que, no sucesso dessa práxis, parecia
demonstrar a verdade de seu pensamento. Notou-se a afinidade entre a visão teológica de
Tyrell, fundada sobre o primado da lex orandi sobre a lex credendi, e o conceito de “autorealização”
da Igreja em sua pastoral e na liturgia de Karl Rahner. Entretanto, as instâncias
do primeiro modernismo foram desenvolvidas pela teologia progressista no cerne de um
horizonte de pensamento que não era mais simplesmente positivista, mas marxista, um
horizonte de pensamento que conclui um processo, julgado necessário, que enterra suas
raízes na Filosofia das Luzes e no Protestantismo e, mais longe ainda, no movimento
intelectual que provocou o fim da sociedade medieval. “A filosofia da práxis – segundo
Gramsci – é o coroamento de todo o movimento de reforma intelectual e moral; (...) ela
corresponde ao laço Reforma protestante + Revolução francesa”. A filosofia da práxis
gramsciana, transcrita teologicamente, conduz à necessidade de uma nova praxis orandi.
A Reforma litúrgica se mostra, pois, como o Verbo da nova teologia que se faz
carne, quer dizer, práxis, “auto-realizando” a Igreja pela nova liturgia secularizada. Nova
liturgia e pós-modernidade; assim que se o pôde observar, viu-se que o problema vai bem
mais além da própria liturgia: ele toca os conceitos do conjunto sobre as relações entre
Igreja e a civilização moderna; ele remete à necessidade de uma teologia da história.
Sobretudo, ele não pode ser resolvido de modo abstrato, mas deve levar em conta o que se
passou na Igreja no decurso dos últimos trinta anos.
Através

A nova
teologia buscou o encontro com o mundo moderno exatamente nas vésperas da queda
desse mundo. Com efeito, em 1989, com o “socialismo real” que fala por si só, todos os
mitos da modernidade e da irreversibilidade da história da história que representavam os
postulados do secularismo e da “virada antropológica”, entraram em colapso. O paradigma
da modernidade foi substituído hoje pelo do “caos”, ou da “complexidade”, cujo
fundamento é a negação do princípio de identidade-causalidade em todos os aspectos do
real.
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei


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Subordinando-se a esse projeto cultural, a nova teologia progressista propõe-se a
“desconstrução” de tudo o que ela “fabricara” no decorrer desses trinta últimos anos,
começando pela Reforma litúrgica que ela considera hoje construída de acordo com um
modelo abstrato e “burocrático”. Assim, ao esquema “monocultural moderno” do novo
Ordo Missae, opõe-se a “inculturação” pós-moderna da liturgia que é abandonada à
“criatividade” das igrejas locais. O distanciamento da liturgia romana é descrito por Anscar
J. Chupungo segundo as fases da “aculturação”, da “inculturação” e da “criatividade
litúrgica”, através de um processo dinâmico que do termo ad quo do Rito romano
tradicional possa fazer suceder como termo ad quem, aos “valores, rituais e tradições”
próprias às igrejas locais. No cerne desse horizonte de “tribalismo litúrgico”, poder-se-ia,
pois, também prever a criação de um “ghetto” tradicionalista reconhecido canonicamente e
considerado como “igreja local” daqueles que querem permanecer “inculturados” no
passado.
Entretanto, esse “multirritualismo” pós-moderno não tem nada a ver com a
pluralidade de ritos reconhecida tradicionalmente pela Igreja no interior de uma mesma
unidade de fé e de uma só lex credendi, da qual os diferentes ritos são expressão.



Hoje a fragmentação dos ritos arrisca desembocar numa parcelização das visões teológicas e
eclesiológicas destinadas a entrar em conflito. O caos litúrgico se apresenta como um
reflexo da desordem institucionalizada que se quis introduzir na Igreja para transformar sua
Constituição divina. Como não partilhar essas palavras do Cardeal Ratzinger?: “O que
anteriormente nós sabíamos apenas teoricamente, tornou-se uma experiência concreta: a Igreja
subsiste e cai com a liturgia. Quando a adoração à Trindade divina desaparece, quando na
liturgia da Igreja a fé não se manifesta mais em sua plenitude, quando as palavras, os
pensamentos, as intenções do homem o sufocam, então a Fé terá perdido seu lugar de expressão
e sua morada. Portanto, é para isso que a celebração da santa Liturgia é o centro de toda a
renovação da Igreja”.
Propostas de solução. Em seguida a estas considerações, podemos deduzir
algumas conclusões práticas que eu me permito expor por espírito de amor à Igreja e à
Verdade.
Considerações sobre a Reforma Litúrgica - Roberto de Mattei


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1. Do ponto de vista dos católicos fiéis à Tradição, sacerdotes e leigos, a
solução de todo o problema, a curto prazo, deve ser buscada, a meu ver, no interior de duas
“invariáveis”: de um lado é necessário que os fiéis “tradicionais” reconheçam, não
somente em teoria, mas também em todas as suas conseqüências práticas, a plenitude
da jurisdição pertinente a autoridade eclesiástica legítima. Por outro lado, é óbvio que,
a autoridade eclesiástica não pode legitimamente exigir dos sacerdotes e fiéis que façam
positivamente o que quer que seja, que vá contra sua própria consciência. O Cardeal
Ratzinger escreveu páginas bem agudas sobre a inviolabilidade da consciência que tem seu
fundamento no direito de crer e viver como cristãos fiéis. “O direito fundamental do cristão
– escreveu ele – é o direito à fé íntegra”. Poderíamos acrescentar e a uma liturgia íntegra.
Não será difícil deduzir as conseqüências canônicas e morais destes princípios claros.




2. Olhando as coisas não do ponto de vista dos católicos fiéis à Tradição, mas
sub specie Ecclesiae, parece-me que a única via que a autoridade eclesiástica possa
razoavelmente percorrer a meio termo, seja aquela indicada pela fórmula “reforma da
Reforma litúrgica”. Esta via suscita em alguns “tradicionalistas” perplexidade e ceticismo,
pois que a “reforma da Reforma” não constituiria uma “restauração” verdadeira e íntegra
do rito tradicional. Mas é verdadeiro, como sustentam os próprios tradicionalistas, que a
Reforma litúrgica chegou a executar uma verdadeira “Revolução”, no mesmo momento em
que ela afirmava sua continuidade com a Tradição, como negar a uma reforma de espírito
contrário, a possibilidade de chegar, mesmo gradativamente, a um retorno à Tradição?


Por
outro lado, deveria ser claro que a “reforma da Reforma” não teria sentido se ela fosse
“oferecida”, ou melhor, imposta aos “tradicionalistas”, para lhes pedir que abandonassem
um ritual ao qual, por consciência, eles não querem renunciar; ela tem um sentido, ao
contrário, se ela fosse proposta à Igreja universal para retificar, ao menos em parte, os
desvios litúrgicos em curso.

A “reforma da Reforma” tem um sentido enquanto
“transição” no caminho para a Tradição e não enquanto pretexto para abandoná-la.
3. Estas medidas, ainda que necessárias, não podem resolver o problema de
fundo. Em uma fase que alguns poderiam considerar longa demais, mas que, na realidade,
é somente urgente, já que não admite atalhos, é necessário renovar com uma visão
teológica, eclesiológica e social, fundada sobre a dimensão do sagrado, isto é, sobre um
projeto de ressacralização da sociedade, diametralmente oposto ao projeto de secularização
e de descristianização, do qual nós sofremos as conseqüências dramáticas. Isso significa
 
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que não se pode imaginar uma reforma ou restauração litúrgica fazendo abstração de uma
reforma ou restauração no plano teológico, eclesiológico e cultural. A ação no plano da lex
orandi deverá ser paralela àquela executada no plano da lex credendi para a reconquista dos
princípios fundamentais da teologia católica, a começar por uma teologia exata do Santo
Sacrifício da Missa. Hoje o secularismo está em crise. Todavia, as novas formas de
sagrado, oriundas da religiosidade New Age ou do Islam que prosperam no Ocidente,
eliminam o Sacrifício de Jesus Cristo e, portanto, a idéia de que o homem pode ser
salvo somente pelo Amor gratuito de Deus, por Seu Sacrifício, e que a tal dom, o
homem deve responder abraçando ele também a Cruz redentora.

É necessário assim
se aproximar com amor do mistério sublime da Cruz e da idéia de sacrifício que dela
decorre. O sacrifício, cujo modelo é o mártir e cuja expressão é o combate cristão, é
antes de tudo a renúncia a um bem legítimo em nome de um bem mais elevado. O
sacrifício supõe uma mortificação da inteligência que deve se dobrar à Verdade,
sobre uma linha exatamente contrária àquela da auto-glorificação do pensamento
humano que caracterizou os últimos séculos. Mas como imaginar uma reconquista da
idéia de sacrifício que está no coração da visão católica da história e da sociedade sem que
esta idéia seja antes de tudo vencida? É necessário, parece-me, que a idéia de sacrifício
impregne a sociedade na forma, hoje extremamente abandonada, de espírito de sacrifício e
de penitência. Esta, e não outra, é a “experiência do sagrado” da qual nossa sociedade tem
uma necessidade urgente.

Ao princípio do hedonismo e da auto-celebração do “Eu”,
que constitui o cume do processo revolucionário plurissecular, que ataca a sociedade,
é necessário opor o princípio vencido do sacrifício.
Uma reconquista católica da sociedade é impossível sem espírito de penitência e
de sacrifício, e sem essa reconquista de princípios e de instituições cristãs, é difícil poder
imaginar um retorno à liturgia autêntico e a seu coração: a adoração devida do único e
verdadeiro Deus. O chamado à penitência, sobretudo um exemplo de penitência, podem
valer muito mais que numerosas teorias. É talvez para isso que em Fátima a Santíssima
Virgem indica o caminho da penitência como sendo o único pelo qual o mundo
contemporâneo se poderia salvar. O triplo chamado do Anjo à penitência, no Terceiro
segredo de Fátima, é um manifesto da doutrina e da vida que nos indica a via para toda a
restauração, mesmo a litúrgica.
fonte:fratres in unum

A Santa Missa e Seu Valor :"Todas as Missas tem um valor infinito, pois são celebradas pelo próprio Jesus Cristo com uma devoção e amor acima do entendimento dos anjos e dos homens, constituindo o meio mais eficaz, que nos deixou Nosso Senhor Jesus Cristo, para a salvação da humanidade”. Santa Matilde





"Todas as Missas tem um valor infinito, pois são celebradas pelo próprio Jesus Cristo com uma devoção e amor acima do entendimento dos anjos e dos homens, constituindo o meio mais eficaz, que nos deixou Nosso Senhor Jesus Cristo, para a salvação da humanidade”.

Santa Matilde

Às vezes me pergunto se o Fiel Católico, não aquele que vai à Santa Missa de vez em quando, mas aquele que está “inserido” e “engajado” na “vida de Igreja” sabe realmente o que é a Santa Missa...

Fico me perguntando se as “pastorais litúrgicas” sabem realmente o valor litúrgico e sacramental da Santa Missa...

E algumas das vezes, infelizmente não poucas, tenho vontade perguntar ao Sacerdote que celebrou a Santa Missa se ele realmente acredita no que é a SANTA MISSA...

Em algumas “liturgias”, cuidadosamente preparadas pelas pastorais, não se pode notar nada que seja verdadeira liturgia, e na maioria das vezes nada que seja a Santa Missa...

Desejo eu tornar claro que a Santa Missa É o Sacrifício de Nosso Senhor Jesus Cristo, verdadeiramente vivido, numa condição atemporal e alocatária, ou seja, numa condição que não tem tempo nem lugar. A Santa Missa é a vivência do Sacrifício de Nosso Senhor. Não é lembrança, nem símbolo, muito menos é um “como se fosse”...

A SANTA MISSA É O SACRIFÍCIO DE NOSSO SENHOR!!!

A Santa Missa é a renovação incruenta do Sacrifício do Calvário. É o mesmo e único sacrifício infinito de Cristo na Cruz, que foi solenemente instituído na Última Ceia. Nesta cerimônia ímpar, Cristo é ao mesmo tempo vítima e sacerdote, se oferecendo a Deus para remissão dos pecados, e aplicando a cada fiel seus méritos infinitos.

Vejo tantas vezes a Santa Missa ser “vivida” como um ato teatral, ou então como uma reunião social... Vejo a carência absoluta da sacralidade... do mistério...

Num outro dia, deixando claro que a Santa Missa deve ser celebrada em Latim, e que o vernáculo é apenas permissão (note-se bem que eu não estou sendo contrário à adoção do vernáculo), fui replicado com o seguinte argumento:

“Se já em português ninguém entende, quanto mais em Latim...”

Ora!!! E de onde surgiu a errônea idéia de que a Santa Missa é para ser entendida?

Acaso se pode entender um Mistério sem que ele seja revelado?

Sendo, então, a Santa Missa o mais alto de todos os Mistérios, como poderemos nós querer entende-la?

Nem em Latim nem em português, caros amigos... Nunca entenderemos a Santa Missa...

É óbvio que sou eu partidário e incentivador de que se estude o Santo Sacrifício para melhor se poder vivê-lo. Mas ainda que O estudemos até a exaustão, não compreenderemos em nada.

A Santa Missa é Mistério!

Nela devemos conhecer o que nos é possível. Devemos conhecer suas palavras sagradas em que encontramos todo o sabor da unção de que estão repletas; cada ação e cada movimento do sacerdote; cada palavra que ele pronuncia para lembrar nossa alma e nosso coração que um Deus se imola para nós, e que nós também devemos nos imolar com Ele e por Ele.

Devemos conhecer também a nossa forma de viver o Santo Sacrifício; quais os gestos e posturas que devemos ter; quais as orações que devemos responder; quais as orações que devemos rezar junto com o sacerdote. E assim não criarmos umas “invencionices litúrgicas” que aparecem por aí, tais como rezar a oração dita “da Paz” junto com o Sacerdote; ou então a Doxologia (Por Cristo...); ou ainda termos os braços levantados na Doxologia ou no Pai Nosso; sem contar a s tais danças, palmas, teatrinhos...

Essas coisas, mal colocadas na Sagrada Liturgia, só fazem desviar nossa atenção do que é verdade da Santa Missa: O Sacrifício de Nosso Senhor e Salvador Jesus Cristo – O Calvário!!!

Teríamos nós coragem de ver o Justo dos justos a morrer em sua Santa Cruz e, desgraçadamente, aplaudirmos, ou dançarmos?

É isso que ocorre quando na Santa Missa. É vermos o Nosso Salvador ser crucificado por nossos pecados e aplaudirmos, sem nenhuma contrição, sem nenhum respeito, sem nenhuma gratidão.

Isso nem mesmo Judas Iscariotes o fez... Estamos então sendo piores que Judas...

Devemos assistir a Santa Missa com a alma penetrada de dor pelas faltas cometidas, e nos aproximarmos confiadamente deste Trono da Graça, unindo-nos à vítima, Nosso Senhor Jesus Cristo, e à intenção da Igreja, na pessoa do sacerdote, e por seu ministério.
É necessário conhecermos o rito litúrgico porque por meio das ações e das cerimônias expressam-se mais vivamente as idéias do que por palavras. Além disso, elas foram estabelecidas pela Igreja para nos edificar, nos instruir e despertar nossa atenção, bem como Deus lhes atribuiu graças particulares.

Na Santa Missa encontramos reunidas todas as grandezas da pessoa de Jesus Cristo:
· seu poder como Deus;
· seu estado de imolação como homem;
· vivo, para interceder por nós;
· sob os símbolos da morte para nos aplicar o preço dos seus padecimentos;
· pontífice santo e sem mancha, mais elevado que os céus;
· Cordeiro Imolado, cujo sangue correrá até a consumação dos séculos, para lavar todos os pecados;
· Sacerdote segundo a ordem de Melquisedeque com um sacerdócio eterno;
· oblação pura oferecida desde o ocaso até a aurora;
· pontífice e vítima convenientes à santidade de Deus.

E que fazem então as palmas e danças na Santa Missa? É tão claro que não há lugar para essas “invencionices” que só procuram diminuir o verdadeiro sentido e valor da Santa Missa.

E os “liturgistas”, estudados e entendidos do assunto, me replicariam, dizendo que o Rei Davi, para se redimir e louvar a Deus dançou, e ainda mais, dançou nu, diante da Arca da Aliança.

E eu pergunto: Foi na Santa Missa? Era a Arca da Aliança o Sacrário onde está Nosso Senhor e Salvador Jesus Cristo?

Claro que não! A Arca da Aliança não era morada do Deus Vivo e Verdadeiro. E ainda assim era condenado com a morte quem nela tocava. E o Rei Davi, quando dançou, não estava dentro da cerimônia litúrgica. E mais: Davi estava em estado de desespero, e quis colocar toda a sua miséria diante de Deus. Em seu desespero fez ele o que lhe foi possível: dançou nu diante da Arca.

Na Santa Missa não vamos em estado de desespero. Vamos com contrição de alma; com compunção do coração. Na Santa Missa já devemos estar perdoados dos nossos pecados pelo Sacramento da Confissão. É com o coração puro que devemos nos aproximar do Altar do Senhor. Diferente do Rei Davi...

A Santa Missa é uma imagem antecipada do céu; nela se adora o mesmo Deus; em seu santuário se reúnem seus filhos: nela vemos o mesmo que é visto no céu, as orações, os cânticos, os perfumes; anjos circundando o altar, santos que o sustentam, toda a Igreja, toda a cidade de Deus oferecida por Jesus Cristo e unindo-se a Deus. Numa palavra, Deus presente ainda que coberto por véus, o mesmo Deus que veremos face a face, Deus convertido em manjar sob a aparência de um pão que já não mais existe, o mesmo que nos confortará eternamente com sua glória pela verdade e felicidade.

Isso é a Santa Missa!!! Não a diminuamos. Vivamo-la de todo o nosso coração. Esforcemo-nos por participarmos perfeitamente no Santo Sacrifício, observando as rubricas, as posturas, os gestos... Ainda que os que se metem a preparar a Sagrada Liturgia o façam de maneira a diminuí-la (espero eu que seja por ignorância), não permitamos que para nós ela seja outra coisa que não o Supremo Sacrifício Redentor de Nosso Senhor e Salvador Jesus Cristo.
fonte: virtus in medio

Dedicação da Capela de Nossa Senhora da Santíssima Trindade.Que sirva de exemplo esta Capela no Colégio Santo Tomás de Aquino em Santa Paulo/Califórnia. Cônegos Regrantes de Nova Jerusalém

 No Brasil o costume é a destruição de todo o espaço sacro, dos altares, das mesas de comunhão, criando espaços vazios sem qualquer dignidade. Enquanto isso, nesta Capela construiu-se o Baldaquino, o altar (não a mesa), o presbitério está patentemente separado da Nave, e vemos belamente a presença do Transepto. Lugar construído para celebrar a Missa no Rito de São Pio V. As fotos foram tiradas na primeira Missa após a Missa de Dedicação do Altar.










Este instituto foi fundado pelo já conhecido Arcebispo Raymond Burke. Sua ereção foi feita para guardarem a liturgia romana tradicional, pois o Arcebispo notou que a celebração do rito tridentino promove o cerne da espiritualidade, e nas palavras dos próprios cônegos o rito do Missal de 1962 é o cume para o qual deve caminhar toda a atividade da Igreja e fonte de onde emana todo o seu poder na terra.

Para eles "a digna celebração na Igreja do culto da Santíssima Trindade é o cerne da espiritualidade e do trabalho dos Cônegos. A eficácia da santificação pessoal e obras apostólicas derivam da fiel participação de cada membro na oferta da Igreja, na liturgia, particularmente na própria celebração do Sacrifício da Redenção".





Conhecer o website dos Cônegos, clique.
fonte:http://atanasiano.blogspot.com/

Porque todo Padre deveria obedecer à Igreja e vestir o hábito ou o colarinho romano

 Quantcast 
Colarinho Romano - Tradicional da Igreja Católica

1. O colarinho romano é um sinal de consagração sacerdotal ao Senhor. Como um anel de casamento distingue marido e mulher e simboliza a união de que gozam, de mesmo modo o colarinho romano identifica bispos e padres (e muitas vezes diáconos e seminaristas) e manifesta a sua proximidade com o Divino Mestre, em virtude de seu livre consentimento para o ministério ordenado para o qual que tenham sido (ou pode ser) chamado.
2. Pela utilização de roupa do ofício e por não possuir roupas em excesso, o sacerdote demonstra a adesão ao exemplo do Senhor de pobreza material. O sacerdote não escolhe suas roupas – a Igreja o faz, graças a sua sabedoria acumulada ao longo dos últimos dois milénios.
3. Humilde aceitação do desejo da Igreja que o sacerdote ao vestir  a batina e o colarinho romana ilustra por uma apresentação saudável à autoridade e conformidade com a vontade de Cristo, expressa através da sua Igreja.
4. A lei da Igreja exige que clérigos usem roupas cléricas, conforme número 66 do Diretório para sacerdotes, que se cita no cânon 284.
5. O uso do colarinho romano é um desejo repetido ardente pelo falecido papa João Paulo II. O desejo do então Santo Padre, hoje beatificado, a esse respeito não pode ser sumariamente demitido, ele fala com um carisma especial na função de líder da Santa Igreja. Ele freqüentemente lembrava aos sacerdotes o valor do uso do colarinho. Em uma carta datada aos 8 de setembro de 1982 ao Cardeal Ugo Poletti, seu vigário para a Diocese de Roma, o Pontífice instruiu-o a promulgar normas sobre o uso do colarinho romano e hábito religioso, observou que a veste clerica é valiosa, “não só porque contribui para a adequação do padre em seu comportamento externo ou no exercício do seu ministério, mas sobretudo porque dá evidência dentro da comunidade eclesiástica do testemunho público ao qual cada sacerdote é chamado a dar de sua própria identidade e que pertencem especialmente a Deus.
6. “Em uma homilia em Novembro 1982, o Papa dirigindo-se a um grupo de diáconos transitórios os quais ele estava prestes a ordenar ao sacerdócio. Ele disse que se eles tentassem ser como outra pessoa qualquer em seu “estilo de vida” e na “maneira de vestir”, então sua missão como sacerdotes de Jesus Cristo não poderia ser plenamente realizada.
7. O colarinho romano impede “mensagens contraditórias”; outras pessoas irão reconhecer as intenções do padre quando ele se vê no que poderia parecer comprometer circunstâncias. Vamos supor que um padre seja obrigado a fazer visitas pastorais a prédios de apartamentos diferentes em uma área onde o tráfico de drogas ou prostituição é prevalecente. O colarinho romano envia uma mensagem clara a todos que o padre chegou para ministrar aos doentes ou necessitados em nome de Cristo. Especulações ociosas podem ser desencadeadas por um sacerdote conhecido por moradores do bairro ao visitar casas apartamentos vestido como um leigo.
8. O colarinho romano inspira outros a evitarem a imodéstia no vestir, bem como palavras e ações e lembra-os da necessidade de decoro público. Um padre alegre, mas diligente e sério, pode obrigar aos outros a fazerem um balanço da maneira pela qual se conduzem. O colarinho serve como um desafio necessário para tempos de afogamento na impureza, exibida pela vestes sugestivas, pelo discurso blasfemo e ações escandalosas.
9. O colarinho romano é uma ‘proteção’ para a vocação ao lidar com fiés do sexo oposto. Um padre sem de seu colarinho (e, naturalmente, não usando uma aliança de casamento) pode parecer um alvo atraente para os afetos de uma mulher solteira à procura de um marido, ou para uma mulher casada tentado a infidelidade.
10. O colarinho romano oferece uma espécie de “salvaguarda” para si mesmo e fornece um lembrete para o próprio sacerdote de sua missão e identidade: testemunhar a Jesus Cristo, o Grande Sumo Sacerdote, como um de seus irmão-sacerdotes.
11. Um padre em um colarinho romano é uma inspiração para outros que pensam: “Aqui esta um discípulo moderno de Jesus.” O colarinho fala da possibilidade de fazer um compromisso sincero e duradouro com Deus. Fieis de diversas idades, nacionalidades e temperamentos vão notar a virtuosa vida centrada no próximo que o homem que de bom grado e orgulhosamente veste a roupagem de um padre católico e, talvez, venha a perceber que eles também podem consagrar-se denovo, ou pela primeira vez, ao amoroso Bom Pastor.
12. O colarinho romano é uma fonte de intriga benéfica para os não-católicos. A maioria dos não-católicos não têm experiência com os ministros que vestem trajes clericais. Portanto, os sacerdotes católicos em virtude de suas vestes podem levá-los a refletir – mesmo que seja apenas de um modo superficial – sobre a Igreja e o que ela implica.
13. Um sacerdote vestido como a Igreja quer é um lembrete de Deus e do sagrado. O pântano secular vigente não é gentil com as imagens que conotam o Todo-Poderoso, a Igreja, etc Quando alguém usa o colarinho, os corações e mentes dos outros são invariavelmente elevados ao “Ser Superior”, que geralmente é relegado a uma nota pequena na agenda da cultura contemporânea.
14. O colarinho romano é também um lembrete para o padre que ele “nunca é não um sacerdote.” Com tanta confusão prevalecente hoje, o colarinho pode ajudar o sacerdote a evitar a dúvidas internas a respeito de quem ele é. Dois guarda-roupas diferentes podem facilmente suscitar – e muitas vezes o fazem – a dois estilos de vida, ou mesmo duas personalidades distintas.
15. Um padre em um colarinho romano é uma mensagem de vocação ambulante. A visão de um padre, alegre feliz com confiança andando na rua pode ser um ímã a atrair jovens a considerarem a possibilidade de que Deus está lhes chamando ao sacerdócio. Deus faz o chamado, o sacerdote é simplesmente um sinal visível que Deus usará para atrair os homens para si.
16. O colarinho romano faz com que o padre disponível para os Sacramentos, sobretudo da Confissão e da Unção dos Enfermos, e em situações de crise. Porque o colarinho dá reconhecimento imediato, sacerdotes que usam-nos tornam-se mais aptos a serem abordados, particularmente quando seriamente necessário. Adeptos ao colarinho podem testemunhar quanto a serem solicitados para os Sacramentos e o convocados para assistência em aeroportos, cidades populosas e vilarejos isoladas, pois foram imediatamente reconhecidos como sacerdotes católicos.
17. O colarinho romano é um sinal de que o padre está se esforçando para tornar-se santo, vivendo a sua vocação sempre. É um sacrifício de fazer-se sempre disponível a todas as almas, pois são publicamente identificados como um sacerdotes, mas esse é um sacrifício agradável a Nosso Divino Senhor. Somos lembrados de como o povo veio a ele, e como ele nunca os rejeitou. Há tantas pessoas que serão beneficiadas pelo sacrifício do padre que incessantemente luta para ser santo.
18. O colarinho romano serve como um lembrete para aqueles católicos “alienados” não se esquecerem de sua situação irregular e de suas responsabilidades para com o Senhor. O padre é uma testemunha – para o bem ou para o mal – a Cristo e sua Santa Igreja. Quando um “decaído” vê um padre, ele é estimulado a lembrar que a Igreja continua a existir. Um padre alegre fornece um lembrete salutar da Igreja.
19. O uso de roupa clerical às vezes é um sacrifício, especialmente em climas quentes. A melhores mortificações são aquelas que não procuramos. Submeter-se ao desconforto do calor e da umidade pode ser uma reparação maravilhosa para os nossos próprios pecados, e um meio de obter graças para nossos paroquianos.
20. O colarinho romano serve como um “sinal de contradição” para um mundo perdido no pecado e rebeldia contra o Criador. O colarinho torna-se uma poderosa declaração: o padre enquanto um alter Christus aceitou mandato do Redentor para levar o Evangelho para a praça pública, independentemente do sacrifício pessoal.
21. O colarinho romano ajuda aos sacerdotes a evitarem o ‘plantão’, a mentalidade de ‘folga do serviço sacerdotal’. Os números 24 e 7 devem ser os nossos números especiais: sacerdotes são sacerdotes, 24 horas por dia, 7 dias por semana. São sacerdotes, não os homens que se engajam na “profissão de sacerdote.” Dentro ou fora de serviço, o sacerdotes deve estar disponível a quem Deus possa enviar o no seu caminho. As “ovelhas perdidas” não fazem agendamento.
22. Os “oficiais” do exército de Cristo deve ser identificáveis como tal. Tradicionalmente, temos observado que aqueles que recebem o sacramento da Confirmação se tornam “soldados” de Cristo, são católicos adultos prontos e dispostos a defender seu nome e sua Igreja. Aqueles que são ordenados diáconos, padres e bispos também devem estar preparados para pastorearem o rebanho do Senhor. Aqueles padres que usam o colarinho romano manifestam o seu papel inequivocamente como líderes na Igreja
23. Os santos nunca aprovam uma abordagem da abstinência das vestes sacerdotais. Por exemplo, Santo Afonso de Ligório (1696-1787), patrono dos moralistas e dos confessores, em seu estimado tratado Dignidade e Deveres do Sacerdote, insta o uso apropriado de vestes clericais, afirmando que o colarinho ajuda tanto sacerdote quanto aos fiéis a recordar o sublime esplendor do estado sacerdotal instituído pelo Deus-Homem.
24. A maioria dos católicos espera que os seus sacerdotes a se vistam de acordo. Sacerdotes há muito tem dado uma grande medida de conforto e segurança ao seu povo. Enquanto jovens, os católicos são ensinados que o padre é o representante de Deus – alguém em quem se pode confiar. Assim, o Povo de Deus quer saber quem são esses representantes são e o que eles representam. O costume de usar vestes distinguíveis foi sancionado durante séculos pela Igreja, não é uma imposição arbitrária. Os católicos esperam que os seus sacerdotes vestam-se como padres e comportem-se em harmonia com o ensinamento prática da Igreja. Como temos dolorosamente observado ao longo dos últimos anos, os fiéis são especialmente incomodados e prejudicados quando os sacerdotes desafiam a autoridade legítima da Igreja, e ensinam e agir de forma inadequada e até mesmo desobediente.
25. A vida de um padre pertence a Deus de uma maneira especial, ele é enviado para servi-lo com sua vida. Quando acordamos todas as manhãs, devemos dirigir o nosso pensamento para o nosso Deus amoroso, e pedir a graça de servi-lo bem naquele dia. De uma forma especial, os padres devem lembrar-se do seu status como Seus servos, escolhidos por colocar o traje que proclama para que todos possam ver que Deus ainda está trabalhando neste mundo através do ministério de pobres homens pecadores.
Adaptado do artigo por Corageous Priest – 25 reasons to wear the Roman Colar
 
http://igrejamilitante.wordpress.com/

quinta-feira, 23 de junho de 2011

# Our Lady of Good Success Prophecies: Persecution o... # Trinity Sunday in the Ambrosian Rite in Legnano # Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpu... # Papst Benedikt: Das Beten der Psalmen - Mit Gottes... # Corpus Domini: Benedicto XVI recuerda la especial ... # Le Pape à l’Audience générale : « la prière des ps... # Deus quer continuar a renovar a humanidade, a hist... # Nell’Eucaristia la via per il rinnovamento del mon...


Our Lady of Good Success Prophecies: Persecution of Priests; St. John Vianney



“The Sacred Sacrament of Holy Orders will be ridiculed, oppressed and despised, for in this Sacrament, the Church of God and even God Himself is scorned and despised since He is represented in His priests. The demon will try to persecute the ministers of the Lord in every possible way;  he will labor with cruel and subtle astuteness to deviate them from the spirit of their vocation and will corrupt many of them. These depraved priests, who will scandalize the Christian people, will make the hatred of  bad Catholics and the enemies of the Roman, Catholic and Apostolic Church  fall upon all priests. This apparent triumph of Satan will bring enormous sufferings to the good Pastors of the Church, the many good priests…"

"How beloved are the priests of my Most Holy Son and myself.  I am the tender Mother of priests, whom I venerate for their sublime mission and love most tenderly!"

"From the 19th century onward, priests should love with all their soul John Baptist Marie Vianney, a servant of mine whom Divine Goodness is preparing for those centuries as a exemplary model of the humble priest.  He will not be from a noble family, so that the world will know and understand that in the eyes of God all that matters is profound virtue.

"This servant of mine, who will come to the world at the end of the 18th century, will love me with all his heart. By his words and deeds he will honor me and teach his companions to know and love me." 

[Mother Marianna (1563-1635),  St. John Vianney (1786-1859)]

~ Our Lady of Good Success to Venerable Mariana de Jesus Torres;
excerpts from The Admirable Life of Mother Marianna, Volume II by Fr. Manuel Sousa Pereira  ~

How to Pray the Rosary

Why Does the Church Teach That?

How to Make a Good Confession

Top Ten Catholic Questions on the Da Vinci Code

Tips for Catholic Family Bible Study

http://eucharisticadorationforpriests.blogspot.com/2011/06/our-lady-of-good-success-prophecies.html

Trinity Sunday in the Ambrosian Rite in Legnano

The following images of Trinity Sunday in the Ambrosian rite in Legnano where brought to our attention. I was pleased to see some more photographs of some of the architectural details of the Church.

(Speaking of the Ambrosian rite. May I ask our readers to please keep two special intentions in prayer with regard to the usus antiquior Ambrosianus. One is for a person and the other with reference to our banner and the free use of the ancient Ambrosian liturgical books.)






See the full photoset here
 
http://www.newliturgicalmovement.org/

Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpus Domini procession in downtown Rome June 23, 2011.



Pope Benedict XVI leads a procession from Rome's Basilica of St John's in Lateran to St. Mary Major Basilica to mark the Roman Catholic feast of Corpus Domini, commemorating Christ's last supper and the institution of the eucharist.  
Pope Benedict XVI leads a procession from Rome's Basilica of St John's in Lateran to St. Mary Major Basilica to mark the Roman Catholic feast of Corpus Domini, commemorating Christ's last supper and the institution of the eucharist.
  
Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpus Domini procession in downtown Rome June 23, 2011.    

Pope's weekly general audience of June 22


(June 22, 2011) Every week on Wednesday, the Pope holds a public meeting, called the general audience, during which pilgrims and tourists who come to Rome have a chance of seeing and hearing him speak in several languages, including in English. The general audience of June 22 was held in the open, in St. Peter’s Square. A scripture passage was read by aides in several languages. An aide  ...»

Papst Benedikt: Das Beten der Psalmen - Mit Gottes eigenen Worten sprechen




Das Gebetbuch schlechthin des Volkes Gottes aufschlagen – so bezeichnete Papst Benedikt XVI. an diesem Mittwoch seine Katechese zum Buch der Psalmen. Vor mehreren Zehntausend Pilgern und Besuchern auf dem Petersplatz sagte er:

„Die 150 Psalmen drücken die menschliche Erfahrung Gott gegenüber mit ihrem ganzen Facettenreichtum aus. Durch sie haben sich die Beter in Lobpreis und Bitte an Gott gewandt. Auch uns wollen die Psalmen beten lehren. In ihnen wird das Wort Gottes zum Gebetswort. Wir beten sozusagen mit Gottes eigenen Worten, damit wir lernen, zu ihm zu sprechen, eine Sprache mit ihm finden können.“
Der Papst verglich das Beten lernen durch die Psalmen mit grundsätzlichen Lernen des Mens  überhaupt. Wie ein Kind lerne, sich auszudrücken, so geschehe das beim Beter durch  ...»



http://www.radiovaticana.org/ted/index.aspchen

Corpus Domini: Benedicto XVI recuerda la especial responsabilidad de los cristianos en la construcción de una sociedad solidaria, justa y fraterna

 

Jueves, 23 jun (RV).- “Del don de amor de Cristo proviene la especial responsabilidad de los cristianos en la construcción de una sociedad solidaria, justa y fraterna”. Especialmente en nuestro tiempo, en el que la globalización nos hace cada vez más dependientes los unos de los otros, Benedicto XVI ha recordado la responsabilidad del Cristianismo de lograr que esta  ...»

Audiencia general: el Papa inicia un ciclo de catequesis dedicadas a los Salmos, oraciones universales que hablan la lengua de Dios



Miércoles, 22 jun (RV).- Un extraordinario libro de oración, en el cual Dios mismo nos enseña a todos los cristianos a dirigirnos a Él. Así Benedicto XVI describe el Libro de los Salmos, al cual ha dedicado esta mañana, en la Audiencia General en la plaza de San Pietro, la primera de una serie de catequesis, que en las próximas semanas desarrollará  ...»

http://www.radiovaticana.org/spa/index.asp

Le Pape à l’Audience générale : « la prière des psaumes élargit notre horizon »

 
Pope Benedict XVI waves after an outdoor meeting with youths in Pennabilli June 19, 2011.


Le Pape a introduit, ce mercredi, un nouveau chapitre dans sa longue réflexion sur la prière. Devant des dizaines de milliers de pèlerins rassemblés Place Saint-Pierre, Benoît XVI a consacré sa catéchèse aux psaumes qu’il a comparés à une école de prière. Comme un enfant qui s’approprierait les mots et le langage de ses parents, les chrétiens apprennent à prier via la lecture des  ...»
http://www.radiovaticana.org/fr1/index.asp

Deus quer continuar a renovar a humanidade, a historia e o cosmo através da cadeia de transformações, de que a Eucaristia é o sacramento. Bento XVI na homilia da Missa da Solenidade do Santíssimo Corpo e Sangue de Cristo.

Pope Benedict XVI greets faithful as he arrives at Rome's St. John in Lateran Basilica, Thursday, June 23, 2006. The pontiff will lead the Corpus Christi procession on an open vehicle from St. John in Lateran Basilica to St. Mary Major Basilica. The event is dedicated to the mystery of the Eucharist and concludes the cycle of feasts following Easter.
 

(23/6/2011) Na tarde desta quinta feira Bento XVI presidiu na Basílica de S. João de Latrão a celebração da Missa da solenidade do Corpo e Sangue de Cristo. seguida pela procissão eucarística até á Basílica de Santa Maria Maior, seguindo pela rua Merulana.
Na homilia da Missa o Papa começou por recordar que o Santíssimo Sacramento  ...»


Na audiência geral Bento XVI falou dos Salmos, orações universais que falam a língua de Deus




(22/6/2011) Milhares de pessoas congregaram-se na manhã desta quarta feira na Praça de S. Pedro para a habitual audiência geral do Santo Padre.
Prosseguindo o ciclo de catequeses sobre a oração cristã, Bento XVI deteve-se sobre os Salmos, livro de oração por excelência.
“Composto por cento e cinquenta salmos, segundo diversas formas literárias, o Saltério  ...»http://www.radiovaticana.org/por/index.asp