sábado, 2 de julho de 2011

* Segni dei tempi: i preti giovani scelgono la tradi... * Mitos Litúrgicos Comentados - Mito 22: Missa de fr... * Segni dei tempi: i preti giovani scelgono la tradi... * OTRA CONTRIBUCIÓN PRECIOSA A LA HISTORIA DE LA REF... * ¡VUELTOS HACIA EL SEÑOR! MONSEÑOR KLAUS GAMBER F... * # CARTA DE LOS CARDENALES OTTAVIANI Y BACCI A PABL... * Mitos Litúrgicos Comentados - Mito 22: Missa de fr... * RITUS ROMANUS ET RITUS MODERNUS ¿Hubo reforma lit... * Osservazioni critiche sul nuovo ordinamento delle .... * Frutos del motu proprio Summorum Pontificum y sua...

06/26 - 07/03 (49)

Segni dei tempi: i preti giovani scelgono la tradizione

Dopo l’intervista di padre Vincenzo Nuara, torniamo sul convegno dello scorso ottobre sul motu proprio Summorum Pontificum con l’articolo di Fabrizio Cannone, sempre tratto da Radici Cristiane.
Dal 16 al 18 ottobre 2009, sotto il titolo di Un grande dono per tutta la Chiesa, si è celebrato a Roma, a pochi passi dal Vaticano, il “II Convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum di S.S. Benedetto XVI”. La riuscita di questo importante evento è innegabile. Siamo sicuri che, nelle riflessioni sull’attualità dell’immortale liturgia latina, esso lascerà un segno indelebile.
di Fabrizio Cannone
Organizzato dall’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum e dal gruppo laicale Giovani e Tradizione, il convegno è stato presie­duto dall’animatore nonché fondatore dei due men­zionati organismi: il domenicano Padre Vincenzo Nuara.
Il primo giorno, detto di pre-convegno, è stato in realtà una sorta di breve ritiro spirituale per il clero e i seminaristi (con la recita del Rosario in comune, l’Adorazione Eucaristica, i Vespri e la Benedizione), e ha visto la partecipazione di quasi cento chierici.
Dopo il canto del Veni Creator nella cappella del­la Casa Bonus Pastor, sede dei lavori, e dopo l’intro­duzione di padre Nuara, il momento forte si è avuto con la conferenza di SE. mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare in Kazakhstan. Il tema era ri­preso dal titolo di un ben noto testo di dom Columba Marmion, Cristo, ideale del sacerdote.
II cambiamento dei “segni dei tempi”
II giorno seguente, sabato 17 ottobre, si è aperto il Convegno vero e proprio. La grande presenza di gio­vani sacerdoti e seminaristi, religiosi e religiose, mol­ti dei quali neppure trentenni, è stata una prova elo­quente di quanto gli attuali “segni dei tempi” vada­no sempre più nel senso di un ritorno alle radici del­la fede, della dottrina e della spiritualità cristiana.
Dopo la Santa Messa nella forma straordinaria, co­munemente detta Messa di san Pio V, celebrata da S E. mons. Schneider, il presidente del Convegno ha fat­to una relazione introduttiva. In essa, il domenicano ha detto che dalla promulgazione del Motu proprio che si stava per commemorare, la vita di molti dei pre­senti è cambiata. Ed è cambiata radicalmente e per sempre.
Secondo Padre Nuara, chi disse due anni fa che il documento pontificio sarebbe presto finito del dimenticatoio sbagliò gravemente, e il successo del con­vegno ne sarebbe una prova lampante. Se, come si espresse Benedetto XVI introducendo un testo di mons. Klaus Gamber, la “crisi di fede” è dovuta al “crollo della liturgia”, il Motu proprio è una risposta effica­ce sia all’una che all’altra: esso è il vero segno dei tem­pi nella Chiesa d’oggi.
Lamentando una situazione difficile in ordine al­l’applicazione del testo pontificio, il padre ha però ri­chiamato il valore ascetico della sofferenza per una giusta causa: proprio dalle pene patite nel silenzio e nell’abbandono dai sacerdoti e dai fedeli legati tota corde al rito tradizionale, verrà l’inizio della (vera) riforma della Chiesa.
Tempi di crisi liturgica
La seconda conferenza è stata curata da mons. Schneider, più una meditazione profonda e articola­ta che una lezione di taglio professorale-scientifico. «Nessuno può negare il fatto che la Chiesa di oggi stia soffrendo una grave crisi liturgica», ha detto il ve­scovo, entrando subito in medias res.
D tema affrontato era quello della “sacralità e bel­lezza della Liturgia nei Santi Padri”. Secondo il pre­lato, il culto di Dio deve essere consapevole della san­tità divina e questa nozione fondante e imprescindi­bile è presente fin dai testi liturgici più antichi che ci vengono dalla Tradizione. Tra i tanti riferimenti pos­sibili, sono stati citati brani dell’Antico Testamento, dell’Apocalisse, di Papa san Clemente I, della Passio­ne delle martiri Perpetua e Felicita, di Tertulliano e di san Giovanni Crisostomo, detto Dottore Eucaristico. In tutti la liturgia si configura come un’opera ange­lica, teocentrica, assolutamente sacrale e anagogica, tutta impregnata di orientamento sovrannaturale.
In pratica, l’esatto opposto di ciò che la moda li­turgica prevalente, intrisa di valori umanistici e intramondani, ci vorrebbe imporre già da vari decenni. Il simbolismo e la gestualità sono fondamentali per una retta comprensione del mistero celebrato: secondo il prelato dunque nulla, assolutamente nulla, dovrebbe essere lasciato al caso, all’improvvisazione e all’arbitrio umano.
Con toccanti parole poi, sua Ec­cellenza ha detto che la cosa più preziosa dell’intero universo è il corpo e il sangue di Cristo, presen­ti sull’altare del sacrificio e nel Ta­bernacolo: il rispetto ad essi do­vuto è dunque conseguenza di tale consapevolezza di fede.
Notava infine mons. Schnei­der che sia il Concilio di Tren­to sia il Vaticano n parlano di una liturgia in conformità coi “santi Padri”, dunque tale con­formità desiderata dalla Chie­sa deve al più presto tornare a esprimersi con atteggiamenti conso­ni alla ri-presentazione del Sacrificio della Croce. In conclusione, ha citato un bel testo eucaristico di san Pietro Giuliano Eymard.
La romanità, quintessenza della cattolicità
La relazione seguente è stata affidata al prof. Ro­berto de Mattei, e aveva l’impegnativo titolo di “Cat­tolicità e Romanità della Chiesa nell’ora presente”. Lo storico romano ha presentato una sintesi estremamen­te convincente, e in più passaggi toccante, del signi­ficato di Roma e della romanità all’interno della vi­sione cattolica del mondo. Arduo appare sintetizzar­la in poche battute.
In ogni caso, la caratteristica della romanitas, non è una nota aggiuntiva e di secondario valore per de­finire la vera Chiesa di Dio. A ben vedere, anzi, essa appare la quintessenza della cattolicità, ed esprime in modo netto e distinto, quasi plastico, sia la fede nel­la Provvidenza divina (che attraverso il beato Pietro scelse Roma quale sede del suo Regno in terra), sia l’ancoraggio storico culturale e liturgico della nostra fede su quella dei nostri predecessori, anzitutto i Som­mi Pontefici Romani.
Non è un caso infatti che i nemici della Chiesa sia­no anche, necessariamente, nemici della (vera) roma nità. Troppo forte è il legame tra diritto canonico e diritto romano, tra lingua latina e culto cristiano, tra primato (storico-politico) della Roma antica e Primato (giuridico e dottrinale) della Sede Petrina perché questa inimicizia sia elusa.     La modernità, inaugurata dall’anti-romanesimo luterano, registra due fenomeni speculari e convergenti: da un lato vuole “purificare” il cristianesimo dalla romanità, come vorranno tutte le sette protestanti, il giansenismo, e poi il modernismo e il neo-modernismo; dall’altro si esalta Roma, per farne una sorta di idolo in funzione anti-cattolica: si pensi qui a Féderico, a Machiavelli, al ghibellinismo, ai giacobini e al nazionalismo laico otto-novecentesco. Se vogliamo dunque essere cattolici integrali dobbiamo essere i primi assertori di quel principio meta-storico «onde Cristo è Romano» (Dante), e in tal sen­so la liturgia latina tradizionale appare il miglior modo per preservare, nella temperie odierna del relativismo e del pluralismo, la latinità e la romanità, l’universa­lità e la stabilità, lafides e lo ius, lapietos e la veri-tas della santa Chiesa di Roma.
Altri interventi
Nella medesima mattinata vi sono state anche due brevi ma importanti comunicazioni dovute una al Vice Presidente della Pontificia Commissione dei Beni Cul­turali della Chiesa e di Archeologia Sacra, dom Michael John Zielinski e l’altra a mons. Valentino Mi-serachs Grau, Presidente del Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Entrambi gli interventi hanno inteso significare l’importanza per l’Arte sacra e per la musica di Chie­sa del legame colla tradizione liturgica latina e gre­goriana: i due presuli hanno quindi criticato molte del­le recenti evoluzioni artistiche o musicali, che occul­tano quella sacralità così necessaria al culto cristiano e alla spiritualità dei fedeli.
Dopo il pranzo, v’è stato l’inatteso intervento di mons. Guido Pozzo, nuovo Segretario della Commis­sione Ecclesia Dei. Il presule ha ribadito l’importan­za della liturgia tradizionale per la continuità dottri­nale cattolica e ha notato che, nonostante le difficol­tà esistenti, l’applicazione del Motuproprio che si sta­va commemorando deve continuare a estendersi.
Molto attesa era la relazione seguente, tenuta da padre Stefano M. Manelli, figlio spirituale di Padre Pio e fondatore dei Francescani dell’Immacolata, una delle più giovani e promettenti famiglie della “rifor­ma francescana”.
Il sacerdote ha parlato del rapporto inscuidibile tra la vita religiosa, che lui vive in prima persona da ol­tre mezzo secolo, e la liturgia. La decadenza liturgi­ca attuale, più volte segnalata da Benedetto XVI, ha influito certamente sul calo delle vocazioni sacerdo­tali e religiose, e anche sulla più grave desacralizza­zione di monasteri, conventi e istituti un tempo fio­renti.
La decisione dei Francescani dell’Immacolata di tornare alla Messa e all’ufficio liturgico tradizionale sta dando frutti preziosi, sia in quantità di vocazioni, sia in un innalzamento della vita spirituale nelle loro comunità maschili e femminili.
Secondo padre Manelli, a norma del Motu proprio, sono in particolare i religiosi che debbono riprende­re gli antichi usi liturgici e ascetici: così essi forme­ranno quelle sante oasi di cui tutti i fedeli avvertono sempre più il bisogno.
L’ultimo a parlare è stato il noto teologo mons. Brunero Gherardini, recente autore di un importante mes­sa a punto sul valore (e i limiti) dei documenti con­ciliari. Dopo aver detto che il Motuproprio si confi­gura come una “sanatio”, ha illustrato da par suo il vero senso della Tradizione, all’insegna della conti­nuità dogmatica e magisteriale.
Con acume e profondità teologica, ha saputo mo­strare l’opposizione tra la Tradizione vivente, intesa in senso cattolico, e cioè la virtualità infinita del ma­gistero di fissare “nuovi” dogmi, già facenti parte del­la Divina Rivelazione, e la “tradizione vivente” del modernismo, che usa questa espressione per confor­mare il dogma e la dottrina alle variazioni pressoché infinite del fragile pensiero umano.
La Messa in S. Pietro e il saluto del Papa
D seguente 18 ottobre i convegnisti hanno avuto la grazia di partecipare alla Santa Messa pontificale nel cuore della Chiesa, cioè nella Basilica di San Pie­tro, n celebrante è stato S.E. mons. Raymond Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica.
Giova ricordare che alla Messa conclusiva, come del resto già al convegno, erano presenti membri di tutti gli Istituti che usano del messale antico: dalla Fra­ternità san Pietro all’Istituto di Cristo Re, dai France­scani dell’Immacolata all’Istituto del Buon Pastore, oltre a figure ben note come mons. Camille Perl.
L’unità della “famiglia cattolica tradizionale”, pur tra tante difficoltà, non è il minor successo dell’ini­ziativa – destinata a ripetersi e ad ampliarsi – di pa­dre Vincenzo Nuara. All’Angelus dello stesso gior­no il Santo Padre ha salutato i partecipanti al Conve­gno, dando così per il fatto stesso un appoggio signi­ficativo a iniziative di tal genere.
da Radici Cristiane n. 50, dicembre 2009

http://www.introiboadaltaredei.info/2010/03/30/segni-dei-tempi-i-preti-giovani-scelgono-la-tradizione/

OTRA CONTRIBUCIÓN PRECIOSA A LA HISTORIA DE LA REFORMA LITÚRGICA



Pablo VI y los observadores protestantes del Consilium: Rev. Jasper, Dr. Shepherd, Prof. George, pastor Kenneth, Rev. Brand y el Hno. Max Thurian de Taizé

La Escritura y la reforma litúrgica
Utilizar las traducciones para introducir errores teológicos fue una táctica usada con premeditación por los promotores de la transformación revolucionaria de la Liturgia. Así se afirma con toda claridad en una entrevista concedida por el canónigo Andrea Rose (A.R.) a Stefano Wailliez, (S.W.) con vistas a la elaboración de un estudio histórico sobre la reforma litúrgica. Rose fue teólogo y liturgista, participando como consultor del Consilium ad exequendam constitutionem de sacra liturgia, la comisión cuyo secretario fue mons. Bugnini y a la cual se le encargó el cometido de poner por obra la constitución sobre la liturgia del concilio Vaticano II.
 
S. W.: Mons. Bugnini explica en sus memorias que, cuando no llegaba a obtener esta o aquella formulación en el texto oficial, decía: “Se acomodará esto en las traducciones”. ¿Oyó usted decir eso a su alrededor?
A. R.: Pues claro que sí; eso lo decían en Roma. Dom Dumas trabajó mucho en tal sentido. Era muy progresista. También él decía: “Esto se acomodará en las traducciones”. Abogó mucho por la libertad de las versiones. Llegó a las últimas consecuencias en todo esto”.

También se cuestiona en la misma entrevista otro de los grandes mitos de la reforma litúrgica: el presunto enriquecimiento de la liturgia por obra de la incorporación más abundante de la Palabra de Dios (la “mesa” de la Palabra). Una incorporación que, como hemos visto con solo un ejemplo, se ha efectuado con criterios sesgados y prejuicios ideológicos.

S. W.: Mons. Gamber dice, a propósito de los ciclos de las lecturas de la misa, que “se veía a las claras que la nueva organización era obra de exegetas, no de liturgistas”. Dado que figu­raba usted en ese grupo de trabajo, ¿qué opina al respecto?
A. R.: Los exegetas se las echaban de amos, igual que los judaizantes. Los primeros cristia­nos, en cambio, usaron las versiones griegas de los textos. No se preocuparon de la “veritas hebraica”. ¿Acaso había que esperar al siglo XX para descubrir por fin cómo proceder? ¡Y me ha­bla usted de la gran tradición! ¿Qué sentido tiene la pastoral cuando los exegetas imperan so­bre los liturgistas? De hecho, Bugnini y los exegetas querían transformar la primera parte de la misa en un curso de exegesis”.



¡Cuántas ánimas dejan de ir a la gloria y van al infierno por la negligencia de ellos!
“¿Y qué aprovecha al hombre ganar todo el mundo, si pierde su alma?”. Estas palabras sugeridas repetida y oportunamente por San Ignacio de Loyola al joven San Francisco Javier provocaron su conversión y cambio de vida. Probablemente de haberlas escuchado en nuestra aggiornata versión hubiera preferido continuar con sus estudios y su brillante carrera en París. Claro, que también me pregunto que hubiera hecho en nuestra Iglesia ecuménica y posconciliar alguien que, como el santo de Navarra, clamaba en sus cartas en términos como éstos:

Muchas veces me vienen pensamientos de ir a los estudios de esas partes, dando voces como hombre que ha perdido el juicio, y principalmente a la universidad de París, diciendo en Sorbona a los que tiene más letras que voluntad para disponerse a fructificar con ellas: ¡cuántas ánimas dejan de ir a la gloria y van al infierno por la negligencia de ellos! […] Estuve cuasi tentado de escribir a la universidad de París, cuántos mil millares de gentiles se harían cristianos, si hubiese operarios, para que fuesen solícitos de buscar y favorecer las personas que no buscan sus propios intereses, sino los de Jesucristo… Muchas veces me acaesce tener cansados los brazos de bautizar, y no poder hablar de tantas veces decir el Credo y los mandamientos en su lengua de ellos” (A sus compañeros de Roma, 20 de enero 1548).

DE:http://www.religionenlibertad.com/articulo_imprimir.asp?idarticulo=10132


Se trata de la entrevista concedida por el canónigo Andrea Rose (fallecido poco ha, por desgracia) a Stefano Wailliez, con vistas a la elaboración de un estudio histórico sobre la reforma litúrgica.
Canónigo titular de la catedral de Namur (Bélgica), Andrea Rose fue teólogo y liturgista. Se cuentan entre sus obras, allende multitud de artículos sobre el oficio divino y las lectu­ras bíblicas, los libros “Salmos y plegaria cristiana” (Brujas, 1965) y “Los salmos, voz de Cristo y voz de la Iglesia” (París, 1981). La idea principal de estos escritos suyos es que el Antiguo Testamento (salmos inclusive) debe interpretarse a la luz del Nuevo y de los escrito de los Padres. Esto es lo que hace la Iglesia en su liturgia. El canónigo Rose fue asimismo consultor del Consilium ad exequendam constitutionem de sacra liturgia, la comisión cuyo secretario fue mons. Bugnini y a la cual se le encargó el cometido de poner por obra la cons­titución sobre la liturgia del concilio Vaticano II. Cuando al Consilium le sucedió la Sagra­da Congregación para el Culto Divino, al canónigo Rose lo nombraron consultor del nuevo orga­nismo. Su papel en la revisión de la liturgia lo desempeñó principalmente en el ámbito del Oficio Divino, pero alcanzó también el de las lecturas bíblicas, las oraciones y los prefa­cios de la santa misa. Ofrece aquí su testimonio a título de coautor de la reforma litúrgica del rito latino.
La entrevista, que se publica ahora por vez primera (al menos en Italia), constituye un testimonio preciosos por varios conceptos:
1) El canónigo Rose es un testigo directo, uno de los últimos testigos directos, de los trabajos del Consilium al que encargó Pablo VI llevara a efecto la constitución conciliar sobre la sagrada liturgia.
2) Es un testigo prudente, que se niega a pronunciarse, como se verá, sobre cuanto no le consta con seguridad (p. ej., la filiación masónica de Bugnini, la contribución efectiva de los “observadores” protestantes).
3) No es lo que se dice un “lefebvriano” o un “tradicionalista”, antes al contrario, no echa de ver todas las razones que asisten a dicha resistencia católica, y tiene asimismo ideas ine­xactas sobre ella, como lo evidencia la última parte del diálogo (esto debería bastar para po­ner su testimonio a reparo de cualquier prejuicio); pero posee el “sentido de la tradición” en la medida suficiente como para comprender que la denominada reforma litúrgica fue en realidad una “catástrofe”, de la cual es menester salir.
4) Su testimonio, en lo que mira a la orientación del Consilium, concuerda perfectamente con el que dejó el card. Ferdinando Antonelli en sus memorias personales (cf. Sì Sì No No, 30 de noviembre de 1999, pp. 3 ss.; edic. italiana), y, tocante a la persona de Bugnini en particu­lar, coincide a la perfección con el juicio que dio de éste, a su tiempo, el abate dom Alfonso Pietro Salvini, O. S. B. (Divagazioni di una lunga vita [Errabundeos de una larga vida] Livorno: ed. Stella del Mare; cf. el número correspondiente a la edición italiana de sí si no no del 31 de octubre de 1991, p. 3: La danza de los hotentotes), así como con otros testimo­nios (cf. Sì Sì No No, 15 de sept. de 1992, p. 6: Meminisse iuvat; ed. italiana).
N. B. Se puede consultar La riforma liturgica (La Reforma Litúrgica) de Aníbal Bugnini para más informaciones sobre el canónigo A. Rose. La traducción y los subtítulos de la entrevista son de nuestra redacción.
¡Bugnini!
S. Wailliez: En tanto que consultor del Consilium, figuró usted en los Coetus (grupos de tra­bajo) nn. 3, 4, 6, 9, 11, 18 bis, 21 bis. Cuando se leen las memorias de mons. Bugnini se tie­ne la impresión de que se trataba de una máquina complejísima: había casi treinta grupos de trabajo.
A. Rose: Sí, era una máquina muy compleja.
S. W.: Pero entonces, ¿cuál era la fuerza motriz que la impulsaba?
A. R.: ¡Bugnini!
S. W.: Se ha hablado mucho de mons. Bugnini, pero debía de haber otras corrientes, otras tendencias en el Consilium. ¿O es que realmente Bugnini campaba por él como amo y señor?
A. R.: Lo que yo sé, en todo caso, es que mons. Martimort no estaba muy de acuerdo con él. Me lo criticaba continuamente en cuanto volvía la espalda. Me decía, p. ej.: “¡Este Bugnini hace todo lo que le da la gana!”. Él (Martimort) era mucho más competente que aquél. Un día me dijo: “¡Lo que sabe Bugnini! Se ve que sus profesores de secundaria no perdieron el tiempo con él...”. He aquí lo que pensaba Martimort sobre Bugnini. Al principio yo creía que exageraba, pero luego me di cuenta de que tenía razón. Bugnini carecía de profundidad de pensamiento. Fue grave nom­brar a un veleta como él en el puesto que desempeñaba. ¡Que la gestión de la liturgia estu­viera en manos de un hombre semejante, de un superficial...!
S. W.: Le he formulado esta pregunta sobre mons. Bugnini porque, por otro lado, se sabe también el papel que desempeñó Pablo VI, quien seguía en persona el desarrollo de los trabajos.
A. R. Es verdad. Pero Bugnini siempre estaba con él dándole explicaciones. Un día estaba yo con el padre Dumas en la plaza de San Pedro (era al principio, cuando los problemas aun no se habían agravado mucho). Nos encontramos con Bugnini, quien nos señaló las ventanas de los apo­sentos de Pablo VI diciendo: “¡Rueguen, rueguen para que conservemos este Papa!”. Lo decía porque manipulaba a Pablo VI: iba a informarle, pero le contaba las cosas a su sabor. Luego volvía diciendo: “El Santo Padre desea esto, el Santo Padre desea aquello”; pero era él quien, por debajo de cuerda...
S. W.: Se dice de mons. Bugnini que era masón. ¿Qué piensa usted?
A. R.: Sería menester probarlo, evidentemente.
S. W.: ¿Le parece que tenía estilo masónico?
A. R.: No, no. Ya se lo he dicho: carecía de profundidad.
S. W.: ¿No tenía ninguna?
A. R.: Escribió después libros enteros para justificar su reforma, pero... cuando llegaba yo a Roma e iba a saludar a Martimort, éste me contaba todos los manejos de Bugnini para lograr que se aprobara todo lo que quería. El padre Martimort era otro hombre. Tenía otra cultura. Y cri­ticaba la manera de obrar de Bugnini.

La liturgia de las horas: un ritual a la carta

S. W.: Cuando se examina la nueva liturgia de las horas -visto que usted trabajó en su elabo­ración-, se queda uno sorprendido de las múltiples posibilidades de elección: se pueden tomar salmos distintos de los indicados, otros himnos, omitir las antífonas, añadir silencios, lectu­ras, etc.; todo “por justas razones pastorales”, lo que significa que cada uno puede hacer lo que le plazca. ¿Cómo reaccionó usted cuando se propuso este ritual a la carta?
A. R.: Nosotros pusimos sólo lo que era oficial. Pero luego se agregó “vel alios cantus, vel alios psalmos”, etc. De habernos opuesto, se nos habría tachado de integristas.
S. W.: ¿No plantea problemas eclesiológicos tan gran flexibilidad?
A. R.: Sí, por cierto. Si todo el mundo puede confeccionarse su propio ritual, ¿se puede se­guir hablando de oración oficial de la Iglesia? Salta a los ojos que la eclesialidad es lo que se pone en peligro con el nuevo ritual flexible.
S. W.: ¿Se originaban luchas en los distintos coetus a que usted pertenecía a propósito de dichas posibilidades múltiples de elección?
A. R.: Sí, y Martimort era más bien contrario. Pero Bugnini, que lo manipulaba todo, se mostraba favorable. [...]

Las lecturas de la Misa y el “retorno a la gran Tradición”

S. W. Por lo que toca a las lecturas de las misas, estaba usted en el coetus 4. Se tenía en mente enriquecer los ciclos de las lecturas. ¿Qué piensa usted de la reforma que se verifi­có en tal punto?
A. R.: [...] lo que se hizo se habría podido realizar de manera más inteligente. Por ejemplo, es de deplorar la supresión de las cuatro témporas. Precisamente en esos tiempos se verificaban de tres a cinco lecturas antes del evangelio. ¡Pero se tuvo que abolir justamente las cuatro témporas! Tales días son, por añadidura, algo antiquísimo, que había conservado el carácter semanal primitivo de la liturgia: miércoles, viernes y la gran víspera (del domingo). ¡Todo tirado por la borda!
S. W.: ¿Dónde está en todo eso el retorno a la gran tradición?
A. R.: Constituye una incoherencia, como es obvio. Algunos abogaban en el Consilium por el retorno a la gran tradición cuando les convenía. Francamente, estoy de acuerdo con que se hagan algunas pequeñas reformas, pero lo que se llevó a cabo fue abiertamente radical.
S. W.: Mons. Gamber dice, a propósito de los ciclos de las lecturas de la misa, que “se veía a las claras que la nueva organización era obra de exegetas, no de liturgistas”. Dado que figu­raba usted en ese grupo de trabajo, ¿qué opina al respecto?
A. R.: Los exegetas se las echaban de amos, igual que los judaizantes. Los primeros cristia­nos, en cambio, usaron las versiones griegas de los textos. No se preocuparon de la “veritas hebraica”. ¿Acaso había que esperar al siglo XX para descubrir por fin cómo proceder? ¡Y me ha­bla usted de la gran tradición! ¿Qué sentido tiene la pastoral cuando los exegetas imperan so­bre los liturgistas? De hecho, Bugnini y los exegetas querían transformar la primera parte de la misa en un curso de exegesis.

El Ordinario de la Misa: el Ofertorio “cepillado”

S. W.: Tocante al ordinario de la misa: no estaba usted en el grupo de trabajo interesado, pero ¿diría usted que también aquí se pecó de radicalidad?
A. R.: ¡Ah, sí! Los que se ocupaban de la misa fueron mucho más radicales con ella que noso­tros con el oficio. Mire, se pasó el cepillo sobre el ofertorio. Dom Capelle no quería ni oír hablar de él. Decía que en él “se habla como si el sacrificio ya se hubiera consumado. Se corre el riesgo de creer que todo ha terminado ya”. No se daba cuenta de que todas las liturgias pre­sentan tal anticipación. En el ofertorio se coloca uno ya en la perspectiva de la consumación.
S. W.: ¿No se daba ahí una falta de perspectiva finalista?
A. R.: Sí. Y así se llegó a suprimir todo, todo lo que era plegaria de ofertorio, porque, se­gún se decía, el sacrificio venía después. Pero eran ésas opiniones espirituales harto raciona­listas, en fin de cuentas. ¡Es elemental!
S. W.: ¿Ha conocido usted alguna vez, a lo largo de su experiencia pastoral, a fieles que crean que las sagradas oblatas se consagran en el ofertorio? Es decir: ¿ha constatado usted concretamente los daños que recalcaba Dom Capelle?
A. R.: Pues claro que no, de ninguna manera: ¡jamás! Y además, mire lo que se hace en los ritos orientales: es lo mismo. Sería interesante cotejar todo eso.

La multiplicación del Canon

S. W.: Otro punto importante del ordinario de la misa es la desaparición del canon romano. Subsiste más o menos en la plegaria nº 1, pero ésta no es ya la única plegaria eucarística, por lo que, hablando con propiedad, el canon ha desaparecido.
A. R.: Sí además de la supresión del ofertorio se multiplican las preces eucarísticas, como dice usted. Mire la oración nº 2: no puede estar más adulterada. ¡Y aún les parecía poco! Fue por eso por lo que dije “no”, lo que me valió que me pusieran de patitas en la calle. Pero ésa es otra historia.

La excusa de las traducciones

S. W.: También está el asunto de las traducciones para los países francófonos, sobre el cual se ha pronunciado usted varias veces.
A. R.: Sí, es un problema enorme. El padre Gy no quiere que se le aborde: les deparó la oca­sión de introducir todo lo que querían.
S. W.: Mons. Bugnini explica en sus memorias que, cuando no llegaba a obtener esta o aquella formulación en el texto oficial, decía: “Se acomodará esto en las traducciones”. ¿Oyó usted de­cir eso a su alrededor?
A. R.: Pues claro que sí; eso lo decían en Roma. Dom Dumas trabajó mucho en tal sentido. Era
muy progresista. También él decía: “Esto se acomodará en las traducciones”. Abogó mucho por la libertad de las versiones. Llegó a las últimas consecuencias en todo esto.
S. W.: En la versión francesa oficial del Credo figura la locución “de la misma naturaleza que el Padre”, en vez de la voz “consubstantialis” (consubstancial). ¿No está eso en el límite del arrianismo?
A. R.: Ah, sí; es evidente...
S. W.: En Francia se libraron batallas épicas en las iglesias, durante la misa, por la cues­tión de la expresión “de la misma naturaleza”.
A. R.: Sí, sí, estoy al tanto. Pero los obispos aprueban tal versión. La aprueban. No quieren que se la cambie. No fueron ellos los que hicieron eso, sino la comisión; pero no quieren que se desapruebe a ésta.

Los observadores protestantes

S. W.: Se ha hablado mucho de los observadores protestantes. Se han escrito muchas cosas so­bre ellos. Lo que me interesa son los hechos. ¿Vio usted a dichos observadores durante algunas sesiones?
A. R.: Sí, ciertamente. Estaban allí, a un lado, sentados a una mesa. No decían nada. Que hablaban con la gente a la entrada es evidente: no podían dejar de hacerlo. Pero, dado que nunca tomaban la palabra públicamente, ¿ejercieron una influencia real en ciertas cosas? Sería menester un hecho concreto para afirmarlo.
S. W.: En un primer tiempo sólo le he preguntado por su presencia. Dicho esto, en un artículo de Notitiae, nº 23, y en un testimonio de Jasper, observador anglicano, se habla del hecho de que los observadores no participaban en las sesiones de trabajo, pero mantenían reuniones sis­temáticamente con los relatores, los presidentes de los grupos.
A. R.: No se sabía nada de ello. Iban juntos a alguna parte, eso era inevitable, pero no se anunciaba oficialmente. A nosotros no nos ponían al corriente al respecto. Es cuando menos ex­traño, pero fíjese en que no había ningún “ortodoxo” entre los observadores... Los “ortodoxos” desconfiaban ya de antes, conociendo el carácter revolucionario de muchos católicos. No les gustaba. En el fondo, se percataban bien de la verdad de las cosas.

La creatividad

S. W.: Ha dicho de mons. Bugnini que era un combinador [en italiano en el texto; nota de la
Redacción]. ¿Podría ser más preciso?
A. R.: Me miraba mal porque no hacía todo lo que él quería ni aceptaba toda su creatividad.
S. W.: A usted lo expulsaron porque se negó a aprobar se permitiera a las conferencias epis­copales componer preces eucarísticas propias. Aludió usted a ello hace un momento. ¿Conque la ruptura se verificó por una cuestión de creatividad?
A. R.: Sí. Redacté un informe contrario y, como consecuencia, las conferencias episcopales se quedaron sin ese permiso. Entonces mons. Bugnini se dijo: “Ese hombre es peligroso”.
S. W.: [...] A propósito de la creatividad: siempre se la ha visto practicar, sobre todo en el campo del arte. Los estilos del arte sagrado han evolucionado mucho con el tiempo.
A. R.: No soy contrario a la creatividad por principio. Pero debe arraigarse en una tradición. Cuando no lo hace en ninguna se inventa cualquier cosa.

 La desaparición del diablo

S. W.: Se desempeñó usted como miembro del grupo 18 bis, que se ocupó de las oraciones del misal. Dom Hala, de Solesmes, explica en el Habeamus Gratiam que, en las colectas, “se cambió el vocabulario por razones pastorales”, y aduce como ejemplo: “las palabras ‘diabolus’ y ‘dia­bolicus’ han desaparecido por completo del nuevo misal”.
A. R.: No creían ya en el diablo; por lo menos algunos. Pero las cabezas dirigentes se pusie­ron de acuerdo para que no se notasen mucho tales cambios. Dichas supresiones no se mencionaron en los criterios de revisión. Pero está claro que algunos del Consilium no creían ya en el diablo.

La maldita incompetencia de los obispos

S. W.: Cuando se habla del Consilium, se piensa siempre en los consultores, en los expertos: el padre Gy, mons. Martimort, dom Botte, dom Vagaggini, Jungman... Casi se olvidan los miembros en sentido estricto, los obispos, los únicos que tenían derecho de voto. ¿Cómo se lo explica?
A. R.: Los obispos que tenían sus sesiones en el Consilium no eran nada del otro mundo. Sólo dos me dejaron cierto recuerdo: mons. Isnard, de Nuevo Friburgo (Brasil), y mons. Jenny, de Cambrai. Los expertos, en cambio, eran competentísimos. Su orientación es harina de otro cos­tal... pero eran competentes. Eran ellos quienes hacían el trabajo...
S. W.: Entre los obispos miembros del Consilium figuraba el célebre mons. Boudon, presidente de la Comisión Litúrgica de la Conferencia Episcopal Francesa. ¿Era un incompetente?
A. R.: Recuerdo que estaba allí, pero no me dejó un recuerdo indeleble. El padre Gy lo lle­vaba por donde quería. El intelecto agente de mons. Boudon era el padre Gy.

Los cambios de opinión de Pablo VI

S. W.: A partir de 1971-1972, pareció bastante claro que Pablo VI comenzaba a darse cuenta de que algunas cosas no marchaban bien.
A. R.: Tendría uno que haber sido ciego para no verlo... Fue por eso por lo que se acabó quitando de en medio a Bugnini también, y por cierto que muy brutalmente. Pero no se tocó nada de lo que había hecho mal. No se osó revisar lo que se había promulgado.
S. W.: Parece que se delinea en la actualidad un movimiento precisamente en tal sentido. Se habla cada vez más de “liberalización del misal tridentino”, y ahora es el cardenal Sodano, Secretario de Estado, quien ha hecho suya la idea de una reforma de la reforma.
A. R.: ¡Bravo! Hay que salir de esta situación lo antes posible. Se impone revisarlo todo. Pero ¿dónde se hallarán los “competentes”? Sería menester que no remitiesen personas como las causantes de la catástrofe que hemos sufrido.
S. W.: ¿Hay que sentar a todas las partes en torno a la mesa?
A. R.: A todas las personas serias, deseosas de trabajar por la Iglesia.
S. W.: Cuando se habla de liturgia tradicional, no cabe duda de que se piensa en mons. Lefebvre y en la Hermandad San Pío X que él fundó. ¿Hay que invitar a ésta también?
A. R.: ¡Claro que sí! Hay que hablar con esas personas. A veces tienen opiniones fijistas y no siempre comprenden que se necesitaban algunos arreglos, sobre todo en las lecturas de la misa o en el breviario. Pero hay que hablar con ellas. ¡No se puede escuchar a todos, sobre todo a los protestantes, y no invitar a las discusiones a la gente de mons. Lefebvre! A cambio, también ellos deberían tomar la iniciativa de ir a ver a quienes tienen el sentido de la tradición aunque no siempre compartan sus opiniones. Deben esforzarse por salir de su concha. Hay que poner los problemas en el tapete honestamente.
http://sisinono.blogia.com

¡VUELTOS HACIA EL SEÑOR! MONSEÑOR KLAUS GAMBER Fundador del Instituto Litúrgico de Ratisbona

http://2.bp.blogspot.com/_ZJrzOMqVQ1s/S29UL6hFnVI/AAAAAAAADkc/LeW3IxDQ2tk/S240/mons-klaus-gamber.jpg
   Nota relativa a las llamadas: Un número, a la derecha de un vocablo y entre corchetes [], indica una referencia bibliográfica, que se podrá encontrar al final de la obra.
   Un número a manera de exponente a la derecha de un vocablo, corresponde a notas a pie de página de la edición original.
   Uno o mas asteriscos, corresponden a notas del traductor.
   A la edición francesa
   Después de habernos entregado una edición francesa de "Die Reform der Rómischen Liturgie", los monjes de Barroux publican ahora en francés una segunda obra del gran liturgista alemán Maus Gamber, "Zum Herrn hin", sobre la orientación de la Iglesia y del Altar. Los argumentos históricos aportados por el autor, se fundamentan en un profundo estudio de las fuentes, que él mismo efectuó; concuerdan con los resultados de grandes sabios, como F. J. Dólger, J. Braun, J. A. Jungmann, Erik Peterson, Cyrille Vogel, el Rev. Padre Bouyer, por citar tan sólo algunos nombres eminentes. 
   Pero lo que da importancia a este libro es sobre todo el substrato teológico, puesto al día por estos sabios investigadores. La orientación de la oración común a sacerdotes y fieles (cuya forma simbólica era generalmente en dirección al este, es decir, al sol que se eleva), era concebida como una mirada hacia el Señor, hacia el verdadero sol. Hay en la liturgia una anticipación de su regreso; sacerdotes y fieles van a su encuentro. Esta orientación de la oración expresa el carácter teocéntrico de la liturgia; obedece a la monición: "Volvámonos hacia el Señor". 
   Esta llamada se dirige a todos nosotros, y muestra, por encima de su aspecto litúrgico, cómo hace falta que toda la Iglesia viva y actúe para corresponder al mensaje del Señor.
Roma 18 de noviembre de 1992
Joseph Cardenal Ratzinger  

PRÓLOGO

La edificación de las iglesias y la oración hacia el Oriente

"Tenemos un altar, del que no pueden comer los que sirven en el tabernáculo" 
Heb. 13,10). 
   El altar se refiere siempre a un sacrificio ofrecido por un sacerdote. Altar, sacerdote y sacrificio van al unísono, como lo decía San Juan Crisóstomo: "Nadie puede ser sacerdote sin sacrificio" [1]. Como los protestantes rechazan expresamente el sacrificio de la misa y el sacerdocio del preste, no tienen tampoco necesidad propiamente hablando de altar. 
   En todas las religiones antiguas, el sacerdote, como sacrificador, escogido entre los hombres (Cf. Hebr. 5,1), se sitúa delante del altar y delante del santuario (que es la representación de Dios). De igual forma, los que asisten a la celebración del sacrificio, se acercan al altar, a fin de estar en comunión con éste, por mano del sacerdote sacrificador, como escribió San Pablo: "¿Los que comen de las víctimas no están en comunión con el altar?" (1 Cor. 10,8). 
   En el transcurso de estos últimos veinte años, se ha operado un cambio en nuestra concepción del sacrificio. Personalmente, creo que la introducción de altares cara al pueblo y la celebración orientada hacia éste, es mucho más grave y engendradora de problemas para la evolución futura, que el nuevo misal. Porque en la base de esta nueva colocación del sacerdote con respecto al altar (y sin duda alguna, se trata aquí de una innovación, no de un retorno a una costumbre de la Iglesia primitiva) hay una nueva concepción de la misa, que hace de ella una "comunidad del banquete eucarístico". 
   Todo lo que primaba hasta ahora, la veneración cultual y la adoración a Dios, así como el carácter sacrificial de la celebración, considerada como representación mística y actualización de la muerte y resurrección del Señor, pasa a segundo plano. Lo mismo la relación entre el sacrificio de Cristo y nuestro sacrificio de pan y vino apenas aparece. En nuestro opúsculo "Das opfer der Kirche " (El sacrificio de la Iglesia) trató en detalle esta cuestión. 
   No soy de los que piensan que las formas del altar, tal como se habían constituido en el curso de los últimos siglos, y se habían conservado hasta el Concilio Vaticano II, no se puedan modificar. Al contrario, me gustaría que se volviese a formas simples, tal como las que habitualmente estaban en uso en el primer milenio, tanto en la Iglesia de Oriente, como en la de Occidente (y aún hoy día en Oriente), formas que ponían muy en relieve el carácter del altar cristiano, lugar del sacrificio del Nuevo Testamento. 
   La necesidad de exponer en detalle, pero de forma comprensible para todos, el problema que plantean los modernos altares cara al pueblo, así como el celebrante vuelto a la asamblea, me surgió leyendo las numerosas cartas de los lectores publicadas el pasado año, durante muchos meses, en el Deutsche Tagespost. Estas cartas prueban que en lo que concierne a la evolución histórica del altar, muchas cosas quedan confusas; y que muchos errores, sobre todo referentes a los primeros tiempos de la Iglesia, parecen que se han anclado en el espíritu de las gentes. Por todo esto he decidido con toda intención tener en cuenta las preguntas propuestas por los lectores en sus cartas.
Klaus Gamber - Pentecostés 1987

Mitos Litúrgicos Comentados - Mito 22: Missa de frente para Deus ou de frente para os fiéis?

Postado por Francisco Dockhorn em Salvem a Liturgia
Mito 22: "Atualmente o padre tem que rezar de frente para os fiéis"

Não tem.

Foi publicada em 1993, no seu boletim Notitiae, uma nota da Congregação para o Culto Divino e a Disciplina dos Sacramentos reafirma a licitude tanto da celebração "Versus Populum" (com o sacerdote voltado para o povo) quanto da "Versus Deum" (com o sacerdote e povo voltados para Deus, isto é, na mesma direção)

Assim, mesmo na forma do Rito Romano aprovada pelo Papa Paulo VI, é perfeitamente possível que se celebre a Santa Missa com o sacerdote e os fiéis voltados na mesma direção.

O Cardeal Ratzinger, hoje Papa Bento XVI dedicou à este tema um capítulo inteiro do seu livro "Introdução ao Espírito da Liturgia", publicado em 1999; é o capítulo III da parte II, denominado "O altar e a orientação da oração na Liturgia".

Neste texto, o Santo Padre incentiva a celebração em "Versus Deum", exaltando o profundo significado litúrgico que tem o sacerdote e os fiéis voltados para a mesma direção, isto é, para Deus.

Ele diz:

"O sacerdote que se volta para a comunidade forma, juntamente com ela, um círculo fechado em si. A sua forma deixou de ser aberta para cima e para frente; ela encerra-se em si própria. (... ) Não é que o olhar para o sacerdote seja de importância, é o olhar comum para o Senhor. Não é o diálogo que está agora em causa, mas a adoração comum, a partida para o futuro. Não é o círculo fechado que corresponde ao que está a acontecer, mas sim a partida em conjunto, que se manifesta para direção comum a todos."

----------

Comentário sobre este Mito (16/10):

Penso que esta questão da celebração em Versus Deum é algo que, há 6 anos atrás, era um assunto complicadíssimo de abordar, mesmo em meios católicos.

Agora, Deus tendo colocado no Trono de Pedro o Santo Padre Bento XVI, penso que isso é bem mais tranquilo de abordar, exatamente por já termos manifestação do Santo Padre sobre sobre o assunto, e mesmo ele já tendo celebrado a Santa Missa em Versus Deum várias vezes e publicamente, tanto como Cardeal como também enquanto Papa.

As referência do Papa encontram-se principalmente no seu maravilhoso livro "Introdução ao Espírito da Liturgia".

Essas citações trazemos mais abaixo, para enriquecer esta postagem, e mostrar claramente o pensamento do Papa.

Antes disso, retomamos algo que já dissemos anteriormente:

Nós somos BENEFICIÁRIOS da Santa Missa, e NÃO os seus DESTINATÁRIOS.

Pois a Santa Missa é Renovação do Único e Eterno Sacrifício de Nosso Senhor, consumado de uma vez por todas na cruz, tornado presente no altar e oferecido ao Pai Eterno, pelas mãos do sacerdote (Cat. 1362-1372; 1411); e é onde Nosso Senhor se faz presente verdadeiramente e substancialmente no Santíssimo Sacramento do Altar, em Corpo, Sangue, Alma e Divindade, nas aparências do pão e do vinho, como afirma o Catecismo da Igreja Católica (Cat. n. 1374-1377)

Deus é o DESTINATÁRIO, pois Ele recebe a nossa adoração; e nós somos BENEFICIÁRIOS, pois colhemos os frutos da participação no Santo Sacrifício da Missa, principalmente quando comungamos o Corpo de Deus.

Nesse sentido, a Missa é, ESSENCIALMENTE, NÃO para nós, para PARA DEUS.

Feitos estes pressupostos, vamos aos escritos do Papa.

No seu maravilhoso livro "Introdução ao Espírito da Liturgia", o Papa, na "segunda parte", dedica o capítulo III inteiro para tratar desta questão.

O título é:

"O altar e a Orientação da Liturgia".

O Papa começa mostrando que, desde a Igreja Primitiva, existe uma tradição litúrgica da oração em todos em comum (fiéis e sacerdotes, portanto) voltavam-se para o Oriente, e explica as razões diss. Vamos as palavras do Papa:

"Há uma evidência comum para toda a Cristandade, que prevaleceu a todas as variações até o segundo milênio tardio: a orientação da oração para o Oriente é a tradição desde o início, é a expressão fundamental da síntese cristã do Cosmos, da Hístória, da consolidaão dentro da singularidade da História da Salvação e da aproximação do Senhor que há de vir."

E o Papa continua, tomando como exemplo da "orientação comum" as orações do judeus e dos muçulmanos, e reconhecendo as dificuldades do mundo moderno de compreender estes simbolismos:

O Papa reconhece que, enquanto "os homens de hoje não tem muita compreensão para essa orientação", a oração "em direção ao lugar central da revelação", sito é, "a Deus que se nos revelou, e como e onde se revelou", "continua a ser evidente para o Judaísmo e para o Islão".

E falando no nosso contexto cristão, o Papa explica:

"Tal como Deus se encarnou e entrou no espaço e no tempo, tal é conveniente para a oração - pelo menos na Missa - que o nosso falar com Deus seja e cristológico e que, mediante Aquele que se encarnou, se dirija a Deus Trino. O símbolo cósmico do Sol nascente é a expressão da universalidade que é superior a todo o lugar, afirmando, ao mesmo tempo, o concreto da Revelação de Deus. A nossa oração insere-se assim na peregrinação dos povos rumo a Deus."

O Papa presta ainda dois esclarecimentos históricos.

Primeiro esclarecimento:

Se por razões arquitetônicas nas construções das igrejas o sacerdote precisava se voltar para a direção do povo para celebrar voltado para o Oriente, o Papa responde, citando Cyrille Vogel:

"Se alguma vez se fez caso de algo, então foi que o sacerdote tinha que dirigir tanto a Oração Eucarísitca como todas as outras ações para o Oriente. Mesmo se a orientação do altar na igreja permitia ao sacerdote dirigir a oração ao povo, não nos podemos esquecer que, não apenas o sacerdote, mas também toda a assembléia se dirigia para o Oriente."

Quanto a isso, o jornalista Márcio Campos, em artigo publicado no ano passado em nosso blog, explica:

"No caso da Basílica de São Pedro, e de outras igrejas voltadas ao ocidente, quando o padre rezava voltado para o oriente, não só ele fazia isso: toda a assembléia também se voltava para a mesma direção. Ou seja, era o povo que "dava as costas" para o padre, e até para o altar."

Evidentente que NÃO estamos sugerindo que ninguém "fique de costas" para o altar em nossas igrejas, mas este dado histórico nos mostra a importância que a oração voltada em uma direção em comum tinha para os cristãos, mesmo que em algum contexto voltassem as costas para o altar, para Jesus Eucarístico e para o sacerdote.

O significado teológico disso é que a Missa é o Sacrifício de Nosso Senhor Jesus Cristo, do próprio Cristo que celebra intercedendo por nós em sua entrega sacrificial, por Amor ao Pai e a nós; e portando, é o SAcrifício do Corpo de Cristo, isto é, da Igreja (Cat. 787-796), Cabeça e Membros; NÃO existe Sacrifício da Cabeça sem o Sacrifício dos membros. Sacrifício oferecido a quem? A Deus Pai! Portanto, é toda a assembléia que, POR CRISTO, COM CRISTO e EM CRISTO se dirige ao Pai.

Segundo esclarecimento: Mesmo na Última Ceia, Nosso Senhor celebrou em Versus Deum.

O Papa nos ensina, citando Louis Bouyer:

"A idéia - nomeadamente a da última ceia - de que a celebração Versus Populum tenha sido a forma original da Última Ceia, baseia-se simplesmente no conceito incorreto de um banquete cristão ou não cristão na Antiguidade. Nos primeiros tempos cristãos, nunca o dirigiente de um banquete teria tomado lugar diante dos outros participantes. Todos estavam sentados ou deitados no lado convexo de uma mesa em forma de sigma ou de ferradura. Em tempos da Antiguidade cristã nunca teria surgido a idéia de que o dirigente de um banquete devesse tomar o seu lugar Versus Populum. O caráter da convivência de um banquete era realçado precisamente pela ordenação oposta de lugares, isto é, todos estavam sentados do mesmo lado da mesa."

E o Papa explica o porque pode "parecer" que a Missa em Versus Populum seja mais adequada, e vai respondendo as objeções.

Diz o Papa que "a inovação da Liturgia deste século" desenvolveu a "idéia de uma nova configuração de Missa": "A Eucaristia teria que ser celebrada Versus Populum (em direção ao povo)", modo a que "o sacerdote e o povo se pudessem olhar mutuamente".

O Papa continua:

"Essas conclusões pareciam tão convincentes que, depois do Concílio (que em si não falava da orientação para o povo) foram erigidos altares novos por todo o lado; a direção da celebração "versus populum", surge hoje praticamente como o autêntico fruto da inovação litúrgica, em concordância com o Vaticano II. Na realidade, ela é a consequência mais visível da reestruturação que não implica apenas no ordenamente exterior dos lugares litúrgicos, mas sobretudo uma nova compreensão da natureza da liturgia como ceia."

O que o Papa está falando aqui é algo sério: por detrás da rejeição ao Versus Deum, está havendo uma perda de sentido a respeito da essência da Santa Missa.

Pois como dissemos anteriormente, que NÃO é apenas uma "ceia", mas é essencialemten a Renovação Incruenta do Sacrifício de Nosso Senhor. Embora a Santa Missa tenha uma dimensão de banquete e ceia, é um banquete essencialmente sacrifical, que perde totalmente o sentido se não reconhecermos nele a dimensão de Sacrifício. Pois na Santa Missa não nos alimentamos de uma comida qualquer como em um banquete ou ceia comuns, mas sim do Corpo de Deus.

Por isso, o saudoso Papa João Paulo II lamenta na sua Encíclica Ecclesia de Eucharistia (n. 10):

"As vezes transparece uma compreensão muito redutiva do mistério eucarístico. Despojado do seu valor sacrifical, é vivido como se em nada ultrapassasse o sentido e o valor de um encontro fraterno ao redor da mesma. Além disso, a necessidade do sacerdócio ministerial, que se fundamenta na sucessão apostólica, fica às vezes obscurecida, e a sacramentalidade da Eucaristia é reduzida à simples eficácia do anúncio. (...) Como não manifestar profunda mágoa por tudo isto? A Eucaristia é um Dom demasiadamente grande para suportar ambigüidades e reduções."

Voltamos ao Papa Bento XVI, no seu livro "Introdução ao Espírito da Liturgia", prosseguindo a explicação:

"A esta análise de forma de "banquete", deve acrescentar-se que seria certamente insuficiente realizar uma descrição completa da Eucaristia Cristã apenas com base na " ceia". Apesar do Senhor ter oferecido a novidade do culto cristão no sentido de uma ceia judaica (Pascha), ele não ordenou a reiteração da ceia em si, mas sim do "novo" que ela constituia. Por isso é que o se separou muito rapidamente do contexto "velho", encontrando a sua própria forma que lhe era conforme e que já era preconcebida pelo fato da Eucaristia remeter para a cruz."

Pressegue o Papa, comentado a respeito das consequências negativas destas distorções:

"Só assim se pode explicar, que, doravante, a direção da oração comum do sacerdote e do povo tenho sido rotulada como "celebrar para a parede" ou "virar as coisas ao povo", o que, obviamente, parecia ser completamente absurdo e inadmissível. (...) Voltar-se em conjunto para o Oriente, não era era uma e não significava do sacertdote : no fundo, isso não tinha muita importância. Porque da mesma maneira como as pessoas na Sinagoga se voltavam para Jerusalém, elas voltavam-se aqui em conjunto . Trata-se - como foi escrito por um dos presbíteros que elaboraram a Constituição Litúrgica do Vaticano II, J. A. Jungmann - de uma orientação comum do sacerdote e do povo, que se entendim unidos na caminhada para o Senhor. Eles não se fecham no círculo, não se olham uns aos outros; são um povo que se põe a caminho para o Oriens, rumo a Cristo vindouro que se aproxima de nós".

Com efeito, o que importa não é estar "voltado para a parede" ou "estar de costas para o povo", mas sim, estar "Versus Deum", ou seja, "de frente para a Deus"!

Pois a referência NÃO é nem a parede, nem o povo, nem mesmo o sacerdote, mas Deus!

Outra consequência, aliás, que o Papa fala: a clericalização.

Fala o Papa:

"Na realidade, isso levou a uma clericalização jamais vista. O sacerdote - ou melhor, o agora chamado presidente da celebração - torna-se ponto de referência do todo. Tudo depende dele. É necessário vê-lo, participar na sua ação, responder-lhe; tudo assenta na sua criatividade. (...) Cada vez menos é Deus que se encontra em destaque, cada vez mais importância ganha tudo o que as pessoas aqui reunidas fazem e que em nada se querem submeter a um esquema prescrito. O sacerdote que se volta para a comunidade forma, juntamente com ela, um círculo fechado em si. A sua forma deixou de ser aberta para cima e para frente; ela encerra-se em si própria."

O Papa continua:

"É essencial voltar-se em conjunto para o Oriente na Oração Eucarística. Aqui, não se trata se algo casual, mas sim substancial. Não é que o olhar para o sacerdote seja de importância, é o olhar comum para o Senhor. Não é o diálogo que está agora em causa, mas a adoração comum, a partida para o futuro. Não é o círculo fechado que corresponde ao que está a acontecer, mas sim a partida em conjunto, que se manifesta para direção comum a todos. (...) Será que estamos tão perdidamente encerrados no nosso próprio círculo?"

Como vamos, são fortes os termos que o Papa usa ("essencial" para falar do Versus Deum na Oração Eucarística, "círculo fechado" para falar do Versus Populum).

Em tempo: vimos que o voltar-se fisicamente para o Oriente tem um sentido, conforme vimos na tradição litúrgica e nas palavras do Papa. Porém, é importante observar que o Versus Deum (ou seja, uma orientação física comum aos sacerdotes e aos fiéis) é possível de observar mesmo nos casos que NÁO se está fisicamente voltado para o oriente, e MANTÉM,evidentemente grande parte do seu simbolismo litúrgico.

Para aprofundar o assunto, existe um livro do grande liturgista, Mons. Klaus Gamber, chamado "Voltados para o Senhor".

O Prefácio a Edição Francesa é do próprio Cardeal Ratzinger, hoje Papa Bento XVI, onde ele escreve, no dia 18 de Novembro de 1992:

"O que dá importância a este livro é sobretudo o substrato teológico, posto em dia por esses
sábios investigadores. A orientação da oração comum a sacerdotes e fiéis (cuja forma simbólica era geralmente em direção ao leste/oriente, quer dizer, ao sol que se eleva), era concebida como um olhar lançado ao Senhor, ao verdadeiro sol. Há na liturgia uma antecipação de seu regresso: sacerdotes e fiéis vão ao seu encontro. Esta orientação da oração expressa no caráter teocêntrico da liturgia obedece à exortação: “Voltemo-nos para o Senhor”. Esta monição, esta chamada, dirige-se a todos nós, e mostra, indo além de seu aspecto litúrgico, como faz falta que toda a Igreja viva e atue para corresponder à mensagem do Senhor."

Neste livro, ao qual como vemos o Papa deu todo aval, chama a atenção o quanto Mons. Gamber é incisivo em afirmar a origem protestante do que hoje entendemos por Versus Populum.

IMPORTANTE: de forma alguma estamos afirmando aqui que as Missas em Versus Populum sejam algo essencialmente protestante, ou que todos os que as defendem tenham idéias protestantes; pois a Missa em Versus Polulum, apesar de o Papa e muitos liturgistas NÃO considerarem o jeito mais adequado liturgicamente de celebrar, Roma permitiu que assim também se celebrasse. O que estamos fazendo aqui é simplesmente retormarmos dados históricos para compreendermos a movimentação que deu origem a todas essas questões litúrgicas disputadas de hoje em dia.

Diz Mons. Gamber:

"A idéia de um face a face entre o sacerdote e a assembléia na Missa remonta a Martinho Lutero. (...) Como sabemos, Lutero negou o caráter sacrifical da Missa: não via nela mais que a proclamação da Palavra de Deus, à qual seguia a celebração da Ceia. Daqui vem sua exigência, já mencionada, de que o celebrante estivesse voltado para a assembléia. Certos teólogos católicos modernos não negam diretamente o caráter sacrifical da Missa, porém gostariam de vê-lo num segundo plano a fim de poder ressaltar melhor o caráter de ceia da celebração. Na maioria das vezes, por causa de considerações ecumênicas a favor dos protestantes, descuidando contudo
de seu ecumenismo quanto às igrejas orientais ortodoxas para as quais o caráter sacrifical da Divina Liturgia é um fato indiscutível. (...) Esperamos ter deixado claro que antes de Martinho Lutero, em parte alguma se encontra a idéia do sacerdote voltado para a assembléia durante a celebração da Santa Missa, nem tampouco a favor desta maneira de ver se pode invocar algum descobrimento arqueológico."


Também Guido Marini, Cerimoniário do Papa Bento XVI, no dia 06 de Janeiro de 2010, em Conferência no Vaticano para o ano sacerdotal (texto que publicamos em nosso blog), nos explica:

"Sem precisar recorrer a uma análise histórica detalhada de desenvolvimento da arte cristã, gostaríamos de reafirmar que a oração voltada para o oriente, mais especificamente, voltada para o Senhor, é uma expressão característica do autêntico espírito da liturgia. É neste sentido que somos convidados a voltar nossos corações para o Senhor durante a celebração da liturgia eucarística, como o diálogo introdutório do Prefácio bem nos recorda. Sursum corda “Corações ao alto”, exorta o sacerdote, e todos respondem: Habemus ad Dominum “O nosso coração está em Deus.” Ora, se tal orientação deve ser sempre adotada interiormente pela comunidade cristã inteira quando reunida em oração, deveria ser possível encontrar esta orientação expressa externamente também através de sinais. O sinal externo, além disso, não poderá ser verdadeiro, a não ser que através dele a atitude espiritual correta se torne visível."

Continua Dom Marini:

"Desta forma pode-se entender porque hoje ainda é possível celebrar a Santa Missa nos altares antigos, quando as características arquitetônicas e artísticas de nossas igrejas assim o permitirem. Também nisto, o Santo Padre nos dá um exemplo quando celebra a sagrada eucaristia no antigo altar na Capela Sistina na festa do Batismo do Senhor."

E ele conclui:

"Em nosso tempo, a expressão “celebração voltada para o povo” entrou no vocabulário comum. Se a intenção ao usar esta expressão é descrever a localização do sacerdote que, nos dias de hoje frequentemente se encontra voltado para a assembléia devido à posição do altar, tal expressão é aceitável. Todavia, tal expressão seria categoricamente inaceitável a partir do momento em que viesse a expressar uma proposição teológica. Teologicamente falando, a Santa Missa, na realidade, é sempre dirigida a Deus por Cristo Senhor, e seria um grave erro imaginar que a orientação principal da ação sacrifical é a comunidade. Logo, tal orientação, de se voltar em direção ao Senhor, tem que animar a participação interior de cada indivíduo durante a liturgia. É igualmente importante que esta orientação seja bem visível como sinal litúrgico também."


Também o Pe. Paulo Ricardo de Azevedo Júnior, da Arquidiocese de Cuiabá-MT, em sua entrevista concendida ao nosso blog, afirma:

"Na verdade as rubricas do Missal aprovado por Paulo VI foram escritas pensando nas duas possibilidades: a Missa voltada para o povo ou a Missa voltada para Deus (também chamada de Missa orientada, já que as Igrejas eram construídas de tal forma que o sacerdote pudesse celebrar voltado para o lugar onde nasce o sol). Muita gente fala da Missa voltada para o povo como sendo uma das “conquistas” do Vaticano II. A verdade é que os documentos do Concílio nem tratam do assunto. A Missa voltada para o povo foi uma adaptação introduzida pelos padres alemães celebravam assim em seus acampamentos com jovens e escoteiros. Isto que era uma situação completamente excepcional tornou-se regra quando da implantação da Reforma Litúrgica. Na minha opinião a Missa voltada para o povo não tem nenhum fundamento teológico, psicológico ou pastoral, se considerarmos a verdadeira natureza da Missa. Sendo assim, a situação atual rompe completamente com a tradição de dois mil anos. Não há nenhum outro Rito Litúrgico que tenha este tipo de prática. A Missa orientada tem a importante “missão” de tirar o sacerdote e colocar Deus no centro da celebração. Todos voltados para a mesma direção, sacerdote e assembléia, dirigem-se como Igreja para Deus e oferecem a ele o Divino Sacrifício Eucarístico."

Pe. Paulo se posiciona da mesma forma que o Papa:

"Na minha opinião a Missa voltada para o povo não tem nenhum fundamento teológico, psicológico ou pastoral, se considerarmos a verdadeira natureza da Missa. Sendo assim, a situação atual rompe completamente com a tradição de dois mil anos. Não há nenhum outro Rito Litúrgico que tenha este tipo de prática. A Missa orientada tem a importante “missão” de tirar o sacerdote e colocar Deus no centro da celebração. Todos voltados para a mesma direção, sacerdote e assembléia, dirigem-se como Igreja para Deus e oferecem a ele o Divino Sacrifício Eucarístico."

Um fenômeno interessante que acontece émuitas vezes em novenas de Paróquias, em que o sacerdote celebra em Versus Populum, e na hora da oração da Novena após a Comunhão, o sacerdote se volta para uma imagem da Virgem Maria (no caso de uma novena mariana), não se importanto nesse caso de "dar as costas ao povo". Porque? Porque a novena no caso não é para o povo, e sim para a Virgem.

E a Santa Missa, é para quem?

Respondemos, abaixo, alguns questionamentos que frequentemente nos deparamos a respeito do assunto.

Primeira questão:

Na Missa em Versus Deum, sacerdote e fiéis ficam a Missa inteira voltados para a mesma direção?

Não.

E esta falta de entendimento a respeito de uma questão bem prática creio que pode gerar resistência para a idéia de celebrar em Versus Deum.

Muitos estranham o Versus Deum porque partem do pressuposto equivocado de que a Santa Missa é para os fiéis. Ora, partindo-se do pressuposto de que a Santa Missa NÃO é para os fiéis e sim pra Deus, nada mais natural do que o sacerdote voltar-se pra Deus nos momentos que se dirige à Deus, e voltar-se para o povo nos momentos que se dirigir ao povo (isso acontece na saudação inicial, ao dizer "Oremos", na Liturgia da Palavra, nas partes dialogadas como "Dominus Vobiscum" - "O Senhor esteja convosco" -, na apresentação do Corpo de Deus antes da Comunhão, na Benção Final e Despedida.

Ou seja: na Missa em Versus Deum, nos momentos em que o sacerdote se dirige para Deus, ele se volta para Deus; nos momentos em que o sacerdote fala para o povo, ele se volta para o povo.

Nada mais natural, não?

Segunda questão:

A Instrução Geral do Missal Romano orienta que a Missa, na forma do Rito Romano aprovada pelo Papa Paulo, seja em Versus Populum?

Não.

Segundo a explicação do próprio Papa, o que ela orienta é que, ***se possível***, o altar seja construído afastado da parede, para ***possibilitar*** a celebração em Versus Populum; mas não somente para isso, mas para que o altar possa ser mais facilmente circundado, podendo ser incensado por todos os lados.

A este respeito, citamos a explicação do próprio Papa (Cardeal Joseph Ratzinger, A introdução
do decano do Sacro Colégio ao livro de Uwe Michael Lang, in 30 Dias, disponível
em http://www.30giorni.it/br/articolo.asp?id=3510 ):

"Sobre a orientação do altar para o povo, não há sequer uma palavra no texto conciliar. Ela é mencionada em instruções pós-conciliares. A mais importante delas é a Institutio generalis Missalis Romani, a Introdução Geral ao novo Missal Romano, de 1969, onde, no número 262, se lê: "O altar maior deve ser construído separado da parede, de modo a que se possa facilmente andar ao seu redor e celebrar, nele, olhando na direção do povo [versus populum]". A introdução à nova edição do Missal Romano, de 2002, retomou esse texto à letra, mas, no final, acrescentou o seguinte: "Isso é desejável sempre que possível". Esse acréscimo foi lido por muitos como um enrijecimento do texto de 1969, no sentido de que agora haveria uma obrigação geral de construir - "sempre que possível" - os altares voltados para o povo. Essa interpretação, porém, já havia sido repelida pela Congregação para o Culto Divino, que tem competência sobre aquestão, em 25 de setembro de 2000, quando explicou que a palavra "expedit" [é desejável] não exprime uma obrigação."

Na própria Capela Privada do Papa, o altar é junto a parede, e nela o Papa tem o costuma de celebrar em Versus Deum, como podemos ver neste vídeo que publicamos há algum tempo atrás em nosso blog:

http://www.youtube.com/watch?v=7PUeRutbra4

Dizem alguns teólogos modernistas que a Liturgia, durante séculos, teve "erroneamente", como centro, a Presença Eucarística de Nosso Senhor (!). Tais modernistas compreendem bem o valor dos símbolos para o ser humano, e para que suas novas concepções litúrgicas sejam aos poucos assimiladas, fazem questão de desprezar os sinais externos da Liturgia que apontam para sua verdadeira essência e para a adoração de Nosso Senhor na Hóstia Consagrada:

- o dobrar os joelhos para adorar

- as paramentações completas do sacerdote que celebra

- o altar esplendoroso, ornamentado com castiçais e arranjos de flores

- o uso frequente do incenso

- o valor do latim como língua sagrada

- a Santa Missa celebrada em Versus Deum ("Voltado para Deus", com sacerdote e povo voltados para a mesma direção, como o Cardeal Ratzinger, hoje Papa Bento XVI, recomenda que se faça no seu livro "Introdução ao Espírito da Liturgia")

...e assim por diante.

É preciso perceber esta movimentação modernista e revolucionária que existe hoje, para nos posicionarmos.

Uma última questão: O que fazer quando, por razões diversas (sejam físicas, pastorais...) é impossível celebrar em Versus Deum?

Na celebração em Versus Deum, que é a forma tradicional de celebrar e a forma como o Papa recomendou no seu livro "Introdução ao Espírito da Liturgia", o costume é colocar ocrucifixo no centro, acima do altar, em cima do Sacrário ou na parede, fazendo com que seja ponto de referência. Se a celebração for "Versus Populum" (com o sacerdote voltado para o povo), o Papa, no mesmo livro "Introdução ao Espírito da Liturgia", dá a seguinte orientação a respeito da cruz:

"Ela deveria se encontrar-se no meio do altar, sendo o ponto de vista comum para o sacerdote e para a comunidade orante."

E completa, expondo o problema de se colocar a cruz na parte lateral do altar ou ao lado dele, ao invés de colocar no centro, nas Missas em Versus Populum:

"Considero as inovações mais absurdas das últimas décadas aquelas que põe de lado a cruz, a fim de libertar a vista dos fiéis para o sacerdote. Será que a cruz incomoda a Eucaristia? Será que o sacerdote é mais importante que o Senhor? Este erro deveria ser corrigido o mais depressa possível , não sendo precisoas para isso nenhumas reconstruções. O Senhor é o ponto de referência."

Este modelo de ornamentação de altar para as Missas celebradas em Versus Populum, com a cruz no centro e os castiçais dos lados dela, quem é a forma como o Papa normalmente celebra em Roma, se convencionou chamar de "arranjo beneditino". A cruz, evidentemente, é voltada para o sacerdote, que é quem celebra o Santo Sacrifício da Missa.

Também Dom Guido Marini, Cerimoniário do Papa, na mesma conferência que citamos acim,a concorda, dizendo:

"Que não se diga, portanto, que a imagem de nosso Senhor crucificado obstrui a visão que os fiéis têm do sacerdote, porque eles não estão ali para olhar para o celebrante naquele ponto da liturgia! Eles estão ali para voltar seus olhares para o Senhor! Da mesma maneira, o presidente da celebração também deve ser capaz de se voltar na direção do Senhor. O crucifixo não obstrui nossa visão; em vez disso ele expande nosso horizonte para ver o mundo de Deus; o crucifixo nos leva a meditar no mistério; nos introduz no céu de onde vem a única luz capaz de dar sentido à vida nesta terra. Nossa visão, na verdade, estaria cega e obstruída se nossos olhos permanecessem fixos naquelas coisas que mostram apenas o homem e suas obras."

Um problema pastoral que ainda se cria é: nesse caso, com a cruz voltada para o sacerdote, o povo não terá a sua disposição um crucifixo para voltar o seu olhar durante a Missa?

Penso que a solução para Missas em Versus Populum seja haver dois crucifixos: um no altar ou junto dele, voltado para o sacerdote, e outro voltado para os fiéis (seja ou lado do altar ou na abside, neste caso, na parede do fundo ou mesmo em cima do Sacrário, se este estiver no centro).

A desvantagem é que neste caso haverá dois Crucifixos, o que é desnecessário perante as normas litúrgicas, e penso que enfraquece o simbolismo de Nosso Senhor ser um só. Mas são os prejuízos do Versus Populum.

A Instrução Geral do Missal Romano (n. 122) afirma:

"A cruz adornada com a imagem de Cristo crucificado e levada na procissão pode colocar-se junto do altar, para se tornar a cruz do altar, que deve ser apenas uma, ou então seja guardada".

Penso, porém, que NÃO se trata de desobediência litúrgica se um dos crucifixos (o do sacerdote) estiver sobre o altar ou bem próximo a ele, e o outro crucifixo (o dos fiéis) estiver mais afastado do altar (na parede do fundo, por exemplo). Neste caso, consideramos "cruz do altar" apenas a do sacerdote.

Como testemunho pessoal, posso dizer que tenho a graça de participar, muitas vezes, da Missa em Versus Deum.

E já participei da Missa em Versus Deum tanto em latim como em vernáculo (português) - pois o Versus Deum independe da língua utiliza na celebração; tanto na forma do Rito Romano aprovada pelo Papa Paulo VI, como também na forma tradicional (Tridentina).

As primeiras que participei dessas celebrações foram muito emocionantes para mim, e participar delas me faz compreender MUITO melhor: o valor do Santo Sacrifício da Missa; PARA
QUEM é celebrada a Santa Missa (para Deus, embora nós nos beneficiemos de seus frutos, como já comentamos); em última instância, me fizeram compreender melhor o infinito amor de Nosso
Senhor Jesus Cristo e o amor da Santíssima Trindade, que atinge o seu ápice na Santa Missa.

Papa Bento XVI celebrando em "Versus Deum", no dia 15 de Abril de 2010

Papa Bento XVI celebrando em "Versus Populum", com o "Arranjo Beneditino",
sem se importar em a cruz atrapalhar a visão dos fiéis.
"Será que a cruz incomoda a Eucaristia?", pergunta o Papa...


"Arranjo Beneditino", com "Cruz do Altar" para o sacerdote e "Cruz da Parede" para os fiéis

Nas aparições da Santíssima Virgem em Fátima (Portugal, 1917), oficialmente aprovadas pela Santa Igreja, quando o Anjo apareceu para as crianças, antes da Virgem aparecer, ele trazia consigo uma Hóstia Consagrada. Prostrando-se por terra, ensinou a elas a seguinte oração:

"Meu Deus: eu creio, adoro, espero-vos e amo-vos. Peço-vos perdão por aqueles que não crêem, não adoram, não esperam e não vos amam."

Que a Grande Mãe de Deus, Mãe da Eucaristia, pela Sua Poderosa Intercessão, nos conceda a graça de crer, adorar, amar e zelar pelo Santíssimo Corpo do Deus-Amor Sacramentado e pelo Santo Sacrifício da Missa...

http://christusvinchit.blogs.sapo.pt/96906.html

RITUS ROMANUS ET RITUS MODERNUS ¿Hubo reforma litúrgica antes de Paulo VI? por Mons. Klaus Gamber Director del Instituto Litúrgico de Ratisbona

 
OBRAS DE MONS. KLAUS GAMBER SOBRE LA MISA
Mons. Klaus Gamber (1919-1987), liturgista alemán


En el articulo “Cuatrocientos años de Misa Tridentina”, publicado en diversas revistas religiosas, el profesor Rennings se aplico a presentar el nuevo misal, o sea el Ritus Modernus , como derivación natural y legitima de la liturgia romana. Según dicho profesor, no habría existido una Misa San Pío V sino únicamente por ciento treinta y cuatro años, es decir, de 1570 a 1704, año en el cual apareció bajo las modificaciones deseadas por el Romano Pontífice de entonces. Continuando con tal modo de proceder, Paulo VI, según Rennings, habría a su vez reformado el Missale romanum para permitir a los fieles entrever algo más de la inconcebible grandeza del don que en la Eucaristía el Señor ha hecho a su Iglesia.
En su articulo, Rennings se hace fuerte sobre un punto débil de los tradicionalistas: la expresión Misa Tridentina o Missa sancti Pii V . Propiamente hablando una Misa Tridentina o de San Pío V no existió nunca, ya que, siguiendo las instancias del Concilio de Trento, no fue formado un Novus Ordo Missae , dado que el Missale sancti Pii V no es más que el Misal de la Curia Romana, que se fue formando en Roma muchos siglos antes, y difundido especialmente por los franciscanos en numerosas regiones de Occidente. Las modificaciones efectuadas por San Pío V son tan pequeñas, que son perceptibles tan sólo por el ojo de los especialistas. Leer más…

http://www.tradicioncatolica.net/tag/mons-klaus-gamber/

Osservazioni critiche sul nuovo ordinamento delle lezioni nella messa di mons. Klaus Gamber


Le pagine che seguono sono state pubblicate in italiano oltre vent'anni orsono nel quaderno "Documento 10" di Una Voce Italia, Klaus Gamber, La riforma della liturgia romana. Cenni storici. Problematica (titolo originale: Die Reform der römischen Liturgie. Vorgeschichte und Problematik, pro manuscripto, 1979). Di recente l'opera è uscita presso l'abbazia del Barroux (La réforme liturgique en question, trad. francese S. Wallon, Éd. Sainte-Madeleine, 1992, ISBN: 2-906972-08-8), e ha suscitato grande interesse in tutto il mondo (trad. inglese: The Reform of the Roman Liturgy: Its Problems and Background. Paperback. Foundation for Catholic Reform, Harrison, NY, 1993). L'edizione francese reca le prefazioni di vari cardinali, tra cui quella del card. Joseph Ratzinger il quale afferma tra l'altro: "Quanto è avvenuto dopo il Concilio significa una cosa ben diversa: al posto della liturgia frutto di un continuo sviluppo è stata messa una liturgia fabbricata… prodotto banale dell'istante. … Gamber, con la vigilanza di un autentico veggente e il coraggio di un vero testimone, si è opposto a tale falsificazione e ci ha insegnato instancabilmente la pienezza vivente di una liturgia vera, grazie alla sua conoscenza incredibilmente ricca delle fonti" (Ratzinger, Klaus Gamber. L'intrépidité d'un vrai témoin, in La reforme, cit., p. 8). La lettura del testo di mons. Gamber è la maggiore conferma che questa è una parola di verità.
______________________



Alcuni anni fa, un gruppo di riformatori liturgici ha preparato un nuovo Lezionario per la messa e ha saputo farlo rendere obbligatorio dall'autorità ecclesiastica. Questo lavoro di alcuni innovatori ha preso il posto di un ordinamento che vigeva da più di mille anni nella Chiesa romana, e di conseguenza lo ha eliminato.
Era di per sé positivo il fatto che le pericopi del Missale Romanum tridentino venissero arricchite da ulteriori letture. È noto, del resto, che già al tempo dell'Epistolario di san Girolamo, e ancor prima, il rito romano disponeva di una scelta di letture alternative. Talune di queste pericopi aggiuntive, ad esempio alcune per i mercoledì e venerdì per annum, si erano conservate soprattutto nei paesi di lingua tedesca e nel patriarcato di Aquileia fino ai messali a stampa di epoca pretridentina.
Dal punto di vista del rito romano tradizionale, quindi, non vi sarebbe stato nulla da eccepire sul fatto che anche per i giorni feriali si approntassero letture proprie e per le domeniche si stabilissero cicli di letture aggiuntive. È noto che le pericopi domenicali vennero fissate in epoca relativamente tarda, come mostra le lista delle epistole conservata a Würzburg, la quale risale al secolo VIII.
A parte il fatto che il nuovo Lezionario ha eliminato il precedente, e che è stata così interrotta bruscamente un'antichissima tradizione, il liturgista è costretto a rilevare che, nella scelta delle nuove pericopi, sono stati determinanti alcuni opinabili criteri di natura esegetica, mentre sono stati troppo poco rispettati quei criteri liturgici in base ai quali erano sempre stati scelti nella Chiesa i brani per le letture. Lo Stonner parla persino di occasionali "modificazioni poetiche che il testo biblico può subire nella liturgia". Decisive sovente erano le parole con cui un brano cominciava e quelle con cui finiva, poiché l'incipit e la conclusione di una pericope hanno grande importanza. Inammissibile dovrebbe pertanto essere giudicata la chiusa "Allora si aprirono loro gli occhi ed essi si accorsero di essere nudi", come oggi si può udire in una delle letture della Prima Domenica di Quaresima (anno A), soprattutto se si consideri che, subito dopo, il popolo deve dire "Rendiamo grazie a Dio".
Un tempo, nella scelta dei brani del Vangelo si aveva cura di badare che in essi non mancasse mai il nesso con la celebrazione del mistero eucaristico - come Pius Parsch sottolinea continuamente nel suo Anno della salvezza. Nell'introduzione egli scrive: "Nel Vangelo il Cristo si manifesta e ci parla. Ravvisiamo nel Vangelo non tanto un insegnamento, quanto una epifania (manifestazione) del Cristo. Così il Vangelo perlopiù indica l'azione principale della celebrazione del mistero".
Il nuovo Lezionario, invece, serve - coerentemente con lo spirito che informa il culto protestante - in primo luogo all'ammaestramento e alla "edificazione" dell'assemblea. Il Novus Ordo, evidentemente, è stato preparato da esegeti, non da liturgisti. Gli esegeti non hanno però pensato al fatto che la maggior parte dei fedeli non è in grado di comprendere tanti brani veterotestamentari perché non ha praticamente alcuna conoscenza della storia della salvezza precedente la venuta del Cristo, e che pertanto il Pentateuco o il Libro dei Re a loro dice ben poco. Per lo stesso motivo il popolo non afferra, lascia scorrer via anche la maggior parte delle nuove letture tratte dall'Antico Testamento.
Gli studiosi della liturgia conoscono (o si suppone che dovrebbero conoscere) i vari lezionari che sono o sono stati in uso nella Chiesa orientale e in quella occidentale. Dovrebbero sapere in base a quali leggi si scelgono le pericopi. Stupisce assai che abbiano trascurato quasi del tutto gli antichi lezionari, alcuni dei quali risalgono ai secoli IV e V. Quale dovizia di ispirazione vi avrebbero trovato! Ma pare piuttosto che consapevolmente abbiano voluto rinnegare la tradizione.
Al secolo V risale la parte più antica del Grande lezionario della Chiesa di Gerusalemme, tramandatoci da manoscritti georgiani. Tutti i segni di un'alta antichità reca la lista copta dei Vangeli; purtroppo non è stata ancora studiata tutta una serie di antichi lezionari provenienti dall'Egitto. Del più antico ordinamento siriaco di pericopi ha trattato il Baumstark. Quanto all'Occidente, sono da ricordare - tra le testimonianze più antiche - la lista dei Vangeli di Aquileia, e l'antico lezionario campano tramandatoci dal famoso Codice Fuldense (lista di Epistole) e in molti evangeli anglosassoni (lista dei vangeli); infine, una liste di epistole che nella sua forma originaria risale a san Pier Crisologo (morto nel 450). Alquanto più recenti sono i lezionari tramandatici nelle antiche chiese ambrosiana, gallicana e mozarabica.
Quanto alla Chiesa romana, molto probabilmente già san Girolamo (morto nel 419/420) approntò un libro di epistole, il Liber comitis, documentato per la prima volta nel 471. Esso potrebbe essersi tramandato, in forma appena modificata, nella già ricordata lista delle epistole di Würzburg, e costituisce il fondamento delle pericopi non evangeliche del Missale Romanum insieme con la antica lista romana dei vangeli (Capitulare evangeliorum), che però era più ricca di quanto sarebbe risultata nel messale posteriore.
Come nelle altre riforme liturgiche postconciliari, anche nella preparazione dei nuovi lezionari è stata interrotta un'antichissima tradizione (in parte di 1550 anni), senza sostituirla con nulla di migliore. Anche dal punto di vista pastorale, sarebbe stato più prudente conservare l'antico ordinamento del Missale Romanum e, nel quadro di una riforma, consentire la scelta di altre letture ad libitum.
Questa sarebbe stata una vera riforma, ossia un vero ritorno alla forma originaria, e non sarebbe andata distrutta una ricchezza accumulata nei secoli. Così invece si è abbandonata la tradizione della Chiesa sia occidentale che orientale, e si è imboccata la pericolosa via dello sperimentalismo precludendo la possibilità di ritornare in un qualunque momento, senza difficoltà, al passato.
Perché meravigliarsi, dunque, se parroci "progressisti" tralignano e, in luogo delle letture bibliche della messa, fanno leggere brani di Marx o Mao, o addirittura brani di giornale? Distruggere tutta un'antica compagine è relativamente facile: cosa ardua crearne una nuova.
da Klaus Gamber, La riforma della liturgia romana. Cenni storici. Problematica, trad. it., "Documento 10" (suppl. a "Una Voce Notiziario" n° 53-54, 1980), Roma, 1980, pp. 49-52


Sacerdozio della donna?
 Di Mons. Klaus Gamber 
http://www.unavoce-ve.it/gamber.htm#pub

# Frutos del motu proprio Summorum Pontificum y sua... # No último dia 29 de junho, solenidade dos Santos A... # HOY ES LA FESTIVIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS...

06/26 - 07/03 (39)

sexta-feira, 1 de julho de 2011

Frutos del motu proprio Summorum Pontificum y sua difusión en la Iglesia





Su Eminencia el Cardenal don Darío Castrillón Hoyos, Presidente Emérito de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, realizó ordenaciones al sacerdocio y diaconado, con la Forma Extraordinaria del Rito Romano, el pasado 25 de junio en la Parroquia de San Eloy, en Burdeos, Francia, para el Instituto del Buen Pastor. 

Nowy Ruch Liturgiczny

Una Voce Córdoba

Confirmaciones con la Forma Extraordinaria

Varios obispos han realizado recientemente confirmaciones con la Forma Extraordinaria del Rito Romano. Un ejemplo más de la expansión de la liturgia tradicional, y de la aceptación de los obispos del motu proprio “Summorum Pontificum”.

En Bruselas, Bélgica, las confirmaciones han sido realizadas por Monseñor Berloco, Nuncio de Su Santidad en Bélgica. Quien, a continuación, ofició la Santa Misa tradicional.


En Limoges, Francia, fue el propio Obispo de la diócesis, Monseñor Kalist, quien confirió el sacramento de la Confirmación. Asistiendo posteriormente en el Trono a la Santa Misa con el Misal del Beato Juan XXIII. En ambos casos se trata de apostolados del Instituto de Cristo Rey Sumo Sacerdote.

El pasado 29 de junio, Solemnidad de los Santos Pedro y Pablo, se ofició la Santa Misa con la Forma Extraordinaria del Rito Romano en la Parroquia de los Santos Mártires Ciriaco y Paula, en Málaga, España. Fue oficiada por el párroco, reverendo don Federico Cortés Jiménez y asistieron más de cincuenta personas.





Santa Misa con la Forma Extraordinaria del Rito Romano, celebrada el pasado 23 de junio en la iglesia de Nuestra Señora del Santísimo Rosario, en Santa Fe, Argentina.
Una Voce El Litoral

  En CORDOBA, España, el próximo día 3 de julio se celebrará la Santa Misa tradicional, a las 10 de la mañana, en la iglesia de San Pedro de Alcántara.


En MURCIA, España, la Misa dominical con la Forma Extraordinaria del Rito Romano, en la Parroquia de San Bartolomé, se celebrará a las 12,30 horas, hasta el 11 de septiembre, inclusive.

Varias fotografías de la Santa Misa con la Forma Extraordinaria del Rito Romano:

Misa tradicional en Gran Canaria, España, que se ha incorporado a las ciudades españolas acogidas a los efectos del motu proprio "Summorum Pontificum". Se oficia la Santa Misa tradicional todos los domingos, a las 11,30 horas, en la Ermita de San Antonio Abad.
Misa Gregoriana Gran Canaria

En la Universidad Estatal de Río de Janeiro, en Brasil, oficiada por el padre José Edilson, de la Administración Apostólica de San Juan María Vianney.

En la iglesia del Sagrado Corazón, en Tolentino, Italia, oficiada por el párroco, don Andrea Leonesi, en la fiesta de los Santos Pedro y Pablo. Se trata de la primera Misa tradicional oficiada por este sacerdote.
Messa in Latino

En Stiatico, Italia, con motivo del 25º aniversario de la ordenación sacerdotal de don Alfredo M. Morselli.
Messa in Latino

El domingo de Pentecostés, en la iglesia Mater Ecclesiae, en Berlin, New Jersey, EE.UU.
Mater Ecclesiae

Corpus Christi en Brasil






Nuestros amigos de Brasil nos han enviado estas fotografías de la Santa Misa con la Forma Extraordinaria del Rito Romano, en la pasada Solemnidad del Corpus Christi. Se trata de la Parroquia de Nuestra Señora del Perpetuo Socorro y San Judas Tadeo, en Nova Iguaçu, RJ, Brasil (la dirección es Taubate 12, Rodilândia).
La Misa fue celebrada por el reverendo don José Edilson Lima, de la Administración Apostólica de San Juan María Vianney, y que está al frente de la parroquia desde el año 1985.
http://unavocemalaga.creeblog.com/

No último dia 29 de junho, solenidade dos Santos Apóstolos Pedro e Paulo e também aniversário de 60 anos de sacerdócio de Sua Santidade, Monsenhor Afonso de Galarreta presentou a Santa Igreja com a ordenação de 15 diáconos e 13 padres no Seminário São Pio X de Ecône-Suiça.

Dentre os diáconos dez são membros da FSSPX, um é beneditino, três são frades capuchinhos e um é membro da Fraternidade da Transfiguração. Dentre os sacerdotes ordenados, doze são da própria FSSPX e um deles é dominicano.
Segue fotos da bela celebração:










Rezemos pela fidelidade destes sacerdotes e diáconos!!!
 
http://extraecclesiamsalusnulla.blogspot.com/

HOY ES LA FESTIVIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS


Ábreme, oh Jesús, tu Sagrado Corazón.
Muéstrame sus encantos.
Úneme a Él para siempre.
Que todas las respiraciones y palpitaciones de mi corazón, aun cuando esté durmiendo, te sirvan de testimonio de mi amor y te digan sin cesar: Señor, te amo.
Recibe el poco bien que hago, dame tu gracia para reparar el mal que he hecho y para que te ame en el tiempo y te alabe por toda la eternidad. Amén.
Beato Pío IX 
http://benedicamus-domino.blogspot.com/

El sagrado corazon de Jesus

Una de las primeras Misticas quien recibio las revelaciones del Sagrado Corazon de Jesus es Santa Gertrudis,fue la primera en propagar esta devocion y la de San Jose.Nace en Eisleben (Alemania) en el año 1256.A los 5 años fue llevada al convento de unas monjitas muy fervorosas y allí demostró tener cualidades excepcionales para el estudio. Sobresalía entre todas por la facilidad con la que aprendía la literatura y las ciencias naturales, y por su modo tan elegante de emplear el idioma. Y tenía la fortuna de que la superiora del convento era su tía Santa Matilde, otra gran mística, que frecuentemente recibía mensajes de Dios.
Hasta los 25 años Gertrudis fue una monjita como las demás, dedicada a la oración, a los trabajos manuales y a la meditación. Solamente que sentía una inclinación sumamente grande por los estudios, aunque era a los estudios mundanos de literatura, historia, idiomas y ciencias naturales. Pero en esa edad recibió la primera de las revelaciones que la hicieron famosa, y desde aquel día su vida se transformó por completo.
Así lo narra ella misma: "Estaba yo en un rincón de la capilla donde acostumbraba hacer mis tibias oraciones, cuando se me apareció Nuestro Señor y me dijo: - Hasta ahora te has dedicado a comer polvo como los que no tienen fe. De allí has tratado de extraer miel y sólo has encontrado espinas. Desde ahora dedícate a meditar en mis mensajes y ahí sí encontrarás el verdadero maná que te alimentará y te dará la fortaleza y la paz".
Desde esa fecha, Gertrudis que antes se había dedicado a lecturas mundanas, cambió por completo su preferencia en cuanto a lo que leía y dedicó todos sus tiempos libres a leer la S. Biblia, y los escritos de los santos padres, especialmente San Agustín y San Bernardo. Ella dice: "cambié el estudio de ciencias naturales y literatura, por el de la teología y la Sagrada Escritura". Y en sus escritos se notará en adelante que su ciencia la ha ido a beber (después de las revelaciones que Dios le hizo) en los libros sagrados de la Biblia y de los santos.
Su amistad con Santa Matilde. Esta otra gran santa era 15 años mayor que Santa Gertrudis y le contaba las revelaciones que ella había recibido también. Dice Gertrudis que un día Jesús acercó totalmente el corazón de Matilde a su Sagrado Corazón, y que desde esa fecha aquella santa quedó totalmente enamorada de Cristo.

Cuando le fue anunciado que se acercaba su muerte exclamó: "Esta es la más dulce de las alegrías, la que más había deseado, porque voy a encontrarme con Cristo". Y dictó sus últimos pensamientos acerca de la muerte, que son de lo más sublime que se haya escrito.
Murió el 17 de noviembre del año 1302

Gracias Señor por relagarnos estas bendiciones del cielo,Hoy en tu fiesta queremos recordar la aparicion de tu sagrado corazon en la tierra y adornarte con flores tu corazon
http://emilyteayudaonline.blogspot.com/

Intimidad Divina P. Gabriel de Sta. M. Magdalena, O.C.D.


FIESTA DEL SAGRADO CORAZON DE JESUS
VIERNES DE LA II SEMANA DESPUES DE PENTECOSTES
Presencia de Dios.— ¡Oh Jesús! Concédeme
penetrar los secretos escondidos
en tu divino Corazón.
PUNTO PRIMERO.— Después de haber fijado nuestra mirada en la Eucaristía, don que corona todos los dones del Corazón de Jesús a los hombres, la Iglesia nos invita a considerar directamente el amor del Corazón de Cristo, fuente y motivo de todo don. Se puede decir que la fiesta del Corazón de Cristo es la fiesta de su amor hacia nosotros. «He aquí el Corazón que tanto ha amado a los hombres», nos repite hoy la Iglesia, mostrándonos que precisamente «en el Corazón de Cristo herido por nuestros pecados, Dios se ha dignado misericordiosamente darnos infinitos tesoros de amor» (la colecta). Inspirándose en este pensamiento, la liturgia de hoy viene a ser una reseña de los inmensos beneficios que se nos derivan del amor de Cristo y un himno de alabanza a su amor de Cristo y un himno de alabanza a su amor. «Cogitationes Cordis ejsus» — canta el Introito de la Misa— :«Los designios de su Corazón —del Corazón de Jesús— permanecen de generación en generación; [consisten] en arrebatar las almas a la muerte y alimentarlas en tiempo de carestía». El Corazón de Jesús anda siempre en busca de almas que salvar, que soltar de los lazos del pecado, que lavar con su Sangre y que alimentar con su Cuerpo; el Corazón de Jesús está siempre vivo en la Eucaristía, para saciar el hambre de los que le ansían, para acoger y consolar a cuantos, chasqueados por las amarguras de la vida, se refugian en El en busca de paz y alivio. Y Jesús mismo nos sostiene en las asperezas del camino: «Cargad sobre vosotros mi yugo y aprended de Mi, que soy manso y humilde de corazón, y hallareis descanso para vuestras almas» (Verso del Alleluia). Si es imposible eliminar el dolor de la vida, es en cambio posible a quien vive por Jesús sufrir en paz y encontrar en su Corazón el reposo del alma cansada.
"¡Oh Jesús! Por divina disposición fue permitido que uno de los soldados te abriese y atravesase el costado. Con la Sangre y el agua que brotaron de el, venia a derramarse el precio de nuestra salud que, saliendo de la fuente escondida de tu Corazón, diese a los Sacramentos la virtud d conferir la vida de la gracia y fuese, para los que en ti viven, la taza de la fuente viva que salta hasta la vida eterna. Levántate, pues, alma mía, no dejes de velar; arrima aquí tu boca, para sacara el agua y beber en la fuente del salvador" (San Buenaventura).
PUNTO SEGUNDO.— El evangelio y la Epístola nos llevan mas directamente aun a la consideración del Corazón de Jesús. El Evangelio (Jn. 19,31-37) nos muestra su Corazón descubierto por la herida de la lanza: «uno de los soldados le abrió el costado con la lanza»; y San Agustín comenta: «El Evangelista dijo abrió para mostrarnos que en cierto modo allí se nos abre la puerta de la vida, de donde han brotado los Sacramentos». Del Corazón traspasado de Cristo—símbolo del amor que le ha inmolado por nosotros en la Cruz— han brotado los Sacramentos, figurados en el agua y la sangre salidos de su herida y precisamente mediante estos Sacramentos, figurados en el agua y la sangre salidos de su herida, y precisamente mediante estos sacramentos recibimos nosotros la vida de la gracia; si, es exactísimo decir que el Corazón de Jesús ha sido abierto para introducirnos en la vida. «Angosta es la puerta que conduce a la vida» (Mt. 7,14), dijo un día Jesús; mas si por esta puerta entendemos la herida de su Corazón, cabe decir que no podía abrirnos una puerta más acogedora.
Pero san Pablo, en su bellísima Epístola (Ef. 3,8-19), nos invita a entrar más adentro aun en el Corazón de Jesús para contemplar sus «incalculables riquezas» y penetrar «el misterio oculto desde los siglos en Dios». Este «misterio» es precisamente el misterio del amor infinito de Dios, que nos ha prevenido desde la eternidad y que nos ha sido revelado por el Verbo hecho carne; es el misterio de aquel amor que nos ha querido redimir y santificar en Cristo, «en el cual tenemos franco acceso a Dios» Una vez mas Jesús se nos presenta como la puerta que conduce a la salvación: «Yo soy la puerta. Quien entre por Mí se salvara» (Jn. 10,9); y la puerta es su Corazón, que rasgándose por nosotros, nos ha introducido en la vida. Solo el amor nos puede permitir penetrar este misterio de amor infinito pero no basta un amor cualquiera, es menester —como dice San Pablo— estar «arraigados y fundados en amor»; solo así podremos «conocer el amor de Cristo, que supera todo ciencia, para que seamos llenos de toda la plenitud de Dios».
“¡Oh Jesús! Ahora que ya he entrado en tu dulcísimo Corazón —y bueno es estarnos aquí— no queremos dejarnos fácilmente separar de ti. ¡Oh Cuán bueno y dulce es habitar en tu Corazón! Tu Corazón ¡Oh buen Jesús!. Es el rico tesoro, la perla preciosa que hemos descubierto en el campo excavado de tu Cuerpo. ¿Quién arrojará esta perla? Más bien, tiraré todas las perlas del mundo, daré a cambio todos mis pensamientos y afectos y me la comprare; arrojare toda mi solicitud en tu Corazón, ¡oh buen Jesús! Y ciertamente El me saciara. Yo he encontrado tu Corazón, ¡Oh Señor!, tu Corazón, ¡Oh Jesús benignísimo!, Corazón de rey, Corazón de hermano, Corazón de amigo. Escondido en tu Corazón. ¿no orare yo? Si, orare. Ya tu Corazón es mi corazón lo digo sin rebozos. Pues si Tú, ¡Oh Jesús! , eres mi Cabeza, ¿Cómo no se habrá de decir mío lo que es tuyo? ¿No es verdad que los ojos de mi cabeza son míos? Así, pues, el Corazón de mi Cabeza espiritual es mi corazón. ¡Qué alegría! Mira: Tú y yo tenemos un solo corazón. Entretanto, habiendo encontrado de nuevo, ¡Oh Jesús dulcísimo!, este Corazón divino que es tuyo y es mío, orare a ti. Dios mío: acoge en el sagrario de tus audiencias mis oraciones, mejor aun atráeme enteramente a tu Corazón” (San Buenaventura).
http://proconversioneinfidelium.blogspot.com/

quinta-feira, 30 de junho de 2011

La (prima) Messa in Rito Antico di don Andrea Leonesi a Tolentino (MC)








Ieri, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, e 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del nostro amatissimo Papa Benedetto XVI, a Tolentino nella Chiesa del Sacro Cuore e San Benedetto da Norcia il Parroco don Andrea Leonesi ( 40 anni, ordinato nel 1999) ha celebrato la sua prima Messa nell’antico rito romano, in terzo, con la collaborazione dei PP Francescani dell’Immacolata di Campocavallo : Padre Gaetano ( 30 anni) Diacono e Fra’ Leo ( 25 anni) Suddiacono.
Il servizio liturgico è stato svolto dai ragazzi dei gruppi stabili di Silvi, Campocavallo, Potenza Picena e da alcuni giovani della Confraternita locale detta dei “sacconi”.
L’età dei chierici sottolinea ancora una volta che sono i giovani sacerdoti ad essere i più docili ed attenti esecutori del Motu Proprio “Summorum Pontificum”.
Esemplare l’omelia del parroco don Andrea che è approdato alla conoscenza della Liturgia antica in maniera semplice e lineare : “ E' un dovere obbedire al Papa : per questo dopo la pubblicazione del Motu Proprio ho desiderato conoscere questa liturgia che mi è era completamente sconosciuta. Se il Papa ha voluto fare questo dono alla Chiesa ci sarà stato un motivo”.

http://blog.messainlatino.it/