quinta-feira, 18 de novembro de 2010

I lefebvriani a convegno a Rimini: In una delle sue ultime interviste mons. Bernard Fellay, superiore generale della FSSPX, annoverava l'Italia fra i paesi in cui la congregazione fondata da mons Marcel Lefebvre stava maggiormente espandendosi. Questa sensazione è emersa chiaramente nel XVIII Convegno di studi cattolici che, come ogni anno, i lefebvriani celebrano a Rimini alla fine di ottobre. L'ampia partecipazione di pubblico, l'autorevolezza dei relatori, il livello di alcune nuove pubblicazioni presentate e, soprattutto, l'indubbio carisma del Superiore generale, hanno contribuito non poco ad ingenerare una sensazione di forza crescente del cattolicesimo tradizionalista italiano che si riconosce nelle posizioni della Fraternità.

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Bisogna ben riconoscere che in questi tempi i superiori della Fraternità S. Pio X non si fanno pregare a rilasciare interviste e dichiarazioni sui rapporti con Roma. E non sono parole di circostanze, ma vere e proprie rivelazioni sui retroscena dei colloqui vaticani. Dopo l'intervista riportata ieri, ecco un resoconto (per il quale ringraziamo Marco Bongi che ce l'ha inviata) del convegno tenuto a Rimini negli scorsi giorni.


I lavori veri e propri, dopo l'excursus storico, della serata di venerdì 22 ottobre, sono iniziati con una relazione introduttiva del Superiore del distretto italiano don Davide Pagliarani. L'argomento trattato è stato quello, assai dibattuto, della cosiddetta "ermeneutica della continuità" nell'interpretazione del Concilio Vaticano II.

Tutto il lungo ed articolato intervento si è incentrato sull'esposizione e sulla dimostrazione di una tesi ben precisa: la tematica relativa all'ermeneutica della continuità, sebbene sorta probabilmente, nelle intenzioni di Benedetto XVI, con lo scopo di salvare in qualche modo il Concilio, contiene già "in nuce" il sostanziale fallimento del medesimo.

Questa idea di base è stata quindi sviscerata sotto vari punti di vista:

1 - Se lo scopo principale del CVII era quello di spiegare meglio i dogmi della fede all'uomo contemporaneo e poi, per almeno quarant'anni dopo la sua celebrazione, non si è ancora giunti ad una interpretazione univoca dei testi, risulta evidente che, almeno sul piano della comunicazione, il Concilio è stato un fallimento.

2 - Chi, per contestare questa ovvia considerazione, porta gli esempi della lenta applicazione di alcuni altri concili come quelli di Nicea e Trento, sbaglia sul piano storico. Quei concili vennero recepiti con ritardo perchè vi erano opposizioni alla loro applicazione, non perchè vi fosse una difficoltà di interpretazione dei testi.

3 - Ammettendo pure che ci fossero problemi interpretativi sui testi conciliari. A chi spetterebbe l'interpretazione autentica di tali testi? Non certo ai teologi o ai Vescovi ma all'Autorità Suprema che li ha emanati, cioè al Papa E quale è stata tale interpretazione prima di Benedetto XVI? Certamente quella della rottura. Basta esaminare alcuni importanti atti magisteriali in proposito: ad es. la riforma liturgica sottende una ermeneutica della continuità? I raduni di Assisi possono essere inseriti in un concetto di "ecumenismo" fatto proprio dalla Dottrina Cattolica precedente al CVII? E', in altre parole, incontrovertibile che l'ermeneutica della rottura è stata fatta propria, almeno in passato, da numerosi documenti del Magistero Pontificio.

4 - Una ermeneutica della continuità dovrebbe presupporre anche una continuità nel tipo di linguaggio. Ora noi possiamo ben vedere che, mentre le definizioni dei Concili del passato, conservano ancor oggi la chiarezza sempre attuale delle definizioni, il linguaggio del CVII appare già oggi vecchio, legato alla mentalità dell'uomo degli anni '60, e profondamente diverso da quello di oggi. Bisognerebbe allora, come vorrebbe il card. Martini, fare un Concilio per ogni generazione umana?

5 - Poiché le espressioni del CVII non sono di tipo definitorio, diventa difficile anche analizzarle secondo i criteri ermeneutici tradizionali. Spesso in una stessa frase, o poche righe sotto, si trovano espressioni perfettamente ortodosse accanto ad altre palesemente e volutamente ambigue. Se non si giunge prima a formulare i documenti conciliari secondo i canoni classici della definizione, diventa impossibile applicare le regole interpretative utilizzate sempre dalla Chiesa.

Queste tematiche sono state riprese subito dopo da Alessandro Gnocchi, noto giornalista e saggista cattolico. Egli si è soffermato ad esaminare alcuni aspetti del Pontificato benedettiano che, sia pur in sordina, stanno profondamente disorientando alcune categorie di "cattolici" allineati. Gli atti del papa che possiamo definire "conformistici" allo stile precedente non sono quelli che rimarranno nella storia: fra poco nessuno si ricorderà delle visite alle moschee o ai templi luterani. Fanno invece scalpore il "Summorum Pontificum", la revoca delle scomuniche, l'apertura dei colloqui teologici con la FSSPX, la lettera ai Vescovi dopo il clamore di tale revoca, e, in ambito diverso, il discorso di Ratisbona e l'anno sacerdotale.

L'apertura di credito nei confronti della FSSPX, secondo Gnocchi, ha spiazzato profondamente alcune categorie di cattolici che si erano ben inserite nel clima culturale del papato precedente. Egli ha definito tali personaggi i "conservator cortesi", o "uomini cavillo", quelli cioè - ed ognuno è stato invitato a formulare dentro di sé nomi e sigle - che si erano abituati a dover scegliere sempre "un male minore", che riuscivano sempre a trovare una riga o una virgola in ogni documento delle Conferenze Episcopali che potesse confortare la loro coscienza di sedicenti buoni cattolici.

Chi, in altre parole, si credeva già ben assestato all'estrema destra del "conciliarmente corretto", oggi si vede scavalcato e la cosa gli dà estremamente fastidio.

Il primo passo in vista della restaurazione, sempre secondo Alessandro Gnocchi, dovrà essere necessariamente quello di far chiarezza sul passato. Sapere cosa sia realmente avvenuto al Concilio, nella sua preparazione, e negli anni successivi. Sarà inoltre importante trovare personaggi, esterni al mondo tradizionalista, che possano corroborare le nostre posizioni. Quanto ad esempio ha scritto mons. Brunero Gherardini, assume una importanza assai maggiore di quanta ne avrebbe se le medesime idee fossero esposte da uno della Fraternità.

Fra l'altro, nel corso del convegno, è stato anche presentato il nuovo volume di Alessandro Gnocchi intitolato: "L'ultima Messa di Padre Pio". In esso si racconta del profondo attaccamento del santo alla Liturgia di sempre.

Dopo Gnocchi è stata la volta del prof. Corrado Gnerre, apologeta campano, vicino ai Francescani dell'Immacolata. La sua relazione, dal titolo significativo "Dio è Cattolico" si è sviluppata lungo i canoni del confronto classico fra la nostra vera religione ed il concetto della Divinità fatto proprio dall'Islam, dalle religioni orientali e dal protestantesimo.

Altro momento forte della manifestazione si è avuto nel primo pomeriggio con l'intervento di Cristina Siccardi, anch'essa giornalista e scrittrice recentemente avvicinatasi alla FSSPX. Il suo libro dedicato a mons. Marcel Lefebvre, edito da SUGARCO, ha infatti suscitato numerosi commenti favorevoli e contrari nel mondo cattolico. Sta di fatto che a lei va indubbiamente il merito di aver scritto la prima biografia italiana del grande Vescovo transalpino.

La Siccardi ha raccontato, con lo stile semplice e colloquiale che la contraddistingue, il suo incontro con la figura di Lefebvre. Arrivò infatti a lui quasi per caso durante le ricerche intraprese in vista della pubblicazione di una biografia di Paolo VI. La incuriosiva l'importanza che Montini attribuiva alla vicenda di Econe, a fronte della relativa inconsistenza numerica del fenomeno.

Volle così approfondire il tema e conobbe colui che, ad onta delle fuorvianti presentazioni dei media, le apparve subito come un gigante della Chiesa contemporanea.

Oggi poi, a dispetto del lungo silenzio editoriale, sembra che il presule francese incominci davvero ad interessare i lettori italiani. Dopo il libro di Cristina Siccardi, sempre nell'ambito del Convegno di Rimini, è stato presentato un nuovo lavoro, ancora fresco di stampa, sempre edito da SUGARCO. Si tratta di una antologia di scritti inediti intitolata assai significativamente: "Vi trasmetto quello che ho ricevuto". Si è saputo inoltre che sarebbero in preparazione nuovi volumi sempre dedicati a mons. Marcel Lefebvre.

Il convegno è stato quindi chiuso da una lunga intervista a mons. Bernard Fellay, raccolta da Alessandro Gnocchi. Il Superiore Generale della FSSPX si è soffermato ad illustrare la diffusione della congregazione religiosa nel mondo.

Per quanto riguarda i rapporti con Roma egli ha rinnovato l'immagine, più volte già illustrata, delle due onde. L'onda dell'autodemolizione continua ma, da quando è stato eletto Benedetto XVI, un'onda, purtroppo ancora piccola, tenta di farsi largo in senso contrario.

Il problema più grande, ha confessato il presule, è che quando si parla con le autorità romane, non si sa mai se l'interlocutore è affidabile o meno. All'interno della Curia è in corso uno scontro senza precedenti.

Mons Fellay ha portato in merito alcuni esempi: un convento trappista tedesco aveva scritto al Papa per chiedere l'autorizzazione al ritorno all'Antica Liturgia e all'antica Regola. Benedetto XVI accolse benevolmente la richiesta ma la lettera di autorizzazione non giunse mai ai destinatari. Quando un altro latore della richiesta si presentò nuovamente al cospetto del Pontefice questi rimase stupito del mancato inoltro precedente.

Casi come questo, secondo il Superiore della FSSPX, sarebbero assai frequenti.

Egli ha raccontato inoltre, in tal senso, anche l'episodio delle ordinazioni al suddiaconato del 2009 che furono spostate eccezionalmente ad Econe dalla Germania. I Vescovi tedeschi erano riusciti ad ottenere un pronunciamento della Segreteria di Stato che subordinava l'autorizzazione alle ordinazioni all'accettazione integrale del CVII. Con una telefonata però il card. Castrillòn Hoyos assicurò mons. Fellay che quello non era il pensiero del Papa.

"A chi dovremmo credere allora?" - ha concluso mons. Fellay - "Ai documenti ufficiali o a una telefonata di un cardinale?".

Il Vescovo ha infine commentato la conferenza di mons. Guido Pozzo effettuata in occasione delle ordinazioni sacerdotali della Fraternità San Pietro.

Egli ha giudicato "interessanti" talune dichiarazioni laddove ad esempio ammettono che l'ermeneutica della rottura si era già messa in azione all'interno del Concilio e non soltanto dopo la sua conclusione. Si adombra altresì la possibilità di qualche correzione dei testi conciliari ma ciascuno di questi spunti resta solo un inizio di un lungo percorso.

Marco BONGI 
DE:http://blog.messainlatino.it/