Intrigo al Concilio Vaticano II di Rosa Alberoni è un’ottima chiave di lettura per comprendere lo scontro tra monsignor Manganini e il circolo culturale John Henry Newman.
Il fil rouge che si dipana nelle 190 pagine che compongono il libro dell’Alberoni può essere sintetizzato nello scontro avvenuto tra progressisti e tradizionalisti durante le sessioni del Concilio. I primi volevano rivoluzionare la Chiesa, sradicarla dalla Tradizione. I secondi, invece, volevano rinnovarla, là dove era necessario, seguendo la dottrina e gli insegnamenti di sempre. La protagonista del libro dell’Alberoni, Rachele Vidal, incontra Padre Robert, perito teologico ai tempi del Concilio. Il sacerdote racconta come venne a crearsi la contrapposizione tra tradizionalisti e progressisti. Da cosa derivava questa separazione? Dalla fedeltà al Pontefice e alla Chiesa di Roma. Il che non rappresenta niente di arcaico o di sentimentale, ma un attaccamento necessario per difendere la cattolicità della nostra fede. Basta – a tal proposito – notare come la Chiesa, grazie agli uomini che si sono succeduti sul trono di Pietro, abbia mantenuto salda la sua fede. Ciò nonostante i momenti di tempesta, anche quando hanno regnato in Vaticano uomini indegni. Le chiese protestanti, invece, si sono accasciate sotto il giogo del potente di turno. Per questo motivo esiste un’unica vera Chiesa fondata da Cristo e coloro che si separano dalla Madre o fanno ritorno ad Essa o sono destinati a perdersi. La disobbedienza, al tempo del Concilio, fu quindi la bandiera che i progressisti issarono al vento.
Nei giorni confusi ed agitati che hanno preceduto la conferenza dell’Abbè Herman a Seregno si è replicato lo stesso scontro tra progressisti e papisti descritto nel libro dell’Alberoni. La curia di Milano ha avuto modo di mettere in pratica la sua disobbedienza al Pontefice. Già nel 2007, non appena il Papa aveva pubblicato il motu proprio, il solito Manganini aveva annunciato – in un’intervista ad Andrea Tornielli – che: «in quei territori della diocesi di Milano che seguono il rito romano il Motu proprio si applicherà, anche se noi non abbiamo mai avuto contestazioni o particolari richieste di tradizionalisti. Per quanto riguarda invece le parrocchie di rito ambrosiano, che è un rito autonomo con un suo capo-rito nella persona dell’arcivescovo di Milano, non avendo riscontrato in questi anni particolari istanze, non riteniamo debbano rientrare nel Motu proprio. A Milano c’è fin dal 1988 una chiesa dove si celebra ogni domenica la liturgia antica, al Gentilino. E continuerà. Nel documento del Papa - conclude Manganini - si parla della necessità che vi sia un gruppo stabile, che segua davvero la spiritualità legata al messale antico. I fedeli del Gentilino non mi sembrano un gruppo stabile». Disobbedienza totale al Papa perché, del resto, la diocesi di Milano non sembra rientrare nell’orbe cattolico per il quale invece vale – senza se e senza ma – il motu proprio.
Nel recente commento di Andrea Tornielli sulla vicenda di Seregno, c’è un passaggio sul nostro monsignor Manganini che vale la pena di riprendere. Tempo fa l’arciprete del Duomo aveva rimproverato i fedeli perché, a suo parere, avrebbero idolatrato l’Eucarestia. Il verbo idolatrare è molto forte ed è utilizzato anche dal grande Domenico Giuliotti, scrittore toscano di inizio Novecento e abile conoscitore della nostra lingua. Scrive Giuliotti a proposito di Luis Veuillot, «gran difensore, per oltre cinquant’anni, del Cattolicismo», che «egli era infatti, pei cattolici sedotti dallo spirito della rivoluzione, un idolatra: vale a dire (e ciò rappresenta la sua massima gloria) un cattolico assolutamente fedele al Papa e, per conseguenza, un dichiarato nemico di tutti coloro che avrebbero preteso che il Vicario di Cristo, adattandosi ai tempi, fosse venuto più o meno a patti con l’errore. Egli stava, insomma, con la dottrina immutabile della Chiesa, riaffermata, con sempre maggior forza, contro il mondo moderno, in tutte le encicliche degli ultimi pontefici, mentre gli altri (i cattolici-liberali), secondo l’arguta frase d’una donna di spirito, “mescolando il petrolio con l’Acqua Benedetta, s’immaginavano di farne vino di Bordeaux”». Per i progressisti sono idolatri, per forza di cose, sia coloro che pregano con piena devozione l’Eucarestia sia coloro che servono devotamente il Pontefice. L’una cosa implica l’altra.
Noi, che siamo orgogliosi papisti abbiamo il compito di difendere questo Pontefice coraggioso. Un condottiero senza generali, ma circondato da semplici soldati che sono pronti a difenderlo.
Matteo Carnieletto