terça-feira, 13 de dezembro de 2011

Il Credo non è più sufficiente per essere riconosciuti come cattolici?

  I punti forti di Mons. Fellay


Articolo di Jean Madiran,
pubblicato sul n° 7492 di Present del 9 dicembre 2011



Senza pretendere di intervenire nei negoziati dottrinali fra la FSSPX e il cardinale Levada, né di commentarli, ci si può fermare ad alcune osservazioni generali sullo stato della Chiesa, espresse da Mons. Bernard Fellay nella sua importante intervista del 28 novembre scorso.

«La situazione presente della Chiesa, nei nostri paesi un tempo cristiani, è la caduta drammatica delle vocazioni: quattro ordinazioni a Parigi nel 2011, una sola nella diocesi di Roma per il 2011-2012»; «si tratta di diocesi esangui al punto che nel prossimo avvenire in Francia bisognerà raggrupparle come sono già state raggruppate le parrocchie… In una parola, la gerarchia ecclesiastica oggi è alla testa di strutture sovradimensionate per degli effettivi in calo costante».

Era stato annunciato che il Vaticano II avrebbe provocato una «primavera della Chiesa», una «nuova Pentecoste». Nei fatti incontestabili il Vaticano II è stato seguito dal contrario. È questa una realtà che troppo spesso si passa sotto silenzio. Se Mons. Fellay ne parla non gli si può dare torto.

La causa più generale di questo stato di cose, o quanto meno una delle cause, secondo Mons. Fellay è la «sterilità di 50 anni di apertura al mondo moderno», si è «aperta la Chiesa a questo mondo in piena secolarizzazione», come «se la Chiesa poteva adattarsi fino a questo punto alla modernità, senza adottarne lo spirito».

Considerando le «interpretazioni evolutive», cioè cangianti, che a Roma stessa sembra si danno alle novità sorte dal Vaticano II, la nuova libertà religiosa, il nuovo ecumenismo, la nuova collegialità, Mons. Fellay si appella alla «impossibilità di aderire in maniera stabile ad una dottrina in movimento». L’obiezione non è trascurabile.

In seguito ad un concilio che con dei decreti pastorali ha voluto stabilire degli obblighi dottrinali (pretendendo in particolare, per bocca dello stesso Paolo VI, di avere la «stessa autorità del concilio di Nicea»), la questione che si pone è di sapere se «Il Credo non è più sufficiente per essere riconosciuti come cattolici».

La domanda che pone Mons. Fellay, non è inventata da lui, essa in effetti si impone nella vita quotidiana, nel comportamento oggi abituale di una gran parte del clero e della sua gerarchia:
«Il Concilio Vaticano II … Non ha aggiunto agli articoli di fede: “credo nella libertà religiosa, nell’ecumenismo, nella collegialità…”. Si esige oggi che coloro che abbandonano i loro errori e si riuniscono alla Chiesa cattolica professino la loro fede nella libertà religiosa, nell’ecumenismo o nella collegialità?»
Io aggiungo volentieri: per essere riconosciuti cattolici, bisogna accettare la soppressione del «consustanziale» nel Credo? Occorre tacere sulla eliminazione del piccolo catechismo per i bambini battezzati?

Questi sono alcuni dei punti forti. Non si possono scartare con un gesto della mano. Così formulati, essi sono accessibili, senza titoli universitari, alla maggior parte dei preti e dei fedeli. Per di più, vi è un altro punto sul quale le affermazioni di Mons. Fellay lasciano nel lettore una certa perplessità. Egli sembra ritenere che negli ultimi due anni «la Fraternità San Pio X non è più la sola a vedere i problemi dottrinali posti dal Vaticano II». E sarebbe curioso sapere in che momento e in seguito a quale equivoco la FSSPX ha potuto sentirsi sola in merito a questi problemi dottrinali. «Da 40 anni», dice precisamente Mons. Fellay: cioè dunque dal 1971. Ora, i problemi dottrinali in questione sono stati pubblicamente sollevati prima dell’intervento pubblico della FSSPX. Basta citare un nome, che non è certo il solo, ma che è il più illustre, quello di uno dei quattro grandi tomisti di lingua francese del XX secolo, il nome di Marcel De Corte, per avere la prova che le difficoltà dottrinali indicate dai punti forti di Mons. Fellay sono stati esplicitamente posti sul tappeto fin dagli anni sessanta. Questo sta a dimostrare che la FSSPX non è stata la prima e nemmeno la sola. Il suo gran merito non sta in questo, sta nel fatto che essa ha dato una forte presenza sociologica, mediatica, liturgica, istituzionale, e anche episcopale, alle questioni, alle critiche, alle proteste, che altrimenti sarebbero probabilmente rimaste allo stato teorico. Il peso di una tale presenza infastidisce i settari democratici de La Croix, la cui malevolenza annovera la FSSPX tra i «gruppuscoli integralisti». Ma onestamente, nessuno può credere che la FSSPX sia un semplice «gruppuscolo».

tratto da: Una Vox