sábado, 6 de novembro de 2010

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

(6-7 NOVEMBRE 2010)

SANTA MESSA IN OCCASIONE
DELL'ANNO SANTO COMPOSTELANO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela
Sabato, 6 novembre 2010



Amatissimi fratelli in Gesù Cristo.


Rendo grazie a Dio per il dono di poter essere qui, in questa splendida piazza ricolma di arte, cultura e significato spirituale. In questo Anno Santo, giungo come pellegrino tra i pellegrini, accompagnando tanti che vengono fin qui assetati della fede in Cristo risorto. Fede annunciata e trasmessa fedelmente dagli Apostoli, come san Giacomo il Maggiore, che si venera a Compostela da tempo immemorabile.

Sono grato per le gentili parole di benvenuto di Monsignor Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di questa Chiesa particolare, e per la cortese presenza delle Loro Altezze Reali i Principi delle Asturie, dei Signori Cardinali, così come dei numerosi Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio. Il mio saluto cordiale giunga anche ai Parlamentari Europei, membri dell’intergruppo “Camino de Santiago”, come pure alle Autorità Nazionali, Regionali e Locali che hanno voluto essere presenti a questa celebrazione. Tutto ciò è segno di deferenza verso il Successore di Pietro e anche del profondo sentimento che san Giacomo di Compostela risveglia in Galizia e negli altri luoghi della Spagna, la quale riconosce l’Apostolo come suo Patrono e protettore. Un caloroso saluto anche alle persone consacrate, seminaristi e fedeli che partecipano a questa Eucaristia e, con un’emozione particolare, ai pellegrini, costruttori del genuino spirito giacobeo, senza il quale si capirebbe poco o nulla di quello che qui si svolge.

Una frase della prima lettura afferma con ammirevole semplicità: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4,33). In effetti, al punto di partenza di tutto ciò che il cristianesimo è stato e continua ad essere non si trova un’iniziativa o un progetto umano, ma Dio, che dichiara Gesù giusto e santo di fronte alla sentenza del tribunale umano che lo condannò come blasfemo e sovversivo; Dio, che ha strappato Gesù Cristo dalla morte; Dio, che farà giustizia a tutti quelli che sono ingiustamente gli umiliati della storia.

“Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” (At 5,32), dicono gli apostoli. Così infatti essi diedero testimonianza della vita, morte e resurrezione di Cristo Gesù, che conobbero mentre predicava e compiva miracoli. A noi, cari fratelli, spetta oggi seguire l’esempio degli apostoli, conoscendo il Signore ogni giorno di più e dando una testimonianza chiara e valida del suo Vangelo. Non vi è maggior tesoro che possiamo offrire ai nostri contemporanei. Così imiteremo anche san Paolo che, in mezzo a tante tribolazioni, naufragi e solitudini, proclamava esultante: “Noi […] abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7).

Insieme a queste parole dell’Apostolo dei gentili, vi sono le parole stesse del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, e che invitano a vivere secondo l’umiltà di Cristo, il quale, seguendo in tutto la volontà del Padre, è venuto per servire, “e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28). Per i discepoli che vogliono seguire e imitare Cristo, servire il fratello non è più una mera opzione, ma parte essenziale del proprio essere. Un servizio che non si misura in base ai criteri mondani dell’immediato, del materiale e dell’apparente, ma perché rende presente l’amore di Dio per tutti gli uomini e in tutte le loro dimensioni, e dà testimonianza di Lui, anche con i gesti più semplici. Nel proporre questo nuovo modo di relazionarsi nella comunità, basato sulla logica dell’amore e del servizio, Gesù si rivolge anche ai “capi dei popoli”, perché dove non vi è impegno per gli altri sorgono forme di prepotenza e sfruttamento che non lasciano spazio a un’autentica promozione umana integrale. E vorrei che questo messaggio giungesse soprattutto ai giovani: proprio a voi, questo contenuto essenziale del Vangelo indica la via perché, rinunciando a un modo di pensare egoistico, di breve portata, come tante volte vi si propone, e assumendo quello di Gesù, possiate realizzarvi pienamente ed essere seme di speranza.

Questo è ciò che ci ricorda anche la celebrazione di questo Anno Santo Compostelano. E questo è quello che nel segreto del cuore, sapendolo esplicitamente o sentendolo senza saperlo esprimere a parole, vivono tanti pellegrini che camminano fino a Santiago di Compostela per abbracciare l’Apostolo. La stanchezza dell’andare, la varietà dei paesaggi, l’incontro con persone di altra nazionalità, li aprono a ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione. E nel più nascosto di tutti questi uomini risuona la presenza di Dio e l’azione dello Spirito Santo. Sì, ogni uomo che fa silenzio dentro di sé e prende le distanze dalle brame, desideri e faccende immediati, l’uomo che prega, Dio lo illumina affinché lo incontri e riconosca Cristo. Chi compie il pellegrinaggio a Santiago, in fondo, lo fa per incontrarsi soprattutto con Dio, che, riflesso nella maestà di Cristo, lo accoglie e benedice nell’arrivare al Portico della Gloria.

Da qui, come messaggero del Vangelo che Pietro e Giacomo firmarono con il proprio sangue, desidero volgere lo sguardo all’Europa che andò in pellegrinaggio a Compostela. Quali sono le sue grandi necessità, timori e speranze? Qual è il contributo specifico e fondamentale della Chiesa a questa Europa, che ha percorso nell’ultimo mezzo secolo un cammino verso nuove configurazioni e progetti? Il suo apporto è centrato in una realtà così semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose ma insufficienti per il cuore dell’uomo. Lo comprese bene santa Teresa di Gesù quando scrisse: “Solo Dio basta”.

È una tragedia che in Europa, soprattutto nel XIX secolo, si affermasse e diffondesse la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua liberà. Con questo si voleva mettere in ombra la vera fede biblica in Dio, che mandò nel mondo suo Figlio Gesù Cristo perché nessuno muoia, ma tutti abbiano la vita eterna (cfr Gv 3,16).

L’autore sacro afferma perentorio davanti a un paganesimo per il quale Dio è invidioso dell’uomo o lo disprezza: come Dio avrebbe creato tutte le cose se non le avesse amate, Lui che nella sua infinita pienezza non ha bisogno di nulla? (cfr Sap 11,24-26). Come si sarebbe rivelato agli uomini se non avesse voluto proteggerli? Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora, com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra? Perciò, è necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri. Occorre che venga proferita santamente. È necessario che la percepiamo così nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé.

L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano scoperto le migliori tradizioni: oltre a quella biblica, fondamentale a tale riguardo, quelle dell’epoca classica, medievale e moderna, dalle quali nacquero le grandi creazioni filosofiche e letterarie, culturali e sociali dell’Europa.

Questo Dio e questo uomo sono quelli che si sono manifestati concretamente e storicamente in Cristo. Cristo che possiamo trovare nei cammini che conducono a Compostela, dato che in essi vi è una croce che accoglie e orienta ai crocicchi. Questa croce, segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, e perciò dono e perdono allo stesso tempo, dev’essere la nostra stella polare nella notte del tempo. Croce e amore, croce e luce sono stati sinonimi nella nostra storia, perché Cristo si lasciò inchiodare in essa per darci la suprema testimonianza del suo amore, per invitarci al perdono e alla riconciliazione, per insegnarci a vincere il male con il bene. Non smettete di imparare le lezioni di questo Cristo dei crocicchi dei cammini e della vita, in lui ci viene incontro Dio come amico, padre e guida. O Croce benedetta, brilla sempre nelle terre dell’Europa!

Lasciate che proclami da qui la gloria dell’uomo, che avverta delle minacce alla sua dignità per la privazione dei suoi valori e ricchezze originari, l’emarginazione o la morte inflitte ai più deboli e poveri. Non si può dar culto a Dio senza proteggere l’uomo suo figlio e non si serve l’uomo senza chiedersi chi è suo Padre e rispondere alla domanda su di lui. L’Europa della scienza e delle tecnologie, l’Europa della civilizzazione e della cultura, deve essere allo stesso tempo l’Europa aperta alla trascendenza e alla fraternità con altri continenti, al Dio vivo e vero a partire dall’uomo vivo e vero. Questo è ciò che la Chiesa desidera apportare all’Europa: avere cura di Dio e avere cura dell’uomo, a partire dalla comprensione che di entrambi ci viene offerta in Gesù Cristo.

Cari amici, eleviamo uno sguardo di speranza a tutto ciò che Dio ci ha promesso e ci offre. Che Egli ci doni la sua forza, rinvigorisca quest’Arcidiocesi compostelana, vivifichi la fede dei suoi figli e li aiuti a mantenersi fedeli alla loro vocazione di seminare e dare vigore al Vangelo, anche in altre terre. Che san Giacomo, l’amico del Signore, ottenga abbondanti benedizioni per la Galizia, per le altre genti della Spagna, dell’Europa e di tanti altri luoghi al di là dei mari, dove l’Apostolo è segno di identità cristiana e promotore dell’annuncio di Cristo. Amen!

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

A recusa de Deus, uma «tragédia» para a Europa , afirmou o Papa na Missa desta tarde em Santiago, apelando a uma abertura à “transcendência e à fraternidade”.


A recusa de Deus, uma «tragédia» para a Europa , afirmou o Papa na Missa desta tarde em Santiago, apelando a uma abertura à “transcendência e à fraternidade”.

 
Pope Benedict XVI waves to the devotees after his mass at the Santiago de Compostela Cathedral in northern Spain November 6, 2010. Pope Benedict, on a lightning trip to Spain, urged Europe on Saturday to re-discover God and its Christian heritage and also denounced the country's liberal abortion laws. 







 




(6/11/2010) O grande evento público da visita de Bento XVI a Santiago de Compostela foi esta tarde a Missa ao ar livre, na praça do Obradoiro, assim chamada porque era nesse local que se trabalhava a pedra para a construção da Catedral.
Durante esta celebração, o Papa proferiu uma oração em que falava na sua “peregrinação ao sepulcro do Apóstolo Santiago”, que quis fazer “como mais um peregrino”.
Na homilia Bento XVI qualificou como uma “tragédia” o que entende ser a recusa de Deus na Europa, apelando a uma abertura à “transcendência e à fraternidade”.
“É uma tragédia que na Europa, sobretudo no século XIX, se afirmasse e difundisse a convicção de que Deus é o antagonista do homem e o inimigo da sua liberdade. E salientou que a Europa deve abrir-se a Deus, ir ao seu encontro sem medo, trabalhar com a sua graça por aquela dignidade do homem que as melhores tradições tinham descoberto…e das quais nasceram as grandes criações filosóficas e literárias , culturais e sociais da Europa
O Papa defendeu que “a Europa da ciência e das tecnologias, da civilização e da cultura, tem de ser, ao mesmo tempo, uma Europa aberta à transcendência e à fraternidade com os outros continentes”.
Longamente centrada na situação do Velho Continente, as suas “necessidades, temores e esperanças”, a intervenção papal questionou que o “mais determinante da vida humana” seja remetido para “a mera intimidade” ou a penumbra”.
“Como é possível que se negue a Deus, sol das inteligências, força das vontades e imã dos nossos corações, o direito de propor a luz que dissipa todas as trevas?”, perguntou.
Noutra passagem, foram contestadas as “ameaças” à dignidade humana, “pela espoliação dos seus valores e riquezas originais, pela marginalização ou morte infligidas aos mais fracos e pobres”, numa referência indirecta a questões como o aborto ou a eutanásia.
Bento XVI apontou ainda o dedo às “formas de prepotência e exploração que não deixam espaço para uma autêntica promoção humana integral”.
O Papa frisou que “Deus é a origem do nosso ser, cimento e cume da nossa liberdade, não o seu adversário”, pelo que “a Europa tem de abrir-se a Deus, sair ao seu encontro sem medo”.
“É necessário que Deus volte a ressoar gozosamente debaixo dos céus da Europa” declarou Bento XVI, pedindo que “essa palavra santa não seja nunca pronunciada em vão” ou utilizada “para fins que lhe são impróprios”.
Após saudar os peregrinos, portadores do “genuíno espírito jacobeu", o Papa afirmou que “quem peregrina a Santiago, no fundo, fá-lo para encontrar-se, sobretudo, com Deus”.
“O cansaço do andar, a variedade das paisagens, o encontro com pessoas de outra nacionalidade” abrem os peregrinos ao “mais profundo e comum que une os seres humanos”.
Neste ano santo compostelano, também Bento XVI se apresentou como “peregrino entre os peregrinos”, falando em galego, antes de pedir aos cristãos um “testemunho claro e corajoso” do Evangelho.
“Para os discípulos que querem seguir e imitar a Cristo, o serviço aos irmãs já não é uma mera opção, mas parte essencial do seu ser”, precisou.
Aos jovens, deixou o desafio de renunciar a “um modo de pensar egoísta, de horizontes curtos”.
A intervenção papal conclui-se de novo em galego, com votos de que “Santiago, o amigo do Senhor, alcance abundantes bênçãos para a Galiza, os demais povos de Espanha, de Europa e de tantos lugares além-mar onde o Apóstolo é sinal de identidade cristã”.

Messe à Saint-Jacques-de-Compostelle : Homélie de Benoît XVI : A nous, chers frères et sœurs, il incombe aujourd'hui de suivre l'exemple des apôtres, en connaissant le Seigneur chaque jour davantage et en donnant un témoignage clair et courageux de l'Evangile. Il n'y a pas de plus grand trésor que nous puissions offrir à nos contemporains. Ainsi nous imiterons aussi saint Paul qui, au milieu de tant de tribulations, dans les naufrages et les moments de solitude proclamait en exultant : « Ce trésor, nous le portons en des vases d'argile, pour que cet excès de puissance soit de Dieu et ne vienne pas de nous ».

Pope Benedict XVI (2ndR) arrives to bless faithful followed by Vatican Secretary of State Cardinal Tarcisio Bertone at the Santiago de Compostela cathedral, on November 6, 2010 during his two-day visit in Spain. Pope Benedict XVI warned today of a very strong clash between faith and modernity in Spain and he called for dialogue, not confrontation. The pontiff said an anti-clerical movement erupted in Spain in the 1930s in the run-up to the Spanish Civil War.  

ROME, Samedi 6 novembre 2010 (ZENIT.org) - Nous publions ci-dessous le texte intégral de l'homélie que le pape Benoît XVI a prononcée pendant la messe qu'il a présidée ce samedi après-midi, sur la « Plaza del Obradoiro », dans le cadre de son voyage de deux jours en Espagne.
En galicien:
Chers frères et sœurs en Jésus-Christ,
Je rends grâce à Dieu pour le don qu'il me fait d'être ici, sur cette splendide place, haut-lieu de l'art, de la culture et riche de signification spirituelle. En cette Année Sainte, je viens en pèlerin parmi les pèlerins, accompagnant tous ceux qui viennent ici assoiffés de la foi dans le Christ ressuscité. Foi annoncée et transmise fidèlement par les Apôtres, comme saint Jacques le Majeur, qui est vénéré à Compostelle depuis des temps immémoriaux.
En espagnol:
Je suis reconnaissant pour les aimables paroles de bienvenue de Monseigneur Julien Barrio Barrio, Archevêque de cette église locale et pour la présence courtoise de Leurs Altesses Royales le Prince et la Princesse des Asturies, de Messieurs les Cardinaux, ainsi que des nombreux Frères dans l'épiscopat et dans le sacerdoce. Mon salut cordial rejoint également les Parlementaires européens, membres de l'intergroupe ‘Camino de Santiago', et aussi les Autorités nationales, régionales et locales qui ont voulu être présentes à cette célébration. C'est là une marque de déférence envers le Successeur de Pierre et aussi un signe du profond sentiment que Saint-Jacques-de-Compostelle éveille en Galice et en d'autres lieux de l'Espagne, qui reconnaît l'Apôtre comme son Patron et Protecteur. J'adresse un chaleureux salut aussi aux personnes consacrées, aux séminaristes et aux fidèles qui participent à cette Eucharistie et, avec une émotion particulière, aux pèlerins, artisans de l'authentique esprit jacquin sans lequel on ne comprendrait pas grand-chose ou rien de ce qui se déroule en ce lieu.
Une phrase de la première lecture affirme avec une admirable simplicité : « Avec beaucoup de puissance, les apôtres rendaient témoignage à la résurrection du Seigneur Jésus » (Ac 4, 33). En effet, au point de départ de tout ce que le christianisme a été et continue d'être ne se trouve pas une initiative ou un projet humain, mais Dieu, qui déclare Jésus juste et saint devant la sentence du tribunal humain qui le condamne comme blasphémateur et subversif ; Dieu, qui a arraché Jésus Christ à la mort ; Dieu qui fera justice à tous ceux qui sont injustement les humiliés de l'histoire.
« Nous sommes témoins de ces choses, nous et l'Esprit Saint que Dieu a donné à ceux qui lui obéissent » (Ac 5, 32), disent les apôtres. Ainsi, ils donneront eux-mêmes le témoignage de la vie, de la mort et de la résurrection du Christ Jésus qu'ils connurent pendant qu'il prêchait et accomplissait des miracles. A nous, chers frères et sœurs, il incombe aujourd'hui de suivre l'exemple des apôtres, en connaissant le Seigneur chaque jour davantage et en donnant un témoignage clair et courageux de l'Evangile. Il n'y a pas de plus grand trésor que nous puissions offrir à nos contemporains. Ainsi nous imiterons aussi saint Paul qui, au milieu de tant de tribulations, dans les naufrages et les moments de solitude proclamait en exultant : « Ce trésor, nous le portons en des vases d'argile, pour que cet excès de puissance soit de Dieu et ne vienne pas de nous » (2 Co 4,7).
À ces paroles de l'Apôtre des gentils, sont liées les paroles mêmes de l'Evangile que nous venons d'entendre et qui invitent à vivre selon l'humilité du Christ qui, suivant en tout la volonté du Père, est venu pour servir « et donner sa propre vie en rançon pour une multitude » (Mt 20, 28). Pour les disciples qui veulent suivre et imiter le Christ, servir leurs frères n'est pas une simple option, mais une part essentielle de leur être. Un service qui ne se mesure pas sur la base des critères du monde, de l'immédiat, du matériel et de l'apparence, mais qui rend présent l'amour de Dieu pour tous les hommes et dans toutes ses dimensions et qui Lui rend témoignage même à travers les gestes les plus simples. En proposant ce nouveau mode de relation dans la communauté, basé sur la logique de l'amour et du service, Jésus s'adresse aussi aux « chefs des peuples », parce que là où il n'y a pas un engagement pour les autres surgissent des formes de pouvoir absolu et d'exploitation qui ne laissent pas de place à une authentique promotion humaine intégrale. Et je voudrais que ce message rejoigne avant tout les jeunes : c'est précisément à eux que le contenu essentiel de l'Evangile indique la voie pour que, renonçant à un mode de pensée égoïste, à court terme, comme tant de fois cela vous est proposé, et assumant celui de Jésus, vous puissiez vous réaliser pleinement et être germe d'espérance.
Voilà ce que nous rappelle aussi la célébration de cette Année Sainte compostellane. Et c'est ce que, dans leur secret du cœur, le sachant explicitement ou le sentant sans savoir l'exprimer en paroles, vivent tant de pèlerins qui cheminent jusqu'à Saint Jacques de Compostelle pour embrasser l'Apôtre. La fatigue de la marche, la variété des paysages, la rencontre avec des personnes d'une autre nationalité les ouvrent à ce qui nous unit aux hommes  dans ce qu'il y a de plus profond et de plus commun : nous sommes des êtres en recherche, des êtres qui ont besoin de la vérité et de la beauté, qui ont besoin de faire une expérience de grâce, de charité et de paix, de pardon et de rédemption. Et au plus profond de tous, résonne la présence de Dieu et l'action de l'Esprit-Saint. Oui, la personne qui fait silence en elle-même et prend de la distance par rapport aux convoitises, aux désirs et à l'action immédiats, la personne qui prie, Dieu l'illumine pour qu'elle le rencontre et reconnaisse le Christ. Qui accomplit le pèlerinage à Santiago, au fond, le fait pour rencontrer par-dessus tout Dieu, manifesté dans la majesté du Christ, qui l'accueille et le bénit à son arrivée au Pórtico de la Gloria.
De ce lieu, en messager de l'Evangile que Pierre et Jacques signèrent de leur propre sang, je désire porter mon regard vers l'Europe qui vint en pèlerinage à Compostelle. Quelles sont ses grandes nécessités, ses craintes et ses espérances ? Quelle est la contribution spécifique et fondamentale de l'Eglise à cette Europe qui, au cours du dernier demi-siècle, a parcouru un chemin vers de nouvelles configurations et vers des projets ? Son apport est centré sur une réalité aussi simple et décisive que celle-ci : Dieu existe et c'est Lui qui nous a donné la vie. Lui seul est l'absolu, l'amour fidèle et immuable, le terme infini qui transparaît derrière tous les biens, derrière la vérité et la beauté merveilleuses de ce monde ; merveilleuses mais insuffisantes pour le cœur de l'homme. Sainte Thérèse de Jésus le comprit bien quand elle écrivit : « Dieu seul suffit ! »
Il est tragique qu'en Europe, surtout au XIX° siècle, se soit affirmée et ait été défendue la conviction que Dieu est le rival de l'homme et l'ennemi de sa liberté. On voulait ainsi mettre une ombre sur la vraie foi biblique en Dieu qui envoie son Fils Jésus dans le monde pour que personne ne meure mais que tous aient la vie éternelle (cf. Jn 3, 16).
L'auteur sacré affirme de façon péremptoire devant un paganisme pour lequel Dieu est jaloux de l'homme et le méprise : comment Dieu aurait-il créé toutes les choses s'il ne les avait pas aimées, Lui qui, dans son infinie plénitude, n'a besoin de rien ? (cf. Sg 11, 24-26). Comment se serait-il révélé aux hommes s'il n'avait pas voulu les protéger ? Dieu est à l'origine de notre être et il est le fondement et le sommet de notre liberté, et non son adversaire. Comment l'homme mortel peut-il être son propre fondement et comment l'homme pécheur peut-il se réconcilier avec lui-même ? Comment est-il possible que soit devenu public le silence sur la réalité première et essentielle de la vie humaine ? Comment se peut-il que ce qui est le plus déterminant en elle soit enfermé dans la sphère privée ou relégué dans la pénombre ? Nous les hommes nous ne pouvons vivre dans les ténèbres, sans voir la lumière du soleil. Alors, comment est-il possible que soit nié  à Dieu, soleil des intelligences, force des volontés et boussole de notre cœur, le droit de proposer cette lumière qui dissipe toute ténèbre ? Pour cela, il est nécessaire que Dieu recommence à résonner joyeusement sous le ciel de l'Europe ; que cette parole sainte ne soit jamais prononcée en vain ; qu'elle ne soit pas faussée et utilisée à des fins qui ne sont pas les siennes. Il convient qu'elle soit proclamée saintement ! Il est nécessaire que nous la percevions aussi dans la vie de chaque jour, dans le silence du travail, dans l'amour fraternel et dans les difficultés que les années apportent avec elles.
L'Europe doit s'ouvrir à Dieu, sortir sans peur à sa rencontre, travailler avec sa grâce pour la dignité de l'homme que les meilleures traditions avaient découverte : la tradition biblique - fondement de cet ordre -, et les traditions classique, médiévale et moderne desquelles naquirent les grandes créations philosophiques et littéraires, culturelles et sociales de l'Europe.
C'est ce Dieu et c'est cet homme qui se sont manifestés concrètement et historiquement dans le Christ. C'est ce Christ, que nous pouvons trouver sur le chemin qui conduit à Compostelle, par le fait que sur ce chemin, il y a une croix qui accueille et oriente aux carrefours. Cette croix, signe suprême de l'amour porté jusqu'à l'extrême, et en cela, don et pardon en même temps, doit être l'étoile qui nous guide dans la nuit du temps. La Croix et l'amour, la Croix et la lumière ont été synonymes dans notre histoire, parce que le Christ s'est laissé clouer sur elle pour nous donner le suprême témoignage de son amour, pour nous inviter au pardon et à la réconciliation, pour nous enseigner à vaincre le mal par le bien. Ne cessez pas d'apprendre les leçons de ce Christ des carrefours des chemins et de la vie, en Lui nous rencontrons Dieu comme ami, père et guide. O croix bénie, brille toujours sur les terres d'Europe !
Permettez que je proclame depuis ce lieu la gloire de l'homme, que j'avertisse des menaces envers sa dignité par la privation de ses valeurs et de ses richesse originaires, par la marginalisation ou la mort infligée aux plus faibles et aux plus pauvres ! On ne peut rendre un culte à Dieu sans protéger l'homme, son fils, et on ne sert pas l'homme sans s'interroger sur qui est son Père et sans répondre à la question sur lui. L'Europe de la science et des technologies, l'Europe de la civilisation et de la culture, doit être en même temps l'Europe ouverte à la transcendance et à la fraternité avec les autres continents, ouverte au Dieu vivant et vrai à partir de l'homme vivant et vrai. Voilà ce que l'Eglise désire apporter à l'Europe : avoir soin de Dieu et avoir soin de l'homme, à partir de la compréhension qui, de l'un et l'autre, nous est offerte en Jésus Christ.
Chers amis, nous élevons un regard d'espérance vers tout ce que Dieu nous a promis et nous offre. Qu'il nous donne sa force, qu'il stimule cet Archidiocèse de Compostelle, qu'il vivifie la foi de ses enfants et les aide à rester fidèles à leur vocation de semer et de donner vigueur à l'Evangile aussi sur d'autres terres.
En galicien:
Que saint Jacques, l'ami du Seigneur, obtienne d'abondantes bénédictions pour la Galice, pour les autres peuples de l'Espagne, de l'Europe et de tant d'autres lieux par delà les mers où l'Apôtre est signe d'identité chrétienne et promoteur de l'annonce du Christ !
© Copyright 2010 Libreria Editrice Vaticana
Traduction française distribuée par la salle de presse du Saint-Siège

Papal Homily at Mass for Compostela Holy Year: What is the specific and fundamental contribution of the Church to that Europe which for half a century has been moving towards new forms and projects? Her contribution is centred on a simple and decisive reality: God exists and he has given us life. He alone is absolute, faithful and unfailing love, that infinite goal that is glimpsed behind the good, the true and the beautiful things of this world, admirable indeed, but insufficient for the human heart. Saint Teresa of Jesus understood this when she wrote: "God alone suffices".

 
Pope Benedict XVI, center, is assisted as he walks down stairs during a mass at Obradoiro square in Santiago de Compostela, northern Spain, on Saturday, Nov. 6, 2010. The Pope visits the pilgrimage city of Santiago de Compostela to celebrate its Holy year as part of a two-day trip to Spain.     

"Europe Must Open Itself to God, Must Come to Meet Him Without Fear"

SANTIAGO DE COMPOSTELA, Spain, NOV. 6, 2010 (Zenit.org).- Here is the homily delivered today by Benedict XVI on the occasion of the Compostelian Jubilee Year. The Mass took place in the Plaza del Obradoiro in Santiago de Compostela.

* * *

[In Galician:]

My Dear Brothers and Sisters in Jesus Christ,

I give thanks to God for the gift of being here in this splendid square filled with artistic, cultural and spiritual significance. During this Holy Year, I come among you as a pilgrim among pilgrims, in the company of all those who come here thirsting for faith in the Risen Christ, a faith proclaimed and transmitted with fidelity by the apostles, among whom was James the Great, who has been venerated at Compostela from time immemorial.

[In Spanish:]

I extend my gratitude to the Most Reverend Julián Barrio Barrio, Archbishop of this local church, for his words of welcome, to their Royal Highnesses the Prince and Princess of Asturias for the kind presence, and likewise to the Cardinals and to my many Brother Bishops and priests here today. My greeting also goes to members of the Camino de Santiago group of the European Parliament, as well as to the national, regional and local authorities who are attending this celebration. This is eloquent of respect for the Successor of Peter and also of the profound emotion that Saint James of Compostela awakens in Galicia and in the other peoples of Spain, which recognizes the Apostle as its patron and protector. I also extend warm greetings to the consecrated persons, seminarians and lay faithful who take part in this Eucharistic celebration, and in a very special way I greet the pilgrims who carry on the genuine spirit of Saint James, without which little or nothing can be understood of what takes place here.

With admirable simplicity, the first reading states: "The apostles gave witness to the resurrection of the Lord with great power" (Acts 4:33). Indeed, at the beginning of all that Christianity has been and still is, we are confronted not with a human deed or project, but with God, who declares Jesus to be just and holy in the face of the sentence of a human tribunal that condemned him as a blasphemer and a subversive; God who rescued Jesus from death; God who will do justice to all who have been unjustly treated in history.

The apostles proclaim: "We are witnesses to these things and so is the Holy Spirit whom God gives to those who are obedient to him" (Acts 5:32). Thus they gave witness to the life, death and resurrection of Christ Jesus, whom they knew as he preached and worked miracles. Brothers and sisters, today we are called to follow the example of the apostles, coming to know the Lord better day by day and bearing clear and valiant witness to his Gospel. We have no greater treasure to offer to our contemporaries. In this way, we will imitate Saint Paul who, in the midst of so many tribulations, setbacks and solitude, joyfully exclaimed: "We have this treasure in earthenware vessels, to show that such transcendent power does not come from us" (2 Cor 4:7).

Beside these words of the Apostle of the Gentiles stand those of the Gospel that we have just heard; they invite us to draw life from the humility of Christ who, following in every way the will of his Father, came to serve, "to give his life in ransom for many" (Mt 20:28). For those disciples who seek to follow and imitate Christ, service of neighbour is no mere option but an essential part of their being. It is a service that is not measured by worldly standards of what is immediate, material or apparent, but one that makes present the love of God to all in every way and bears witness to him even in the simplest of actions. Proposing this new way of dealing with one another within the community, based on the logic of love and service, Jesus also addresses "the rulers of the nations" since, where self-giving to others is lacking, there arise forms of arrogance and exploitation that leave no room for an authentic integral human promotion. I would like this message to reach all young people: this core content of the Gospel shows you in particular the path by which, in renouncing a selfish and short-sighted way of thinking so common today, and taking on instead Jesus’ own way of thinking, you may attain fulfilment and become a seed of hope.

The celebration of this Holy Year of Compostela also brings this to mind. This is what, in the secret of their heart, knowing it explicitly or sensing it without being able to express it, so many pilgrims experience as they walk the way to Santiago de Compostela to embrace the Apostle. The fatigue of the journey, the variety of landscapes, their encounter with peoples of other nationalities - all of this opens their heart to what is the deepest and most common bond that unites us as human beings: we are in quest, we need truth and beauty, we need an experience of grace, charity, peace, forgiveness and redemption. And in the depth of each of us there resounds the presence of God and the working of the Holy Spirit. Yes, to everyone who seeks inner silence, who keeps passions, desires and immediate occupations at a distance, to the one who prays, God grants the light to find him and to acknowledge Christ. Deep down, all those who come on pilgrimage to Santiago do so in order to encounter God who, reflected in the majesty of Christ, welcomes and blesses them as they reach the Pórtico de la Gloria.

From this place, as a messenger of the Gospel sealed by the blood of Peter and James, I raise my eyes to the Europe that came in pilgrimage to Compostela. What are its great needs, fears and hopes? What is the specific and fundamental contribution of the Church to that Europe which for half a century has been moving towards new forms and projects? Her contribution is centred on a simple and decisive reality: God exists and he has given us life. He alone is absolute, faithful and unfailing love, that infinite goal that is glimpsed behind the good, the true and the beautiful things of this world, admirable indeed, but insufficient for the human heart. Saint Teresa of Jesus understood this when she wrote: "God alone suffices".

Tragically, above all in nineteenth century Europe, the conviction grew that God is somehow man’s antagonist and an enemy of his freedom. As a result, there was an attempt to obscure the true biblical faith in the God who sent into the world his Son Jesus Christ, so that no one should perish but that all might have eternal life (cf. Jn 3:16).

The author of the Book of Wisdom, faced with a paganism in which God envied or despised humans, puts it clearly: how could God have created all things if he did not love them, he who in his infinite fullness, has need of nothing (cf. Wis 11:24-26)? Why would he have revealed himself to human beings if he did not wish to take care of them? God is the origin of our being and the foundation and apex of our freedom, not its opponent. How can mortal man build a firm foundation and how can the sinner be reconciled with himself? How can it be that there is public silence with regard to the first and essential reality of human life? How can what is most decisive in life be confined to the purely private sphere or banished to the shadows? We cannot live in darkness, without seeing the light of the sun. How is it then that God, who is the light of every mind, the power of every will and the magnet of every heart, be denied the right to propose the light that dissipates all darkness? This is why we need to hear God once again under the skies of Europe; may this holy word not be spoken in vain, and may it not be put at the service of purposes other than its own. It needs to be spoken in a holy way. And we must hear it in this way in ordinary life, in the silence of work, in brotherly love and in the difficulties that years bring on.

Europe must open itself to God, must come to meet him without fear, and work with his grace for that human dignity which was discerned by her best traditions: not only the biblical, at the basis of this order, but also the classical, the medieval and the modern, the matrix from which the great philosophical, literary, cultural and social masterpieces of Europe were born.

This God and this man were concretely and historically manifested in Christ. It is this Christ whom we can find all along the way to Compostela for, at every juncture, there is a cross which welcomes and points the way. The cross, which is the supreme sign of love brought to its extreme and hence both gift and pardon, must be our guiding star in the night of time. The cross and love, the cross and light have been synonymous in our history because Christ allowed himself to hang there in order to give us the supreme witness of his love, to invite us to forgiveness and reconciliation, to teach us how to overcome evil with good. So do not fail to learn the lessons of that Christ whom we encounter at the crossroads of our journey and our whole life, in whom God comes forth to meet us as our friend, father and guide. Blessed Cross, shine always upon the lands of Europe!

Allow me here to point out the glory of man, and to indicate the threats to his dignity resulting from the privation of his essential values and richness, and the marginalization and death visited upon the weakest and the poorest. One cannot worship God without taking care of his sons and daughters; and man cannot be served without asking who his Father is and answering the question about him. The Europe of science and technology, the Europe of civilization and culture, must be at the same time a Europe open to transcendence and fraternity with other continents, and open to the living and true God, starting with the living and true man. This is what the Church wishes to contribute to Europe: to be watchful for God and for man, based on the understanding of both which is offered to us in Jesus Christ.

Dear friends, let us raise our eyes in hope to all that God has promised and offers us. May he give us his strength; may he reinvigorate the Archdiocese of Santiago de Compostela; may he renew the faith of his sons and daughters and assist them in fidelity to their vocation to sow and strengthen the Gospel, at home and abroad.

[In Galician:]

May Saint James, the companion of the Lord, obtain abundant blessings for Galicia and the other peoples of Spain, elsewhere in Europe and overseas, wherever the Apostle is a sign of Christian identity and a promoter of the proclamation of Christ.

© Copyright 2010 -- Libreria Editrice Vaticana

Homilía del Papa en la Plaza del Obradoiro: A nosotros, queridos hermanos, nos toca hoy seguir el ejemplo de los apóstoles, conociendo al Señor cada día más y dando un testimonio claro y valiente de su Evangelio. No hay mayor tesoro que podamos ofrecer a nuestros contemporáneos. Así imitaremos también a San Pablo que, en medio de tantas tribulaciones, naufragios y soledades, proclamaba exultante: “Este tesoro lo llevamos en vasijas de barro, para que se vea que esa fuerza tan extraordinaria es de Dios y no proviene de nosotros” .Sí, a todo hombre que hace silencio en su interior y pone distancia a las apetencias, deseos y quehaceres inmediatos, al hombre que ora, Dios le alumbra para que le encuentre y para que reconozca a Cristo. Cuál es la aportación específica y fundamental de la Iglesia a esa Europa, que ha recorrido en el último medio siglo un camino hacia nuevas configuraciones y proyectos? Su aportación se centra en una realidad tan sencilla y decisiva como ésta: que Dios existe y que es Él quien nos ha dado la vida. Solo Él es absoluto, amor fiel e indeclinable, meta infinita que se trasluce detrás de todos los bienes, verdades y bellezas admirables de este mundo; admirables pero insuficientes para el corazón del hombre.

 
Pope Benedict XVI waves to the devotees after his mass at the Santiago de Compostela Cathedral in northern Spain November 6, 2010. Pope Benedict, on a lightning trip to Spain, urged Europe on Saturday to re-discover God and its Christian heritage and also denounced the country's liberal abortion laws.La nueva evangelización de Europa, según Benedicto XVI

SANTIAGO DE COMPOSTELA, sábado 6 de noviembre de 2010 (ZENIT.org).- Ofrecemos a continuación la homilía que pronunció hoy el Papa durante la Misa celebrada en la Plaza del Obradoiro de Santiago de Compostela.
* * * * *
En gallego:
Benqueridos irmáns en Xesucristo:
Dou gracias a Deus polo don de poder estar aquí, nesta espléndida praza chea de arte, cultura e significado espiritual. Neste Ano Santo, chego como peregrino entre os peregrinos, acompañando a tantos deles que veñen ata aquí sedentos da fe en Cristo Resucitado. Fe anunciada e transmitida fielmente polos Apóstolos, como Santiago o Maior, ao que se venera en Compostela desde tempo inmemorial.
[Amadísimos Hermanos en Jesucristo:
Doy gracias a Dios por el don de poder estar aquí, en esta espléndida plaza repleta de arte, cultura y significado espiritual. En este Año Santo, llego como peregrino entre los peregrinos, acompañando a tantos como vienen hasta aquí sedientos de la fe en Cristo resucitado. Fe anunciada y transmitida fielmente por los Apóstoles, como Santiago el Mayor, a quien se venera en Compostela desde tiempo inmemorial.]
Agradezco las gentiles palabras de bienvenida de Monseñor Julián Barrio Barrio, Arzobispo de esta Iglesia particular, y la amable presencia de Sus Altezas Reales los Príncipes de Asturias, de los Señores Cardenales, así como de los numerosos Hermanos en el Episcopado y el Sacerdocio. Vaya también mi saludo cordial a los Parlamentarios Europeos, miembros del intergrupo "Camino de Santiago", así como a las distinguidas Autoridades Nacionales, Autonómicas y Locales que han querido estar presentes en esta celebración. Todo ello es signo de deferencia para con el Sucesor de Pedro y también del sentimiento entrañable que Santiago de Compostela despierta en Galicia y en los demás pueblos de España, que reconoce al Apóstol como su Patrón y protector. Un caluroso saludo igualmente a las personas consagradas, seminaristas y fieles que participan en esta Eucaristía y, con una emoción particular, a los peregrinos, forjadores del genuino espíritu jacobeo, sin el cual poco o nada se entendería de lo que aquí tiene lugar.
Una frase de la primera lectura afirma con admirable sencillez: «Los apóstoles daban testimonio de la resurrección del Señor con mucho valor» (Hch 4,33). En efecto, en el punto de partida de todo lo que el cristianismo ha sido y sigue siendo no una gesta o un proyecto humano, sino Dios, que declara a Jesús justo y santo frente a la sentencia del tribunal humano que lo condenó por blasfemo y subversivo; Dios, que ha arrancado a Jesucristo de la muerte; Dios, que hará justicia a todos los injustamente humillados de la historia.
“Testigos de esto somos nosotros y el Espíritu Santo, que Dios da a los que le obedecen” (Hch 5,32), dicen los apóstoles. Así pues, ellos dieron testimonio de la vida, muerte y resurrección de Cristo Jesús, a quien conocieron mientras predicaba y hacía milagros. A nosotros, queridos hermanos, nos toca hoy seguir el ejemplo de los apóstoles, conociendo al Señor cada día más y dando un testimonio claro y valiente de su Evangelio. No hay mayor tesoro que podamos ofrecer a nuestros contemporáneos. Así imitaremos también a San Pablo que, en medio de tantas tribulaciones, naufragios y soledades, proclamaba exultante: “Este tesoro lo llevamos en vasijas de barro, para que se vea que esa fuerza tan extraordinaria es de Dios y no proviene de nosotros” (2 Co 4,7).
Junto a estas palabras del Apóstol de los gentiles, están las propias palabras del Evangelio que acabamos de escuchar, y que invitan a vivir desde la humildad de Cristo que, siguiendo en todo la voluntad del Padre, ha venido para servir, “para dar su vida en rescate por muchos” (Mt 20,28). Para los discípulos que quieren seguir e imitar a Cristo, el servir a los hermanos ya no es una mera opción, sino parte esencial de su ser. Un servicio que no se mide por los criterios mundanos de lo inmediato, lo material y vistoso, sino porque hace presente el amor de Dios a todos los hombres y en todas sus dimensiones, y da testimonio de Él, incluso con los gestos más sencillos. Al proponer este nuevo modo de relacionarse en la comunidad, basado en la lógica del amor y del servicio, Jesús se dirige también a los “jefes de los pueblos”, porque donde no hay entrega por los demás surgen formas de prepotencia y explotación que no dejan espacio para una auténtica promoción humana integral. Y quisiera que este mensaje llegara sobre todo a los jóvenes: precisamente a vosotros, este contenido esencial del Evangelio os indica la vía para que, renunciando a un modo de pensar egoísta, de cortos alcances, como tantas veces os proponen, y asumiendo el de Jesús, podáis realizaros plenamente y ser semilla de esperanza.
Esto es lo que nos recuerda también la celebración de este Año Santo Compostelano. Y esto es lo que en el secreto del corazón, sabiéndolo explícitamente o sintiéndolo sin saber expresarlo con palabras, viven tantos peregrinos que caminan a Santiago de Compostela para abrazar al Apóstol. El cansancio del andar, la variedad de paisajes, el encuentro con personas de otra nacionalidad, los abren a lo más profundo y común que nos une a los humanos: seres en búsqueda, seres necesitados de verdad y de belleza, de una experiencia de gracia, de caridad y de paz, de perdón y de redención. Y en lo más recóndito de todos esos hombres resuena la presencia de Dios y la acción del Espíritu Santo. Sí, a todo hombre que hace silencio en su interior y pone distancia a las apetencias, deseos y quehaceres inmediatos, al hombre que ora, Dios le alumbra para que le encuentre y para que reconozca a Cristo. Quien peregrina a Santiago, en el fondo, lo hace para encontrarse sobre todo con Dios que, reflejado en la majestad de Cristo, lo acoge y bendice al llegar al Pórtico de la Gloria.
Desde aquí, como mensajero del Evangelio que Pedro y Santiago rubricaron con su sangre, deseo volver la mirada a la Europa que peregrinó a Compostela. ¿Cuáles son sus grandes necesidades, temores y esperanzas? ¿Cuál es la aportación específica y fundamental de la Iglesia a esa Europa, que ha recorrido en el último medio siglo un camino hacia nuevas configuraciones y proyectos? Su aportación se centra en una realidad tan sencilla y decisiva como ésta: que Dios existe y que es Él quien nos ha dado la vida. Solo Él es absoluto, amor fiel e indeclinable, meta infinita que se trasluce detrás de todos los bienes, verdades y bellezas admirables de este mundo; admirables pero insuficientes para el corazón del hombre. Bien comprendió esto Santa Teresa de Jesús cuando escribió: "Sólo Dios basta".
Es una tragedia que en Europa, sobre todo en el siglo XIX, se afirmase y divulgase la convicción de que Dios es el antagonista del hombre y el enemigo de su libertad. Con esto se quería ensombrecer la verdadera fe bíblica en Dios, que envió al mundo a su Hijo Jesucristo, a fin de que nadie perezca, sino que todos tengan vida eterna (cf. Jn 3,16).
El autor sagrado afirma tajante ante un paganismo para el cual Dios es envidioso o despectivo del hombre: ¿Cómo hubiera creado Dios todas las cosas si no las hubiera amado, Él que en su plenitud infinita no necesita nada? (cf. Sab 11,24-26). ¿Cómo se hubiera revelado a los hombres si no quisiera velar por ellos? Dios es el origen de nuestro ser y cimiento y cúspide de nuestra libertad; no su oponente. ¿Cómo el hombre mortal se va a fundar a sí mismo y cómo el hombre pecador se va a reconciliar a sí mismo? ¿Cómo es posible que se haya hecho silencio público sobre la realidad primera y esencial de la vida humana? ¿Cómo lo más determinante de ella puede ser recluido en la mera intimidad o remitido a la penumbra? Los hombres no podemos vivir a oscuras, sin ver la luz del sol. Y, entonces, ¿cómo es posible que se le niegue a Dios, sol de las inteligencias, fuerza de las voluntades e imán de nuestros corazones, el derecho de proponer esa luz que disipa toda tiniebla? Por eso, es necesario que Dios vuelva a resonar gozosamente bajo los cielos de Europa; que esa palabra santa no se pronuncie jamás en vano; que no se pervierta haciéndola servir a fines que le son impropios. Es menester que se profiera santamente. Es necesario que la percibamos así en la vida de cada día, en el silencio del trabajo, en el amor fraterno y en las dificultades que los años traen consigo.
Europa ha de abrirse a Dios, salir a su encuentro sin miedo, trabajar con su gracia por aquella dignidad del hombre que habían descubierto las mejores tradiciones: además de la bíblica, fundamental en este orden, también las de época clásica, medieval y moderna, de las que nacieron las grandes creaciones filosóficas y literarias, culturales y sociales de Europa.
Ese Dios y ese hombre son los que se han manifestado concreta e históricamente en Cristo. A ese Cristo que podemos hallar en los caminos hasta llegar a Compostela, pues en ellos hay una cruz que acoge y orienta en las encrucijadas. Esa cruz, supremo signo del amor llevado hasta el extremo, y por eso don y perdón al mismo tiempo, debe ser nuestra estrella orientadora en la noche del tiempo. Cruz y amor, cruz y luz han sido sinónimos en nuestra historia, porque Cristo se dejó clavar en ella para darnos el supremo testimonio de su amor, para invitarnos al perdón y la reconciliación, para enseñarnos a vencer el mal con el bien. No dejéis de aprender las lecciones de ese Cristo de las encrucijadas de los caminos y de la vida, en el que nos sale al encuentro Dios como amigo, padre y guía. ¡Oh Cruz bendita, brilla siempre en tierras de Europa!
Dejadme que proclame desde aquí la gloria del hombre, que advierta de las amenazas a su dignidad por el expolio de sus valores y riquezas originarios, por la marginación o la muerte infligidas a los más débiles y pobres. No se puede dar culto a Dios sin velar por el hombre su hijo y no se sirve al hombre sin preguntarse por quién es su Padre y responderle a la pregunta por él. La Europa de la ciencia y de las tecnologías, la Europa de la civilización y de la cultura, tiene que ser a la vez la Europa abierta a la trascendencia y a la fraternidad con otros continentes, al Dios vivo y verdadero desde el hombre vivo y verdadero. Esto es lo que la Iglesia desea aportar a Europa: velar por Dios y velar por el hombre, desde la comprensión que de ambos se nos ofrece en Jesucristo.
Queridos amigos, levantemos una mirada esperanzadora hacia todo lo que Dios nos ha prometido y nos ofrece. Que Él nos dé su fortaleza, que aliente a esta Archidiócesis compostelana, que vivifique la fe de sus hijos y los ayude a seguir fieles a su vocación de sembrar y dar vigor al Evangelio, también en otras tierras.
En gallego:
Que Santiago, o Amigo do Señor, acade abundantes bendicións para Galicia, para os demais pobos de España, de Europa e de tantos outros lugares alén mar onde o Apóstolo e sinal de identidade cristiá e promotor do anuncio de Cristo.
[Que Santiago, el amigo del Señor, alcance abundantes bendiciones para Galicia, para los demás pueblos de España, de Europa y de tantos otros lugares allende los mares, donde el Apóstol es signo de identidad cristiana y promotor del anuncio de Cristo.]
[©Libreria Editrice Vaticana]
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Card. Darío Castrillón Hoyos: «Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico»: il segno dell’abito sacerdotale, proprio perché segno di appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa, non è facoltativo ma risponde all’esigenza intrinseca del sacramento dell’ordine di testimonianza pubblica della nuova identità conferita al ministro ordinato. È, quindi, allo stesso tempo un diritto e un dovere: di rendere evidente ciò che si è diventati, manifestandolo pubblicamente agli altri anche nel modo di vestirsi, che non può essere arbitrario ma deve corrispondere alla nuova identità, di cui ci si è lasciati liberamente rivestire da Cristo.

 


Card. Darío Castrillón Hoyos
Sull’obbligo dell’abito ecclesiastico
*




La peculiarità dell’abito sacerdotale viene efficacemente descritta nel n. 66 del “Direttorio per la vita e il ministero dei presbiteri”, intitolato: “Obbligo dell’abito ecclesiastico”; vale la pena perciò citarlo per intero corredato anche delle sue note:
«In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero – uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri – sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico [1]. Il presbitero dev’essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire, in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo [2], la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.
Per questa ragione, il chierico deve portare “un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali” [
3]. Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.
Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità [
4].
Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell’abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa. [
5]»
Come si può ben vedere, in questo numero del Direttorio sono state condensate, in poche righe, le direttive della Chiesa riguardo all’obbligo dell’abito sacerdotale, segno della propria consacrazione sacerdotale al servizio di Cristo e della sua Chiesa.
Noi tutti sappiamo quanto i segni siano, da sempre, elementi significativi nella vita e nella cultura dell’uomo, di ogni latitudine e longitudine, essendo essi parte della stessa convivenza umana; non è Dio ad aver bisogno di segni per se stesso, ma è l’uomo che ne ha reale necessità.
I segni, infatti, sono parte integrante dell’umanità e ad essa appartengono. Fin da fanciulli abbiamo pure imparato ad esprimerci, ad interpretare la realtà ed a porci dinanzi ad essa attraverso i segni.
Ora, il segno dell’abito sacerdotale, proprio perché segno di appartenenza totale a Cristo e alla Chiesa, non è facoltativo ma risponde all’esigenza intrinseca del sacramento dell’ordine di testimonianza pubblica della nuova identità conferita al ministro ordinato. È, quindi, allo stesso tempo un diritto e un dovere: di rendere evidente ciò che si è diventati, manifestandolo pubblicamente agli altri anche nel modo di vestirsi, che non può essere arbitrario ma deve corrispondere alla nuova identità, di cui ci si è lasciati liberamente rivestire da Cristo.
L’abito sacerdotale, come ribadisce anche il Direttorio, è dunque un segno irrinunciabile per chi ha scelto di essere nel mondo sacerdote di Cristo, cioè suo rappresentante sacramentale.
Su questo argomento il Santo Padre Giovanni Paolo II, indirizzando una Sua lettera all’allora Vicario di Roma, il Cardinale Poletti, l’8 settembre 1982, evidenziava chiaramente lo scopo evangelizzatore dell’abito ecclesiastico:
“Inviati da Cristo per l’annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L’abito, pertanto, giova ai fini dellíevangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell’esistenza dell’uomo”.
Quale presbitero che si presenta visibilmente come tale, non ha già fatto l’esperienza di dare testimonianza proprio per il fatto di essere riconosciuto dall’abito che indossa, sul treno o sulla strada, interpellato magari da una persona che non avrebbe altrimenti mai osato di suonare alla porta di una canonica per chiedere di parlare con un sacerdote? Oggi, nel tempo della Nuova Evangelizzazione, il mondo ha bisogno che i sacerdoti ascoltino l’appello del Santo Padre “Duc in altum”, facendosi vedere dagli uomini con l’abito che li contraddistingue come tali, dappertutto, per rispondere così ai loro bisogni spirituali.
Un’altra ragione che spiega la rilevanza dell’abito ecclesiastico è quella che il sacerdote è testimone di Cristo attraverso il suo comportamento evangelico, mediante ciò la sua carità pastorale che attira gli uomini al Signore. Anche se tale dimensione è innanzitutto interiore, bisogna diffidare di trascurare mezzi esteriori che ci aiutano a vivere con fedeltà questo cammino spirituale. Il nostro essere sacerdoti ci fa manifestare agli uomini come “uomini di Dio”; l’abito ecclesiastico ci obbliga, quindi, a comportarci di conseguenza e non già come se non lo fossimo. Pertanto, esso ci invita a sviluppare sempre di più la coerenza tra la nostra consacrazione sacerdotale interiore ed il nostro agire esterno, davanti agli uomini. Il sacerdote si presenta così come un uomo vero, quindi libero.Perciò la fedeltà all’abito ecclesiastico è, se ben capita, fedeltà che rimanda al Vangelo ed è, innanzitutto, per tale ragione che la Chiesa, custode del Vangelo, chiede ai suoi ministri di essere visibilmente riconosciuti come tali in mezzo agli altri uomini.
Auspico di cuore che ogni studio, approfondimento o insegnamento qualificato su questa delicata materia, sia sempre animato dall’autentico spirito cristiano, che non potrà mai non essere anche autenticamente ecclesiale.
Darío Card. Castrillón Hoyos
Prefetto della Conregazione per il clero
Dal Vaticano, 8 dicembre 2003
NOTE
*Premessa di Sua m.za Rev.ma Card Darío Castrillón Hoyos a: MICHELE DE SANTI, L’abito ecclesiatico. Sua valenza e storia, Ravenna: Edizioni Carismatici Francescani, 2004, con un contributo di FRANCO CARDINI.
[
1] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Card. Vicario di Roma (8 settembre 1982): “L’osservatore Romano”, 18-19 ottobre 1982.
[
2] Cf. PAOLO VI, Allocuzioni al Clero (17 febbraio 1969; 17 febbraio 1972; 10 febbraio 1978): AAS 61 (1969). 190; 64 (1972), 223; 70 (1978), 191; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (7 aprile 1979), 7: AAS71, 403 – 405; Allocuzioni al Clero (9 novembre 1978; 19 aprile 1979): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1 (1978), 116; II (1979), 929.
[
3] C.I.C., Can 284.
[
4] Cf. PAOLO VI, Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, 1, 25, 2d: AAS 58 (1966), 770; S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Lettera circolare a tutti i Rappresentanti Pontifici Per venire incontro (27 gennaio 1976); S. CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare The document (6 gennaio 1980): “LíOsservatore Romano” suppl., 12 aprile 1980.
[
5] Cfr. PAOLO VI, Catechesi nell’Udienza generale del 17 settembre 1969,Allocuzione al Clero (1 marzo 1973); Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176.


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