domingo, 31 de maio de 2020

don Divo Barsotti, Seconda meditazione Lo Spirito Santo è spirito di verità

Seconda meditazione
Lo Spirito Santo è spirito di verità
 ...è lo Spirito che ci introduce nella realtà ultima. Dio è la verità sussistente: lo Spirito Santo ci introduce in un rapporto reale, concreto, con un Dio personale, in tal modo che noi abbiamo la percezione della realtà di Dio, viviamo nel sentimento di Dio e la realtà divina si impone sempre di più al nostro spirito, in tal modo che Dio diviene l'unica realtà nella quale viviamo.
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Lo Spirito Santo è spirito di speranza

Poi abbiamo detto che lo Spirito Santo alimenta e sostiene la nostra speranza.  ... Invece mediante la presenza dello Spirito in noi, il desiderio naturale che ha l'uomo di Dio, diviene speranza certa di poterlo conseguire. E questa speranza, in dipendenza dello Spirito Santo, è l'anima stessa della nostra preghiera. La preghiera cristiana è l'esercizio di una speranza viva, alimentata e sorretta dallo Spirito Santo.,
Lo Spirito Santo è spirito d'amore
Poi abbiamo detto che lo Spirito Santo ci fa vivere anche la legge dell'amore. E abbiamo detto il perché di tutto questo anzi: ci siamo domandati che cos'era l'amore e ci siamo detti che non possiamo dare una definizione dell'amore se non mantenendo fermo quello che ci dice la rivelazione, cioè che Dio è amore, che Dio è carità. Se allora vogliamo sapere che cos'è l'amore, vediamo chi è Dio, che cosa di Dio ci dice attraverso la rivelazione.

 .... nell'unità del Cristo, noi viviamo il mistero cristiano in un rapporto con Lui, che si compie in un mistero di alleanza, un'alleanza nuziale, la sposa e lo sposo. Questo è il termine ultimo della vita cristiana: lo sposo è il Figlio di Dio e la sposa è ciascuna persona creata. Così che il Cantico dei Cantici, che prima di tutto dice il rapporto del Cristo con la Chiesa e della Chiesa col Cristo, diviene anche il canto nuziale che descrive la vita interiore di ogni anima che viva in un rapporto di amore con Lui.

Lo Spirito Santo ci unisce a Dio e con gli uomini

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 In Dio il rapporto è triplice: Padre Figlio e Spirito Santo. Abbiamo detto anche che se lo Spirito Santo realizza in noi un mistero di amore, questo mistero di amore non realizza soltanto la nostra unità in Cristo, un solo Cristo, non realizza soltanto il rapporto della sposa con lo sposo, l'anima e il Cristo, ma realizza anche, in Cristo, il rapporto con tutti i fratelli.  ...
 il nostro rapporto col Cristo è possibile in quanto lo Spirito Santo entra in rapporto con noi e noi entriamo in un rapporto di docilità dallo Spirito. Se dunque viviamo un rapporto con la terza persona della Santissima Trinità, la Santissima Trinità vive un rapporto con noi e attraverso questo rapporto diveniamo un solo Cristo perché è evidente, che le persone divine sono inseparabili. Non possiamo avere un rapporto col Figlio e non averlo col Padre; non possiamo avere un rapporto con lo Spirito Santo e non averlo col Figlio e col Padre. Ne viene di qui che in Cristo Gesù noi viviamo un rapporto col Padre ed è in questo rapporto che l'uomo vive la realizzazione suprema della sua vocazione divina. Dio si comunica al mondo, si comunica a ciascuno di noi nello Spirito Santo e, per il Figlio, il mondo e ciascuno di noi sale al Padre.

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La nostra unione col Verbo di Dio che si è fatto uomo ...

Com'è possibile il nostro rapporto con le persone della Trinità?

 ... E evidente che il rapporto che abbiamo col Cristo è reso possibile in quanto Egli si è fatto uomo ed è nella natura umana che prima di tutto noi lo raggiungiamo, come dice san Giovanni nella Prima Lettera: "Quello che era dal principio noi vi annunziamo". Che cosa? "Quello che i nostri occhi hanno veduto, quello che i nostri orecchi hanno ascoltato, quello che le nostre mani hanno toccato: il Verbo della vita, questo noi vi annunciamo". Tutto questo implica un'esperienza umana. Certo che il rapporto termina in una persona divina, ma è reso possibile dalla natura umana assunta. In questo essere una sola cosa col Cristo Signore, noi viviamo ora quello che vive la persona stessa del Verbo.

Che cos'è ogni persona divina nella Santissima Trinità? È puro rapporto. Una definizione di ogni persona divina nella Trinità si esprime così nella teologia: "Relatio subsistens", relazione sussistente. È rapporto sussistente, non è altro; ogni persona divina, in sé e per sé, è tutta relazione all'altra persona: il Padre, per quello che è, è soltanto Padre; è Dio come il Figlio che si identifica al Padre ma in quanto si distingue dal Figlio è soltanto Padre. Il Figlio in quanto è Dio si identifica al Padre, è uno col Padre, ma in quanto è Figlio è soltanto relazione col Padre.

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E che rapporto in particolare con Dio Padre?
È questo lo specifico della Comunità. Noi non escludiamo minimamente né il nostro rapporto nuziale col Cristo né la carità fraterna che ci unisce fra noi, ma sia la carità fraterna che l'unione nuziale col Cristo sono in ordine al vivere questa adozione filiale. Che vuol dire vivere l'adozione filiale? Per capire che cosa voglia dire per noi vivere l'amore stesso del Figlio unigenito per il Padre, noi dobbiamo capire che cosa è questo rapporto del Figlio al Padre e del Padre col Figlio.
Il Padre, s'è detto prima, è pura relazione di amore; puro dono di Sé a colui che è il Figlio. Il dono di Dio suppone noi stessi come condizione, perché si dona a noi. Invece, nei riguardi del Figlio non è così; il Figlio è nel fatto che il Padre lo genera, nel fatto che il Padre si travasa, si versa, si dà: è nel dono stesso del Padre che il Figlio è costituito. Nulla precede nel Figlio al dono del Padre. Dio si dona totalmente e si realizza totalmente come Padre nella generazione del Verbo, ma appunto la generazione del Verbo suppone il dono totale che Dio fa di Se stesso. Se Egli è Padre nei miei confronti, per me vivere l'amore del Padre vuol dire ricevere tutto Dio: sono uno col Figlio nell'unità della natura umana assunta dal Figlio unigenito. lo debbo vivere costantemente questa apertura totale, onde Dio in Ogni istante eternamente si dona a me: in ogni istante debbo ricevere Dio nella sua infinità.
Vedete come siamo piccini? Spesso chiediamo a Dio soltanto il paradiso ma così lo offendiamo! Quando chiediamo qualche cosa, quando chiediamo la salute o la ricchezza oppure altro, noi facciamo un'offesa al Signore, un'offesa grossa. Noi dobbiamo in ogni istante accogliere l'infinito, nulla di meno. Dio si dona tutto; siamo noi che misuriamo il dono di Dio col nostro desiderio, soprattutto con la nostra mancanza di fede. Il Padre è Padre e perciò stesso Egli si dona tutto a me: non è Padre che in quanto totalmente si dona, perché Egli realizza Se stesso in quanto io sono uno col Figlio suo, che in quanto Egli si dona a me.
Che cosa dice il Vangelo a proposito di questo rapporto del Padre cogli uomini e degli uomini col Padre? Notatelo bene, il Quarto Vangelo non dice che noi amiamo il Padre, ma dice una parola che per me è forse la più alta del Vangelo: "Ipse Pater amat vos", "Il Padre stesso vi ama". Ma come fa ad amarmi se non può donarsi che al Figlio ed ha un solo Figlio? Vuol dire che, in Cristo, ciascuno di noi è quell'unico figlio e deve ricevere tutto il Padre.
La nostra fede è misura al dono di Dio
Ne consegue che, in atto primo, non c'è limite alla nostra santità. Siamo noi che mettiamo una misura all'amore infinito del Padre, perché la nostra fede non è adeguata al dono divino. Ma Dio si dona tutto a noi. Tutta la vita è come l'eternità, è l'atto di generazione del Figlio dal Padre. Perché il Padre non lo genera quasi che il suo fosse tale da poter continuare nel tempo, e possa ricevere una sua perfezione domani. Egli lo ha generato e lo genera continuamente: non nel senso che questo atto sia un atto continuo; è un atto eterno ma che dura.
La generazione dunque del Figlio dal Padre, ha la dimensione stessa dell'eternità; ma siccome noi viviamo nel tempo, dobbiamo far sì che, per quanto ci è possibile, ogni istante del nostro tempo, ogni momento della nostra vita non sia che questo atto onde l'anima si apre ad accogliere l'abisso infinito di Dio.
Che cosa è l'uomo in sé e per sé? E nulla: egli "ha" e non "è", si diceva prima.
Non si può dire mai che l'uomo "è"; di Dio soltanto si può dire che "è". Noi "abbiamo"; l'essere stesso lo abbiamo, perché c'è stato dato da Dio stesso. Allora che cosa siamo? Nulla, un nulla che si apre ad accogliere Dio. Viviamo per accogliere l'infinito. Tutti i maestri di spirito dicono che l'umiltà è la condizione per accogliere l'infinito; ma non saremo mai abbastanza umili, perché dovremmo essere il nulla. Fintanto che non abbiamo realizzato il nostro nulla radicale, come possiamo essere proporzionati al dono divino che è il tutto infinito? Soltanto il nulla è proporzionato al tutto come dice San Giovanni della Croce: "nada, Todo". Tu devi essere nada, un abisso che si apre ad accogliere Dio, che è Todo.
Ecco che cosa significa vivere l'amore in dipendenza dallo Spirito Santo. L'amore in te, nei riguardi di Dio, non può essere mai primo, è sempre secondo; cioè tu prima devi essere amato e poi amerai. Per questo la prima cosa che devi fare è di volere essere amato. E anche più bello, perché in fondo possiamo amare così poco e invece siamo amati infinitamente! Ciascuno di noi è in Cristo e siamo una sola cosa con Lui, un solo corpo, un essere solo. Noi dobbiamo realizzare il nulla radicale della creatura per poterci aprire, in una fede assoluta, ad accogliere Dio. Egli poi a noi si comunica totalmente cioè infinitamente, perché Dio è indivisibile, è semplice: non può dividersi, non può darsi per parte poiché Egli è infinito. L'unica proporzione che vi è fra questo tutto e la creatura è che la creatura realizzi, nell'umiltà, il proprio nulla.
Ci riusciamo? No ma dobbiamo, per quanto ci è possibile, cercare di tendere a questo. Non ci riusciamo anche perché siamo peccatori. Il peccato dovrebbe essere una esigenza di maggiore umiltà, perché ci siamo opposti alla volontà divina; invece proprio il peccato rende impossibile l'umiltà vera, perché il primo effetto del peccato è quello di crederci qualche cosa, di avere una certa autosufficienza, di credere di poter fare qualche cosa senza Dio.
Guardiamo a Maria per imparare a vivere nello Spirito
Chi ha potuto vivere fino in fondo l'umiltà è la Madre di Dio, è la Vergine. Nel mio libretto la "Lotta con l'Angelo", a proposito della Madonna, parlo del turbamento della Vergine quando le viene recato dall'angelo l'annunzio. Da che cosa nasce questo turbamento? Ella non poteva turbarsi né provare sgomento per la presenza del soprannaturale, viveva totalmente in Dio. Lo sgomento di Maria, questo senso di timore che prova, nasce dal fatto che si sente chiamata per nome. Ella emerge come dà un abisso, non si era mai conosciuta, non aveva conosciuto che Dio.
Se i santi arrivano a vivere una dimenticanza totale di se stessi da non ricordarsi nemmeno di essere, lo dice di se stessa santa Teresa di Gesù, figuriamoci la Madonna! La Madonna vive in un tale oblio di se stessa da non sapere più nulla di sé: Dio solo! C'è un angelo mandato da Dio e la chiama per nome: essa allora emerge come dall'abisso del nulla.
E questa la vera umiltà, umiltà che implica il sentimento del proprio nulla. Invece molto spesso chi pensa di essere umile, è soltanto orgoglioso. Le espressioni come: "Sento di essere una grande peccatrice, di essere colpevole di tutti peccati del mondo", sono manifestazioni di un orgoglio segreto. Perché pretendi di essere la più grande peccatrice? Accontentati di essere nulla, perché anche essere una grande peccatrice vuol dire essere comunque grande in qualcosa. Dobbiamo saperci dimenticare; la dimenticanza di sé è molto più che dirsi colpevole di tutto. Dimenticati e basta: tu devi sparire! Il nulla soltanto accoglie Dio. Se tu sei grande come peccatrice, come fai ad entrare in Dio? Sei troppo grande perché Dio possa essere qualche cosa per te; sappi dimenticarti! Anche nell'umiltà siamo orgogliosi. L'umiltà è la condizione dell'amore, perché l'abisso che è proporzionato all'amore di Dio è il nulla. "Nada, Todo".
Come deve essere il nostro amore per Dio
"Ipse Pater amat vos". Prima di tutto l'amore di Dio; all'amore di Dio risponde poi l'amore dell'anima. Che cos'è l'amore dell'anima? Per capire questo, dobbiamo ritornare al fatto che il Padre non può aver rapporto con noi né noi con il Padre se non in quanto siamo un unico figlio in Cristo. Come dice uno dei più grandi teologi del secolo passato, noi siamo figli nel Figlio, siamo un solo figlio nel Figlio Unigenito. Allora come possiamo amare il Padre?
Dobbiamo renderci conto di cosa sia l'amore del Figlio nei riguardi del Padre. Il Padre possiede se stesso solo nel Figlio, non possiede altro; il Figlio totalmente al Padre si dona e nel Figlio perciò il Padre trova ogni sua compiacenza. Il Padre si conosce soltanto nel Figlio, il Padre si possiede solo nel Figlio. Il Padre ha la sua gloria, la sua beatitudine, ha tutto nel Figlio.
Che cosa allora riceve Dio da te, che non sia la sua beatitudine, la sua lode? Se riceve altro, allora tu non ami Dio; noi amiamo Dio nella misura che diveniamo la sua lode. Tutta la spiritualità della Compagnia di Gesù si esprime nelle parole di sant'Ignazio: "Ad maiorem Dei gloriam". Ma sant'Ignazio guarda sempre e soltanto le opere, e le opere non glorificano Dio; chi glorifica Dio è il Figlio Unigenito! La nostra spiritualità non guarda le opere, guarda il divenire noi la lode divina, come sé Dio non avesse altri che me, come se in me Egli possedesse Se stesso. Se io gli manco, è come se mancasse Se stesso a Dio, perché se al Padre manca il Figlio Egli non vive più, non è.
Questa è stata la mia esperienza: non che io la viva, ma è stata la mia esperienza più profonda, direi, fin da quando non ero ancora sacerdote. In una mia poesia scritta nel 1937, "La voce dell'abisso", dico che Dio vuol trovare in noi il suo cielo come se, mancandogli io, a Lui venisse a mancare di essere. Perché come il Padre non è che nel Figlio, così Dio vuoi essere in me quasi come se io portassi a Lui l'essere suo, come se per me Egli vivesse: infatti senza il Figlio, non sarebbe il Padre.
Tutto questo vuol dire che ciascuno di noi devi sentire la responsabilità di essere tutto per il Padre. Nessun affetto, nessun pensiero, ma una purezza assoluta di ogni nostro pensiero ed affetto, perché Dio deve trovare tutto se stesso in ciascuno di noi.
Essere immagine di Dio
Questo implica la realizzazione di quella che è la vocazione dell'uomo fin dalle origini: essere come l'immagine di Dio. Siamo stati creati secondo l'immagine; ora perché uno specchio rifletta bene il vostro volto, la vostra immagine, bisogna che lo specchio sia limpido e puro. Ciascuno di noi è questo specchio dinanzi al volto di Dio. Guai se lo specchio riflette qualche altra cosa! Devi essere totalmente puro da ogni immagine, da ogni pensiero, da ogni affetto per poter riflettere Dio. Purezza assoluta nella divina presenza; allora Dio si rispecchia in te.
Amare Dio vuol dire questo. Ecco perché Cassiano dice che secondo tutti i Padri del deserto la "puritas cordis" si identifica all'agape, cioè che la purezza del cuore si identifica all'amore, perché l'amore è Dio che si riflette in te. Nella misura che nella tua purezza ti poni davanti al volto del Padre, l'essere tuo non è più che il suo riflesso, la sua immagine: Egli si contempla in te. L'amore è rispondere a questa esigenza, essere tutto per Lui, quasi che in me Egli trovasse ogni cosa.
Si deve fare in modo che il Padre sia, ma non può essere il Padre se io non sono figlio; il Padre è per me nella misura che io sono figlio. Debbo essere il Figlio unigenito, perché Egli sia il Padre in senso assoluto; se no, io sottraggo qualche cosa a Dio, è come se Dio non fosse più Dio.
Certo, Dio è anche se io non sono il figlio, perché c'è il Figlio Unigenito; ma la mia vocazione è di essere uno col Figlio ed è per questo che io non posso volere una santità che sia minore di quella di Dio. Ecco perché le parole più grandi del Vangelo ci dicono che cosa il Signore esige da noi: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli"; ed è il motto della Comunità: "Ut sitis fìlii Patris vostri", "perché siate figli del Padre vostro". Allora noi dobbiamo essere figli nel Figlio!