domingo, 14 de outubro de 2018

Don Divo Barsotti. "Siamo figli dei padri"



 (Una Voce Dicentes, Firenze 2003)


Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente”. 

Abbiamo pubblicato quest’affermazione di Gramsci che don Giussani fece propria.

Proponiamo, ora, il pensiero proveniente da un altro ed opposto versante: un breve ma denso articolo del mistico, teologo e pastore don Divo Barsotti tratto dal n. I – 2003 di Una Voce dicentes, periodico fondato e diretto per 11 anni da Dante Pastorelli, che si avvaleva di illustri collaboratori tra i quali mons. Brunero Gherardini, il più assiduo, don Ivo Cisar, mons. Ignacio Carambula, p. Serafino Tognetti, Neri Capponi. L’intervento di don Divo permette a Dante Pastorelli di svolgere alcune riflessioni sulla crisi nella Chiesa, con  particolare attenzione alla Chiesa fiorentina.
Roberto 
 

Il saluto, l’incoraggiamento ed il severo monito di un patriarca

 Siamo Figli dei Padri 
di don Divo Barsotti, da Una Voce Dicentes, I - 2003



Diversi anni fa potei entrare nella Cina di Mao. Mi fece molta impressione di vedere tanta gente che riempiva le scuole pubbliche; vi era in questi cinesi del popolo un desiderio vivo di conoscere le radici della cultura cinese. La rivoluzione culturale aveva fatto piazza pulita di tutto il passato: il popolo sentiva che mancava un alimento necessario alla sua vita. Si sentivano figli di genitori che erano scomparsi e affollavano le scuole e gli altri istituti perché sentivano così di continuare un passato che credevano scomparso.

Come mai noi che ci sentiamo una popolazione civile, che ci gloriamo della nostra cultura, abbiamo tollerato che sparisse da noi quello che era, in fondo, il fondamento della nostra vita spirituale? Abbiamo bandito tutto quello che ci richiamava ad un passato al quale tuttavia ci sentiamo legati. E’ stato bandito il latino dalle nostre scuole, bandito più ancora dalle nostre chiese. Rompendo un legame con i Padri, ci sentiamo ora come orfani, ci sembra di avere perduto la nostra identità… Di chi siamo figli? O non siamo figli di alcuno?

Più grave ancora mi sembra avere bandito il latino dalla liturgia. Il latino è stato, dal tempo dei Padri fino ad oggi, quello che maggiormente manifestava l’unità della Chiesa nell’uso di una lingua che ci faceva sentire tutti, prima ancora che figli di una cultura, fratelli di una medesima fede.

E’ il rimpianto forse di avere perduto la nostra identità, o è la naturale rivolta dei figli nei confronti dei propri genitori? Si vuole una novità, che non sembra avere radici… Mentre si distrugge il patrimonio che ci aveva lasciato il passato, non si costruisce nulla che possa ridarci una vita.

Come era più bello sentire di avere tutti le stesse radici, riconoscere una unità sul piano anche religioso, ci faceva sentire di avere ricevuto una eredità di inestimabile valore, e di averla ora perduta…

Che fare? Il peso di un popolo che non voleva morire al suo passato fece comprendere ai governanti di allora, in Cina, la necessità di cessare con una rivoluzione culturale che sradicava il popolo dalle sue radici. Il popolo italiano – e più gravemente ancora coloro che appartengono alla Chiesa – possono non sentire la necessità di un ritorno a quella cultura che ci ha educato e formato? E i fedeli possono fare a meno di sentirsi tutti una sola famiglia, come figli di un unico Padre?

Il latino ci faceva sentire di essere figli dei Padri, di coloro che hanno dato alla Chiesa con una sola lingua un solo sentimento della loro fedeltà a Dio e alla Chiesa.

Con tutta l’anima anche io sento vivo il rimpianto di quello che abbiamo perduto, e prego perché i governanti, nella Chiesa e nello Stato, possano avvertire quanto ora  manca a questo sentimento di unità che era così vivo quando tutti avevamo una medesima lingua.

                                                                                                  
 Settignano, 10.04.2003