sexta-feira, 2 de novembro de 2018

a samaritana - Frei Hermano da Câmara

Frei Hermano da Câmara

O melhor de FREI HERMANO DA CÂMARA

Articoli di Don Divo Barsotti: “ricerca di Dio solo”. La comunione dei santi. La santa Messa .Che cosa significa pregare.

 

Nell’articolo “Cerco Dio solo” ho parlato della ricerca di Dio da parte di don Divo Barsotti, sacerdote, mistico, “il padre” in seno alla Comunità dei figli di Dio, da lui fondata nel 1947, di cui fanno parte laici consacrati, sposati e non, e monaci che vivono in piccole case di vita comune. A tutti i […]

Sebbene l’esperienza della fede cristiana ci ponga tutti in una certa relazione col mondo invisibile, tuttavia, per quanto riguarda il nostro rapporto coi santi, lo si vive per lo più coltivando l’una o l’altra devozione ad un particolare santo o se ne fa memoria nella ricorrenza del nostro onomastico – esperienze limitate e che ci […]





Seguire il padre don Divo nelle sue meditazioni sulla Messa e in particolare sull’Eucarestia certo significa proporsi di “volare alto”… Così scrive nel 1967: «Tutta la storia precipita in quell’atto, vive in quell’atto, tutto tende a quell’atto e vi trova il suo compimento. È l’atto del Cristo. Al di là non vi è storia, non […]

Mi pare che l’esperienza della preghiera, insieme a quella dell’unione con Gesù nell’Eucaristia, sia stata quella su cui don Divo ha più insistito, l’esperienza a cui ci ha più insistentemente esortato, sviscerandola direi, per noi, nelle sue meditazioni, offrendocela come cosa “altissima” e al tempo stesso accessibile a tutti. Si percepisce nelle sue lettere circolari […]

Giuseppe Dossetti è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare. È stato anche un vero teologo e […]

"Il ritorno dell’anima a Dio. Meditazioni sull’obbedienza” di Divo Barsotti

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Se la vita cristiana deve essere concepita e vissuta come un ritorno dell’anima a Dio, dal quale l’anima si è allontanata per il primo peccato, San Benedetto ci dice che il ritorno dell’anima al Signore è un ritorno di obbedienza, così come il primo peccato è stato fondamentalmente un atto di disobbedienza“. 

“Può sembrare che effettivamente l’anima che obbedisce sempre di fatto rinunzi a quello che e il suo valore più alto, la sua autonomia, la sua indipendenza; ma e vero il contrario quando si tratta di un’obbedienza a Dio, a Dio che e il nostro Creatore: e Lui che ci fa, noi non siamo che in quanto ci riceviamo da Lui, e tanto più dunque l’uomo anche naturalmente e perfetto quanto più, rinunciando a una sua pretesa autonomia, a una sua indipendenza che lo isterilisce e lo svuota, lo mortifica e lo annienta, rinunciando a questa sua autonomia si dona a Dio in un’obbedienza sempre più perfetta e totale. (…) Nella sostituzione di Dio all’uomo che si verifica nell’obbedienza, non tanto che all’essere umano si sostituisce l’Essere Divino – sono sempre io che agisco, ma l’atto e unico, e quest’atto realizza insieme la vita divina e la vita umana, Dio e l’uomo, e la vita dell’Uno e dell’altro – attraverso l’obbedienza passa non l’Essere di Dio in me, ma la sua medesima vita, sicché veramente e Lui che vive in me”.

Don Divo Barsotti. «Quella che nel mondo pagano era la cosa più terribile, è diventata la più bella: la morte»

Don Divo Barsotti (dal minuto 2:24 a 4:55)

«La verità deve essere detta tutta, non si può negare l'inferno, c'è un dogma… il non dire certe cose, il non affermarle, il metterle da parte, è già mentire…» 
«Se si toglie la dimensione escatologica al cristianesimo, il cristianesimo diventa una menzogna: noi illudiamo il mondo, inganniamo gli uomini, non possiamo dare agli uomini né la pace, né la giustizia, né la vita…» 
«Ci si limita a parlare soltanto di sociale, di venire incontro agli uomini, di promozione umana, degli infermi, dei malati, di quello che volete: non è questo soltanto il cristianesimo, è anche questo, ma non è tutto il cristianesimo. Dov'è il primato di Dio?...» 
«Questa vita ha un valore e un senso solo se è una preparazione, solo se è un cammino che ci porta al di là…» 
«Che cosa può succedere che mi tolga questa gioia di sentirmi amato da un Dio, da un Dio che è eterno? Perché l'amore degli altri, sì, è una cosa bella, però finisco io e finiscono loro… l'amore di Dio, invece, che è eterno, fa eterno anche me…» 
«Lo Spirito Santo deve portarvi come il vento le foglie di autunno: siete una foglia che non è più attaccata al ramo, ma si lascia portare dal vento. Questo deve essere il cristiano: sei legato ancor? Se sei legato non puoi correre, non puoi volare…» 
«Quella che nel mondo pagano era la cosa più terribile, è divenuta la cosa più bella: la morte è la cosa più bella che possa esistere, perché è attraverso la morte che si giunge alla vera vita. Io non posso accettare di vivere così: pensi tu di poterlo accettare, di vivere 700 anni… e chi ti porta poi nella carrozzina? Ci sembra che sia realtà questa e ci fidiamo di questa, ci leghiamo a questa tanto che abbiamo paura della morte. La morte non aggiunge nulla a noi, fa cadere il velo. Questa vita non è la nostra vita e dobbiamo capirlo che tutta la nostra vita tende alla morte non come a una fine, ma come al compimento. È bellissima la vecchiaia non vengano a dirmi che non è bella, è la cosa più bella di tutte perché siamo più vicini al traguardo…»

quinta-feira, 1 de novembro de 2018

Ritiene che proprio la “terra russa” abbia influenzato la nascita di un preciso tipo di monachesimo: «non ci sono per il cristiano orientale due spiritualità distinte: l’unica spiritualità riconosciuta è quella monastica cui debbono uniformarsi, come possono, anche i fedeli rimasti nel mondo.» In Oriente non vi è differenza tra ascetica e mistica, perché «la mistica orientale ignora la dissociazione della vita spirituale dalla vita sacramentale: tutta la vita cristiana è immersa nella liturgia»; cioè la vita spirituale è principalmente il “vissuto” dell’uomo all’interno della liturgia e dei sacramenti. Il Mistero Pasquale, l’anelito alla bellezza, l’amore alla Vergine Madre ed il sentimento cosmico di una salvezza universale nel Cristo, la preghiera incessante, la paternità spirituale (propria dell’esperienza religiosa russa), sono tutti elementi della spiritualità russa che don Divo sente già propri.  leggere,,,

Don Divo Barsotti (Fondatore della Comunità dei Figli di Dio)

"Dio ti parla - ecco la vocazione; e tu parli a Dio - ecco la tua risposta.
Ma, come,parlandoti, Dio ti imponeva una legge di santità, così, parlando tu a Dio per rispondere alla vocazione che da Lui hai ricevuta, tu lo preghi, lo invochi, a Lui ti protendi nel desiderio e nella speranza, a Lui ti rivolgi con umile supplicazione implorando pietà e soccorso.
L'anima che da Dio è chiamata non può dare risposta che attraverso la preghiera. Ma la preghiera non sarà solo la parola, dovrà essere il silenzio, dovrà essere, al termine, tutta la vita.
E anche il silenzio e la vita saranno tuttavia, in qualche modo, una parola di supplica o di lode al Signore.
Dobbiamo essere anime oranti se vogliamo raggiungere la santità, se vogliamo adempiere all’obbligo di una perfezione religiosa."
don Divo,Meditazione sulla preghiera di Gesù

Don Divo Barsotti a sorpresa: "io sono perplesso nei confronti del Concilio"...




Io sono perplesso nei confronti del Concilio: la pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il comportamento dei teologi. Il Concilio e l’esercizio supremo del magistero è giustificato solo da una suprema necessità. La gravità paurosa della situazione presente della Chiesa non potrebbe derivare proprio dalla leggerezza di aver voluto provocare e tentare il Signore? Si è voluto forse costringere Dio a parlare quando non c’era questa suprema necessità? È forse così? Per giustificare un Concilio che ha preteso di rinnovare ogni cosa, bisognava affermare che tutto andava male, cosa che si fa continuamente, se non dall’episcopato, dai teologi. Nulla mi sembra più grave, contro la santità di Dio, della presunzione dei chierici che credono, con un orgoglio che è soltanto diabolico, di poter manipolare la verità, che pretendono di rinnovare la Chiesa e di salvare il mondo senza rinnovare se stessi. In tutta la storia della Chiesa nulla è paragonabile all’ultimo Concilio, nel quale l’episcopato cattolico ha creduto di poter rinnovare ogni cosa obbedendo soltanto al proprio orgoglio, senza impegno di santità, in una opposizione così aperta alla legge dell’evangelo che ci impone di credere come l’umanità di Cristo è stata strumento dell’onnipotenza dell’amore che salva, nella sua morte.

Tratto da:

P. Serafino Tognetti, Divo Barsotti – Il sacerdote, il mistico, il padre, San Paolo 2012.

Don Divo Barsotti di fronte al Concilio del XX secolo


(di Cristina Siccardi su Messa in Latino del 05-04-2012) Nel fervido e provvidenziale dibattito in corso sul Concilio Vaticano II giunge a proposito la bella e chiara biografia scritta da padre Serafino Tognetti, Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre (San Paolo, pp. 405, € 29.00), utile strumento per comprendere da vicino la figura di un monaco che ha vissuto intensamente le aspettative e le cocenti delusioni di un evento che ha rivoluzionato l’operatività della Chiesa in maniera così profonda da alterare la trasmissione della Fede.
Quando venne annunciata l’apertura del Concilio Vaticano II (25 gennaio 1959), furono in molti a riporre grandi speranze nell’evento e fra questi il monaco don Divo Barsotti (1914-2006). Prima del Concilio stesso don Divo ebbe più volte modo di manifestare una certa insofferenza nei confronti di alcuni metodi della Chiesa, che considerava chiusi e rigidi.
Scrive padre Tognetti: «Il momento dell’apertura del Concilio ci rivela un duplice atteggiamento da parte di don Barsotti. Da una parte egli presentava l’evento conciliare ormai imminente come “un’occasione, forse la più grande che Dio abbia concesso all’umanità di oggi, per essere salvata”; dall’altra parte il Concilio potrebbe però rivelarsi “un’occasione per cui questa umanità, invece di essere salvata, potrebbe precipitare nel buio, nella tenebra, non dico in un’apostasia dichiarata, ma in uno scetticismo, in una tensione, in una disperazione che non potrebbe essere più lenita da una speranza che le venga da Cristo, che le venga dalla Chiesa, che è del Cristo la continuatrice, anzi la stessa presenza”. Questo timore di don Divo era motivato dalla percezione di un pericolo che egli scorse nascosto sotto i facili entusiasmi di molti: “Il pericolo di un Concilio che lascia le cose come le trova, anzi le peggiora. Perché ogni grazia di Dio è per sé ambigua: se l’anima non la riceve e non la fa fruttificare, quella grazia si trasforma per te in un motivo maggiore di condanna, di rovina e di morte”» (1).
Barsotti seguì con attenzione, apprensione e soprattutto con la preghiera lo svolgimento dei lavori conciliari. Condusse la Comunità dei Figli di Dio, da lui fondata nel 1947, a meditare i diversi documenti prodotti durante l’Assise. Una delle tematiche che maggiormente lo interessò e lo preoccupò fu quella relativa alla riforma liturgica:
«Il primo errore che dobbiamo evitare è pensare che la riforma liturgica abbia un carattere essenzialmente e primariamente pastorale. Oltre tutto, questo non potrebbe mai essere nella Liturgia. Ha anche un carattere pastorale, indubbiamente, ma prima ancora è preghiera. La prima cosa che si impone per me, se io voglio essere ministro della preghiera liturgica, è che io preghi e faccia pregare gli altri. […]. La preghiera liturgica dunque ci forma alla preghiera e forma il popolo alla preghiera soltanto in quanto fa pregare; se non facesse pregare, non formerebbe né alla Liturgia né alla preghiera. Ed ecco una cosa importante allora che dobbiamo evitare, che cioè queste riforme siano fatte come una “prima di teatro”, come uno spettacolo» (2). leggere...

Il concetto di santità di Don Divo Barsotti


Come non amare Dio in questo uomo, pur non avendolo conosciuto in vita?
"Esser Santi non vuol dire esser delle anime pie, che facilmente son contente di sé e credono che la santità consista nella moltiplicazione degli atti di pietà, delle opere buone, e nulla di più. Esser Santi vuol dire morire e risorgere, vuol dire disfarci ed essere come nuovamente creati per un atto di Dio, vuol dire essere collaboratori di Dio a un’opera che è più grande della creazione medesima, perché suppone una riforma totale dall’intimo di un essere che il peccato ha devastato."
Don Divo Barsotti. - La preghiera. Lavoro del cristiano, p. 117.

Frei Hermano da Câmara, a samaritana

Conheça história de Madre Teresa de Calcutá

Don Divo Barsotti, Testi Scelti (6/7) - Guardami nell'Eucarestia

don Divo Barsotti, DIVENIRE LUCE

 

divenire luce

DIVENIRE LUCE

E veniamo al secondo punto. Non c’è solo Dio come luce che ci illumina, ma ci sono i cristiani che, come dice il Vangelo, sono la luce del mondo (cfr. Mt 5,14). Che cos’è questa luce che noi dobbiamo essere? Certo, nella misura in cui tutto è sacramento di Dio, tutto ha in sè la capacità di espandere, di irradiare una certa luce, ma se noi dobbiamo in qualche modo risvegliare la fede in chi l’ha perduta, ciò non basta.
Che cosa dobbiamo essere? Una luce che si impone, non che semplicemente si impone, ma una luce che acceca, una luce che in qualche modo risveglia la fede. 
Che cosa fai quando ti svegli la mattina? Io credo che tu accenda la luce, perchè al buio non vedi niente, e così la luce ti sveglia. Fintanto che stai al buio ti addormenti, ma se ti vuoi svegliare devi accendere la luce, se no dici come san Giovanni Fisher quando fu chiamato il giorno della sua esecuzione dal carceriere, la mattina alle 5:00: “Vostra signoria, sveglia, oggi è il giorno dell’esecuzione”. “E’ da tempo che vi aspettavo – dice Giovanni – e ditemi, che ore sono?”; il carceriere risponde: “Sono le 5:00”.- “E quando sarà l’esecuzione?” – “Alle 10:00 vossignoria” – “Beh, allora lasciatemi dormire ancora un po’ perchè questa notte non ho dormito molto bene” e si mise giù a dormire. 
Possiamo dormire perchè non c’è luce. E perchè il mondo ha perduto la luce? Perchè la luce dei cristiani non sveglia il mondo dal suo torpore. I santi sono scomodi, come è scomoda la luce quando si ha sonno.
Don Divo Barsotti

Don Divo, la Comunità intende vivere in modo più diretto e profondo la filiazione divina

Figli di Dio sono certamente tutti i cristiani, ma con questo nome la Comunità intende vivere in modo più diretto e profondo la filiazione divina, con una consacrazione che impegna a riscoprire il Battesimo in modo consapevole e responsabile. Il significato di questo nome sta dunque nell’impegno a vivere il mistero dell’adozione filiale nella carità, che è l’essenza del cristianesimo; a obbedire non più alla natura umana, ma soltanto all’azione di Dio che vive in ognuno. E poiché il processo della santificazione implica sempre più un’identificazione, un’unione sempre più intima con Cristo, vivere da «figli di Dio» impone l’ascolto della Parola per accogliere il Verbo, così che il Verbo faccia di ognuno il suo corpo: si è figli di Dio quando si è profeti che incarnano il Vangelo, testimoni di Cristo, che si incarna e vive nell’uomo e attraverso l’uomo si rivela al mondo. Leggere...

Don Barsotti: POESIE «Poeti, cercate il miracolo»


«Per cantare il "mistero" di Dio,
bisogna essere Santi, o avere il senso della propria "piccolezza"».
DON DIVO BARSOTTI (1914-2006).
Don Barsotti, cos’ha rappresentato, per lei, la poesia?«La poesia dice la gratuità della vita, dice che tutto è "miracolo", tutto veramente è qualcosa che tu non puoi "dominare". Tu sei "dominato": "dominato" dalle cose, dalla bellezza, dai fatti. Se vivi questa tua "dipendenza" nell’angoscia, anche questa può essere trasferita nella poesia, ma è soprattutto nella meraviglia, nello stupore che senti che il mondo è più grande di te».
Quanto è importante la poesia?
«Molto. È importante per l’umanità di oggi riscoprire il "sacro" attraverso la poesia, magari la poesia di chi è anche "anti-cristiano", ma sente la bellezza dell’amore, di chi magari rifiuta il Cristo, non perché ci sia da parte sua un rifiuto cosciente, ma perché non lo conosce, perché gli è stato presentato male e sente invece "pulsare" la vita di questo universo». Leggere...

don Divo , la nostra preghiera è efficace

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Don Divo Barsotti, l’indicatore di Dio


Era a portata di mano ma al tempo stesso irraggiungibile, vicino e lontano, scolaro e maestro, umile e gigante: ecco come appariva don Divo Barsotti, di cui quest’anno si ricorda il centenario della nascita.
23 Settembre 2014 | DI 
Nel 2014 avrebbe compiuto 100 anni don Divo Barsotti, figura di rilievo della Chiesa italiana spentasi a Firenze nel 2006. Definito e riconosciuto come «l’ultimo mistico del ’900», scrittore fecondissimo, originale teologo e autore di spiritualità (con oltre centosessanta titoli, tradotti anche in varie lingue), padre spirituale di innumerevoli persone e fondatore di una comunità religiosa di carattere monastico, don Divo era noto nel mondo dei sacerdoti e dei religiosi, ma forse meno conosciuto dalla gente comune, per via della sua indole che non ricercava pubblicità o consensi popolari.

Eppure non era un solitario, un «ritirato dal mondo», anzi! La sua spiritualità lo spingeva a portare tra la gente la ricchezza della vita monastica, testimoniando la semplice presenza di Dio, alla portata di ogni uomo e ogni donna. «La vita monastica – diceva – non ha che un fine: rea­lizzare Dio. Le congregazioni religiose moderne hanno lo scopo che le giustifica anche quando i religiosi non fossero dei santi: le opere che intraprendono, il servizio immediato alla Chiesa. Ma una congregazione monastica non può avere altra giustificazione che quella della santità di coloro che ne fanno parte. Il nostro servizio alla Chiesa è la rivelazione di Dio. Realizzare Dio». Per questo motivo gli piacevano molto Francesco d’Assisi e il russo Serafino di Sarov, santi che affascinavano non tanto per le loro opere, ma per il mistero e il senso di presenza di Dio che emanavano. Erano uomini pieni di luce.

È facile essere santi a questa maniera? È facile e difficile. Occorre però crederci. Insisteva don Divo: «Il monaco non deve cercare nulla di particolare. Deve solo semplicemente vivere, perché chi innalza se stesso innalza il mondo». Ed egli era così: affabile e luminoso, sempre, anche quando andava a fare la spesa al mercato, compito che avocava sempre a sé anche dopo aver compiuto gli 80 anni di età. Disdegnava il supermercato, «troppo impersonale» a sua detta, preferendo piuttosto aggirarsi tra le bancarelle del mercato di San Lorenzo a Firenze, dove si intratteneva con fruttivendoli e pollivendoli interessandosi delle loro famiglie, curando quell’aspetto umano che, in ogni caso, viene prima di tutto. Questione di vita. Ancor di più: di vita cristiana. «La vita cristiana – affermava don Barsotti – è l’esperienza di un’esperienza e rapporto con un Dio vivente. Se il Cristo non fosse vivo e presente, la Chiesa stessa si risolverebbe in una società umana e si sfascerebbe. Al contrario, la Chiesa è in quanto può testimoniare la sua Presenza viva e il cristiano è essenzialmente colui che Lo ha veduto, che lo vede e gli parla».

Dio lo si può «vedere», incontrare? Certo: i santi non erano diversi da noi. Loro per primi hanno fatto esperienza di Dio e ora ci sono vicini per aiutarci nel cammino, vivi e presenti. «Hai mai fatto colazione con san Giovanni della Croce?» chiedeva ogni tanto don Divo a qualche confratello. «Oggi sei andato a fare due passi insieme a santa Teresa di Gesù, o a san Filippo Neri?». La gente non sapeva che cosa rispondere, ma avvicinare don Barsotti era così: un immergersi nel suo mondo, popolato dai santi. E per diventare santi occorre «libertà assoluta, perché coi patteggiamenti si tradisce Dio e l’anima si perde. La santità è fulgore; il santo, dal momento che possiede Dio nel suo cuore, deve sentirsi debitore nei confronti di tutti». Ancora, come scrive don Divo nei suoi diari: «Dio si fa presente nel santo precisamente in quanto lo assume; non è la sua attività apostolica, non è l’esercizio delle sue virtù. Tu ti lasci possedere da Lui, non vuoi più che la sua presenza, non sopporti nemmeno il ricordo di te, ma vuoi che anche l’universo sia invaso dalla sua Gloria, che tutto, tutti facciano posto a Dio. Tutto e tutti Egli possegga, così che attraverso di tutto, di tutti, Egli possa dire Io sono. La fede non è ricerca e possesso di verità, ma un essere stati cercati e posseduti da essa».

Il monachesimo vissuto nel mondo
Questo è solo un assaggio del ricchissimo pensiero spirituale di don Divo. Che non fosse una persona qualsiasi lo si intuì già negli anni del seminario diocesano di San Miniato (Pisa), dove cominciò a manifestare la sua «inquietudine di Dio»: sentiva di essere chiamato ad andare in missione per testimoniare la bellezza della vita contemplativa.

Una volta sacerdote, fu trasferito a Firenze per interessamento di Giorgio La Pira, da cui era stato contattato per via di alcuni articoli scritti su «L’Osservatore Romano». Nel capoluogo toscano ebbe modo di entrare in relazione con alcune figure di spicco del cattolicesimo fiorentino (e non solo) del dopoguerra, come Nicola Lisi, padre David Maria Turoldo, Giampaolo Meucci, don Enrico Bartoletti, Giovanni Papini. Grazie al successo del suo libro Monachesimo russo, col quale introdusse in Italia le figure dei monaci dell’Oriente cristiano, intraprese poi un rapporto epistolare con i grandi nomi della riflessione teologica del Novecento, come Henri-Marie de Lubac, Hans Urs von Balthasar, Pavel Evdokimov, Jean Danielou, Thomas Merton. leggere...