terça-feira, 30 de abril de 2019

Cardenal Carlo Cafarra, "La santità del laico: Concilio Vaticano II e don Barsotti"





"La santità del laico: Concilio Vaticano II e don Barsotti"
relazione al Convegno "La funzione e il ruolo del laico nella Chiesa e nel mondo nel pensiero di don Divo Barsotti"
6 maggio 2006

La molteplicità degli impegni pastorali avrebbero dovuto convincermi a rifiutare l’invito di p. Serafino a svolgere questo tema. La profonda gratitudine che devo a don Divo soprattutto per l’affetto che mi ha donato, mi ha convinto e quasi costretto ad accettare. Stretto fra queste due opposte esigenze ho dovuto dare alla mia riflessione un andamento ed un profilo molto semplice, quasi una sorta di lettura un poco meditata e un confronto di testi conciliari e barsottiani. Altri sapranno fare molto meglio di me. E soprattutto, don Divo anche a livello dottrinale è stato un dono così grande fatto alla Chiesa, che solo tempo e studi prolungati ed approfonditi consentiranno alla Chiesa medesima di goderne il più possibile.leggere...


2. La santità del laico in d. Divo Barsotti
Vorrei ora esporre brevemente il pensiero di don Divo circa la santità del laico, alla luce del confronto col magistero conciliare.
È la mia un’esposizione lacunosa da vari punti di vista. Penso che lo scavo vero e proprio di natura teologica in primo luogo, in quella grande miniera che sono gli scritti del Padre sia appena agli inizi. Per quanto mi riguarda però, … l’amore scaccia la paura.
Inizio da una lettera alla comunità del 24 ottobre 1960 e riportata anche nel Manuale CFD [ed. 1998] a pag. 128 ss. È uno scritto di fondamentale importanza e di forte impronta autobiografica ["vi debbo scrivere sotto la forte impressione, credo, di un’ispirazione divina"]. In esso narra il sorgere nel suo spirito dell’intuizione carismatica che ha generato la comunità. "Essere i testimoni di Dio: rivelare la sua santità, la sua purezza infinita, essere come una sua presenza per gli uomini quaggiù sulla terra. Ebbene, stanotte sono risuonate continuamente nell’intimo della mia anima le parole di Gesù: le ripetevo per me, le ripetevo per voi: ut sitis filii Patris vestri… Essere figli e rivelare con tutta la nostra vita questo mistero ineffabile dell’amore divino".
Si ha qui l’identificazione fra la santità e la divina figliazione, come – lo abbiamo visto – ci è stato insegnato dal Concilio. Ma nell’esperienza vissuta quella notte da don Divo si ha anche una forte tensione missionaria, se così posso dire. È la testimonianza di Dio nel mondo mediante la santità della persona e della vita del figlio adottivo: la testimonianza del "mistero ineffabile dell’amore divino". Credo che don Divo avrebbe profondamente gioito nel leggere l’enciclica di Benedetto XVI.
Ho la convinzione che la "notte di S. Sergio" abbia in seme donato a don Divo l’intero carisma della comunità: la figliazione divina che rende il santo pura trasparenza dell’amore e testimone di Dio nel mondo. Mi fermo ora ad analizzare brevemente.
Uno dei testi dove don Divo ha più lungamente meditato sul concetto, meglio sulla realtà della santità cristiana è stato nell’Adunanza del 9 maggio 1976 commentando 1Gv 3,1-2: "la Magna Carta della comunità", egli definisce questi due versetti biblici. È un testo complesso e lungo. Mi devo limitare a pochissimi punti fra quelli essenziali.
"Che cosa vuol dire santità? Che cos’è la santità? Lo dice chiaramente S. Tommaso d’Aquino: è la trascendenza stessa di Dio, la solitudine infinita dell’essere suo… Nella santificazione che cosa avviene? … Dio, donandoci il suo Spirito, ha trasferito noi nel mondo divino… È Lui [lo Spirito] che ci porta nel seno della Trinità ", perché ci rende figli realmente.
Questa è la santificazione operata da Dio nell’uomo e che trasforma l’uomo interamente: spirito, anima e corpo. "Ma il processo è dallo Spirito, all’anima, al corpo, perché Dio tocca lo spirito".
Don Divo non cessa di insistere e di richiamare tutti a non perdere mai la coscienza che questo è il cristianesimo; che in questo sta tutta la sua ricchezza ed il senso del suo esserci. L’ho visto piangere quando costatava che anche fra i cristiani si perdeva questa consapevolezza del soprannaturale, riducendo il cristianesimo a qualcosa di meno, anche se agli occhi del mondo più importante. Ed anche criticare la teologia che ha dimenticato il "dono ipostatico dello Spirito Santo". Il Vaticano secondo ha ripreso questa dottrina, nella quale – secondo don Divo – consiste l’elemento costitutivo della santità cristiana ["causa quasi – formale della santità", insegna il Tridentino].
In questa prospettiva, come abbiamo visto nel Concilio Vaticano secondo,mo ne la santità cristiana è una sola: la partecipazione dell’uomo alla vita divina; la divina figliazione partecipata. "Noi siamo nel Cristo, noi viviamo del Cristo, noi vivia  nel Cristo il rapporto col Padre". Da questo punto di vista, non ha senso parlare di una santità dei laici, dei sacerdoti, dei religiosi. Esiste una sola santità.
Tuttavia si può e si deve pensare che esista una santità dei laici come tali. Varie volte, per quanto ho potuto verificare, don Divo affronta questo tema. Mi sembra particolarmente importante il commento che egli fece precisamente al quarto capitolo della Cost. dogm. Lumen gentium sui laici nel ritiro del 20/21 marzo 1965.
Egli inizia da un punto fondamentale: "La prima cosa dunque da considerare è l’unità di tutto nella fede e nella carità. È certo, poi, che nella Chiesa, questa fede e questa carità, debbono essere vissute secondo i vari ministeri e le varie funzioni che sono proprie di organi diversi".
La domanda dunque è: come devono essere vissute fede e carità dal laico? Quale è il volto laicale dell’identità cristiana?
Nell’adunanza del 9 maggio 1976, esiste un testo che ci mette sulla via giusta per trovare la risposta.
"Allora che cosa vuol dire essere figli di Dio? … che noi viviamo una vita paradossale, siamo uomini di pena, come tutti solidali nel mondo del peccato, perché dobbiamo vivere ancora in un corpo di peccato, in un corpo soggetto al dolore. Certo, perché abbiamo una missione di salvezza". Richiamo soprattutto l’attenzione sull’ultima affermazione: la solidarietà col mondo del peccato è nella prospettiva di una missione propria del santo. Ed infatti il testo continua: "Noi, finché dobbiamo continuare la missione del Cristo dobbiamo vivere anche in una solidarietà col mondo del peccato, assumendo i condizionamenti propri dell’uomo terrestre. Ma il nostro vivere nel mondo del peccato non varrebbe a nulla se non vivessimo in Dio… il Cristo ha vissuto in due mondi, nel mondo del Padre, nell’unità col Padre e nel mondo dell’uomo, nella solidarietà col peccato … ugualmente noi dobbiamo vivere nello stesso tempo nel mondo di Dio - … - e nel mondo umano".
La circolare delle tempora di settembre 1964 riportata nel Manuale CDF [pag. 140 ss.] era stata ancora più precisa: "per consacrarci a Dio, per vivere la nostra consacrazione, non bisogna perciò separarci dai fratelli, vivere una vita straordinaria o comunque diversa dalla loro; anzi, nell’amore per loro che lo stesso amore di Dio ci ispira e alimenta, dobbiamo sempre più essere solidali con tutti: non distinguerci, ma identificarci a ciascuno". Dunque: ciò che divinizza l’uomo lo rende solidale col "mondo".
Ma questa non è ancora precisamente la risposta alla nostra domanda sul volto laicale dell’identica santità cristiana. Vivere nel mondo di Dio e nel mondo umano è comunque la condizione necessaria per santificarsi come laici.
Il laico assume nella propria vocazione cristiana le realtà di questo mondo vivendole: si sposa; esercita una professione; si impegna nell’attività politica.
Uno dei testi più profondi è la meditazione sul matrimonio cristiano tenuta nel ritiro di Biella del 13 maggio 1979.
Dopo aver richiamato esplicitamente la dottrina conciliare sulla vocazione universale alla santità, ecco come stupendamente esprime il suo pensiero: "Questo invito che oggi a voi è stato rivolto, non vi chiama ad uscire da quella che è la vostra vita: vi chiama a trasfigurare la vostra vita, a far sì che tutto quello che vi è di umano in voi divenga con semplicità e purezza sempre più investito dalla grazia divina, divenga divino in voi; nulla più. Ma è una cosa immensa … se voi viveste il matrimonio fino in fondo, non ci vorrebbe nulla di più per essere santi". Mi sembra che il volto laicale dell’identica santità cristiana sia la divinizzazione di ciò che è propriamente umano, di ciò che appartiene all’economia della creazione. Secondo il pensiero di don Divo, tutta l’estensione del nostro essere umani deve essere trasfigurato dalla grazia e tanto si deve estendere il nostro essere cristiani quanto si estende la nostra essenza di uomini, la nostra possibilità di uomini, il nostro potere, le nostre capacità, l’esercizio di ogni nostra attività umana. Non siamo uomini che sono cristiani, ma cristiani che sono uomini. È dentro a questa deificazione in Cristo della realtà che – se non sbaglio – don Divo disegna il volto laicale dell’unica santità cristiana.
"Che tutta la nostra vita divenga trasparenza alla presenza che Cristo" [Ritiro di Biella (12-05-79)].
Debbo ormai concludere questo secondo punto. E lo faccio con tre osservazioni finali.
La prima. Ho notato e quasi percepito, soprattutto in questa ultima tematica, una singolare sintonia fra don Barsotti e don Giussani. Sarà l’oggetto della prossima relazione. Parlando di S. Giuseppe Moscati, don Giussani definisce la santità cristiana soprattutto nel suo profilo laicale, colle seguenti parole: "Come tutti gli altri (santi), ha vissuto una vita come la nostra … Ma l’ordinaria quotidianità dell’esistenza si ingigantiva di momento in momento perché viveva del rapporto con l’Infinito, cioè della presenza di Cristo che diveniva habitus cosciente e nesso desiderato" [prefazione a P. Bergamini, Laico cioè cristianoS. Giuseppe Moscati medico, Marietti 1820].
La seconda. Ho avuto la percezione che il tema conciliare della santificazione del mondo come missione del laico abbia nella riflessione di don Barsotti ricevuto una profondità teologica ed una registrazione mistica che non ho trovato altrove.
La terza. Studiando i testi barsottiani ho avuto l’impressione che don Divo posasse il suo sguardo piuttosto sull’una sanctitas piuttosto che sulla diversitas vitae. Sguardo tipicamente proprio del contemplativo e di chi in Cristo vede raccolto in un volume ciò che per l’universo si squaderna, direbbe Dante.
Conclusione La riflessione che stiamo compiendo è di importanza fondamentale. L’unica, vera permanente riforma del mondo è la santità: "… nella misura che essi sono santi divengono solidali con un mondo di peccatori e viene chiesto loro, in quanto santi, l’anima di tutti gli altri".
Il potere del santo è la presenza nel mondo della regalità del Crocefisso.