sábado, 27 de abril de 2019

Sulle orme di Don Divo Barsotti

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CAPANNE -  Ho visto Dio in un uomo». No, non è la celebre affermazione di un massone dopo aver assistito ad una messa del Curato d’Ars, ma è la stessa sensazione avuta da P. Serafino Tognetti una volta conosciuto e frequentato Don Divo Barsotti. Lo scorso 25 aprile, ricorreva infatti il 103° anniversario della nascita del fondatore dei Figli di Dio, comunità che ha sede a Settignano in provincia di Firenze e presente in altri luoghi e che spesso, per i propri ritiri, utilizza l’eremo nella nostra diocesi, donato alla comunità stessa da una famiglia palaiese. Il luogo in questione si trova in località Collelungo ed è comunemente chiamato «Le fornaci». Proprio per ricordare la memoria del padre fondatore , i membri delle fraternità di Palaia e Livorno hanno organizzato, guidati da P. Tognetti, una giornata dedicata alla memoria del nostro condiocesano don Divo. Si sono lì ritrovati per celebrare la messa e passare un po’ di tempo in fraternità. A questi ci siamo aggiunti anche noi, fedeli delle parrocchie limitrofe, invitati a partecipare a tutti gli eventi in programma.

La Messa celebrata da P. Tognetti concelebrata dai parroci don Fabrizio Orsini e don Giuseppe Volpi, nella cappellina dell’eremo, ma vuoi la giornata festiva, vuoi l’attrazione del Padre Barsotti, siamo stati «costretti» a trasferirci all’aperto perché eravamo ben più di 100 persone. La cosa straordinaria per me, poco conoscitore della comunità dei Figli di Dio, è stata la presenza oltre delle parrocchie vicine, in quell’eremo sperduto era la presenza di appartenenti alla comunità stessa provenienti da Massa Carrara, Siena, Montecatini, Livorno e Pisa, addirittura c’era anche una coppia delle Marche. Al termine della celebrazione c’è stato anche il toccante rito di ammissione alla comunità del ramo laicale di alcuni aspiranti, e quelli che hanno fatto la consacrazione nella comunità. Dopo pranzo il programma prevedeva la catechesi di P. Serafino per ricordare la Comunità e il suo fondatore, d. Divo e farlo conoscere più approfonditamente a chi non facendo parte della comunità non sapeva alcuni aspetti più nascosti della vita del Padre. Questo secondo momento si è svolto al teatro parrocchiale della parrocchia di Palaia dove era presente fra gli altri anche il sindaco e un assessore. 
Padre Serafino ha parlato della propria esperienza accanto a d. Divo ricordando soprattutto l’incontro iniziale avuto con lui, e che fu per molti aspetti subito molto intenso, infatti, dice p. Tognetti ricordava la cosa che lo colpì immediatamente fu il rapporto intensissimo con Dio, il modo in cui "il Padre", così i suoi lo chiamano, fosse in una comunione con il Signore e come questo rapporto fosse prioritario rispetto a tutti gli altri. Venne attratto, quindi, non dal carisma umano del Padre ma dalla sua intensa e profonda spiritualità. Ci ha spiegato episodi e brani tratti dai suoi diari che ci parlano di un uomo consumato dal fuoco della presenza divina, ma allo stesso tempo tormentato dal non capire la volontà di Dio sulla propria persona, costretto, se così si puo’ dire, a vivere non sapendo cosa fare al di là del minuto presente. D. Divo arriva ad affermare sconsolato, che i suoi primi 6 anni di sacerdozio hanno prodotto un bel nulla, a preferire l’inferno, dove almeno è manifesta la Giustizia divina, ad una vita che lui sentiva vuota di Dio ma al tempo stesso le testimonianze dei palaiesi che assistono alle sue celebrazioni eucaristiche sembrano affermare il contrario perché questi escono dalla chiesa con la sensazione di aver assistito a qualcosa di straordinario. 
Barsotti fu un uomo solo di Dio perché il suo desiderio era la ricerca della volontà di Dio che lui diceva «essere Dio stesso» affermando la sua immersione in Dio per cui «il Papa e lo spazzino» avevano pari dignità; il suo era un monachesimo interiore che lo portava a privilegiare il rapporto con Dio più che quello con i fratelli che peraltro tanto amò e ebbe a soffrire molto, soprattutto nella sua prima esperienza alla Fornace. Di lui vengono ricordate infatti due caratteristiche tipiche del padre (umano o spirituale che sia) ovvero la tenerezza e la fermezza con la quale si rapportava con i propri figli e fratelli, senza sconti per nessuno solo se si trattava di "difendere" Gesù Salvatore anche a costo di essere scortese o spigoloso. Una figura che a ben vedere oggi, regno del politically correct, sarebbe alquanto scomoda anche per alcuni uomini di Chiesa , ma che sicuramente porterebbe avanti quella che riteneva dover essere la missione di ogni comunità monastica e al tempo stesso l’opera di Carità più importante ovvero "dare Dio alle anime". 
Questa quindi la sua grande missione, essere testimone della presenza del Mistero attraverso la ricerca continua e senza sosta della volontà di Dio. Barsotti trovò veramente pace solo al termine della propria vita terrena che fu tormentata da prove ed incomprensioni, oltre che da gioie e consolazioni. Una su tutte il doloroso distacco a metà degli anni 60, con il gruppo originario di fratelli che con lui avevano iniziato l’avventura della Comunità che decisero di stabilirsi proprio alle Fornaci di Collelungo. Nonostante queste ed altre vicissitudini, riuscì sempre a far passare il messaggio che «vale la pena vivere per Dio» e fu talmente credibile in questa sua certezza che la sua figura colpì tanto anche un grande teologo come Von Baltasar che arrivò a dire: «Barsotti ha dato al Cristianesimo uno splendore inaudito». 
L’idea personale che mi sono fatto di D. Divo è che è stato un personaggio difficilmente catalogabile e alquanto scomodo per chi avesse tentato di farlo ma talmente innamorato di Gesù Cristo da darsi da solo una collocazione: "nell’altro mondo", perché diceva che il cristiano non può avere un cuore titubante ma eroico e deve essere appunto "un uomo dell’altro mondo". La bella giornata si è poi conclusa con la testimonianza di Vittorio che fu chierichetto di d. Barsotti quando era sacerdote a Palaia. La preghiera alla Madonna ha concluso una giornata intensa, dove il relatore ha saputo collocare la figura del Padre in modo veramente bello.

La spiritualità della CFD (Comunità dei Figli di Dio) vuole essere una spiritualità monastica.


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La bellezza è Dio stesso. Che si comunica senza far chiasso, nel silenzio.



SPIRITUALITÀ DELLA CFD

Il Vademecum della Comunità sottolinea:

"Il Cristo deve farsi presente al mondo per mezzo nostro. Ecco perché il contemplativo deve vivere in mezzo al mondo.
Essere noi la presenza di Dio sulla terra, ecco la nostra missione, ecco a che cosa ci impegna la nostra vocazione cristiana e la consacrazione che facciamo nella CFD.
Questa è la testimonianza che il Signore ci chiede: non volere, non chiedere, non essere nulla. Essere solo una voce che annuncia la presenza del Cristo, un segno della presenza di Dio.
Si impone che noi viviamo una vita teologale, rendendoci conto che prima di tutto Dio ci comanda l'atto interno che è sempre un'adesione alla sua verità e un'obbedienza alla sua volontà di amore. La vita spirituale, dunque, prima di tutto è esercizio di virtù teologali; perciò si può dire che l'amore è prima dell'essere...

Dobbiamo vivere per Dio, ma senza sentire alcuno estraneo... Il dono più grande che si possa fare alle anime è dar loro il senso della trascendenza divina, davanti alla quale tutti gli altri valori non sono. Noi vogliamo vivere alla divina Presenza, ci sentiamo impegnati ad avere questo senso e a darlo agli altri... Bisogna riportare il mondo al senso del sacro che ha perduto. Dobbiamo rendere testimonianza di un contatto con Lui, di una gioia che ci ha dato la sua parola, di un'inquietudine che abbiamo provato nell'incontrarci con Lui; gioia che deriva dalla sua intimità, inquietudine che ci viene dalla fame che ci ha lasciato il suo contatto".

Il primato spetta dunque ai valori contemplativi e all'esercizio delle virtù teologali. Alimento della vita spirituale è la lectio divina, ossia la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura e dei testi della Tradizione. La partecipazione assidua alla vita liturgica e sacramentale costituisce un caposaldo della vita del monaco, da cui tutto procede. La preghiera liturgica delle Ore è vissuta come prolungamento della Divina Liturgia e contributo vivo del cristiano alla salvezza del mondo.

L'ideale monastico della Comunità dei Figli di Dio tende all'essenziale: la ricerca di Dio come Assoluto nel totale abbandono alla Sua volontà, un monachesimo nel mondo, interiorizzato. L'antico monachesimo è nato come un movimento laicale e deve rimanere patrimonio dei laici, scrive don Divo Barsotti.

I punti fondamentali della spiritualità della Comunità dei Figli di Dio si possono così sintetizzare:

* Spiritualità Escatologica: poiché tutta la vita dell'uomo tende alla visione di Dio, tutto ciò che l'uomo vive deve sempre essere ordinato alla realtà ultima e definitiva.
  
Spiritualità Liturgica: il carattere escatologico non si realizza senza la dimensione liturgica. È nella liturgia che il mistero della realtà ultima si rende presente. Di conseguenza, la Comunità invita ogni consacrato ad una sempre più intensa partecipazione alla vita liturgica e sacramentale, prediligendo soprattutto il Santo Sacrificio, fonte e culmine della vita della Chiesa e di ciascuno.

* Spiritualità Contemplativa: il carattere escatologico e liturgico dicono l'aspetto oggettivo, mentre il carattere contemplativo dice l'aspetto soggettivo, ossia la personale partecipazione dell'uomo al mistero di Dio. La vita contemplativa implica prima di tutto il rapporto dell'anima con Dio e il monaco è chiamato a vivere e a testimoniare il primato di Dio su ogni cosa.

Si legge nel Vademecum: Vivere una vita contemplativa vuol dire certo trascendere il mondo, ma vuol dire anche portare tutto il mondo dentro di sé. Una vita contemplativa oggi importa che noi viviamo nel cuore della situazione non solo ecclesiastica, ma mondiale. Il contemplativo non si chiude in sé, non si immiserisce nel suo piccolo mondo, ma, proprio perché è un contemplativo, deve acquistare le misure stesse della divina carità e tendere a Dio trascinando con sé tutto il mondo umano in cui egli vive. La solitudine dell'anima contemplativa è il seno di Dio in cui tu devi portare l'universo.

Parlo a voi, padri e madri di famiglia: non darete mai nulla di più grande, non lascerete un'eredità maggiore ai vostri figli dell'esempio di una vostra vita di preghiera e di santità. La vocazione alla nostra Comunità è vocazione alla santità, perché è vocazione all'unione con Dio. (don Divo Barsotti)

Testamento spirituale di Divo Barsotti

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Abbiate fiducia. La morte non mi fa paura, già ho vissuto un anticipo di comunione con Lui attraverso coloro che ho amato. Abbiate fiducia. Dio non mancherà. Non vi preoccupate per il numero; importante è che stiate uniti
Ricordatevi che la vita religiosa è un impegno di fede in Dio che è presente, ed è l'Amore infinito. Ma proprio per questo Egli non può darcene la prova finché viviamo nel corpo. Le consolazioni quaggiù sono solo un aiuto perché viviamo nella fede l'adesione alla sua volontà. 
Per questo chiedo a voi la fede, una fede semplice, pura, ma grande. Dio non vi mancherà. Vi siete donati a Lui, ed Egli vi ha preso: siete suoi per sempre. E' un fatto assai relativo che la parete del corpo ci impedisca di vivere insieme. L'unione con Lui non è nell'esperienza sensibile, ma nel Cristo che ci ha uniti a sé e ci ha voluti un solo Corpo con Lui. Amate la Chiesa, il sacramento visibile della Presenza di Dio quaggiù sulla terra. Siate certi e sicuri della vostra vocazione e sappiate difenderla. A tutti - specialmente a quelli della vita comune – voglio rivolgere l'ultimo mio saluto, il mio ringraziamento più fervido, più vivo, la mia assicurazione che non abbandonerò nessuno. Raccomando di essere uniti; non dubitate, non disperdetevi, non scoraggiatevi. Dio chiede la fede, e tanto più questa è vera, tanto più è potente. Ricordatevi del seme di senapa. 
Dovete credere in Dio che vi ha chiamati. Io vi lascio apparentemente. Realmente, sono con voi più di prima. Ma prima della mia presenza, deve essere per voi sicurezza il Cristo che vi ha chiamati e vi ha uniti tra voi. 

Ricordatevi che una consacrazione a Dio, l'unione con Lui diviene reale e sicura solo nell'unione fraterna con coloro che Dio unisce a noi nella stessa vocazione e nello stesso cammino. Se vi disperderete, non solo mancherete all'unione, ma comprometterete gravemente la vostra risposta al Signore. Ce lo insegna tutta la tradizione cristiana. Non è a me che vi siete donati, ma a Dio, e Dio vi ha accolti. E ora in particolare a tutti voi che siete nel mondo, nel primi rami della Comunità. S'impone a tutti una certezza più grande della vostra vocazione e dell'opera di Dio che siete stati chiamati a realizzare nell'unione tra voi.

Raccomando soprattutto ai più anziani di consacrazione di essere di esempio nella vita, di essere fermi nella fede, di essere sicuri che la Comunità è opera voluta da Dio, opera che tuttavia siete voi che dovete realizzare, con semplicità, con perseveranza, con umiltà ma con la certezza di rispondere ad un preciso appello del Signore. Vi raccomando concordia tra voi, e  l'obbedienza ai legittimi superiori. Lasciando questa vita, mi sento debitore di innumerevoli anime che con il loro esempio e con il loro amore mi hanno aiutato. Hanno illuminato la mia via, mi hanno sorretto con i loro consigli, hanno avuto pazienza con me.

 Insieme a Colui che ho cercato di amare, al di sopra di tutti, Gesù benedetto, chiedo che vorrà cogliermi come suo figlio la Vergine, mi verrà incontro, avrà già ottenuto per me il perdono di tutti i miei peccati e delle mie innumerevoli infedeltà. Ma con Gesù e la Vergine, io spero che si faranno incontro a me le innumerevoli altre anime alle quali, nel tempo, il Signore ha voluto legarmi in un rapporto di paternità e a volte anche di dipendenza filiale. Rivedrò i miei fratelli di sangue, il babbo, la mamma, ma certo l'unità più vera, più grande nell'amore, nella mia unione con Cristo, sarà con tutti i miei figli. So di avere mancato tanto verso di loro, ma so ugualmente che tutto mi è stato perdonato. Non ho ricevuto che amore. 

Soltanto Dio potrebbe ricompensare ciascuno di tutto quello che mi ha dato. Quante anime grandi nella Comunità alla quale Dio ha voluto che appartenessimo! Anime semplici, umili, ma anche anime grandi. Che cosa io sono stato per loro, Dio solo può dirlo. So comunque che dovevo essere immensamente di più una immagine viva di Colui che rappresentavo. Quale immensa comunione di amore sarà la nostra nel Cielo! Ma questa non mi sottrarrà alla comunione con coloro che ho lasciato quaggiù sulla terra. E questa comunione sarà col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo; nel seno della Trinità Santissima, non saremo che un unico inno di lode, ringraziamento e amore. “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima con tutte le forze, amerai il prossimo tuo come te stesso”.


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Don Divo Barsotti, VE LO DICO IN NOME DI DIO: CERCATE DI ESSERE SANTI!

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Dalla meditazione per i suoi 90 anni di Don Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio (Firenze, 25 Aprile 2004).


L’ Eucarestia fa più presente realmente il Signore, ma rende meno visibile la Sua presenza.
Dobbiamo capire che tutta la nostra vita è una Messa, che tutta la nostra vita è una comunione con Dio.
Mi raccomando più di ogni altra cosa, ve lo dico in nome di Dio, cercate di essere santi.
Non vi turbate se vi chiedo troppo, non crediate che siano parole che vi dovete dimenticare, non le dovete dimenticare.

Noi dobbiamo vivere nella sua pienezza dobbiamo credere all'esigenza di Dio, non possiamo intendere di rinunciare alla santità per vivere una vita qualunque, anche se buona, anche se piena di opere buone.
Le opere non sono Dio, il servizio ai poveri non è Dio di per sé, tutto deve essere trasceso e tutto può essere trasceso soltanto se ogni cosa che viviamo è ordinata al Signore, a glorificare Dio, all'amore di Dio, alla presenza di Dio, che solo é buono che solo è grande che solo è l'amore infinito, dolcissimo, é un amore personale, un amore per il quale ciascuno di noi é conosciuto da Lui, amato da Lui di un amore particolare, un amore unico e vivo.


Di Don Divo Barsotti

sexta-feira, 26 de abril de 2019

Divo Barsotti Esegeta di Leopardi e di Dostoevskij

Divo Barsotti Esegeta di Leopardi e di Dostoevskij

 dal sito:

http://www.santamelania.it/

Divo Barsotti Esegeta di Leopardi e di Dostoevskij
  

di Ferdinando Castelli S.I 
Riportiamo una accurata analisi del Padre Ferdinando Castelli S.I, sul pensiero di don Divo Barsotti , fondatore della Comunità dei Figli di Dio,recentemente scomparso, circa la spiritualità di Leopardi e Dostoevskij.” In Leopardi il dolore non nasce solo dalla fine delle illusioni. Il dolore ha una radice religiosa: l’uomo cerca disperatamente un suo partner che non può che essere fuori dal mondo mutevole.” «S’avessi io l’ale»
“La visione dell’uomo come epifania di Dio, in senso sia positivo sia negativo, viene descritta da Dostoevskij nei suoi personaggi: una galleria che offre una rappresentazione metafisica e religiosa del dramma umano che è la nostra vita. Tutti sono alla ricerca di verità, di vita, di felicità, di libertà; tutti danno l’idea di idee incarnate; tutti sono portatori di un messaggio. Dostoevskij li insegue, li scova nei segreti del loro animo, non di rado si immedesima in essi, rivivendo esperienze personali. Pochi scrittori «hanno saputo discendere negli abissi del cuore umano come Dostoevskij, e proprio per questo ben pochi hanno saputo dirci più di lui come l’uomo sia al centro di tutto, come sia senza fondo e senza confine la sua vita»
I due testi che seguono sono tratti dalla Civiltà Cattolica, 3 febbraio 2007, quaderno 3759, pp. 231-243. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questi testi sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Divo Barsotti è nato a Palaia (PI) nel 1914.
Pochi anni dopo l’ordinazione sacerdotale per interessamento di Giorgio La Pira si è trasferito a Firenze, dove ha iniziato la sua attività di predicatore e di scrittore. Oggi è unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo. La sua produzione letteraria è notevolissima: più di 150 libri, molti dei quali tradotti in lingue straniere, tra cui il russo e il giapponese, più centinaia di articoli presso quotidiani e riviste di spiritualità. Ha scritto commenti alla Sacra Scrittura, studi su vite di santi, opere di spiritualità, Diari e poesie. Tra i sui testi di più importanti: Il Mistero cristiano nell’anno liturgico; Il Signore è uno; Meditazioni sull’Esodo; La teologia spirituale di San Giovanni della Croce; La legge è l’amore; Cristianesimo russo; La religione di Giacomo Leopardi; La fuga immobile.
Ha fondato la « Comunità dei figli di Dio », famiglia religiosa di monaci formata da laici consacrati che vivono nel mondo e religiosi che vivono in case di vita comune; in tutto circa duemila persone. La Comunità è presente in Italia e nel mondo (Africa, Australia, Sri Lanka, Colombia) e si impegna a vivere la radicalità battesimale con i mezzi che sono propri della grande tradizione monastica.
Vicino per anni alla sensibilità del cristianesimo orientale, Divo Barsotti ha fatto conoscere in Italia le figure dei santi russi Sergio, Serafino, Silvano. Nel 1972 è stato chiamato a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano al Papa.
Ha insegnato teologia presso la Facoltà teologica di Firenze e ha vinto diversi premi letterari come scrittore religioso. Ha predicato in tutti i continenti e ultimamente è stato inserito tra le dieci personalità religiose più eminenti del ’900, in Storia della spiritualità italiana, curato da P. Zovatto (Edizioni Città Nuova).
Don Divo è ritornato alla casa del Padre il 15 febbraio 2006
 
   26/08/2007 


Dostoevskji mi ha svegliato dal sonno 

   Due testi di Barsotti ci introducono alla comprensione del suo Dostoevshij. Il primo è nella premessa al volume: «Io debbo mol­to a Dostoevskij e per onestà, oltre che per gratitudine, io dovevo scrivere. Non importa il giudizio che si vorrà dare oggettivamen­te del lavoro. Il lavoro comunque, se non rivelerà cose nuove, po­trà sempre rivelare qualcosa di me e prima di tutto a me stesso [...]. L’opera di Dostoevskij è stata per me un messaggio e mi ha svegliato dal sonno». Sonno? Un altro testo chiarisce: «Io devo la mia « conversione » a Dostoevskij [...].
 Ci fu un momento della mia vita in cui io sognavo di diventare un grande poeta, ed ero perciò sul punto di lasciare il seminario. Poi cominciai a leggere Dostoevskij, che mi aprì gli occhi». Per Barsotti, Dostoevskij è certamente un grande scrittore, ma è anche un profeta nel senso che svela l’uomo a se stesso, ne scan­daglia le pieghe nascoste, ne rivela la grandezza e la miseria, ne proclama la missione, ne narra la drammaticità delle scelte. Pro­feta soprattutto perché, appassionato com’è del Cristo, lo addita come amore che redime e verità che salva. «Forse è la sua passio­ne per Cristo che mi svegliò dal sonno come non mi aveva sve­gliato né la visione della Provvidenza in Manzoni, né la teologia di Dante». Attraverso Cristo don Divo avverte la presenza di Dio che gli parla e fuga i fantasmi che abitavano la sua crisi.    «Per lui mi ha parlato Dio. L’ho riconosciuto nel tormento di Raskòlnikov dopo il delitto, nella pietà e nella forza di Sonja [...]; l’ho amato nell’umiltà e nella dolcezza di Sonia de L’adolescente, nella luminosa bellezza di Macario, l’ho sentito presente nell’u­miltà di Tichon ma anche nell’orrore della morte di Kirillov e nel­la condanna di Stavrògin, finalmente l’ho veduto nello staretz Zo­sima e in Aljòsa. Sempre Dio era presente. La sua presenza dava un senso agli avvenimenti, dava un nome a ogni uomo. Il silenzio non era vuoto, era il silenzio di Dio che riempiva di sé ogni luo­go, ogni avvenimento, era la vita nella comunione con lui, era la morte nella volontà di rifiutarlo, di volerlo negare» (p. 6 s). I1 vo­lume si sviluppa sostanzialmente su questi convincimenti, esami­nati nelle loro varie sfaccettature lungo l’arco delle quattro parti: L’uomo e lo scrittore, I personaggi dei cinque maggiori romanzi, Il messaggio di Dostoevskij, La teologia di Dostoevskij.    

L’uomo come epifania di Dio 

   Il concetto di Dostoevskij sulla religione si fonda sulla sua vi­sione dell’uomo: «L’uomo supera la natura e annuncia un’altra realtà» (p. 20). Quale altra realtà? La realtà di Dio come realizza­zione delle aspirazioni umane che superano il puro ambito natu­rale e riempiono il vuoto di Dio, che comporta malessere ontolo­gico e morte. Dio non è un accessorio della natura umana, ne è il respiro vitale, è la presenza senza la quale essa si smarrisce e si frantuma. « È Dio che non cessa di torturare chi ha compiuto il delitto, finché nel pentimento non trova la pace del perdono, è Dio che vive nella pietà di Sonia per Raskòlnikov, nel suo amore senza limiti per i fratelli, è Dio che vive nella pietà e semplicità del principe Myskin, nella pace di Macario, il pellegrino che ormai ha finito di camminare e attende sereno la morte» (p. 21). 

 Contro Dio c’è il maligno, che è «la realtà del male in una vita di menzogna, in una volontà di distruzione e di morte». Così la vi­ta umana è una lotta tra Dio e il maligno, che si contendono il suo dominio. Per descriverla Dostoevskij scende negli abissi del cuo­re dove abitano il peccato e la Grazia, e vede il peccato che cor­rode l’uomo, e Dio impegnato a conservare nella sua creatura la propria immagine nella quale risplende soprattutto l’amore.    Da queste considerazioni lo scrittore deduce che l’inferno e il paradiso non sono realtà estranee all’uomo. Sono nel suo cuore: le accoglie nella sua vita come parte di sé, e con esse si avvia all’eter­nità. 

Deduce anche che «l’uomo non è senza Dio» (p. 22). E’ in rap­porto con Dio «non soltanto nella misura in cui lo ama; egli è in un suo rapporto con Dio, sia che questo sia odio o sia amore. Anche nella trasgressione alla legge egli vive un suo rapporto con Dio. Non può chiudersi in sé, rifiutare un suo rapporto con lui; nel pec­cato stesso l’uomo, che vorrebbe sganciarsi da Dio per affermarsi e acquistare una sua « libertà », non vive nell’opposizione al suo Crea­tore che la sua distruzione e la sua morte. Al contrario, vive già un suo rapporto d’amore con Dio nel suo rapporto con la creazione, e più ancora nel suo rapporto di amore con l’uomo, perché la crea­zione è il primo segno di Dio, e l’uomo, immagine di Dio, è il se­gno più alto della sua presenza. Così nell’amore del prossimo l’uo­mo vive la sua più alta esperienza di Dio» (p. 152).    

Personaggi come  testimoni 

   La visione dell’uomo come epifania di Dio, in senso sia positi­vo sia negativo, viene descritta da Dostoevskij nei suoi personag­gi: una galleria che offre una rappresentazione metafisica e reli­giosa del dramma umano che è la nostra vita. Tutti sono alla ri­cerca di verità, di vita, di felicità, di libertà; tutti danno l’idea di idee incarnate; tutti sono portatori di un messaggio. Dostoevskij li insegue, li scova nei segreti del loro animo, non di rado si im­medesima in essi, rivivendo esperienze personali. Pochi scrittori «hanno saputo discendere negli abissi del cuore umano come Do­stoevskij, e proprio per questo ben pochi hanno saputo dirci più di lui come l’uomo sia al centro di tutto, come sia senza fondo e senza confine la sua vita» (p. 23).  Nella galleria dei personaggi che testimoniano in negativo la presenza di Dio, Barsotti fa incontrare gli eroi del romanzo I de­moni: Nikolaj Stavrògin, Pètr Verkovenskij, Aleksej Kirillov. Qui lo scrittore narra il tentativo di un gruppo di «indemoniati» di sganciare il popolo dalle miserie del vivere quotidiano e di libe­rarlo da ogni alienazione, sostituendo la fede in Dio con la reli­gione del popolo, non importa se ciò debba realizzarsi con la for­za e il massacro. Kirillov vuole la divinizzazione dell’uomo, nega Dio, ne desidera la morte, e per realizzare tutto ciò si suicida; Sta­vrògin dissipa ogni sua possibilità nel vizio e nella volontà di sfi­dare la legge e la pubblica opinione: incapace di amare, «non vive che il vuoto». Pètr « è l’incarnazione del maligno, tutto in lui è menzogna, il suo impegno è quello di contraffare la verità, la sua opera è la distruzione e la morte» (p. 72). Dalla lettura de I demoni si esce come da un incubo perché, re­spinto Dio, che è vita, fa irruzione la morte. «La ribellione verso Dio, l’ateismo, il peccato non sembrano dare alcun frutto. La morte è la conseguenza irreparabile del peccato. Verso questa morte, che è il suicidio di Stavrògin, converge tutto il romanzo, ne è il compimento e il cuore» (p. 61).

 Ne I fratelli Karamazov la morte si configura con la follia. Ivàn nega Dio per orgoglio e lo sostituisce con la propria ragione; conseguentemente diviene pre­da di pensieri e desideri malsani, incontra Satana e precipita nel­la follia. Morte, follia, disperazione, solitudine, vuoto ínteriore: sono l’eredità di quanti rifiutano Dio. Tra i personaggi che testimoniano in positivo la presenza di Dio, Barsotti ne predilige due: Sonia in Delitto e castigo e lo staretz Zosima ne I fratelli Karamazov. Sonia è «la figura cristianamente più pura di tutta l’opera di Dostoevskij: è una prostituta, ma vive incontaminata in un mondo di peccato» (p. 129). Per salvare la fa­miglia dalla miseria, vende il suo corpo, ma il peccato non tocca la sua anima. «La sua bellezza è tutta spirituale. La sua apparizione, la sua presenza non turba, non eccita i sensi. Può discendere e può vivere nell’ambiente di peccato e di depravazione e non contami­narsi; anzi è lei che purifica [...]. Il suo sembra l’atteggiamento stesso di Dio nei confronti dei peccatori» (p. 40 s). Sa che la sua condizione non le consente di vivere una vita sacramentale e non osa partecipare alla vita della Chiesa, ma legge il Vangelo, che la fortifica e le dà la forza di accettare la sua abiezione.  Nello staretz Zosima, Dostoevskij ha inteso offrire un’icona del cristianesimo: un’icona che fosse la negazione di quanto, sullo stesso argomento, aveva sostenuto Ivàn Karamazov. Nel cristiane­simo, personificato nello staretz, c’è un’invasione di pace, di gioia, di forza, di amore. Nella luce della fede tutta la realtà si trasfigura.   

La teologia di Dostoevskij 

   La figura dello staretz ci introduce nell’ambito di quanto Bar­sotti chiama, un po’ enfaticalnente, La teologia di Dostoevskij. In realtà, lo scrittore non è un teologo né ha inteso fare teologia. E, un analista dell’animo umano; indagandone la natura, le esigenze e le leggi, intuisce che l’uomo è immagine di Dio e che, se di­strugge questa immagine, distrugge se stesso e diventa immagine del maligno. 

Al centro del mondo dostoevskiano dunque c’è «l’uomo, e nell’uomo si fa presente il mistero stesso di Dio. La vi­ta dell’uomo è lo scontro del male e del bene; il problema del ma­le e la concezione del bene dominano tutti i romanzi, e il bene e il male suppongono la libertà, postulano Dio» (p. 143). In Dio c’è la vita e la pace, senza Dio c’è la disgregazione e la rovina. Il problema dell’esistenza e della natura di Dio ha tormentato lo scrittore. È approdato alla fede non per via di ragionamento, ma attraverso la conoscenza di Gesù, incarnazione dell’amore che salva. Una fede, la sua, conquistata metro per metro, giorno do­po giorno, durante un’esistenza trascorsa all’insegna dell’insicu­rezza, della sofferenza e della macerazione interiore. Una volta in­contrato, Cristo non ha mai cessato di presentarglisi come salvez­za dell’uomo, sorgente e salvaguardia della libertà, ideale di ogni grandezza, fondamento della civiltà e della convivenza.  Barsotti difende l’ortodossia della fede cristiana dello scrittore contro quanti sostengono che la sua, più che religione cristiana, è religione del popolo e della terra. «E certo che la tentazione di una religione del popolo e della terra non è stata mai assente dal­la sua vita», ma «quando scriveva I demoni [in cui si ipotizza que­sta concezione] aveva ben chiaro che Dio non si identificava con l’anima di un popolo, e che la fede in Dio trascendeva una fede nel destino della nazione» (p. 142). 
   E la tentazione del «Dio russo»? questa tentazione «rimase [in lui] fino alla fine, ma non provocò il suo allontanamento da Cri­sto. Il Cristo ha rotto l’incantesimo di una natura chiusa, nella quale l’uomo è prigioniero. Quel Dio che si è incarnato nel Cri­sto non è, come nel paganesimo, una personificazione o un ele­mento della natura, ma è un Dio che trascende la natura. Nel rap­porto con lui, l’uomo è salvo precisamente perché rompe l’incan­tesimo di una natura che lo tiene prigioniero. 

Nel suo rapporto con Cristo ogni uomo è salvo, perché Dio lo ama, e non è in­ghiottito e digerito dal processo del tempo e della storia: l’uomo supera la natura e supera il tempo» (p. 144). Il Dio della religione di Dostoevskij pertanto «non si confon­de col divino della natura e non è il Dio della metafisica, ma non è neppure il Dio della storia: è il Dio che si è rivelato all’uomo nel­la vita e nella morte del Cristo, è, in ultima istanza, il Dio che vive nel cuore dell’uomo» (p. 1.45). E vero che questo Dio «non è mai esplicitamente il Dio Trinità della rivelazione cristiana», ma «non si può chiedere a un romanziere un trattato di teologia». E anche vero che lo scrittore «esplicitamente non parla dell’incar­nazione», tuttavia la centralità del suo Cristo e l’amore che gli porta «suppongono una sua trascendenza». A questo proposito vorremmo ricordare la splendida affermazione cristologica – Gesù Cristo è il Verbo fatto carne – che si trova nei Taccuini per «I demoni». Dopo aver respinto la concezione, in quel tempo ri­corrente, di un Cristo soltanto uomo, filosofo benefico e maestro di vita, afferma: «Ma io e voi, Satov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo-uomo non è il Salvatore e fonte di vita e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per gli uomini, la fonte della vita e la salvezza dalla dispe­razione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la ga­ranzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: Il Verbo si è fatto carne e la fede in queste parole» 8   

Conclusione 

   Come definire i due volumi di Barsotti? Non sono opera criti­ca: nessuna nota, nessun riscontro con altri studiosi, nessun con­fronto interpretativo. Don Divo va avanti per conto suo, solitario e tranquillo, in ascolto soltanto di se stesso. Li definiremmo per­tanto una conversazione con due eccellenti compagni di strada, Leopardi e Dostoevskij, fatta con intelligenza d’amore e suggeri­ta da comuni esperienze di vita e da approfondimenti spirituali. Volumi ricchi d’interesse, vivi, solcati da squarci di luce, per vari aspetti simpatetici. Non privi di limiti: ripetizioni, talune forzatu­re interpretative, qualche carenza d’informazione.            - Se volessimo sintetizzarli in poche battute, trascriveremmo un pensiero del loro autore: «Tutto è ombra; ogni creatura, ogni avve­nimento è segno. L’unica realtà sei Tu- e solo l’amore ti scopre»9.    
  


8 8 F. DOSTOEVSKJI, I demoni. I taccuini per «I demoni», Firenze, Sansoni, 1958,1.012.  
  9 9 D. BARSO’I'TI, Nel cuore di Dio, Bologna, Edb, 1991, 68. 

Ricordo di Don Divo Barsotti, il grande mistico

Una “giunta” all’inchiesta di Vinicio Catturelli sul cattocomunismo toscano, per ricordare la figura di Don Divo Barsotti, mistico testimone della Fede di sempre, lucido nei giudizi, irremovibile sulla Dottrina. Il pensiero di Don Barsotti sulla “preghiera in comune” con le false religioni.
di Osvaldo Ravoni
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z.barsotti
  E che dire di don Divo Barsotti, il mistico fondatore dei Figli di Dio che il sottoscritto ha ben conosciuto in vita e del quale serba anche del buon materiale cartaceo di cui pensa di servirsi per difendere il sacerdote “fedele” ?Sarà un caso ma, in contemporanea alla “sparata” di Betori, è uscito un libro – sembra per volere di un microcefalo, in qualche modo eletto successore di don Divo, un personaggio che vive di cattiverie, di gelosie, di invidie e, se è vero che lui sia l’ispiratore di questa pubblicazione, anche di menzogne…come il Diavolo! – a cura di due sconosciuti, naturalmente di “sinistra”, che rispondono ai nomi di Stefano Albertazzi e Agostino Ziino, e dal titolo sconvolgente ma furbesco : “Don Barsotti un uomo dentro il Concilio” (ed: San Paolo)…così da contentare tutti: quelli che, come il sottoscritto, hanno conosciuto don Divo (e sanno benissimo del suo giudizio sul Concilio) e quelli che non hanno conosciuto il mistico toscano o coloro che lo hanno conosciuto e, in malafede, cercano di turlupinare, falsando la sua figura e il suo insegnamento.
Don Divo Barsotti anche nei nostri incontri non faceva mistero delle sue idee e, tanto per fare un esempio, le esponeva anche pubblicamente su articoli di giornale o in interviste. C’è un libro illuminante in questo senso, ovvero “I cristiani vogliono essere cristiani” edito dalla San Paolo, a cura di Paolo Canal, con la presentazione di Antonio Socci, che comprende interventi del “Padre” dal 1950 fino al nuoco Secolo.
Centra bene il personaggio Antonio Socci allorché scrive:
“Don Divo Barsotti – come Maria , la sorella di Lazzaro – non ha fatto che scegliere la ‘parte migliore’ e non separarsene mai , non tradire mai quel Volto amato per i legnosi e menzogneri idoli dei tempi”.
Ecco, i legnosi e menzogneri idoli dei tempi erano proprio le idee a cui si rifacevano quei personaggi che l’arcivescovo di Firenze ha additato come “testimoni cattolici” (proprio così) del XX Secolo che hanno seguito il Magistero del cardinale Elia Dalla Costa.
Non mi resta che invitare i nostri lettori a leggere il libro “barsottiano”. E intanto, e lo faccio con grande umiltà, pensando di rendere un servigio alla mia Chiesa, vorrei far presente al nostro eminentissimo arcivescovo cosa pensasse don Barsotti della preghiera e, soprattutto, della preghiera fatta in comune con le false religioni :
z.lbrbars“I giovani…ne riscoprono in pieno il bisogno (della preghiera) . Molti si rivolgono a concezioni e tecniche che vengono dall’Oriente e che non sono conciliabili, malgrado certe apparenze, con l’autentica preghiera cristiana. Questa è sempre un dramma, perché è un rapporto di persone con Dio Trinitario, con il Dio di Persone. Il moderno pensiero occidentale  e molta religiosità orientale , invece propongono l’uomo come termine ultimo, come dio a se stesso. …l’Islamismo invece, accentuando fortemente e unilateralmente l’unicità di Dio, la sua trascendenza, la sua libertà assoluta senza contatto con l’uomo, impedisce a quest’ultimo di entrare in rapporto. Al fondo si scopre che il rapporto uomo – Dio, nella preghiera, è possibile solo se Dio è Trinità, se dunque è rapporto già in sé stesso“.
Ecco, se ne avessi l’autorità e l’autorevolezza, mi verrebbe voglia di chiedere al nostro arcivescovo – salto a piè pari il microcefalo per la mia idiosincrasia per tutto ciò che è viscido e strisciante – ma domenica scorsa, con tutto il musulmanune di Firenze, in Santa Maria del Fiore, chi avete pregato? Il nostro Dio, Uno e Trino, no di certo… siccome, date le condizioni, non avete pregato neanche Allah, il falso dio, allora posso pensare che abbiate pregato, come appunto predicava l’altro “testimone cattolico” del XX Secolo, p. Balducci, il “deus absconditus” ovvero il Grande Architetto dell’Universo…nella Loggia (pardon, nel duomo) di Firenze!
Quando Paolo VI chiese a don Divo Barsotti di cercare di mediare tra Vaticano e contestatori fiorentini (don Mazzi, p. Balducci, Turoldo e focolai simili) ne ebbe un netto rifiuto:
“Devono sentire la loro solitudine, devono accorgersi del peso di un cristianesimo che rifiuta la mediazione della Chiesa”.
Anche nei confronti dei democristiani, colpevoli di aver introdotto, con i loro tradimenti, la legge assassina sull’aborto fu inesorabile:
“Sono tra coloro che credono nel giudizio di Dio; pochi giorni dopo aver firmato , Leone se ne dovette scappare in modo disonorante dal Quirinale; subito dopo anche Andreotti dovette dimettersi. Dissero che se non avessero avallato quella legge il governo sarebbe caduto? Già, ma che importa a noi di tali governi?”.
E sul Concilio come la pensava Barsotti? Giulebbe per le mie orecchie…
“Newman, l’anglicano passato al cattolicesimo e divenuto cardinale, lo storico dei concili, ripeteva spesso che ogni Concilio è sempre un grave pericolo per la fede. E ‘ uno strumento da manovrare con grande prudenza e fermezza, da convocare dopo aversi pensato bene e solo per gravi questioni. Sin dalla prima sessione si vide dove le cose andavano a parare, con l’accantonamento sdegnoso di tutti gli schemi preparati. Inoltre i vescovi dissero subito che non intendevano condannare nessuno, il che significava però rinunziare al loro servizio di maestri della fede, di depositari della rivelazione…
E il suo giudizio su Teilhard de Chardin? Eccolo, paro, paro: “ E’ il pensatore che sta dietro a molti errori che inquinano la teologia (e la mentalità moderna) . E’ stato il maestro di certi periti ed esperti conciliari. Stabilisce infatti una continuità tra progresso ideologico e progresso spirituale: è il concetto di evoluzione, insomma, applicato al cristianesimo. Con vari risultati inquietanti: il peccato diventa tutt’al più un incidente, una mancanza che sarà appianata dall’evoluzione; la libertà svanisce perché uomo e umanità sono coinvolti, lo vogliano o no, in un processo ascendente comunque verso l’alto; la verità e il dogma che cerca di esprimerla diventano relativi, destinati a essere sorpassati, ciò che conta è solo davanti, verso il punto finale dell’evoluzione. E, invece, il cristianesimo autentico impone di guardare contemporaneamente al futuro, al passato e al presente”
Siccome, però, ci vergogneremmo a fare come hanno fatto i due curatori del libro “Don Barsotti : un uomo dentro il Concilio”, ovvero a estrapolare, come hanno sempre fatto i falsari neomodernisti, alcune frasi per servirsi del “Padre” ad usum delphini, invitiamo a leggere la pubblicazione a cura di Paolo Canal, pubblicata dalla San Paolo “I cristiani vogliono essere cristiani”. Sono 350 pagine che documentano : “la lucidità eccezionale con cui don Barsotti a ogni svolta dei tempi, in ogni contingenza, ha illuminato il cammino confuso di tanti cristiani indicando sempre e solo Lui, la Verità fatta carne, il suo Santo Volto, la vita vera della Chiesa”.
Insomma, scegliete. Tra i testimoni del XX Secolo, se mettete Don Divo Barsotti, Bargellini e, sì, anche Giorgio la Pira, che alla Chiesa fu sempre fedele, allora levate i vari p. Balducci, don Milani, Giampaolo Meucci, David Turoldo etc. e levate anche i microcefali, lo dico con tutto il rispetto , di oggi. Sì, perché anche nell’errore e nell’eresia si può esser grandi. Come c’è una grandezza anche nel male: don Rodrigo e l’Innominato. Gli emuli dei Milani, Balducci, Turoldo, Meucci, si chiamano oggi don Mazzinghi, don Jacopuzzi, don Mohamed Maurizio Tagliaferri, don Stinghi , don Santoro, don Giannoni, don Marco Zanobini…come i carciofi al mercato in offerta nella stagione buona: tre mazzi un euro.
Con la differenza che ai carciofi non è concesso l’insegnamento nel seminario fiorentino.

LE RIFLESSIONI DI DON DIVO BARSOTTI SULLE “MODERNITA’ “ DELLA CHIESA




barsotti

L’impazienza è il veleno che a piccole o grandi dosi l’uomo moderno, compreso il cristiano, si inietta continuamente nelle vene ed ecco che l’ «uomo, proprio in forza della speranza che lo anima e lo spinge, non sa più abbandonarsi a Dio e attendere “i suoi momenti”, vuole anticiparli da sé e, proprio nel suo sforzo di realizzare quaggiù il Regno di Dio, va avanti da solo e Dio lo abbandona» (1). Questa grande verità venne analizzata da un maestro della spiritualità del XX secolo, don Divo Barsotti, in un suo articolo pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 16 marzo 1969 e ripreso in un interessante libro che raccoglie suoi articoli ed interventi dal titolo “I cristiani vogliono essere cristiani” (San Paolo 2006, pp. 347, € 17,00).
Ma l’uomo, senza Dio, dove può mai arrivare? L’infelicità sarà il suo certificato di garanzia. Non c’è niente di più tragico, per l’uomo, che rimanere solo, senza il Padre che lo volle e lo creò. Pensiamo alla drammaticità di rimanere orfani nella tenera età oppure al terrore scritto sul volto di tanti anziani malati lasciati soli negli ospizi; pensiamo, soprattutto, a chi rimane orfano del Signore, all’inquietudine di società intere, un tempo cristiane, che hanno perso la Fede e la speranza in Dio: là dove la persona non fa più affidamento al suo Creatore ha già la morte nell’anima. Ci sono stati e ci sono eremiti che, benché vivano nella solitudine più assoluta, pregustano già la felicità eterna, perché vivono in Dio e non si affannano mai, non conoscono l’impazienza, ma solo la pazienza, vivendo nella traiettoria dell’Assoluto e dell’Amore Infinito, immersi nella Sua grazia, che nutre e disseta.
«Quando il tempo presente, quando l’esperienza di quaggiù cessa di essere segno del Mistero, allora il tempo perde la sua stessa significazione e l’esperienza umana diviene vuota di senso» (2). Questa misteriosa, splendida, fuggitiva e terribile scena temporale, dove bene e male sono in perenne conflitto dentro e fuori di noi, ha un grande e sibillino protagonista: il Tentatore che minaccia tutti gli uomini, anche quelli di Chiesa.
 Senza il Mistero della Fede, afferma don Barsotti, la vita perde di significato e allora: «Mi domando se non è questa la tentazione di tanti oggi nella Chiesa. Una certa volontà che si disfaccia la Istituzione ecclesiastica, cioè la Chiesa, nella “città secolare”» (3). Barsotti, monaco di grande Fede, ma anche di grande onestà intellettuale, si interrogò assiduamente sulla deriva di buona parte del mondo cattolico e ne cercò le cause.
 Quella «città secolare» dentro alla «Città di Dio» proprio non poteva accoglierla con passività e rassegnazione. «La Costituzione pastorale “Gaudium et Spes” forse ne è stata l’occasione? Ogni grazia è ambigua: anche una Costituzione Conciliare, in una sua interpretazione aberrante, potrebbe rappresentare una grave tentazione» (4). Ma si tratta semplicemente di interpretazione o forse non ci sono già segni pericolosi dentro l’oggetto di quella che potrebbe diventare «interpretazione aberrante»? 
Don Barsotti afferma che la Chiesa non deve avere paura della Croce, perché in essa sta il segno della Fede e ad essa bisogna obbedire. «Si può dire: il Cristo ha già realizzato la salvezza, il Regno di Dio; sì, ma tu ne sei escluso, se l’obbedienza della fede che in Lui compì il disegno divino della salvezza, non diviene la sua stessa obbedienza. Per questo l’obbedienza della fede è la suprema attività dell’uomo. […]. Nulla perciò è più efficace, in ordine alla speranza della piena rivelazione del Regno di Dio, che la fede, anzi, nulla è veramente efficace tranne l’obbedienza della fede. Ogni attività che prescinda dalla fede, è attività demoniaca che vorrebbe violentare le segrete disposizioni di Dio, vorrebbe strappare a Dio la decisione dell’intervento ultimo, sostituendo all’economia sacramentale presente, l’economia della gloria», e il fondatore dei Figli di Dio, a questo punto, non usa mezzi termini: «Parlare di un post-cristianesimo è, nel migliore dei casi, delirio soltanto di chi ha perduto la fede e rinunzia definitivamente alla salvezza di Dio» (5).
Don Divo Barsotti è profondamente allarmato dalla secolarizzazione della cristianità, ma non se ne sta con le mani in mano, reagisce con prediche, discorsi, articoli, libri… Nessun processo di secolarizzazione, afferma, avrà la capacità di risolvere in elemento secolare le virtù teologali: non la fede, non la speranza e nemmeno la carità, perché l’assistenza sociale non sostituisce e non sostituirà mai l’amore cristiano. Infatti il termine solidarietà ha rimpiazzato, anche in ampi strati della Chiesa, il cattolico vocabolo carità.
Magnifico e verissimo ciò che sostiene: il Sacerdote mantiene la sua essenziale e formidabile mansione anche se gli fosse impedita ogni attività sociale. Questo vale pure per la Chiesa, anche se essa perdesse ogni grandezza di carattere storico. Gli uomini potrebbero comunque riconoscere al Sacerdote e alla Chiesa la loro vera missione che è l’annuncio della Salvezza, la celebrazione del Santo Sacrificio, la discesa della grazia attraverso i Sacramenti, l’unione con Dio nella preghiera. La Santa Messa è il cuore della Fede. 
Ma come porsi allora di fronte alle tante celebrazioni eucaristiche postconciliari dove al centro dell’attenzione non c’è più l’immolazione del Figlio di Dio, ma l’assemblea? «Se la celebrazione liturgica non realizzasse la unità trascendente degli uomini in Cristo, che cosa sarebbe di più che una riunione di amici, cui disturba ogni forma come inutile e falsa? Meglio cento volte un rito incomprensibile, che una celebrazione che si risolva in un puro incontro di amici – non certo perché l’incomprensibilità del rito illude più facilmente sul suo valore, ma perché meglio significa il suo contenuto reale di Mistero che trascende tutto l’umano» (6).
Benché la secolarizzazione abbia profanato realtà che non le appartenevano, come per esempio la Sacra Liturgia, la «Presenza rimane e giudica il mondo». Qui don Barsotti si fa severo. Togliendo stoltamente la Croce per porvi un Gesù umanizzato che tutto perdona e tutti accoglie, si toglie il Mistero, ma ciò non può che portare alla rovina: l’uomo, così facendo, dovrà rinunciare al senso della vita, della storia, della creazione: gli rimarrà, alla fine, la dimensione animale, senza però averne l’innocenza, «animale che vive senza perché e muore senza rimpianto» (7).
Severo è anche quando rimprovera, senza fare il nome dell’autore, il titolo di un libro uscito intorno al 1969, Credenti e non credenti per un mondo nuovo. Barsotti qui insiste sul fatto che non può esistere alcuna «novità» per il credente all’infuori di Cristo, perciò è logico che fra chi ha Fede e chi non l’ha, seppur possano vivere insieme e lavorare insieme, esiste un abisso: mentre per il secondo la sua condizione non trova risposte serie e non sa dove sia diretto, la meta per il primo è chiara e può credere meno in se stesso e nelle proprie attività, proprio perché si affida a Chi di lui si prende cura come i gigli dei campi e i passeri del Cielo.
Interessante poi ciò che il fondatore dei Figli di Dio dichiara allorquando prende in esame la locuzione «Popolo di Dio», la quale, dal Concilio Vaticano II in poi, ha preso il posto di Gesù Crocifisso: «Fermandosi e insistendo sull’immagine di “Popolo di Dio”, la Costituzione dogmatica Lumen gentium già rivela l’intenzione fondamentale del Concilio di ispirare una teologia eminentemente pastorale» (8). Il Popolo non sostituisce, mai, il Figlio di Dio, così «come non lo sostituisce il “Cristo cosmico” che non ho mai capito che fosse», quello declamato dal geologo e paleoantropologo Teilhard de Chardin S.j. (1881 – 1955), che ebbe a definirsi in questi termini: «Io non sono né un filosofo, né un teologo, ma uno studioso del ‘fenomeno’, un ‘fisico’ nel senso dei greci » (9)… quale e quanta differenza dal dottissimo san Pier Damiani (1007-1072), teologo, latinista, vescovo e cardinale, che di sé diceva: «Petrus ultimus monachorum servus» («Pietro, ultimo servo dei monaci»).
Il 30 luglio 1969 su «L’Osservatore Romano» don Barsotti si fa interprete dell’ortodossia contro le idee distorte moderne che hanno seminato la gramigna ovunque, infestando anche i campi migliori. Il suo racconto è chiaro, preciso, illuminante: vi è rappresentato il pensiero, trasmesso purtroppo da buona parte dei pastori, che oggi il cristiano ha della Chiesa:
«Alcuni giorni fa, predicando un ritiro, un’ottima figliola si mostrò meravigliata che io non capissi come finalmente il Concilio ci avesse dato della Chiesa una concezione schiettamente democratica. La Chiesa, essa mi diceva, segue il cammino dei tempi. Alle monarchie assolute han fatto luogo le democrazie popolari. Così nella Chiesa. Non è Essa infatti il Popolo di Dio? Al sacerdozio ministeriale la Comunità delega semplicemente i propri doveri, e nulla vieta che possa riprenderli, quando il sacerdote ne abusa. Non vi è altro sacerdozio, come non vi è altra regalità che quella del Popolo». Alla giovane il monaco rispose con la Fede di sempre, quella trasmessa di generazione in generazione, dal Salvatore in poi. Disse che è Cristo il pastore del gregge, Egli la roccia sulla quale è edificata la Chiesa come Tempio santo di Dio ed è Pietro che il Figlio di Dio scelse per pascere, in suo nome, le pecore del gregge: non è il gregge che sceglie il suo pastore.
Gli spunti di riflessione che don Barsotti ci propone sono molteplici: la sua teologia scava nei meandri della mentalità moderna e per non perdersi nei suoi labirinti, come invece hanno fatto molti altri colleghi del suo tempo, si è ancorato alle verità della Tradizione della Chiesa.
Chiudiamo con alcune osservazioni decisamente impregnate di attualità, considerando lo stato attuale di questa Europa malata e depressa, che non ha più nessun esempio da dare se non in negativo. «Non è certo facile vivere oggi. Respiriamo un’atmosfera di crisi – religiosa, politica, filosofica, morale – che vorrebbe toglierci ogni volontà di lavorare, ogni gioia di vivere. […]. Saper vivere, saper morire: chi ci insegna più questa sapienza? […]. Non c’è nulla da salvare quando ognuno vuol salvare soltanto se stesso e il proprio egoismo» (10). 
L’amarezza pervade questo mistico che vorrebbe gridare a tutti quanto è benefico stare con Dio. Immensa pena prova per coloro che corrono alla «fiera delle vanità» (11), coloro che credono e vorrebbero far credere ad una loro testimonianza. Ma testimonianza a chi e di che cosa? Si è disposti a mettere se stessi al servizio di coloro che hanno più o meno potere; ma si tratta di un servizio impuro perché nell’intimo il “servitore” non ama il “servito”, ovvero il padrone che si è scelto. «Si è servi in vista soltanto di diventare padroni» (12) e questo non vale soltanto per gli uomini del potere civile, ma anche di coloro che detengono quello religioso. 
Gli uomini veri, aggiunge ancora Barsotti, non sono mai stati molti, ma non conforta il constatare che ogni giorno sono sempre meno. E chi sono questi uomini veri a cui fa riferimento? Coloro che non cercano un facile consenso esteriore, ma sono paghi della testimonianza della propria coscienza e non antepongono nulla alla fedeltà di seguirne le norme con semplicità e fermezza. Ma una cultura «che non fa posto alcuno all’interiorità, non può educare gli uomini ad essere uomini» (13).