Benedetto XVI ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, Prelatura Romana, per la presentazione degli auguri natalizi (20 dicembre 2010)
AI CARDINALI, ARCIVESCOVI E VESCOVI, PRELATURA ROMANA,
PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
È  con vivo piacere che vi incontro, cari Membri del Collegio Cardinalizio,  Rappresentanti della Curia Romana e del Governatorato, per questo  appuntamento tradizionale. Rivolgo a ciascuno un cordiale saluto, ad  iniziare dal Cardinale Angelo Sodano, che ringrazio per le espressioni  di devozione e di comunione, e per i fervidi auguri che mi ha rivolto a  nome di tutti. Prope est jam Dominus, venite, adoremus!  Contempliamo come un’unica famiglia il mistero dell’Emmanuele, del  Dio-con-noi, come ha detto il Cardinale Decano. Ricambio volentieri i  voti augurali e desidero ringraziare vivamente tutti, compresi i  Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per l’apporto competente e  generoso che ciascuno presta al Vicario di Cristo e alla Chiesa.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”  – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega  ripetutamente nei giorni dell’Avvento. Sono invocazioni formulate  probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il  disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli  atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la  rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la  convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando.  Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di  insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a  tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza  propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte  queste minacce.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera di Avvento della Chiesa. Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.
Excita  – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo  nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare.  Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i  discepoli per la loro poca fede (cfr Mt 8,26 e par.). Voleva  dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a  noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di  svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede  il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose  del mondo.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”:  nelle grandi angustie, alle quali siamo stati esposti in quest’anno,  tale preghiera di Avvento mi è sempre tornata di nuovo alla mente e  sulle labbra. Con grande gioia avevamo iniziato l’Anno sacerdotale e,  grazie a Dio, abbiamo potuto concluderlo anche con grande gratitudine,  nonostante si sia svolto così diversamente da come ce l’eravamo  aspettati. In noi sacerdoti e nei laici, proprio anche nei giovani, si è  rinnovata la consapevolezza di quale dono rappresenti il sacerdozio  della Chiesa Cattolica, che ci è stato affidato dal Signore. Ci siamo  nuovamente resi conto di quanto sia bello che esseri umani siano  autorizzati a pronunciare in nome di Dio e con pieno potere la parola  del perdono, e così siano in grado di cambiare il mondo, la vita; quanto  sia bello che esseri umani siano autorizzati a pronunciare le parole  della consacrazione, con cui il Signore attira dentro di sé un pezzo di  mondo, e così in un certo luogo lo trasforma nella sua sostanza; quanto  sia bello poter essere, con la forza del Signore, vicino agli uomini  nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore importanti come in quelle buie  dell’esistenza; quanto sia bello avere nella vita come compito non  questo o quell’altro, ma semplicemente l’essere stesso dell’uomo – per  aiutare che si apra a Dio e sia vissuto a partire da Dio. Tanto più  siamo stati sconvolti quando, proprio in quest’anno e in una dimensione  per noi inimmaginabile, siamo venuti a conoscenza di abusi contro i  minori commessi da sacerdoti, che stravolgono il Sacramento nel  suo contrario: sotto il manto del sacro feriscono profondamente la  persona umana nella sua infanzia e le recano un danno per tutta la vita.
In  questo contesto, mi è venuta in mente una visione di sant’Ildegarda di  Bingen che descrive in modo sconvolgente ciò che abbiamo vissuto in  quest’anno. “Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo  tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi  una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di  comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo  volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al  cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di  un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di  onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato  destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza  singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e  lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio  volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato!  Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’
E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa.
Le  stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte  le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle  ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste  poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere  sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano  totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché  non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della  giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia  trovo in alcuni lo splendore della verità’.
E  sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la  Chiesa. Per questo, o essere umano che vedi tutto ciò e che ascolti le  parole di lamento, annuncialo ai sacerdoti che sono destinati alla guida  e all’istruzione del popolo di Dio e ai quali, come agli apostoli, è  stato detto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni  creatura»’ (Mc 16,15)” (Lettera a Werner von Kirchheim e alla sua comunità sacerdotale: PL 197, 269ss).
Nella  visione di sant’Ildegarda, il volto della Chiesa è coperto di polvere,  ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato – per la  colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo  vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come  un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la  verità salva. Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per  riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che  cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di  configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere.  Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo  essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il  possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non  possa più succedere. È questo anche il luogo per ringraziare di cuore  tutti coloro che si impegnano per aiutare le vittime e per ridare loro  la fiducia nella Chiesa, la capacità di credere al suo messaggio. Nei  miei incontri con le vittime di questo peccato, ho sempre trovato anche  persone che, con grande dedizione, stanno a fianco di chi soffre e ha  subito danno. È questa l’occasione per ringraziare anche i tanti buoni  sacerdoti che trasmettono in umiltà e fedeltà la bontà del Signore e, in  mezzo alle devastazioni, sono testimoni della bellezza non perduta del  sacerdozio.
Siamo  consapevoli della particolare gravità di questo peccato commesso da  sacerdoti e della nostra corrispondente responsabilità. Ma non possiamo  neppure tacere circa il contesto del nostro tempo in cui è dato vedere  questi avvenimenti. Esiste un mercato della pornografia concernente i  bambini, che in qualche modo sembra essere considerato sempre più dalla  società come una cosa normale. La devastazione psicologica di bambini,  in cui persone umane sono ridotte ad articolo di mercato, è uno  spaventoso segno dei tempi. Da Vescovi di Paesi del Terzo Mondo sento  sempre di nuovo come il turismo sessuale minacci un’intera generazione e  la danneggi nella sua libertà e nella sua dignità umana. L’Apocalisse  di san Giovanni annovera tra i grandi peccati di Babilonia – simbolo  delle grandi città irreligiose del mondo – il fatto di esercitare il  commercio dei corpi e delle anime e di farne una merce (cfr Ap  18,13). In questo contesto, si pone anche il problema della droga, che  con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero  globo terrestre – espressione eloquente della dittatura di mammona che  perverte l’uomo. Ogni piacere diventa insufficiente e l’eccesso  nell’inganno dell’ebbrezza diventa una violenza che dilania intere  regioni, e questo in nome di un fatale fraintendimento della libertà, in  cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del  tutto.
Per opporci a queste forze dobbiamo gettare uno sguardo sui loro fondamenti ideologici. Negli anni Settanta, la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino. Questo, però, faceva parte di una perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere. Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Veritatis splendor del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale. Questo testo oggi deve essere messo nuovamente al centro come cammino nella formazione della coscienza. È nostra responsabilità rendere nuovamente udibili e comprensibili tra gli uomini questi criteri come vie della vera umanità, nel contesto della preoccupazione per l’uomo, nella quale siamo immersi.
Come secondo punto vorrei dire una parola sul Sinodo delle Chiese del Medio Oriente. Esso ebbe inizio con il mio viaggio a Cipro dove potei consegnare l’Instrumentum laboris  per il Sinodo ai Vescovi di quei Paesi lì convenuti. Rimane  indimenticabile l’ospitalità della Chiesa ortodossa che abbiamo potuto  sperimentare con grande gratitudine. Anche se la piena comunione non ci è  ancora donata, abbiamo tuttavia constatato con gioia che la forma  basilare della Chiesa antica ci unisce profondamente gli uni con gli  altri: il ministero sacramentale dei Vescovi come portatore della  tradizione apostolica, la lettura della Scrittura secondo l’ermeneutica  della Regula fidei, la comprensione della Scrittura nell’unità  multiforme incentrata su Cristo sviluppatasi grazie all’ispirazione di  Dio e, infine, la fede nella centralità dell’Eucaristia nella vita della  Chiesa. Così abbiamo incontrato in modo vivo la ricchezza dei riti  della Chiesa antica anche all’interno della Chiesa Cattolica. Abbiamo  avuto liturgie con Maroniti e con Melchiti, abbiamo celebrato in rito  latino e abbiamo avuto momenti di preghiera ecumenica con gli Ortodossi,  e, in manifestazioni imponenti, abbiamo potuto vedere la ricca cultura  cristiana dell’Oriente cristiano. Ma abbiamo visto anche il problema del  Paese diviso. Si rendevano visibili colpe del passato e profonde  ferite, ma anche il desiderio di pace e di comunione quali erano  esistite prima. Tutti sono consapevoli del fatto che la violenza non  porta alcun progresso – essa, infatti, ha creato la situazione attuale.  Solo nel compromesso e nella comprensione vicendevole può essere  ristabilita un’unità. Preparare la gente per questo atteggiamento di  pace è un compito essenziale della pastorale.
Nel  Sinodo lo sguardo si è poi allargato sull’intero Medio Oriente, dove  convivono fedeli appartenenti a religioni diverse ed anche a molteplici  tradizioni e riti distinti. Per quanto riguarda i cristiani, ci sono le  Chiese pre-calcedonesi e quelle calcedonesi; Chiese in comunione con  Roma ed altre che stanno fuori di tale comunione ed in entrambe  esistono, uno accanto all’altro, molteplici riti. Negli sconvolgimenti  degli ultimi anni è stata scossa la storia di condivisione, le tensioni e  le divisioni sono cresciute, così che sempre di nuovo con spavento  siamo testimoni di atti di violenza nei quali non si rispetta più ciò  che per l’altro è sacro, nei quali anzi crollano le regole più  elementari dell’umanità. Nella situazione attuale, i cristiani sono la  minoranza più oppressa e tormentata. Per secoli sono vissuti  pacificamente insieme con i loro vicini ebrei e musulmani. Nel Sinodo  abbiamo ascoltato parole sagge del Consigliere del Mufti della  Repubblica del Libano contro gli atti di violenza nei confronti dei  cristiani. Egli diceva: con il ferimento dei cristiani veniamo feriti  noi stessi. Purtroppo, però, questa e analoghe voci della ragione, per  le quali siamo profondamente grati, sono troppo deboli. Anche qui  l’ostacolo è il collegamento tra avidità di lucro ed accecamento  ideologico. Sulla base dello spirito della fede e della sua  ragionevolezza, il Sinodo ha sviluppato un grande concetto del dialogo,  del perdono e dell’accoglienza vicendevole, un concetto che ora vogliamo  gridare al mondo. L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò  che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo alla fine ferisce  tutti. Così le parole e i pensieri del Sinodo devono essere un forte  grido rivolto a tutte le persone con responsabilità politica o religiosa  perché fermino la cristianofobia; perché si alzino a difendere i  profughi e i sofferenti e a rivitalizzare lo spirito della  riconciliazione. In ultima analisi, il risanamento può venire soltanto  da una fede profonda nell’amore riconciliatore di Dio. Dare forza a  questa fede, nutrirla e farla risplendere è il compito principale della  Chiesa in quest’ora.
Mi piacerebbe parlare dettagliatamente dell’indimenticabile viaggio nel Regno Unito,  voglio però limitarmi a due punti che sono correlati con il tema della  responsabilità dei cristiani in questo tempo e con il compito della  Chiesa di annunciare il Vangelo. Il pensiero va innanzitutto all’incontro con il mondo della cultura nella Westminster Hall,  un incontro in cui la consapevolezza della responsabilità comune in  questo momento storico creò una grande attenzione, che, in ultima  analisi, si rivolse alla questione circa la verità e la stessa fede. Che  in questo dibattito la Chiesa debba recare il proprio contributo, era  evidente per tutti. Alexis de Tocqueville, a suo tempo, aveva osservato  che in America la democrazia era diventata possibile e aveva funzionato,  perché esisteva un consenso morale di base che, andando al di là delle  singole denominazioni, univa tutti. Solo se esiste un tale consenso  sull’essenziale, le costituzioni e il diritto possono funzionare. Questo  consenso di fondo proveniente dal patrimonio cristiano è in pericolo là  dove al suo posto, al posto della ragione morale, subentra la mera  razionalità finalistica di cui ho parlato poco fa. Questo è in realtà un  accecamento della ragione per ciò che è essenziale. Combattere contro  questo accecamento della ragione e conservarle la capacità di vedere  l’essenziale, di vedere Dio e l’uomo, ciò che è buono e ciò che è vero, è  l’interesse comune che deve unire tutti gli uomini di buona volontà. È  in gioco il futuro del mondo.
Infine, vorrei ancora ricordare la beatificazione del Cardinale John Henry Newman.  Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? A queste domande si  possono dare molte risposte, che nel contesto della beatificazione sono  state sviluppate. Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme  e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa. Il primo è che dobbiamo  imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un  cammino spirituale che ci interessa tutti. Vorrei qui mettere in risalto  solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente. Fino a  quel momento, Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e  come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono  semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come  qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria  vita. Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del  nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa  la “realtà” secondo cui ci si orienta. Il “reale” è ciò che è  afferrabile, sono le cose che si possono calcolare e prendere in mano.  Nella sua conversione Newman riconosce che le cose stanno proprio al  contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello  spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono  molto più reali degli oggetti afferrabili. Questa conversione significa  una svolta copernicana. Ciò che fino ad allora era apparso irreale e  secondario si rivela come la cosa veramente decisiva. Dove avviene una  tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma  fondamentale della vita. Di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di  nuovo bisogno: allora siamo sulla via retta.
La  forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman  la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la  parola “coscienza” significa che in materia di morale e di religione, la  dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della  decisione. Il mondo viene diviso negli ambiti dell’oggettivo e del  soggettivo. All’oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e  verificare mediante l’esperimento. La religione e la morale sono  sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del  soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri  oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo  il soggetto, e con la parola “coscienza” si esprime, appunto, questo: in  questo ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue  intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è  diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di  verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti  decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la  verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità,  gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la  verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra.  Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità,  che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle  conversioni di Newman è un cammino della coscienza – un cammino non  della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario,  dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. La sua  terza conversione, quella al Cattolicesimo, esigeva da lui di  abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e  la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti  amici. La rinuncia che l’obbedienza verso la verità, la sua coscienza,  gli chiedeva, andava ancora oltre. Newman era sempre stato consapevole  di avere una missione per l’Inghilterra. Ma nella teologia cattolica del  suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita. Era troppo aliena  rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della  pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi  sconvolgenti: “Come protestante, la mia religione mi sembrava misera,  non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non  però la mia religione”. Non era ancora arrivata l’ora della sua  efficacia. Nell’umiltà e nel buio dell’obbedienza, egli dovette  aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per  poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della  coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama  far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse  dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al  Papa. Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima  obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione  dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si  fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi,  perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità.
Devo rinunciare a parlare dei viaggi così significativi a Malta, in Portogallo e in Spagna.  In essi si è reso nuovamente visibile che la fede non è una cosa del  passato, ma un incontro con il Dio che vive ed agisce adesso. Egli ci  chiama in causa e si oppone alla nostra pigrizia, ma proprio così ci  apre la strada verso la gioia vera.
“Excita, Domine, potentiam tuam, et veni!”.  Siamo partiti dall’invocazione della presenza della potenza di Dio nel  nostro tempo e dall’esperienza della sua apparente assenza. Se apriamo i  nostri occhi, proprio nella retrospettiva sull’anno che volge al  termine, può rendersi visibile che la potenza e la bontà di Dio sono  presenti in maniera molteplice anche oggi. Così tutti noi abbiamo motivo  per ringraziarLo. Con il ringraziamento al Signore rinnovo il mio  ringraziamento a tutti i collaboratori. Voglia Dio donare a tutti noi un  Santo Natale ed accompagnarci con la sua bontà nel prossimo anno.
Affido  questi voti all’intercessione della Vergine Santa, Madre del Redentore,  e a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di  cuore la Benedizione Apostolica. Buon Natale!
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 inundado por um mistério de luz que é Deus   e N´Ele vi e ouvi -A ponta da lança como chama que se desprende, toca o eixo da terra, – Ela estremece: montanhas, cidades, vilas e aldeias com os seus moradores são sepultados. - O mar, os rios e as nuvens saem dos seus limites, transbordam, inundam e arrastam consigo num redemoinho, moradias e gente em número que não se pode contar , é a purificação do mundo pelo pecado em que se mergulha. - O ódio, a ambição provocam a guerra destruidora!  - Depois senti no palpitar acelerado do coração e no meu espírito o eco duma voz suave que dizia: – No tempo, uma só Fé, um só Batismo, uma só Igreja, Santa, Católica, Apostólica: - Na eternidade, o Céu!
inundado por um mistério de luz que é Deus   e N´Ele vi e ouvi -A ponta da lança como chama que se desprende, toca o eixo da terra, – Ela estremece: montanhas, cidades, vilas e aldeias com os seus moradores são sepultados. - O mar, os rios e as nuvens saem dos seus limites, transbordam, inundam e arrastam consigo num redemoinho, moradias e gente em número que não se pode contar , é a purificação do mundo pelo pecado em que se mergulha. - O ódio, a ambição provocam a guerra destruidora!  - Depois senti no palpitar acelerado do coração e no meu espírito o eco duma voz suave que dizia: – No tempo, uma só Fé, um só Batismo, uma só Igreja, Santa, Católica, Apostólica: - Na eternidade, o Céu! 