domingo, 26 de dezembro de 2010

Card.Siri : Nella colluvie di cose dette e scritte si parla forse poco della «Chiesa Romana». Eppure la Chiesa Romana è fondamento nella Chiesa. Dovremo ricordarlo. La dimensione della Chiesa Romana è poggiata su due punti chiave: il primo è dato dalla Sacra Scrittura neo-testamentaria, il secondo dalla Tradizione Apostolica. Il primo si dissolverebbe nel nulla senza il secondo; il secondo resterebbe assolutamente vuoto senza il primo. I due dati li ha legati Dio stesso.

 Carinal Siri con i Papi

1. Con PioXII
2. Ancora con Pio XII
3. Con Giovanni XXIII e il Card. Lercaro
3bis.I Cardinali della CEI con Giovanni XXIII
4. Con Paolo VI
5. Alla CEI con Paolo VI
6. Obbedienza a Giovanni Paolo I
7. Obbedienza a Giovanni Paolo II
8. Con Giovanni Paolo II
9. Con i Vescovi liguri in Visita ad Limina da Giovanni Paolo II

 

Sancta Romana Ecclesia

1987
Nella colluvie di cose dette e scritte si parla forse poco della «Chiesa Romana». Eppure la Chiesa Romana è fondamento nella Chiesa. Dovremo ricordarlo.
La dimensione della Chiesa Romana è poggiata su due punti chiave: il primo è dato dalla Sacra Scrittura neo-testamentaria, il secondo dalla Tradizione Apostolica. Il primo si dissolverebbe nel nulla senza il secondo; il secondo resterebbe assolutamente vuoto senza il primo. I due dati li ha legati Dio stesso. Senza l’uno e senza l’altro, la Chiesa sarebbe stata un’effimera assemblea, per di più — siccome accade nelle faccende umane — rissosa e chiassosa. Non bisogna dimenticare il servizio che la Chiesa Romana ha reso di natura sua alle Chiese separate: hanno mantenuto una certa interna unità, perché c’era essa — la Chiesa Romana — per modello, magari come termine di concorrenza.
La Chiesa Romana è costituita da tre elementi: il suo Vescovo, il suo Clero, il suo popolo. E’ estremamente concreta.
 
Il fondamento biblico
E’ tutto nel conferimento dell’ufficio primaziale alla persona di Pietro, ufficio riconosciuto ed esercitato subito dopo l’Ascensione del Signore. Il testo di s. Matteo, al riguardo, è chiarissimo. Gesù ha detto a Pietro, a Lui solo, ben distintamente dagli altri Apostoli, dei quali si occuperà in seguito: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto quello che avrai legato sulla terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt. 16, 18-19). Questo testo è chiarissimo; per contestarlo bisogna semplicemente negarlo, ma questa è la caratteristica di coloro che non hanno argomenti, tanto più che la critica più serrata e senza pregiudizi ne ha dimostrato la autenticità.
Il testo è rivolto ad una sola persona: Pietro; poiché assicura la sua vittoria su «le porte dell’inferno», indica che, passando la persona, l’ufficio a questa connesso rivivrà intatto in un’altra persona, ossia in una serie indefinita di successori; il potere di questo ufficio è sommo, unico, supremo. La parte che ha Pietro nei primordi della Chiesa mostra il suddetto testo in «azione», la stessa continuità del Regno di Dio — del quale Pietro è la roccia fondamentale — esige la coerente estensione nel tempo di quello stesso ufficio . Questo rapporto evidente col resto della Rivelazione neo-testamentaria è tale che, per negare il testo, occorre negare addirittura Gesù Cristo. L’alternativa è semplicemente questa. Nella Chiesa, come punto d’appoggio ultimo della sua struttura, ce n’è uno solo, ed è Pietro!
Certa teologia moderna che ama troppo Hegel cerca di negare o svanire davanti a Pietro; tanto fa non perché abbia ragioni, ma perché invece di tenere Cristo, Figlio di Dio, cerca di salvare Hegel. Anche se non sempre lo sa o non agisce di proposito... Negato il testo di Matteo, più nulla sta insieme e la visione del «Regno» svanisce ... Se il potere dato all’ufficio di Pietro deve continuare è semplicemente necessario trovare dove si è fissato, ma fissandosi rimane quello che è, non si sfalda, non si diminuisce: la alternativa rimane sempre e semplicemente quella che or ora si è indicata. E sarebbe troppo!

Dove la Tradizione Apostolica ha fissato Pietro?
L’ufficio di Pietro risulta dai testi biblici indivisibile: esso non può essere lottizzato. Questo è importante perché tale esso dovrà restare, dovunque sarà fissato. E questo resta ben determinato per l’ambiente nel quale sarebbe stato effettivamente fissato. Una ipotesi deve essere senz’altro esclusa: che il potere di Pietro possa essere fissato fuori della Chiesa, quale da Cristo istituita e da Lui stessa munita di una costituzione.
A chi toccava fissare dove dopo di Lui sarebbe rimasta la roccia? A Pietro, naturalmente, a meno che non fosse intervenuto un ordine o decisione superiore a Pietro, da parte, cioè, di Dio. Infatti sarebbe stato legato in Cielo quello che Egli avrebbe legato in Terra. Questa è logica e della logica dobbiamo accuratamente servirci per il rispetto alla eterna coerenza di Dio.
Cosa ha fatto Pietro? Chi può rispondere a tale domanda? Il Nuovo Testamento non ci dà una risposta, perché l’accento della lettera di Pietro, scritta da Babilonia, non è sufficiente a risolvere la questione, anche se costituisce certo un indizio. Solo la divina tradizione può rispondere pienamente. Non dobbiamo meravigliarcene: per alcuni decenni la Chiesa visse pienamente, allargò le sue conquiste nel mondo senza che si avesse un solo rigo scritto sotto la ispirazione divina. Fu la divina tradizione che fornì agli agiografi — sotto ed oltre l’eventuale intervento diretto di Dio — il materiale per comporre gli Evangeli, gli Atti ed il rimanente.
La divina tradizione si concreta, relativamente all’oggetto del quale stiamo trattando, nei fatti certi e riconosciuti. Di questi è possibile dare la dimostrazione.
Pietro venne a Roma, per un lungo periodo resse la chiesa di Roma, anche se da questa reggenza ha staccato frequenti viaggi apostolici, tesi a stabilire nuove comunità cristiane con i rispettivi capi. Non si possono respingere in blocco le molte tradizioni che fanno risalire a Pietro la propria sede episcopale. Pietro morì martire a Roma nel modo a Lui predetto dal Salvatore (cfr. Gv. 21, 18) e lasciò al successore nell’episcopato romano l’episcopato del mondo. La storica individuazione del suo sepolcro e delle sue ossa conferma il fatto. L’immediato esercizio del suo stesso potere indica che Egli non ha voluto lasciare al suo successore in Roma solo la comunità romana, ma la comunità del mondo... Il Vescovo di Roma è Pietro. È un fatto storico evidente che, morto qualunque «Pietro», la Chiesa di Roma sola ha eletto il suo successore. Cosa che dura al presente: i Cardinali procedono all’elezione perché inseriti nel clero romano. Perché tutto questo fosse chiaro la Chiesa ha conservato — nonostante qualche inaccettabile opinione in contrario — la struttura del Sacro Collegio Romano in Vescovi suburbicari, in Preti e in Diaconi della Chiesa Romana. La cinghia di trasmissione non è stata mai lasciata ad una rappresentanza, ad una federazione e nemmeno al Collegio episcopale: soltanto alla Chiesa Romana. Questo fatto, indice di un divino consiglio, si leva da quasi duemila anni. Solamente Gregorio XII, mandando la sua rinuncia al Pontificato al Concilio di Costanza e dando al medesimo facoltà di eleggere il successore (che fu Colonna, Martino V), fece eccezione. Il supremo potere gliene dava la facoltà.
Di tanto in tanto qualche voce strana si leva a mettere in dubbio tutto questo. Con lo stesso diritto potrebbe mettere in dubbio le autenticità dei Fori Imperiali Romani. Gli si può dare il consiglio di prendere visione di tutta la colluvie di atti che dimostrano Roma la sede di Pietro, cominciando da una accurata ispezione degli scavi sotto la Basilica di S. Pietro.
Nessuna sede ha preteso di essere la sede di Pietro: se Roma non lo fosse cadrebbe la stessa credibilità del Vangelo, perché nella Chiesa mancherebbe la roccia. Costantinopoli pretese, ma troppo tardi e senza argomenti; il tardi dimostra che per quattro secoli e mezzo sarebbe mancata la roccia e che questa mancanza avrebbe un’altra volta tolto la credibilità allo stesso Evangelo.
Ma perché Pietro avrebbe stabilito la sede in Roma? Non è necessario porsi una tale domanda e dare la relativa risposta; tuttavia è utile parlarne. Se Pietro ha fatto questo di sua iniziativa, poteva farlo e scattava la promessa divina «quello che avrai legato in terra sarà legato anche nei cieli» (Mt. 16, 19). Se non la iniziativa diretta, c’era il beneplacito divino e questo basta. Ma ci sono tuttavia delle altre considerazioni che balzano agli occhi.
Antiochia, dove Pietro rimase sette anni, era indicatissima per la sede definitiva; per quei tempi era una grande città, costituiva un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Umanamente parlando, Pietro non poteva sapere dell’impero arabo, di Maometto, della calata dei turchi, che alzarono una barriera tra Oriente ed Occidente. Le piste seguite tredici secoli dopo avrebbero dimostrato questo. Per contro Roma era (e lo sperimentò lui stesso) la tana del leone. Sempre umanamente parlando, Pietro non poteva sapere delle vicende che avrebbero tenuto sveglio l’Occidente e della vita di Roma. Le ragioni strategiche dovevano apparire contrarie alla scelta di Roma. Eppure fu qui posta la Sede. Con questo quadro è difficile pensare che Pietro abbia da solo e di sua semplice iniziativa scelto Roma. È troppo facile pensare ad un chiaro e perentorio ordine divino. Comunque sia, la sede è stata posta qui, a Roma. La cinghia di trasmissione nella vacanza tra un Vescovo e l’altro l’ha sempre tenuta la Chiesa di Roma. La costanza di questo fatto è indice di una causa che è ben diversa dal caso e dalle semplici vicende umane. Diventa un locus theologicus. Se tale prerogativa non fosse stata giusta la Chiesa non avrebbe avuto una successione legittima e, per questo, sarebbe venuta meno la promessa di indefettibilità fatta dal Salvatore.
Tutta la logica è precisamente qui: quanto Cristo aveva fissato stabilmente fino alla fine dei tempi doveva accadere e non doveva restare nella vera Chiesa alcun dubbio sulla collocazione della roccia, fondamento della edificazione stessa nella Chiesa. Si è già ripetutamente detto quale sia l’alternativa contraria.

Perché è accaduto così?
A questa domanda non si può rispondere in modo perentorio. Non ci è dato conoscere i perché della divina provvidenza. Tuttavia non è inutile riflettere.
Roma ha resistito e resiste. Eppure il rispetto che Dio ha sempre avuto per la libertà umana ha permesso molte luci, ma anche le ombre. Talune che appaiono ombre, come nel secolo decimo, potrebbero schiarirsi se ne sapessimo di più e se si rivelassero inattesi documenti. Schiarire le ombre, non negarle! Avignone non è stata un’epoca del tutto benedetta, non fosse altro per la lunga successione storica negativa che ha innervato i gravi successivi dolori. Il Rinascimento, ancor oggi, non può non lasciare delle perplessità. Ma la successione e la cinghia di trasmissione per Roma non furono mai intaccati obiettivamente, nonostante lo scisma di Occidente e i vari antipapi.
Roma è stata per secoli al centro, anche civile, dell’Occidente: se la Sede apostolica fosse stata in Oriente, salvo grandi miracoli, oggi non esisterebbe più. Se si segue la vicenda storica, dopo l’editto di Costantino, il confluire dei fatti intorno alla stessa Sede apostolica indica che la vita della stessa Sede diventerebbe facilmente inimmaginabile. La Storia dimostra una intima ragione nella scelta di Roma. Ivi ha resistito mentre si martirizzavano i Papi, come resiste oggi mentre sullo stesso terreno esiste una grande capitale civile.
Queste sono ipotesi, anche se fondate, ma una cosa è certa: la Chiesa Romana è la cinghia di trasmissione del potere supremo nella Chiesa ed il suo Vescovo, appunto perché è il suo Vescovo, è anche il Vescovo del mondo. Dai fatti certi, non dalle ipotesi, si possono trarre deduzioni certe. Questo è logico.
Conclusione
1. La Chiesa Romana detiene nel suo Vescovo, ed essa stessa come tale, la cinghia di trasmissione legittima e valida. Questa conclusione di uno status, rivelato dalla divina tradizione e collaudato dal Vangelo, è chiara e grave. Una valutazione può essere fatta subito: una federazione non avrebbe resistito senza continui e grandiosi miracoli. Basta conoscere la storia delle federazioni, utili in certi momenti, impossibili in altri. Una democrazia avrebbe resistito ancor meno; qui la storia è ancor più dimostrativa: molti Paesi si chiamano e si vantano come «democrazie», e non lo sono nei fatti, accelerandosi i loro processi di disintegrazione per la mancanza di filtri nella maggior parte di esse ... Nella Chiesa, salvo continui miracoli, lo schianto sarebbe stato ben più veloce e totale.
La Chiesa Romana da sola, prima di tutte le Chiese e ricca nel suo Vescovo del sommo potere, nonché della cinghia di trasmissione, costituisce un aspetto illuminante e sicuro nella divina costituzione della Chiesa. Questa ha diverse caratteristiche che sono intraducibili in qualsivoglia comunità civile organizzata. Può essere tale perché ha i due carismi: la indefettibilità e la infallibilità. Questa è personale anche nel solo Vescovo di Roma. Tale verità mostra alla luce del sole la soprannaturalità della Chiesa nella sua istituzione e nella sua costituzione. Dio non fa miracoli in sostituzione di debolezze che possono essere evitate.
2. Tutto questo mette in luce la «Romanità della Chiesa» e ne rivela aspetti che annunciano maggiori profondità. Nella Lumen Gentium il Vaticano II non ha inventato nulla, ma raccolto in una sintesi di singolare chiarezza tutte le verità relative al Regno di Dio. Senza cambiare, c’è ancora molto da scavare.
Nulla può essere fatto contro questa «romanità» della Chiesa: quando si tentò di umiliarla con Avignone se ne ebbe tutta la sequenza dei mali seguenti, che non sono arrivati solo al Protestantesimo, ma la insidiano ancor oggi. Le opere di Dio non si toccano!
Che la Provvidenza di Dio si sia chinata verso la Chiesa di Roma in modo privilegiato nessuno lo può dimenticare e nella dottrina e nella pratica.
3. Tutto questo non è razzismo. La comunità cristiana, particolare ed universale, non conosce, anzi respinge ogni razzismo: diventa perfetta nell’amore, interpretato secondo l’Evangelo. Ciò che costituisce un membro della comunità ecclesiale (diocesi), presupponendo il battesimo, è la congiunzione di pietà ed obbedienza col Vescovo e coi fratelli congiunti a lui. Questa verità la si legge chiarissima e persino polemica nelle lettere di Ignazio di Antiochia, testimone della primissima età della Chiesa. Pertanto membri della Chiesa di Roma possono essere uomini e donne di ogni provenienza purché si attui la detta condizione. Naturalmente i nativi e residenti a Roma non hanno bisogno di aggiungere altro se non la permanenza nella condizione nella quale sono nati e sono stati battezzati.
4. Se Roma è stata scelta, ciò significa che aveva qualche carattere che la indicava per la scelta. Il discorso qui diventa lungo, ma una cosa va ritenuta: che le caratteristiche proprie di Roma non vanno né dimenticate, né messe da parte irriguardosamente, né esinanite. Sono un dato, un riferimento, la base di un costume. Aggiungeremo qualcosa in proposito, ma in seguito. La congiunzione col Vescovo di Roma rimane sempre il dato qualificante, anche se in qualche aspetto è talmente profondo da avvolgersi nel mistero. È qui che sono auspicabili studi coscienziosi, non avariati da nessun tipo di gallicanesimo.
5. Il discorso condotto fin qui non ha parlato di «Collegialità», perché questa non ne era l’oggetto. Non solo, ma ecco la ragione principale: a parlare della Sancta Romana Ecclesia l’argomento non era necessario. E questo perché il Vescovo di Roma può tutto senza il bisogno che altri confermino; il Collegio per agire come tale e validamente ha bisogno della congiunzione con Pietro e della sua conferma. Alla dottrina della Collegialità va tutto il rispetto, ma questa sacra dottrina nulla toglie al Primato di Pietro. Qualcuno avrebbe voluto che la Collegialità addentasse il Primato di Pietro; desiderio vano: la verità eterna, anche se taluni uomini la dimenticassero, si difende da sé.
6. Tutto questo ci mette dinanzi a questo fatidico nome: Roma!
Pare giusto dare uno sguardo a questa umana realtà, che ebbe una sorte, per prudenza non diciamo superiore, ma certo diversa da tutte le altre realtà del genere. Roma porta con sé un grande mistero. La architettura della storia rivela elementi di unicità. Roma è stata la madre del diritto e ne resta maestra a tutti i tempi. Questo è bene non dimenticano mai. Fu essa, una città, a conquistare il mondo, non una nazione, il che rivela una somma di intelligenza, di saggezza, di intuizioni, che è difficile riscontrare altrove. Non conquistò solo militarmente, ma civilmente perché, immettendo ovunque il senso del diritto romano, rispettò il buono e il giusto nelle caratteristiche di tutti i popoli arrivando ad una compagine tra popoli diversi quale probabilmente non si riesce a trovare nella storia di tanti altri effimeri imperi.
Roma ebbe il senso della misura ed il coraggio di creare dittatori veramente temporanei, che non restarono ad ingombrare spazio, una volta assolto il loro compito. Seppe liberarsi di Annibale, accampato ormai a soli 24 chilometri da Roma, affidando tutta l’impresa bellica al più grande dei suoi generali, quanto ad intuizione, Scipione l’Africano. Tutto questo fino ad un limite, che ora ricorderemo, lasciando poi ad una lenta deriva la costituzione diventata imperiale e come tale quasi mai contenuta nella serietà e saggezza della sua epoca repubblicana. Tuttavia non morì mai, perché ebbe chi raccolse il meglio del suo patrimonio civile per rinforzare le epoche future.
Quando Roma fu all’apice di se stessa, al tempo della pace universale augustea, al sommo della sua letteratura ed arte nonché delle istituzioni; quando tutto il mondo civile aveva per lingua ufficiale la sua lingua, che ne rispecchia la dignità e la forza, in quel momento sotto la dominazione romana, adempiendosi la profezia circa il luogo della nascita per un decreto imperiale romano, allora «il Verbo si fece carne» (Gv. 1, 14). Roma non ebbe la Teocrazia e i profeti, ebbe solo delle sibille, ma chi può dire che tutto questo sia opera del caso? Il «caso» è solo una parola, la realtà si chiama divina provvidenza. Chi può negare che questa storia sia privilegiata dalla provvidenza divina e che le sue vicende abbiano conosciuto una mano singolare per quanto meno visibile della storia sacra? È errato dire che in questo mistero c’è una indicazione verso la Sancta Romana Ecclesia? La Storia è in grado di giudicare e di designare.
NOTE
(1), Cfr. B. GHERARDINI, Pietro, la Roccia, «Divinitas», 1979, fase. 3, pp. 335-345.
(2), «Locum Christi tenet in terris, unde etsi ipse solus esset, et omnia essent destructa in Ecclesia, reformare posset universa», S. BONAVENTURA, Quaestiones disputatae de perfectione evangelica, q. 4, a. 3, in «Opera Omnia», ed. Quaracchi, t. 5, p. 198 B.
Contributo offerto dal Cardinale Arcivescovo per l’opera «Studi in onore del Card. Pietro Palazzini»
DE:http://www.cardinalsiri.it/