ERMENEUTICA DELLA CONTINUITA' LITURGICA: COME LA INTENDE IL PAPA?

A  seguito dell'articolo di Andrea Tornielli sulla questione del  "protestantesimo tradizionalista", dell'intervista dello stesso  Tornielli al Card. Canizares e delle recenti diatribe Introvigne-De  Mattei vorrei proporre ai lettori una serie di considerazioni su ciò che  sta accadendo alla "riforma della riforma liturgica" e alla galassia  tradizionalista in Italia. Considerazioni strettamente legate anche alle  questioni artistiche e arcihtettoniche, come vedremo più in là.
di Francesco Colafemmina
Come tutti ben sanno il Santo Padre parlò per la prima volta di "ermeneutica della continuità nella riforma"  il 22 dicembre del 2005. Nel suo discorso alla Curia Romana, tuttavia,  Benedetto non accennò mai alle questioni liturgiche, confidando in una  ricezione globale del suo pensiero in merito al Concilio. Se vogliamo  però comprendere meglio il senso di quanto pensa Papa Benedetto conviene  riallacciarsi alla preziosa lettera pubblicata a settembre da Padre Matias Augé sul suo blog Liturgia Opus Trinitatis.
Affermava il Card. Ratzinger in questa lettera del 1999:
"Una  parte non piccola dei fedeli cattolici, anzitutto di lingua francese,  inglese e tedesca, rimangono fortemente attaccati alla liturgia antica, e  il Sommo Pontefice non intende ripetere nei loro confronti ciò che era  accaduto nel 1970, dove si imponeva la nuova liturgia in maniera  estremamente brusca, con un tempo di passaggio di soli 6 mesi, mentre il  prestigioso Istituto liturgico di Treviri, infatti, per tale questione,  che tocca in maniera così viva il nervo della fede, giustamente aveva  pensato ad un tempo di 10 anni, se non sbaglio. Sono dunque questi due  punti, cioè l’autorità del Sommo Pontefice regnante e il suo  atteggiamento pastorale e rispettoso verso i fedeli tradizionalisti, che  sarebbero da prendere in considerazione."
Quindi  anzitutto Ratzinger nell'affrontare il tema della riforma, metteva in  evidenza la questione della "fretta" e dell'imposizione "estremamente  brusca" di una liturgia nuova. In secondo luogo affermava:
"Mi sta però a cuore quello che riguarda l’unità del Rito Romano. Questa unità oggi non è minacciata dalle piccole comunità che fanno uso dell’Indulto e si trovano spesso trattati come lebbrosi, come persone che fanno qualcosa di indecoroso, anzi di immorale; no, l’unità del Rito Romano è minacciata dalla creatività selvaggia, spesso incoraggiata da liturgisti (per esempio in Germania si fa la propaganda del progetto “Missale 2000”, dicendo, che il Messale di Paolo VI sarebbe già superato). Ripeto quanto ho detto nel mio intervento, che la differenza tra il Messale di 1962 e la messa fedelmente celebrata secondo il Messale di Paolo VI è molto minore che la differenza fra le diverse applicazioni cosiddette “creative” del Messale di Paolo VI. In questa situazione la presenza del Messale precedente può divenire una diga contro le alterazioni della liturgia purtroppo frequenti, ed essere così un appoggio della riforma autentica. Opporsi all’uso dell’Indulto del 1984 (1988) in nome dell’unità del Rito Romano è, secondo la mia esperienza, un atteggiamento molto lontano dalla realtà. Del resto mi rincresce un po’, che Lei non abbia percepito, nel mio intervento, l’invito rivolto ai “tradizionalisti” ad aprirsi al Concilio, a venirsi incontro verso la riconciliazione, nella speranza di superare, col tempo, la spaccatura tra i due Messali."
"Mi sta però a cuore quello che riguarda l’unità del Rito Romano. Questa unità oggi non è minacciata dalle piccole comunità che fanno uso dell’Indulto e si trovano spesso trattati come lebbrosi, come persone che fanno qualcosa di indecoroso, anzi di immorale; no, l’unità del Rito Romano è minacciata dalla creatività selvaggia, spesso incoraggiata da liturgisti (per esempio in Germania si fa la propaganda del progetto “Missale 2000”, dicendo, che il Messale di Paolo VI sarebbe già superato). Ripeto quanto ho detto nel mio intervento, che la differenza tra il Messale di 1962 e la messa fedelmente celebrata secondo il Messale di Paolo VI è molto minore che la differenza fra le diverse applicazioni cosiddette “creative” del Messale di Paolo VI. In questa situazione la presenza del Messale precedente può divenire una diga contro le alterazioni della liturgia purtroppo frequenti, ed essere così un appoggio della riforma autentica. Opporsi all’uso dell’Indulto del 1984 (1988) in nome dell’unità del Rito Romano è, secondo la mia esperienza, un atteggiamento molto lontano dalla realtà. Del resto mi rincresce un po’, che Lei non abbia percepito, nel mio intervento, l’invito rivolto ai “tradizionalisti” ad aprirsi al Concilio, a venirsi incontro verso la riconciliazione, nella speranza di superare, col tempo, la spaccatura tra i due Messali."
Secondo  il Cardinal Ratzinger e personalmente credo anche secondo Papa  Benedetto XVI la questione è semplicissima: occorre bloccare le derive  "creative" del Messale di Paolo VI e nello stesso tempo creare una nuova  pax liturgica. Per fare ciò servirebbe consentire la celebrazione del  rito precedente la riforma quale "diga contro le alterazioni della  liturgia". Nello stesso tempo il Santo Padre sostiene la cosiddetta  "riforma della riforma", espressione considerata troppo forte e  minacciosa dai guardiani del Novus Ordo, ma nella mente e nel cuore del  Papa utile via per una riconciliazione. Come? 
Il  Papa probabilmente pensa che durante la riforma liturgica furono  attuate troppe trasformazioni radicali in un lasso di tempo brevissimo.  Ciò generò rottura. La rottura portò alcuni gruppi di fedeli a restare  ancorati alla forma più antica del rito. Si sarebbe potuta attuare una  riforma più tenue e graduale. Ad esempio - e qui interpreto liberamente  il Santo Padre - si sarebbe potuto mantenere l'orientamento del  sacerdote al tabernacolo, come anche mantenere la lingua latina come  alternativa al vernacolo utilizzabile quotidianamente. Si sarebbero  potute evitare traduzioni-tradimenti, evitare le varie processioni  offertoriali, lasciare le parti fisse cantate in lingua latina e greca,  lasciare il canone così com'era. Invece nel giro di un decennio la  secolare liturgia della Chiesa Cattolica Romana aveva completamente  cambiato volto.
Pensiamo ad  esempio a questioni esteriori, "formali" - come qualcuno è solito  definirle - come l'abbigliamento liturgico o l'architettura e l'arte  sacra. Risulta infatti tipico degli ipocriti affermare oggi che chi -  come il sottoscritto - cerca di recuperare la bellezza dell'arte e  dell'architettura sacra sarebbe un mero formalista, mentre proprio negli  anni '70 si consumò l'esasperazione del formalismo al contrario:  centinaia di migliaia di pianete distrutte, dalmatiche e piviali  abbandonati in soffitta e venduti a collezionisti, paliotti miseramente  disfatti, conopei strappati via dai tabernacoli, altari distrutti e  chiese decostruite in nome di un pauperismo medievalizzante quanto mai  ipocrita e ideologico. Quanti soldi infatti è costato recuperare spesso  ridicole casule che si ritrovano in affreschi o sculture medievali,  quanto distruggere le nostre chiese e ricostruire altari ideologicamente  orientati al popolo? Insomma i veri formalisti furono coloro che  cercarono di cambiar volto alla Chiesa non solo con la liturgia e cono  lo spirito del Concilio, ma con le stesse forme esteriori.
In  sintesi potremmo recuperare il pensiero più autentico di Ratzinger,  attraverso le durissime parole della prefazione al volume di Klaus  Gamber "La Réforme liturgique en question" del 1992: 
"La  riforma liturgica, nella sua concreta realizzazione, si è allontanata  sempre più da questa origine. Il risultato non è stata una rianimazione  ma una devastazione. Da un canto, abbiamo una liturgia degenerata in “show”,  nella quale si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto  di idiozie alla moda e di massime morali seducenti, con dei successi  momentanei nel gruppo dei fabbricanti di liturgia, e una attitudine  all’arretramento tanto più pronunciata presso coloro che cercano nella  liturgia non lo “shomaster” spirituale, ma l’incontro  col Dio vivente davanti al quale ogni “fare” diventa insignificante,  essendo solo questo incontro capace di farci accedere alle autentiche  ricchezze dell’essere. D’altro canto, abbiamo la conservazione di forme  rituali la cui grandezza emoziona sempre, ma che, spinte all’estremo,  manifestano un isolamento ostinato e alla fine non lasciano altro che  tristezza. Certo, tra i due estremi rimangono tutti i sacerdoti e le  loro parrocchie che celebrano la nuova liturgia con rispetto e  solennità, ma vengono rimessi in discussione dalla contraddizione tra i  due estremi, e la mancanza di unità interna nella Chiesa alla fine fa  comparire la loro fedeltà, a torto per molti di loro, come una semplice  verità personale di neoconservatorismo. Un nuovo impulso spirituale è  quindi necessario affinché la liturgia sia di nuovo per noi una attività  della comunità della Chiesa e che venga strappata all’arbitrio dei  sacerdoti e dei loro gruppi liturgici."
Come  già Romano Amerio affermava, la Chiesa non può ritorcersi su se stessa e  vivere senza essere in divenire, altrimenti sarebbe già "compiuta" la  sua missione nella storia. Eppure sappiamo che la Chiesa è in cammino  verso Cristo, quindi la possibilità delle riforme non può essere  esclusa. Tuttavia queste riforme devono accadere nella continuità,  piccoli aggiustamenti, correzioni che non devono cambiare volto ad  esempio all'atto liturgico o alla sua dottrina. Chiaramente perché ciò  avvenga serve una "critica" della riforma liturgica. E serve a sua volta  una "critica" dei movimenti, delle logiche, delle ideologie che hanno  fatto approdare la Chiesa a quella specifica riforma liturgica. Si  potrebbe aggiungere che servirebbe una "critica" dello stesso Concilio  Vaticano II. Ma tale critica coincide con ciò che il Papa chiama  "ermeneutica". Interpretare il Concilio secondo la continuità equivale  infatti ad esercitare il proprio spirito critico con un chiaro indirizzo  verso una interpretazione funzionale al divenire del rapporto fra il  mondo e la Chiesa. Se infatti scopo del Concilio fu comunicare la Chiesa  al mondo, per mondo non possiamo certo intendere qualcosa di stabile e  trascendente, ma di transeunte ed immanente. Perciò questo metodo di  comunicazione deve necessariamente considerarsi aperto ad ermeneutiche  che ne adattino le forme al divenire del mondo contemporaneo, ma anche  allo stesso dialogo della Chiesa al suo interno.
Perciò  è importante il lavoro di "critica" positiva del Concilio alla luce  dell'ermeneutica della continuità. E perciò credo siano pericolose le  derive della rottura, specie quando provengono da ambienti (pseudo)  tradizionalisti. Il tradizionalismo dovrebbe invece essere il più  autentico fautore di una ermeneutica della continuità, proprio perché  vive la Chiesa in senso diacronico e ne vede l'essenza nel tradere. 
Dopo  aver cercato di abbozzare ciò che Papa Benedetto pensa di questa  ermeneutica della continuità nella riforma liturgica, veniamo ai punti  dolenti. Il 22 agosto del 2009 Andrea Tornielli pubblicò un articolo ben  documentato e proveniente da fonti sicure che parlava dell'approvazione  da parte di Papa Benedetto di alcune "propositiones" presentategli dal Card. Canizares a seguito della plenaria del Culto Divino. 
Tornielli specificava tuttavia che: "per  l’attuazione della «riforma della riforma» ci vorranno molti anni. Il  Papa è convinto che non serva a nulla fare passi affrettati, né calare  semplicemente direttive dall’alto, con il rischio che poi rimangano  lettera morta. Lo stile di Ratzinger è quello del confronto e  soprattutto dell’esempio." Ciò non bastò comunque a causare una  violenta reazione in Vaticano. Il vice direttore della Sala Stampa, p.  Ciro Benedettini, smentì nominatim (fatto inaudito per un  vaticanista!) l'anticipazione di Andrea Tornielli. Ma ancor più grave fu  l'affermazione del Card. Bertone contenuta in una intervista all'Osservatore Romano il 27 agosto 2009: "Le  altre elucubrazioni e i sussurri su presunti documenti di retromarcia  sono pura invenzione secondo un cliché standardizzato e ostinatamente  riproposto."
Questa  ostilità evidente di alcuni ambienti curiali è bastata a frenare un  processo chiaro e inequivocabile di "riforma della riforma". Ed ha ancor  più tentato di mettere in discussione la professionalità di un  eccellente vaticanista, colpevole soltanto di aver rivelato una notizia  importante e da diffondere e sostenere. 
Allora nessuno, ma dico proprio nessuno, emise un pur fievole flatus vocis,  per sostenere l'autenticità del documento firmato dal Papa, difendere  il Papa e Andrea Tornielli e promuovere la necessità della "riforma  della riforma". Tant'è che pochi giorni fa, nell'intervista a Il Giornale, il Cardinal Canizares,  pur ribadendo in sostanza alcuni degli argomenti presenti in quel  documento dell'aprile 2009, si è sentito in dovere di sorvolare o meglio  archiviare il termine "riforma della riforma":
Da  cardinale Ratzinger ave va auspicato una «riforma della riforma»  liturgica, parole oggi impronunciabili persino in Vaticano. Appare però  evidente che Benedetto XVI la desideri. Può parlarcene?
"Non so se si possa, o se con venga, parlare di "riforma della riforma". Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgi co in tutta la Chiesa."
"Non so se si possa, o se con venga, parlare di "riforma della riforma". Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgi co in tutta la Chiesa."
Pertanto  che fine ha fatto la "riforma della riforma"? Ha solo cambiato nome? E  chi sono i suoi sostenitori fuori dalla Curia Romana? Forse i  tradizionalisti? O il Papa è piuttosto solitario nella sua silente  battaglia per ridare dignità alla liturgia? Qui si inserisce infatti il  problema della recente strumentalizzazione - a mio parere - del  tradizionalismo, nel tentativo di far deragliare la "riforma della  riforma", di mantenere in una sacra nicchia isolato e represso il rito  antico in chiave anti "riforma della riforma", e di far infine trionfare  tutte quelle forze che auspicano una rinnovata ghettizzazione dei  fedeli che seguono la forma straordinaria, e la deregulation nell'ambito  del novus ordo. 
Fine prima parte - Segue "Tradizionalismo: cos'è? E come è nato?" 
DE:Fides et Forma

 inundado por um mistério de luz que é Deus   e N´Ele vi e ouvi -A ponta da lança como chama que se desprende, toca o eixo da terra, – Ela estremece: montanhas, cidades, vilas e aldeias com os seus moradores são sepultados. - O mar, os rios e as nuvens saem dos seus limites, transbordam, inundam e arrastam consigo num redemoinho, moradias e gente em número que não se pode contar , é a purificação do mundo pelo pecado em que se mergulha. - O ódio, a ambição provocam a guerra destruidora!  - Depois senti no palpitar acelerado do coração e no meu espírito o eco duma voz suave que dizia: – No tempo, uma só Fé, um só Batismo, uma só Igreja, Santa, Católica, Apostólica: - Na eternidade, o Céu!
inundado por um mistério de luz que é Deus   e N´Ele vi e ouvi -A ponta da lança como chama que se desprende, toca o eixo da terra, – Ela estremece: montanhas, cidades, vilas e aldeias com os seus moradores são sepultados. - O mar, os rios e as nuvens saem dos seus limites, transbordam, inundam e arrastam consigo num redemoinho, moradias e gente em número que não se pode contar , é a purificação do mundo pelo pecado em que se mergulha. - O ódio, a ambição provocam a guerra destruidora!  - Depois senti no palpitar acelerado do coração e no meu espírito o eco duma voz suave que dizia: – No tempo, uma só Fé, um só Batismo, uma só Igreja, Santa, Católica, Apostólica: - Na eternidade, o Céu!