Pubblichiamo di seguito un estratto dell'intervento del 7 dicembre (la versione integrale la potete trovare qui) del Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in occasione della presentazione dell'XI volume – sulla liturgia - edito dalla Libreria Editrice Vaticana (che potete trovare qui) dell'Opera Omnia di Joseph Ratzinger.
[…] Tutti oggi concordano nel riconoscere essere Papa Benedetto un grande teologo, con una invidiabile capacità di esporre con chiarezza il proprio pensiero. L’opera omnia, destinata a raccogliere in modo organico e sistematico il frutto della sua riflessione teologica, sta prendendo corpo e testimonia la fecondità e la profondità dei suoi studi. Potrebbe però sorprendere non poco il fatto che il primo volume pubblicato raccolga gli studi sulla liturgia: perché un grande teologo si occupa di liturgia? Non vi sono forse temi più rilevanti e meritevoli di interesse? Nel contesto culturale contemporaneo non sarebbe più utile impegnarsi nel mostrare la rilevanza della fede cristiana per la costruzione di una società più giusta e più rispettosa della dignità dell’uomo?
A questi interrogativi risponde lo stesso Benedetto XVI nella prefazione al volume dedicato alla Teologia della liturgia. Partire dalla liturgia, in continuità con l’ordine cronologico delle Costituzioni del Concilio Vaticano II, significa mettere «inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità assoluta del tema “Dio”» (p. 5). Non possiamo non notare la sintonia di Papa Benedetto con le parole pronunciate da Paolo VI alla chiusura del secondo periodo del Concilio, mentre annunciava la promulgazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium: «Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano, con noi credente e orante, e primo invito al mondo, perché sciolga in preghiera beata e verace la muta sua lingua e senta l’ineffabile potenza rigeneratrice del cantare con noi le lodi divine e le speranze umane, per Cristo Signore e nello Spirito Santo». […] Penso che queste espressioni […] possano aiutare a comprendere in modo adeguato il pensiero di J. Ratzinger sul valore della liturgia come manifestazione al mondo del primato di Dio. La Chiesa infatti, quando celebra, si riconosce e si manifesta come realtà che non può essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo. Nella celebrazione appare manifesto che il cuore pulsante della comunità cristiana è da ricercarsi “oltre” i confini di questo mondo. Non solo: nella celebrazione appare come tutto sia subordinato a questo “oltre”. Il linguaggio simbolico rituale è il più adatto ad esprimere e a custodire la priorità dell’azione di Dio nell’agire dell’uomo. Il rito infatti è azione umana: è l’uomo che compie azioni simboliche, pone gesti, pronuncia parole, si serve di elementi naturali (acqua, pane, vino, olio…). Al tempo stesso però l’uomo non “crea” il rito, lo riceve da una tradizione che ospita la fede di secoli dove «passato, presente e futuro si congiungono in un unico grande coro di preghiera» (Lettera ai Seminaristi, n. 2). E anche quando la Chiesa interviene nel modificare il rito pone in atto una particolarissima cautela in modo che «in qualche modo le nuove forme procedano organicamente dalle forme già esistenti» (SC 23). […]
Tutta questa attenzione e cura è costante richiamo al fatto che nella celebrazione accade molto di più di quanto noi stessi possiamo inventarci di volta in volta: «la semplicità dei segni nasconde l’abisso della santità di Dio». In questa luce va quindi compresa la preoccupazione di Benedetto XVI, autorevolmente espressa nell’esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, di custodire il rito da manipolazioni indebite, che potrebbero essere indotte da una non corretta applicazione del dettato conciliare sulla partecipazione attiva dei fedeli (cf. in particolare n. 38). La celebrazione adeguata del rito, che scaturisce dall’obbedienza alle norme liturgiche, non è infatti residuo nostalgico di un ritualismo già dichiarato fuorviante da Pio XII nella Mediator Dei, ma immersione nel “noi” ecclesiale, sapiente utilizzo dei linguaggi propri del rito per esprimere l’incontro con il mistero di Dio: l’agire rituale della Chiesa è infatti un agire che dà spazio all’azione di Dio. […]
Il rito ha infatti la capacità di esprime questa tensione escatologica: esso non ha la pretesa di spiegare tutto, non sempre offre serenità e pace, anzi a volte produce inquietudine, ci mette di fronte alle nostre fragilità, ci addita una meta che non è mai pienamente raggiunta su questa terra, ha la pretesa di unirci all’assemblea del cielo che canta le lodi di Dio, «nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo».
L’ultima parte de Lo spirito della liturgia. Una introduzione è titolata: «La forma liturgica». In essa l’Autore tratta del rito e dei riti, dei gesti, delle posizioni e degli atteggiamenti che il corpo assume nella celebrazione, della partecipazione attiva.[…] La partecipazione alla liturgia è quindi sì attiva, ma al tempo stesso in un certo qual modo anche “passiva” o “iniziatica”. Porre l’attenzione anche alla dimensione iniziatica del rito liturgico, che significa prima di tutto non la riforma che la liturgia subisce nei propri riti, ma la riforma che la liturgia promuove con i propri riti, conduce nel cuore del mistero celebrato. […]
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