Socci e i due papi
I DUE PAPI E NOI. COSA STA VERAMENTE ACCADENDO NELLA CHIESA
E’ stato ricordato, l’11
febbraio scorso, l’anniversario della “rinuncia” al papato di Benedetto XVI. Il
28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più
misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E
qual è la vera natura del “ritiro” di Benedetto XVI.
SEMPRE PAPA
Nei casi precedenti
infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o
religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e
tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone.
E il papa legittimo
Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò
dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col
titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle
Marche.
Visti i precedenti lo
stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con
i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda “e se decidesse di
chiamarsi Pontefice Emerito?”, rispose testualmente: “Lo escluderei. ‘Emerito’ è
il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del
ministero petrino è meglio tenere le cose separate”.
Le ultime parole famose.
Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette
comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio “Papa emerito” o “Romano
Pontefice Emerito”, conservando il titolo di “Sua Santità”. Egli non avrebbe più
indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca
semplice.
In questi giorni inoltre
Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando
sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito.
Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro.
Che significa tutto
questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova
del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose
teologiche, non certo di beni mondani).
Dunque può esserci solo
una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo
ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa
ragione?
PAPA PER SEMPRE
L’unica spiegazione
ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i
limiti della sua decisione:
“Qui permettetemi di tornare ancora una volta
al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto
che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”.
Attenzione, sottolineo
quell’espressione “sempre e per sempre”, perché il Papa poi la spiegò
così:
“Sempre – chi assume il ministero petrino non
ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa
(…)
non appartiene più a se stesso”.
Poi aggiunse
testualmente:
“Il ‘sempre’ è anche un ‘per
sempre’ - non c’è più un
ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del
ministero, non revoca questo”.
E’ incredibile che una
frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua
Benedetto XVI afferma che rinuncia “all’esercizio attivo del ministero”, ma tale
ministero petrino, per quanto lo riguarda, è “per sempre” e non è revocato. Nel
senso che la sua rinuncia riguarda solo “l’esercizio attivo” e non il ministero
petrino.
Quale diverso significato
possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che
tipo di “ritiro” sia stato quello di Benedetto XVI.
Sempre in quel discorso
del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra “esercizio attivo” ed
“esercizio passivo” del ministero petrino.
Disse infatti: “Non porto
più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della
preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui
nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la
via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di
Dio”.
Di fatto a queste parole,
alle espressioni “per sempre” e “ministero non revocato”, si sono aggiunti poi
gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI,
della veste, del titolo “Sua Santità” e dello stemma pontificio.
IN COMUNIONE CON
FRANCESCO
Peraltro perfettamente
riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet:
“Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande
coraggio e umiltà”.
Si tratta di una
situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati
infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino
tre per volta.
Non c’erano mai stati
invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto “due
papi” considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato “papa
emerito”, e che si tratta di una figura del tutto inedita.
Qual è infatti il suo
status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo “esercizio attivo” del
ministero petrino?
Benedetto XVI, parlando
ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al
successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si
è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani
l’enciclica “Lumen fidei”.
Però colpisce il fatto
che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia
tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i
due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno
dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi
è il Papa?
UN SEGRETO FRA LORO
C’è forse un segreto, fra
loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che
così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un
papa. Ma allora?
Si aprono problemi nuovi
e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire
significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla
loggia di San Pietro solo come “vescovo di Roma”, senza paramenti pontifici o la
mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo
dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).
Di certo chi oggi tenta
di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e
i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a
Benedetto.
La preghiera costante di
Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di
questo momento storico.
Tuttavia non si può
fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non
si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su
quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul
suo status attuale.
UN’EPOCA MAI VISTA
Nei giorni successivi
all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione,
anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe.
Pubblicò infatti un
saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: “È evidente che il
papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella
Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere
che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito
il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che
cessa”.
In ogni caso non “papa
emerito”. E invece Benedetto ha scelto di essere proprio “papa emerito”. Deve
esserci una ragione assai seria per decidere di “permanere” così. E le
conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi
deve intenderli e a tutta la Chiesa.
Segnala che egli continua
a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere
quanto disse nella sua messa d’insediamento: “Pregate per me, perché io non
fugga, per paura, davanti ai lupi”.
Antonio Socci
Da “Libero”, 16 febbraio
2014