(Fonte: Libero Quotidiano – 16/03/2015)L’Anno Santo appena indetto sarà centrato su Gesù Cristo, come i precedenti, o su Papa Bergoglio? Dovranno essere molto decisi, il Papa e la Chiesa, nel chiarire l’equivoco perché ieri i titoli dei maggiori giornali, tutti laicisti, ma entusiasticamente bergogliani, erano unanimi. Corriere della sera: «Il giubileo di Papa Francesco». Repubblica: «L’Anno Santo di Francesco». La Stampa: «È il giubileo di Francesco». Concetto assurdo perché non si celebra col giubileo un Papa, ma il Signore. Il Papa deve essere il «Servo dei servi di Dio» e non si può mettere al posto di Dio. Si dirà che sono i media a fraintendere. In parte è vero, ma nessuno smentisce questi giornali che peraltro – caso curioso – fanno capo a potenti banche, a grandi finanzieri e multinazionali, e sono tutti sfegatati fan del cosiddetto «Papa dei poveri» che lancia fulmini contro il capitalismo.
Inoltre – a parte i giornali laici – anche la corte pontificia, in senso lato, contribuisce nel mondo cattolico alla trasformazione del Papa in un Divo. Tanto è vero che lo stesso Bergoglio, in una intervista dei primi mesi, deprecò la «francescomania» dicendo: «Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di Papa Francesco… Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo». Bergoglio dunque all’inizio ha capito che questa fanatica «divizzazione» della sua persona è per lui un pericolo. Ma invece di «decentrare» la Chiesa rispetto a se stesso e centrarla su Cristo, presto ha mostrato una certa condiscendenza e infine molto compiacimento.
Di fatto oggi la sua corte è una fabbrica di trionfalismo adulatorio e i media cattolici, come quelli laici, solcano i mari di una fanatica «francescomania». Non solo. Nella Chiesa tale «francescomania» viene imposta (anche a vescovi e cardinali) come il pensiero unico a cui uniformarsi se non si vuole correre il rischio di prendere «randellate» ed essere messi all’Indice.
Qui nasce il problema dell’Anno Santo. Si spera che non sia Bergoglio a voler fare «il giubileo di Papa Francesco». Lui stesso una volta, agli inizi, invitò a gridare «Viva Gesù» invece di «Viva Francesco». Però lo ha fatto una volta sola. In seguito ha lasciato che la «francescomania» dilagasse. Oggi non sopporta diversità di vedute e di accenti, elargisce poltrone e riconoscimenti a chi lo applaude, punisce i dissidenti e lascia che la corte imponga nella Chiesa una plumbea papolatria.
Qui nasce il problema dell’Anno Santo. Si spera che non sia Bergoglio a voler fare «il giubileo di Papa Francesco». Lui stesso una volta, agli inizi, invitò a gridare «Viva Gesù» invece di «Viva Francesco». Però lo ha fatto una volta sola. In seguito ha lasciato che la «francescomania» dilagasse. Oggi non sopporta diversità di vedute e di accenti, elargisce poltrone e riconoscimenti a chi lo applaude, punisce i dissidenti e lascia che la corte imponga nella Chiesa una plumbea papolatria.
I giornali di ieri sono stati indotti in errore anche perché Bergoglio ha scelto di annunciare il giubileo proprio nel giorno del secondo anniversario della sua elezione, quando tutti i quotidiani avevano pagine celebrative per lui. Inoltre è uscita nelle stesse ore una sua intervista in cui dice che il suo sarà un papato breve (per forza: ha 78 anni) mettendosi così al centro delle attenzioni dei media. È stato dunque naturale per i giornali fare quei titoli sul giubileo centrandolo su di lui.
Si dirà che non era questa la volontà di Bergoglio. Me lo auguro. Ma chiediamoci: perché un Anno Santo straordinario nel 2016? Il giubileo – fin dal primo, nel 1300 – è sempre stato indetto nelle date che rimandano agli anni della nascita o della morte di Gesù Cristo. Anche i giubilei straordinari (pochissimi). Quello del 2016 è il primo giubileo nella storia della Chiesa che non ha al centro l’avvenimento storico di Gesù Cristo, della sua vita terrena. Siccome una qualche ragione per convocarlo nel 2016 si doveva trovare, Bergoglio ha deciso che è indetto per i 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Ma che anniversario è? Non si è mai fatto un giubileo per un Concilio. E poi il Vaticano II è finito nel 1965 quindi nel 2016 non si celebra il 50° ma il 51° dalla conclusione del 21° Concilio della Chiesa. È dunque un pretesto, oltretutto ideologico e pure autoreferenziale perché centrato su un fatto ecclesiastico anziché su Cristo (se dovessimo considerare simili ricorrenze della storia della Chiesa, ogni anno si potrebbe indire un Anno Santo).
Il primo giubileo della storia che non ha al centro l’avvenimento di Cristo, avrà, come protagonista mediatico indiscusso, Papa Bergoglio, il Papa che, del resto, non saluta i fedeli con la tradizionale espressione «Sia lodato Gesù Cristo», ma con «Buongiorno» e «Buonasera», venendo per questo elogiato dai media come «Papa affabile». Sarà dunque un anno di trionfalismo bergogliano. Anche il richiamo alla «misericordia», voluto dal Papa, va in questa direzione. Scrive il Corriere in prima pagina: «Sarà dedicato alla misericordia». Ma è del tutto pleonastico perché tutti i Giubilei, per loro stessa natura, sono dedicati alla misericordia. La cattedrale di Siena ha sul portale una lapide scolpita che riporta le parole con cui Bonifacio VIII indisse il primo giubileo della storia, nel 1300, e la parola chiave è proprio «misericordia».
Allora perché si è voluto affermare che il giubileo del 2016 sarà in modo particolare centrato sulla misericordia e si caratterizza per questo? S’intende annunciare e donare – come in tutti gli altri Giubilei – la Misericordia di Dio o piuttosto si vuol celebrare la misericordia di Papa Bergoglio, che è ritenuta dai media più grande? La domanda è di scottante attualità visto che per tutto il 2014 Francesco ha provato a fare, tramite il cardinale Kasper, una rivoluzione sull’accesso alla comunione dei divorziati risposati proprio in nome della sua idea di «misericordia».
Il Papa argentino è stato sostanzialmente messo in minoranza sia al Concistoro del febbraio 2014 che al Sinodo successivo, perché la Chiesa gli ha ricordato che la Misericordia non può implicare la cancellazione della legge di Dio e delle parole di Cristo sul sacramento del matrimonio. Tuttavia al nuovo Sinodo del prossimo ottobre avremo la partita di ritorno. C’è chi pensa che l’indizione del giubileo «della misericordia» possa essere una forma di pressione per far passare al Sinodo le innovazioni bergogliane. E c’è chi ritiene che serva invece, a Bergoglio, per porre in secondo piano un Sinodo in cui ormai sa di non riuscire a realizzare la rivoluzione prospettata. Quindi un grande diversivo per eludere la delusione dei tifosi e dei media laicisti.
Le ipotesi sono le più diverse. Ma oggi il problema che s’impone, e che il giubileo amplifica, è anzitutto questo: la Chiesa deve essere centrata su Gesù Cristo o sull’attuale pontefice? Giovanni Paolo I, nei suoi 33 giorni di pontificato, fu circondato da un grande affetto dei fedeli. Ma fu un fenomeno che non è nemmeno lontanamente paragonabile all’attuale «francescomania» planetaria (soprattutto laicista). Cionondimeno quel calore del popolo cristiano bastò a Papa Luciani per mettere in guardia tutti dal rischio della papolatria: «Ho l’impressione» disse «che la figura del Papa sia troppo lodata. C’è qualche rischio di cadere nel culto della personalità, che io non voglio assolutamente. Il centro di tutto è Cristo, è la Chiesa. La Chiesa non è del Papa, è di Cristo… Il Papa è un umile servitore di Cristo».
Gesù stesso, nei Vangeli, mise in guardia gli apostoli dagli applausi del mondo ed elogiò chi sfida l’odio mondano e cerca piuttosto il consenso di Dio.
Anche ai papi di oggi, ai papi dell’era mediatica, s’impone la scelta più drammatica: fra la testimonianza (eroica) della Verità e la ricerca del consenso mondano. O Dio o Mammona.
Già il cardinale Ratzinger, alla morte di Papa Montini, nel 1978, disse: «Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede». Così hanno fatto, fino a sfiorare il linciaggio mediatico, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Finora Francesco ha fatto l’opposto.
Anche ai papi di oggi, ai papi dell’era mediatica, s’impone la scelta più drammatica: fra la testimonianza (eroica) della Verità e la ricerca del consenso mondano. O Dio o Mammona.
Già il cardinale Ratzinger, alla morte di Papa Montini, nel 1978, disse: «Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede». Così hanno fatto, fino a sfiorare il linciaggio mediatico, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Finora Francesco ha fatto l’opposto.
di Antonio Socci
www.antoniosocci.com
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