di Francesco Agnoli – Ho tra le mani due biografie della stessa autrice, la nota scrittrice piemontese Cristina Siccardi. La prima “Nello specchio del Cardinale J.H Newman” (Fede & Cultura), è incentrata sul nuovo beato inglese, ed è una ottima sintesi della sua vita e del suo pensiero.
La seconda “Mons. M. Lefebvre. Nel nome della Verità” (Sugarco) è invece un testo dedicato al famoso Vescovo francese, che si oppose nel post concilio a molte delle derive di quegli anni. Nel secondo di questi volumi trovo un passo interessante per capire i tempi che vive i tempi della chiesa di oggi. Jean Guitton, intimo amico di Paolo VI, ma anche estimatore dell’opera del vescovo francese, parlando col Papa l’8 settembre 1976, ebbe a dirgli: “Santo Padre, io confronto monsignor Lefebvre con Newman nella prima parte della sua vita, quando considerava che i cambiamenti introdotti da Roma fossero corruzioni, perché la Chiesa deve rimanere identica a se stessa: la Fede ‘è ciò che è ammesso da tutti, ovunque e sempre’ secondo la bella definizione di Vincent de Lèrins”. Non è qui il luogo per analizzare la vita di mons. Lefebvre, il suo pensiero, le sue amicizie (da Guitton, al cardinal Siri, al protestante Albert Schweitzer), né per discutere le varie posizioni da lui prese nell’arco della sua vita. Neppure è il luogo per esporre il suo pensiero sul Concilio Vaticano II, di cui mons. Lefebvre firmò tutti gli atti salvo poi affermare che dove essi risultassero ambigui o controversi, andavano interpretati alla luce della “Tradizione”.
Chi vuole approfondire, può farlo leggendo l’ottimo libro citato. E’ però interessante capire il crescente interesse attuale per le due figure, Lefebvre e Newman e il parallelo tra loro istituito da Guitton e, implicitamente, dalla Siccardi.
Ebbene a me sembra che la “concordanza” tra i due personaggi stia nella loro posizione di fronte al liberalismo. La mattina del 12 maggio 1879, padre Newman parlò in occasione della nomina a cardinale da parte di Papa Leone XIII ed ebbe a ribadire un concetto a lui caro: disse che il grande pericolo per la Fede risiedeva nello “spirito del liberalismo nella religione”. Con la espressione suddetta Newman intendeva “la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro”. Newman condannava cioè l’indifferentismo religioso, in forte contrasto con la sua caratteristica umana più profonda che lo aveva portato alla conversione: l’idea che l’uomo non può fare a meno di credere nella verità e quindi di cercarla incessantemente, pronto a lasciare tutto per quell’unico tesoro. Il mondo moderno, argomentava Newman, è antireligioso, perché nega la Verità stessa e parla di “tolleranza” di tutte le religioni per dire, in verità, che nessuna vale qualcosa. Tutte uguali, cioè, perché nessuna è vera e tutte ugualmente inutili. Il liberalismo nella religione riduce la fede a un fatto personale, a “proprietà privata” da tener nascosta con vergogna a “un sentimento”, una “preferenza personale”, soggettiva, senza ripercussioni nella vita sociale.
Lo stesso liberalismo
Se questa era la posizione di Newman, alla fine dell’Ottocento, si può dire che a partire dagli anni Sessanta del Novecento Lefebvre, come molti altri, ebbe a combattere proprio contro lo stesso liberalismo, o relativismo religioso, introdottisi, questa è la novità, nella chiesa stessa. Parlando del gesuita Rahaner, di Suenens (il cardinale che insieme a Danneels ha azzerato la chiesa belga), e di altri teologi in voga, Lefebvre che vedeva le chiese di Francia svuotarsi, insieme ai seminari, denunciava una visione liberale trionfante all’interno della stessa cristianità. Non aveva tutti i torti, se è vero che per anni abbiamo sentito dire che un Dio vale l’altro, perché in fondo “c’è un solo Dio”. Come se Cristo, Manitù o Maometto fossero la stessa persona e insegnassero la medesima “buona novella”.
A tale riguardo Lefebvre si dichiarava avverso alle adunanze ecumeniche in cui le statue di Budda e quelle di divinità di altre religioni venivano poste sugli altari cattolici, ingenerando così nei fedeli una equiparazione sincretista. Contro queste manifestazioni, che oggi Benedetto XVI sta archiviando, in nome del dialogo tra gli uomini e non tra le religioni, Lefebvre citava il pontefice Pio XI che nella sua “Mortalium animos” aveva condannato le prime adunate ecumeniche basate sul “falso presupposto che tutte le religioni siano buone e lodevoli in quanto tutte, pur nella diversità dei modi, manifestato e significano ugualmente quel sentimento, a chiunque congenito, che ci rivolge a Dio…”. Queste adunanze, concludeva il Papa dimenticano che la Verità è una sola, e quindi conducono, “insensibilmente”, “al naturalismo e all’ateismo”. Il cardinal Newman, ricorda sempre Cristina Siccardi, visse in un’epoca in cui era improponibile un “ecumenismo delle religioni”. Se lo avesse conosciuto “lo avrebbe visto come una pericoloso teoria sincretista”, convinto com’era di aver lasciato la Chiesa anglicana e tanti cari amici, non per un capriccio, ma perché obbligato dalla sua coscienza riconoscere nella Chiesa di Roma, e non in quelle di Enrico VIII la vera e unica Chiesa di Cristo. Anche per questo Newman piaceva anche al Papa avversario del modernismo: il troppo dimenticato san Pio X. © Il Foglio 16 settembre 2010