segunda-feira, 18 de novembro de 2019

a Casa San Sergio, il luogo dove il grande mistico del ‘900, Don Divo Barsotti, ha trascorso quasi l’intera sua vita. Un Maestro, un Santo – almeno per me – un monaco anche contemplativo


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Chi dissacra la contemplazione e la preghiera non crede in Dio


Il vuoto da colmare – Danilo Quinto – 11 aprile 2018

(Chiesa e Post Concilio.
Siamo nel dicembre 1957, a Casa San Sergio, il luogo dove il grande mistico del ‘900, Don Divo Barsotti, ha trascorso quasi l’intera sua vita. Un Maestro, un Santo – almeno per me – un monaco anche contemplativo che assai probabilmente non sarebbe piaciuto a chi ha il coraggio di descrivere, nella sua ultima Esortazione Apostolica, “Gaudete et exsultate”, la demolizione di duemila anni di monachesimo occidentale:
Non è sano”, sostiene il firmatario di questo testo, “amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione”.
Ci basta questo. Non la leggeremo questa ulteriore, inutile Esortazione Apostolica.Disse Barsotti in quella meditazione dedicata all’Avvento:
“Il mondo è così vuoto di Dio! Gli uomini vagano in una tenebra spessa e non sanno dove andare. E noi viviamo vicino a loro e non ci rendiamo conto dell’angoscia che stringe la loro anima, non ci rendiamo conto del vuoto della loro vita”.
Chissà che cosa Barsotti avrebbe detto se fosse vissuto in questi nostri tempi, dove ci si interroga – come ha fatto Marcello Pera in un recente convegno – sulla stessa natura del messaggio cristiano: se sia un messaggio escatologico o ideologico. In altre parole, se l’olocausto della seconda Persona della Trinità e il suo trionfo con la Resurrezione, riguardi la salvezza eterna della nostra anima, libera dal peccato originale o la liberazione rivoluzionaria promessa dai movimenti comunisti, che hanno infestato il mondo, dalla Russia, passando per quei Paesi che si sono consegnati per decenni all’ideologia marxista, fino all’America Latina, dove si è prodotta quella Teologia della Liberazione che ha propagandato e propaganda – con l’aiuto di tanta gerarchia ecclesiastica modernista e progressista – i desideri dell’uomo, concedendo a Dio un posto subalterno e marginale. Inutile, perché Dio non ha generato Suo Figlio per i liberare i deboli, i poveri o i migranti – come sostengono i rappresentanti vacui di questa Nuova Chiesa – perché i deboli, i poveri, i migranti, le malattie, le guerre, la fame, c’erano prima di Cristo e ci sono stati sempre dopo Cristo. La pace che porta Cristo è la Sua pace. Ѐ una pace che non riguarda questo mondo, perché è soprannaturale. Chi l’accoglie, si emenda dal peccato originale, che ha separato Dio dall’uomo. Ha ragione ancora Pera, quando afferma che la cosa più drammatica che sta avvenendo – grazie a questa Nuova Chiesa, condotta oggi all’epilogo finale – non è tanto l’eliminazione dell’Inferno e quindi dell’immortalità dell’anima, quanto l’eliminazione del peccato originale, da cui tutto ha origine. L’Eden è diventata una favoletta per bambini, una questione al limite solo simbolica. L’albero del male non esiste, il serpente che attrae l’uomo e la donna nell’abisso della sua ribellione a Dio, è una piccola innocua biscia, che non fa paura a nessuno. Del resto, se è scomparso il timore di Dio, può mai fare paura una piccola biscia? Non importa, allora, che la Sacra Scrittura ci avverta di quale immensa lotta si sia combattuta tra il Bene e il Male. Quale valore dare alle tentazioni che Cristo subì nelle settimane in cui rimase nel deserto? Quale valore dare al discorso di Cristo sulla “Grande Tribolazione” o all’Apocalisse di San Giovanni Apostolo? Men che zero. Ѐ più conveniente ritenere che siano farneticazioni di menti immaginifiche o fors’anche disturbate.
Viviamo il Cristianesimo come se dovessimo a tutti i costi fare a meno della Parola del Verbo incarnato, come ce ne vergognassimo. Per difendere quella è stato versato il sangue dei perseguitati martiri dei secoli iniziali e a quella Parola si aggrappano i martiri del terzo millennio. Coloro che sopravviveranno, dovranno nascondersi nelle catacombe, perché presto saranno molto pochi coloro che li difenderanno; saranno molto pochi coloro che non avranno paura di scontrarsi apertamente con gli affiliati del principe delle tenebre. Vale ancor più oggi quello che scriveva Barsotti nel lontano ’57:
“Piuttosto che contare le anime che conoscono il Signore, si potrebbero contare quelle che non lo conoscono, per le quali il Cristianesimo forse non è che un ammasso di superstizioni, una vaga speranza che essi non sanno giustificare. Essi vivono come nostri fratelli e non posseggono la ricchezza più grande della nostra anima: il Signore. È soprattutto per renderci conto della nostra responsabilità verso di loro che viviamo l’Avvento, per renderci conto che dobbiamo essere noi la rivelazione di Cristo in un mondo pagano, che dobbiamo essere la luce del mondo, il sale della terra”.
Come si fa a tentare di essere luce del mondo e sale della terra? C’è un solo modo. Guardando al Cielo, non alle cose della Terra e portando nel nostro cammino la Croce che ci ha donato Cristo. Come ha fatto Simone di Cirene. Senza il Cireneo, non ci sarebbe stata la crocifissione e la resurrezione. Dio poteva fare tutto da solo, ma ha voluto che non fosse così. In tanti aiutarono Gesù nella sua vita pubblica, a partire da san Giuseppe a Lazzaro e Giuseppe d’Arimatea, ma unica fu l’opera del misterioso personaggio Simone di Cirene. Un’opera che si rinnova da duemila anni, nonostante il ruolo, l’azione determinata dei dissacratori e dei demolitori del Cristianesimo, che come diceva Barsotti nel 1957,
“Oggi sembra esser divenuto impotente a risanare l’umanità, sembra essere non più sorgente di calore, di vita, di luce, ma una vana reliquia di tempi passati. Nell’intimo dell’anima di tutti questi uomini è il pensiero, il timore che tutto sia finito e che nasca ora, per mezzo della scienza o della cultura, una nuova età; che tutto quel che i secoli passati ci hanno trasmesso siano sogni vani. Tutto sembra vuoto, solo un’angoscia profonda stringe le anime: il senso che né la tecnica né la filosofia né il benessere possano rispondere al desiderio del cuore. E allora gli uomini sognano una nuova religione ‘libera da miti’, come essi dicono, perché senza di essa sembra impossibile vivere quaggiù”.
Una nuova religione: la profezia di Benson ne Il padrone del mondo, si è manifestata nel corso di questi decenni in modo drammatico e inesorabile. Gli argini che si è riusciti ad erigere di fronte a questo straripamento impressionante delle acque putrefatte della menzogna, sono stati minimi e fragili. Barsotti invitava a continuare ad essere messaggeri e testimoni. Diceva:
“Di fronte allo smarrimento di questa moltitudine immensa (i veri cristiani sono oggi pochissimi anche fra noi) quanto più grave è la nostra responsabilità di messaggeri e testimoni di Cristo! Non possiamo essere contenti della nostra salvezza personale lasciando che questa massa si perda, non possiamo strapparci alla solidarietà che ci lega a loro. L’esser cristiani ci dà una responsabilità verso di loro, ci dà un compito immane: quello di rivelare a questi uomini Dio. Noi siamo pochi e poveri, non siamo né geniali né potenti, siamo povera gente, umile gente. Che differenza vi è fra noi e i pescatori della Galilea? Ma proprio per questo deve ripetersi il miracolo di allora. Pochi, poveri e impotenti, noi dobbiamo essere la luce del mondo, la forza che lo solleva; altrimenti è segno che non crediamo neanche noi. Non abbiamo modo di salvare questo dono che ci è stato dato se non rivelandolo agli altri”.
“Venga dunque il Natale”, aggiungeva, “e sia una nascita nuova di Gesù nel mondo, nella povertà e nell’umiltà delle nostre case e dei nostri cuori. Nasca il Signore in noi e si riveli al mondo: questa è la preghiera che oggi gli innalziamo. Chiediamo la santità, ma una santità che sia irradiazione di luce su tutta la creazione, non una santità che salvi noi soli e dia a noi soli la perfezione e la gioia. Se vogliamo una santità di questo genere Dio non ce la dona, perché non possiamo sottrarci dal compito di tutti coloro che hanno trovato il Signore: il compito di rivelarlo agli altri”.
Barsotti chiedeva una santità proporzionale al vuoto da colmare:
“(…) S’impone una santità che, se deve esser proporzionata al bisogno del mondo, deve esser più grande di quella di tanti santi canonizzati, perché oggi è più grande il vuoto da colmare. I santi canonizzati in questi ultimi decenni, salvo pochi (santa Teresa del Bambin Gesù, il Curato d’Ars e pochi altri) non hanno dato al mondo l’impressione di una presenza divina. Il mondo non se n’è accorto. La nostra vita deve essere qualcosa di più. E il dir così non è presunzione da parte mia, perché io non considero voi, ma il bisogno del mondo e la missione del cristiano. (…) Questo è l’Avvento: impegno di essere noi quei santi, quei rivelatori di Cristo che il mondo aspetta e non vede”.
Che tanti, allora, abbiano la forza di divenire Santi, abbiano il coraggio di reggere la Croce di Cristo, di accompagnarLo nel Suo cammino verso la morte. Di fare della loro stessa morte un momento sublime di affermazione della Verità e della Bellezza del Cristianesimo, così deturpato in questi terribili e oscuri tempi demoniaci e anticristici.