segunda-feira, 18 de outubro de 2010

Scrutiamo alcuni dati della Riforma liturgica post conciliare

Alcune considerazioni sulle modifiche alla formula di Consacrazione e sulla introduzione di nuove preghiere Eucaristiche, partendo da una citazione tratta dal libro di Annibale Bugnini: La Riforma Liturgica, C.L.V. Ed. Liturgiche, 1997, pp.447-448 :

«Questi cambiamenti sono dovuti essenzialmente a ragioni di completezza e di chiarezza pastorale. La cosa si spiegava così:
  1. nella Scrittura non vi è un’unica formula, ma ve ne sono quattro...
  2. Nella liturgia bisogna dunque o scegliere uno di questi testi a preferenza degli altri, o fare delle formule composte. …
  3. La formula del canone romano per la consacrazione del pane (Hoc est corpus meum), accettata anche dal canone ambrosiano del giovedì santo:… È per se stessa notevolmente incompleta dal punto di vista della teologia della messa.
  4. L’aggiunta “Mysterium fidei” nella formula del canone romano per la consacrazione del vino: non è biblica, si trova solo nel canone romano, è di origine e di significato incerti…»
    [Non dimentichiamo che il canone romano risale alla tradizione orale di S.Pietro che certamente trasmette le parole da lui stesso udite dal Signore. Il Canone è il centro della Messa, intesa come un Sacrificio.
    Secondo il Concilio di Trento, esso risale alla tradizione degli Apostoli ed era sostanzialmente già completo ai tempi di Gregorio Magno (anno 600). La Chiesa Romana non aveva mai avuto altri Canoni. Il passo stesso del “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione è un’antica tradizione che Innocenzo III testimonia esplicitamente in una risposta data all’Arcivescovo di Lione. Anche san Tommaso d’Aquino dedica un articolo della sua Summa Teologica alla stessa giustificazione del “mysterium fidei”. Ed il Concilio di Firenze confermò esplicitamente il “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione.
    Ricorda Romano Amerio in Iota unum: “ ...È d’altronde significativo che nel Messale antico tutte le parole commemorative e operative del canone stiano sotto la rubrica infra actionem.”. Nella nuova Messa il “mysterium fidei” è stato eliminato dalle parole della Consacrazione e posto subito dopo di essa per suscitare l’acclamazione dei fedeli. Così facendo si evidenzia il nuovo stile 'narrativo' piuttosto che 'attuativo' della Consacrazione che è particolare Actio Cristi, come lo è del resto tutta la celebrazione, che ora è diventata azione dell'assemblea.
    Non dimentichiamo poi che nella Messa uso Antiquior il canone viene letto in silenzio e non ad alta voce, proprio per dare la giusta solennità e sottolineare la grandezza del Sacrificio divino e indurre atteggiamento di silenzio, di sacralità, di raccoglimento e di compartecipazione dinanzi ad esso...]
Ora, anche uno che non sia teologo e liturgista, riguardo ai quattro punti citati, dei quali Bugnini parla con asettico tecnicismo e con pressapochismo facilmente smontabile, si pone alcune importanti domande:
  1. se nella scrittura vi sono quattro formule, allora la chiesa avrebbe sempre sbagliato a proporre soltanto il canone
  2. perché mai "bisogna scegliere" nuovamente se esistono venti secoli di "scelte" già fatte con chiarezza? Qualsiasi decisione ragionevole non può prescindere da tutto ciò che la Chiesa ha sempre celebrato e professato.
  3. la liturgia della Chiesa sarebbe sempre stata "notevolmente incompleta"? La Chiesa avrebbe sempre sbagliato? Il cosiddetto "punto di vista della teologia della messa" contraddice la storia liturgica della Chiesa?
  4. se l'origine e il significato di qualche parola fossero "incerti" per qualunque motivo, allora perché la Chiesa non li ha mai cambiati?
Per decine di secoli la Chiesa ha messo mano alla liturgia con estrema delicatezza e assoluto timore, cambiando il minimo indispensabile e solo sulla base di diffusissime sante devozioni (ad esempio: le preghiere ai piedi dell'altare, il Prologo di Giovanni dopo la benedizione...) al punto che da papa Damaso fino alla riforma liturgica non si registra nessun cambiamento "strutturale".

Purtroppo è così che nascono i Kiko e le Carmen, è così che nascono i fautori delle messe "animate" da tanti segni, gesti, balli, cartelloni, intrattenimenti, spettacolini, estrosità, è così che la santa Messa anziché elevare le anime al Signore finisce per essere un'autocelebrazione dell'assemblea... Per lo stesso motivo anche il Messale approvato da Paolo VI (la "forma ordinaria" della Messa) è stato tradito e umiliato: la Messa viene ovunque celebrata con abusi ed approssimazioni, confondendo la partecipazione col protagonismo e la spiritualità con la quantità di parole dette e di gesti fatti. In barba alle raccomandazioni della Sacrosanctum Concilium.

Mi sembra molto appropriata come conclusione, questa citazione da Romano Amerio:
Il proprio del culto è di stimolare il senso del divino anziché di porgere all’uomo il divino: perciò l’assemblea vale più dell’eucarestia e il popolo di Dio prevale al sacerdote. Questa variazione ne produce una seconda, teorizzata colla dottrina della creatività liturgica. Il popolo di Dio riversa la propria cultura e il proprio genio nei riti, e il sacerdote esprime sé stesso nella celebrazione. L’oggettività della liturgia, che è un adombramento dell’Oggetto assoluto, deve cedere al valore del soggetto umano che vuole esprimersi. SC, 21 distingue la parte mutabile della liturgia dalla parte immutabile senza però definire quale quest’ultima sia. Se si mutano persino le parole della consacrazione, non si vede invero dove possa collocarsi l’immutabilità. Evidentemente la parte mutabile dei riti si mutò di fatto sempre nel corso dei secoli cristiani, ma cautamente, modicamente, sapientemente.
La riforma avrebbe dunque trovato certamente molte parti antiquate e dissone nei tempi, che meritavano il cangiamento. Cito, per esempio, il calendario delle Quattro Tempora, inapplicabile ormai per una Chiesa dilatata a paesi che conoscono solo due stagioni, o le preghiere «pro Christianissimo Imperatore» nell’officio in Parasceve. Così si doveva certissimamente espungere (e fu espunto) il giuramento, che nel rito della consacrazione il nuovo vescovo doveva prestare, di non ammazzare e non cospirare ad ammazzare il Papa.
Tuttavia altro è mutare i riti per accomodarli a condizioni obiettive manifestamente mutate e altro è invece stabilire per massima che i riti si debbano acconciliare alla psicologia, al costume, al genio delle nazioni e persino degli individui. Il principio della creatività consegue al falso supposto che la liturgia debba esprimere i sentimenti dei fedeli e sia una loro produzione: essa esprime invece la realtà del mistero ed è una azione del Cristo. Vi è qui un’implicita risoluzione della liturgia in poetica.
La creatività che non è principio nemmeno in estetica, giacché al fondo delle invenzioni dell’arte vi è qualcosa di increato, anzi di increabile, è licenziata e promossa dalla nuova liturgia. Innanzi tutto non vi sono quasi più norme imperative e in moltissimi punti viene al celebrante proposta una pluralità di parole o di atti tra cui scegliere ad libitum. Non sono più possibili infrazioni perché il creare esclude condizioni e limiti. (R.Amerio- Iota Unum)
fonte:http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/