Chi è Don Luigi Villa? È un sacerdote, dottore in teologia, che ho avuto il piacere di conoscere di recente. È stato un piacere perché considero persone particolari, e meritevoli di grande rispetto, coloro che, per sostenere le buone cause e per il trionfo dei princìpi, delle regole e delle idee che costituiscono il filo conduttore della loro vita e del loro cammino, sono pronti alla lotta e alle rinunce.
Lottare contro l’ostracismo, la discriminazione, l’emarginazione e la ghettizzazione da parte di coloro per i quali rappresentano degli scomodi importuni, dei fastidiosi ostacoli alle loro prevaricazioni. Rinunciare alla vita comoda e a tutti i vantaggi che derivano dalla supina acquiescenza alla volontà dei più forti, dei prepotenti detentori del potere e della ricchezza.
Fra le battaglie di don Villa ce n’è stata una in cui ha duramente lottato per dimostrare la reale natura e gli aspetti negativi della personalità di Paolo VI, al secolo Giambattista Montini, come uomo cattolico. Lotta resa più dura dal fatto di essere il Montini nato e vissuto nella provincia di Brescia e dunque sostenuto dai bresciani con forte impegno, anche per ragioni di “campanile”.
Don Luigi, per sostenere la propria battaglia, ha scritto e pubblicato un’opera imponente, importantissima, denominata “Trilologia montiniana”, costituita da tre volumi dai titoli significativi, e cioè “Paolo VI… beato?”, “Paolo VI: processo a un Papa”, e “La ‘Nuova Chiesa’ di Paolo VI” (Editrice Civiltà, Brescia, Via Galileo Galilei 121). L’autore ha portato avanti la sua lotta con argomentazioni e documenti di valore ineccepibile.
Per bloccare e impedire la beatificazione si è avvalso anche della regola, voluta dalla stessa Chiesa, o meglio, dalla Congregazione per la causa dei Santi, secondo cui, nel soggetto proposto per la beatificazione, si devono riconoscere i segni soprannaturali dell’approvazione divina, cercando di veder chiaro sulla “reputazione della santità della vita” per poi studiarne “la eroicità delle virtù”. Peraltro, il diritto di cercare notizie e di fornire informazioni, è riconosciuto a chiunque, e non soltanto a soggetti qualificati, quale è certamente un sacerdote.
Per la verità, anch’io, qualche anno fa, ho avuto per le mani un libro, di cui è autore Franco Bellegrandi, Cameriere di Spada e Cappa di Sua Santità, dal titolo “Nichitaroncalli”, finito di stampare nell’agosto del 1994 (Edizioni internazionali di letteratura e scienze, EILES di Roma, Tipografica edizioni grafiche Manfredi, s.n.c., Via G. Mazzoni, 39 A, Roma), in cui l’autore, molto informato dei fatti per la carica allora rivestita, scrisse cose sconvolgenti sul Pontefice in questione, che proiettavano una luce sconcertante e sinistra sulla sua personalità, e che, in mancanza di una qualsiasi contestazione dell’interessato, si devono dare per ammesse.
Si trattava di comportamenti disonorevoli per qualunque persona dotata di normale dignità e che, a maggior ragione, riferendosi a un personaggio di così alto livello, contrastavano clamorosamente con la reputazione della santità della vita, ed escludevano la dote della eroicità delle virtù. Per i fatti appresi dal libro, neanche un uomo comune si sarebbe potuto definire virtuoso, e men che meno eroicamente virtuoso. Allora, nel capitolo del libro scritto da me per l’esame di un altro problema, non volli ripetere, né propalare, per una sorta di riservatezza estrema, e per non infierire sul personaggio, i comportamenti molto degradanti che avevo appreso leggendo l’opera di Bellegrandi.
Tornando a Don Luigi Villa, nei tre volumi della “Trilogia”, l’autore illustra tutto ciò che Paolo VI, violando le regole dell’ortodossia cattolica, fece contro quelli che erano sempre stati i princìpi vigenti, riconosciuti, applicati e rispettati dal clero e dai fedeli osservanti. Soprattutto mise in evidenza la sua attrazione “fatale” per la massoneria, corredando le affermazioni enunciate con documentazione fotografica assai convincente.
Perfino la famiglia materna del Papa, la famiglia Alghisi di Verolavecchia, non era immune dal culto dissacrante della massoneria. Nel cimitero di tale cittadina, infatti, dove sono sepolti alcuni membri della citata famiglia, è dato rilevare, sui monumenti funebri, la simbologia massonica.
Quanto allo scrupolo e all’impegno di don Luigi per la sua battaglia, non si dimentichi che non gli sfuggì un particolare importantissimo e molto grave.
Egli, infatti, segnalò a chi di dovere, che sulla “Porta di bronzo” della Basilica di San Pietro, e in particolare in una formella della “Porta del bene e del male”, la figura raffigurante Paolo VI, a differenza di quelle riguardanti gli altri Papi, era collocata di profilo.
Ciò per lo scopo evidente di consentire che venisse offerto alla vista del pubblico il dorso della mano sinistra di Paolo VI su cui era scolpita la “Stella a cinque punte”, ossia il “Pentalfa massonico”. Proprio per la segnalazione di Don Villa, dalla scultura fu cancellato il “Pentalfa”.
All’opera di Don Luigi, diretta a evidenziare la autentica devozione del Montini per la massoneria, si è affiancata anche quella di un ingegnere bresciano, Franco Adessa (Editrice Civiltà, Brescia, Via Galileo Galilei, 121), il quale ha pubblicato un libro, “A Paolo VI, un monumento massonico”, in elegante veste editoriale e corredato da numerose fotografie e da disegni tecnici appositamente studiati per meglio illustrare la pubblicazione.
L’autore si occupa di un monumento in bronzo, collocato sul Sacro Monte di Varese, dedicato a Paolo VI dallo scultore Floriano Bodini, che a suo tempo suscitò non poche polemiche. Adessa, con dettagliata e minuziosa analisi del complesso dell’opera e dei suoi particolari, dimostra, traendone le dovute conclusioni, che il monumento, sebbene apparentemente dedicato al Papa Paolo VI, serve ad esaltare la massoneria e, con essa, il massone Paolo VI.
Tutta la struttura dell’opera, compreso il basamento, è permeata dalle immagini e dal simbolismo massonico, compresa una pecora a cinque zampe, mentre immagini e simbolismi cattolici sono quasi ignorati e passano inosservati. E dunque, si finisce col notare ed onorare, nel monumento, non un Papa che esalta i princìpi, le regole, il rituale, le ispirazioni della liturgia cattolica, della quale dovrebbe essere il principe e il sostenitore, bensì quelli della massoneria, cioè di una sètta ben lontana da ciò che un Papa ha il dovere di esaltare.
Non si dimentichi, peraltro, che l’inaugurazione del monumento avvenne il 24 maggio 1986, alla presenza dell’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti, e del segretario di Stato del Vaticano, Cardinale Agostino Casaroli, che benedisse l’opera. Ispiratore di questa era stato monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI e arciprete del Sacro Monte. Com’è noto, Andreotti, Macchi e Casaroli appartenevano alla massoneria, come Adessa dimostra nel suo libro con ineccepibile documentazione.
D’altronde, tornando alle regole relative alla reputazione della santità della vita, non posso non ricordare che il partigiano comunista e terrorista Leonardo Speziale, che nell’autunno del 1943 cominciò ad operare a Brescia e provincia, costruiva ordigni esplosivi con tubi metallici imbottiti di tritolo, costruiti in casa Montini a Concesio. Il primo fu fatto esplodere la sera del 31 ottobre 1943, in via Spalti S. Marco, al passaggio, in bicicletta, del direttore delle carceri giudiziarie di Brescia, dott. Ciro Miraglia, un padre di famiglia con 4 o 5 figli, e del suo accompagnatore, un giovane milite diciannovenne di Ghedi, Andrea Lanfredi, che vennero dilaniati dallo scoppio.
Come risulta dalla biografia dello Speziale, non scritta da lui perché analfabeta, ma, in base alle sue dichiarazioni registrate, da certi Gianfranco Porta e Maurizio Magri, lo Speziale ebbe a dire che i Montini di Concesio erano “tutti cattolici”, aggiungendo poi: “non conosco quali legami esistessero tra loro e la famiglia di Paolo VI, ma sono certo che tra loro esistessero legami di parentela”.
Giambattista Montini, nato il 26 settembre 1897, figlio di un avvocato, all’epoca aveva 46 anni, e apparteneva a una famiglia di antifascisti. Nonostante i riferimenti piuttosto generici e ambigui, non si sa bene se così voluti dallo Speziale o dagli estensori delle sue narrazioni, sembra di poter ritenere che la famiglia Montini che l’ospitava nella propria casa di Concesio, e che era pienamente consapevole del lavoro preparatorio di atti di terrorismo che egli compiva in quella casa, e che, oltre a dargli alloggio, gli somministrava vitto e vestiario per sé e per i suoi compagni, fosse proprio quella del futuro Papa.
Se non altro perché era una famiglia dalle forti disponibilità economiche e finanziarie, in grado di fornire, non solo danaro, ma anche generi in natura, alimenti e vestiario, allora difficilmente reperibili a causa delle restrizioni belliche.
E dunque? Le conclusioni le lascio a chi vorrà leggere i libri ai quali ho fatto richiamo e tener conto delle mie personali nozioni.
Una cosa è certa, però.
Che la beatificazione di Paolo VI, un Papa tutt’altro che beatificabile, non andò in porto soprattutto per merito pressoché esclusivo di don Luigi Villa, il vittorioso “Avvocato del diavolo”, funzione abolita - dicesi - da Papa Wojtyla, che serviva a definire il ruolo di chi svolgeva il compito del pubblico ministero nei processi di beatificazione. Senza dimenticare il lavoro dell’ingegnere Franco Adessa validamente affiancato a quello di don Luigi.
Sarei ora curioso di sapere se ci sia qualcuno che possa essersi rammaricato, o che si rammarichi, per la mancata beatificazione di un personaggio come quello di cui mi sono occupato in queste note!
* Presidente emerito della Corte d’Appello di Brescia
Presidente on. Aggiunto della Corte di Cassazione
Cavaliere di Gran Croce