sexta-feira, 21 de janeiro de 2011

Convegno di Roma sul Concilio. Don Florian Kolfhaus: Il magistero pastorale del Concilio Vaticano II : "Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non voleva questo".


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Don Florian Kolfhaus parla come rappresentante della Segreteria di Stato. Il titolo completo della relazione è: "Insegnamento pastorale motivo fondamentale del Vaticano II. Ricerche su Unitatis redintegratio, Dignitatis humanae e Nostra aetate". Egli parte dalla considerazione che "Il Concilio Vaticano II voleva essere un concilio pastorale, cioè orientato alle necessità del suo tempo, rivolto all’ordine della prassi. Il cardinal Ratzinger già nel 1988 davanti ai vescovi del Cile affermava che il Concilio stesso non ha definito alcun dogma e volle coscientemente esprimersi a un livello inferiore, come concilio puramente pastorale". Tuttavia, proprio questo "concilio pastorale" – proseguiva il cardinal Ratzinger – viene interpretato "come se fosse quasi un superdogma, che priva di significato tutti gli altri concili". Del resto, è ormai chiaro che molti difendono il carattere vincolante e il significato del Vaticano II - che non mancano -, ma solo pochi ricordano i venti concili dogmatici precedenti. È per questo che si registra una sorta di timore di un arretramento rispetto al Concilio e di una sua arbitraria svalutazione. Il nostro contesto e le nostre riflessioni non vogliono arrivare a questo, ma solo far luce sugli eventi, sulla loro portata e significato e su dove ci stanno portando...

In effetti, quello che finora è l’ultimo concilio può essere rettamente compreso solo se rimane inserito nel magistero vivo di tutti i precedenti. E tuttavia, è innegabile che esso non è riconducibile a nessun precedente. Su questo tutti possono convenire, sia pure da diverse posizioni e valutazioni. Nessun nuovo dogma, nessun solenne anatema, differenti categorie di documenti rispetto ai concili precedenti; ma, ferma restando la sua legittimità ed autorità, la centralità della problematica che ne deriva sta nella tensione creata dal concetto di "Concilio pastorale" o di "Magistero pastorale", per effetto del nuovo tipo di concilio introdotto sul piano della prassi anziché su quello concettuale.

Non viene messo in discussione il carattere vincolante del Magistero, che esige consenso e obbedienza -sia pure non vincolante- anche quando non si tratta di dogmi, ma piuttosto il fatto se il Magistero, inteso come esercizio del "munus determinandi", sia riconoscibile in tutti i documenti. Don Kolfhaus così esprime il quesito: "Il Concilio non ha proclamato nessun nuovo dogma, ma ha forse esercitato un magistero paragonabile a quello del Papa nelle sue encicliche?", e così risponde: "Nei decreti e nelle dichiarazioni non si tratta dell’affermazione magisteriale di verità, bensì dell’agire pratico, cioè della pastorale come conseguenza della dottrina. Nella teologia manca un concetto per questo magistero pastorale […]. Non si può fare a meno di rimproverare a certi teologi "moderni" un atteggiamento conservatore, poiché essi non di rado guardano ai decreti e alle dichiarazioni del Vaticano II come a testi dogmatici, che definiscono "nuove" verità. Il Concilio stesso non voleva questo".

Ed è proprio questo il grande problema che deve essere affrontato e risolto. È ora ineludibile mettere ordine e delineare le diverse terminologie per fare, innanzitutto, un distinguo fra "magistero dottrinale", "magistero disciplinare", "magistero pastorale" e dunque definire il "Concilio pastorale", l’unico della Storia della Chiesa... Molto chiara la distinzione tra le diverse categorie di documenti, che ci riallaccia ai differenti "livelli" di mons. Gherardini. Insomma secondo la efficace sintesi di p. Lanzetta: "le principali dottrine del Vaticano II, quelle riguardanti il dialogo interreligioso, l’ecumenismo e la libertà religiosa, che sono poi quelle che hanno maggiormente catalizzato l’attenzione, non dovrebbero definirsi propriamente “dottrine” ma piuttosto “insegnamenti” (sono decreti e dichiarazioni) pastorali (come precisato dagli stessi padri conciliari) per i quali siamo ancora in ricerca di una categoria teologica per qualificarne il magistero, che sicuramente non è né dogmatico né disciplinare. Don Kolfhaus propone la qualifica di munus praedicandi: un insegnamento che, come ad esempio un’omelia, riguarda temi dottrinali, ma il tenore e la stessa proposizione sono di indirizzo eminentemente pastorale, vincolanti ma non infallibili".

Interessante la notazione iniziale, a braccio, che la scienza e anche la teologia si fa sine ira et studio, invece il problema del Concilio viene trattato cum ira et studio... Interessante anche notare che nella distinzione tra le differenti categorie di documenti possiamo cogliere una novità che non consente di considerare il Concilio come un blocco.

Di seguito il testo della Relazione in:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2011/01/convegno-di-roma-sul-concilio-don.html