Il
teologo
ECUMENISMO:
Leva di protestatizzazione della Chiesa cattolica
Che si dica che nella “nuova chiesa” di oggi si sia fatta
una “Riforma” è una gigantesca “illusione”.
Il movimento progressista non è altro che una assunzione
di immagini e di istituzioni protestanti, e quindi la protestizzazione
della Chiesa cattolica, eseguita da lei stessa.
Quindi, ciò che avviene nella Chiesa non è affatto un
“rinnovamento”, ma una spaventosa distruzione, che ci
fa riflettere che se l’evoluzione continua ad avanzare, sarebbe
giunta la fine della Chiesa cattolica, perché il protestantesimo
è un movimento di diserzione e di apostasia
dalla Chiesa cattolica. Inoltre, la sua alleanza con il razzismo
e con il naturalismo lo rendono incapace di assorbire i
valori essenziali del Cristianesimo, ossia tutto quanto c’è
di cristiano.
Benché anche nel protestantesimo ci siano molte anime
moralmente elevate che posseggono un amore a Cristo e
una pietà che svergognano molti cattolici, tuttavia, quei
giudizi non tolgono al fatto che il protestantesimo, in
quanto sistema dottrinale, sia erroneo, per cui non potrà
mai essere accettabile per la Chiesa cattolica, per cui se la
Chiesa cattolica vuole ancora sopravvivere, deve decisamente
staccarsi dal protestantesimo in quanto sistema
che mira a demolirla contrapponendole una salda e decisa
resistenza di soprannaturalità!
Martin Lutero: omicida e suicida
sac. dott. Luigi Villa (pp. 32 - Euro 3)
Ripresentiamo ai nostri lettori, in edizione aggiornata e
ampliata, il dossier: “Martin Lutero: omicida e suicida”.
Purtroppo, oggi, per un ecumenismo distorto, di matrice
massonica, Lutero, già cacciato fuori dalla Chiesa da
cinque secoli di storia e dal Concilio - “de fide”! - di
Trento, lo si sta facendo di nuovo rientrare dalla porta, lodato
perfino con pubblico elogio!
Ma per noi e per la Storia, Lutero rimane sempre un
omicida e un suicida; rimane sempre l.eretico insensato,
il porcus Saxoniae, il frate pagano, il degenerato
clandestino sulla nave di Pietro, il frate che, come Giuda,
finì, anche lui, “in locum suum”… (all.inferno!).
Per richieste, rivolgersi a:
Operaie di Maria Immacolata e Editrice Civiltà
Via G. Galilei, 121 - 25123 Brescia Tel. e Fax. 030. 37.00.00.3 - C.C.P. n° 11193257
6 “Chiesa viva” *** Gennaio 2011
di Mons. Brunero Gherardini
MONS. GHERARDINI
STRONCA
LA CRISTOLOGIA LIBERALE
E LA TEOLOGIA
DI MONS. BRUNO FORTE
I l Decano di Teologia della
Pontificia Università Lateranense,
Mons. Prof. Brunero
Gherardini, già autore su “Disputationes
Theologicae”, di un sintetico
e puntualissimo articolo su “Il
valore magisteriale del Vaticano
II”, interviene ora con un contributo
di grande stimolo scientifico.
Senza tergiversare, l’illustre teologo
stronca come gravemente eterodossa
la cosiddetta “cristologia liberale”.
Quest’ultima, partendo da
ambienti esegetici influenzati da
Strauss e Bultman o dal pensiero
del “protestantesimo liberale” in
genere, ha guadagnato molti teologi
contemporanei. Mons. Gherardini
analizza questa “nouvelle théologie”
nella sua simbiosi con il pensiero
“anti-metafisico” di certa filosofia
tedesca. Egli concentra la sua
analisi sul terreno strettamente teologico,
esprimendo, con dovizia di documentazione, il suo
energico dissenso dalla teologia di Mons. Bruno Forte.
***
Quanto sto per scrivere è ben lungi, nell’intenzione e di fatto,
da ciò che comunemente è detto processo alle intenzioni.
Per principio mi sforzo sempre
di considerarle tutte - le intenzioni -
pure e sante. Ovviamente, “donec
contrarium probetur”, nel qual caso
anche una presunzione di santità
o ne trae le conseguenze, o si rassegna
al ridicolo. S’aggiunga poi che
l’intenzione, anche se pura e santa,
non trasferisce automaticamente la
propria ineccepibilità morale nel
suo prodotto, il quale ha un suo realismo
oggettivo, e quindi una sua
moralità, prescindendo dall’intenzione
formale che lo vuole e verso il
quale si protende. Una bestemmia è
sempre, in sé e per sé, una bestemmia,
anche se pronunciata paradossalmente
per render gloria a Dio.
Una tale premessa era necessaria
per capir il giudizio, certamente ed
irriducibilmente negativo, che sto
per pronunciare. Il giudizio non riguarda
né le persone che han detto certe cose, né le intenzioni
per le quali le han dette, ma esclusivamente le cose
che sono state dette, anche se son pervenute all’orecchio
e all’intelligenza di qualcuno solo perché qualcun altro le
ha dette. Nel sottolineare chi, metto in luce di esse il soggetto
con le sue circostanze di luogo e di tempo, senza peraltro
condannarlo, nemmeno se - come nel caso di cui qui
Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto.
1
“Chiesa viva” *** Gennaio 2011 7
m’interesso - la mia coerenza teologico-morale mi porta
alla condanna inequivoca di ciò ch’è stato detto.
1° CHE COS’E STATO DETTO
Mi riferisco soprattutto, ma non esclusivamente, ad
un’espressione non nuova in assoluto, essendo talvolta
comparsa, anche se formulata in modo diverso, in un passato
non troppo lontano da non pochi degli addetti ai lavori.
Proprio perché né faccio, né voglio fare il processo alle intenzioni,
dirò che si tratta ormai d’un modo-di-dire entrato
nel gergo teologico e dai più recepito ed usato quasi certamente
senz’avvertirne né la provenienza, né il significato.
Provenienza e significato, a dir il vero, più vicini alla cosiddetta
Liberaltheologie che non al Credo cattolico.
L’espressione alla quale mi
riferisco suona in questi
termini: “il Dio di Gesù
Cristo”.
Forse il non addetto ai lavori,
oppure il non attento
all’esigenza d’un linguaggio
il più possibilmente
proprio per farne tramite,
pur sempre inadeguato,
dell’Ineffabile, neanche
s’accorge d’aver a che fare
con un’espressione che dir
impropria è un complimento.
Il fatto ch’essa allude a
Dio ed a Gesù Cristo è più
che sufficiente a soddisfar
il facile palato di quei teologi
- ed oggi sono i più -
che si son formati non
sulla Summa di San Tommaso
d’Aquino e nemmeno
su quei “loci” che Melchior
Cano individuò soprattutto
nella Rivelazione,
nella Chiesa e nella Tradizione, ma sui testi di rinomati
maîtres-à-penser, preferibilmente postconciliari, quasi
tutti sensibili alla suggestione d’un hegelismo vagamente
cristianizzato, che ciò nonostante imprigiona il messaggio
evangelico nelle maglie del divenire, lo spoglia d’ogni
sua componente soprannaturale e lo riduce ad un dato
sempre cangiante dell’immanenza.
Ho trovato un po’ dovunque - in Italia, in Europa, nelle
Americhe - le opere di siffatti maestri, brillantemente
esposte nelle vetrine di librerie ovviamente cattoliche. Segnalate
come nouvelle vague théologique, esse apron la
teologia postconciliare alla metodologia storico-critica,
chiudendola ermeticamente a quella “ex auctoritate et ex
traditione”. N’è nata la famosa teologia dal basso, non
più legata ai dati della divina Rivelazione, né più tributaria
della “soffocante” metodologia scolastica che, appropriandosi
della Rivelazione stessa, imponeva i suoi criteri
interpretativi e le conseguenza cui perveniva. Teologia dal
basso, cioè al servizio non del “Dio che ha parlato, e si è
rivelato”, ma del Dio che vien rivelandosi di volta in volta,
qui ed ora, nel dispiegarsi di questo momento storico,
nelle alternanze della coscienza
religiosa, nel sentimento
e nella commozione
dell’animo umano, nella
sua sete di giustizia e di pace,
a coronamento dei suoi
desideri e delle sue aspettative.
Una teologia, insomma, a
misura d’uomo, per l’uomo
in conformità al “suo”
mistero umano ed alla “figura
di questo mondo” (1
Cr. 7,31) che ne plasma
l’identità. Una teologia, infine,
tutta protesa a sondare,
sulla scia della rivelazione
in fieri, non più il mistero
di Dio nel mistero del suo
Verbo incarnato, ma il mistero
dell’uomo come cartina
di tornasole del mistero
di Dio. A dir il vero,
questa nuova teologia di
nuovo ha ben poco.
Nel 1835, un Repetent di
Tubinga, David Friedrich Strauss, difese la tesi secondo la
quale il Cristo del NT non era il Gesù della storia, ma l’oggetto
della fede, quale il Libro sacro aveva accolto dalle
dichiarazione di fede della Chiesa nascente1.
Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto.
1 Nato il 27 genn. 1808 a Ludwigsburg, alunno di F. Chr. Baur, elaborò
nel 1831/32 a Berlino le lezioni di Schleiermacher sulla vita di Cristo
ed altrettanto fece nel 1832/35, come Repetent a Tubinga, con la vita di
Cristo di Hegel, finché, proprio nel 1835/36, pubblicò il suo famoso
Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet in due volumi, dei quali già il primo
suscitò un tale vespaio che Strauss ci rimise il posto di Repetent. Nel
1837 pubblicò l’apologia dello suo scritto incendiario: Streitschriften
zur Verteidigung meiner Schrift über das Leben Jesu und zur Charakteristik
der gegenwärtigen Theologie. Il fossato che già prima era stato
aperto tra il-Cristo-della-fede ed il-Cristo-della-storia, si dilatò fin
all’inverosimile sotto la spinta d’esigenze c.d. storico-scientifiche: la
fede è una cosa, la scienza un’altra. La “Leben Jesu” diventò una corrente,
sulla quale riferì con onestà critica il poliedrico esegeta-teologomedico-
organista-missionario (fondatore del discusso ed ammirato
ospedale di Lambarené) ed appartenente egli stesso alla Liberaltheologie,
Schweitzer A., Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, J.C.B.Mohr
(P. Siebeck), Tubinga 19516, il quale, ricercando i prodromi del fenomeno,
li individuò anzitutto in H. S. Reimarus ed in alcune espressioni
vetero-razionaliste, nel colto razionalismo di H.F. G. Paulus, in quello
romantico-sentimentale di Schleiermacher e quindi in quello “scientifico”
di Strauss, al quale dedica le p. 69-128 prima di passare alle successive
Vite di Cristo. Per una mess’a punto complessiva, cf Ristow
H.-Mattiae K. (a c. di), Der historische Jesus und der kerygmatische
Christus, Ev. Verlagsanstalt, Berlino 1960.
8 “Chiesa viva” *** Gennaio 2011
Gli scritti di questo Repetent s’innestano su altri con caratteristiche
analoghe ed insieme fanno da apripista ad una
corrente - la Leben Jesu-Forschung - che dà un volto ai
secoli XIX e XX, ridimensionando la figura storica di
Gesù: il Signore, il Risorto assiso alla destra del Padre e
presente col suo Spirito nella vita della Chiesa vien considerato
come il frutto della fantasia credente, nettamente
distinto e diverso dal biondo Rabbi della Galilea, dalla sua
concreta ed individua esistenza all’interno d’una storicità
ben determinata e sulla cui psicologia indagaron Ethelbert
Stauffer2 e, con esiti ben diversi, i cattolici Paul
Galtier e Pietro Parente3.
In effetti, è questa la griglia attraverso
la quale può intravedersi la scaturigine
culturale del Dio di Gesù Cristo. È la
griglia del criticismo teologico che è
riuscito nell’impresa di staccare la
“paràdosis” del Credo dalla sua dipendenza
dalle fonti e di queste medesime
fonti ha talmente sconvolto il costitutivo
formale da farne un fantomatico
coacervo di presupposti ben al di
là dei dati più elementari del NT.
Dinanzi ad un siffatto isolamento critico-
scientifico dell’Uomo-Dio dalla vita
e dalla fede della Chiesa, la parola
di Karl Barth, un protestante mai tenero
verso la Chiesa cattolica, assume
il timbro d’un autorevolissimo e profetico
richiamo perché si smetta di dar
la caccia al “fantasma d’un Gesù
storico nello spazio vuoto dietro il
NT”4.
Uno dei massimi responsabili di codesta
caccia, quel Rudolph Bultmann
che tanta fortuna incontrò in campo
cattolico ed altrettanta ne procurò e ne
procurava ad alcune editrici cattoliche,
pone il problema cristologico a cavallo
tra due categorie: il mito e la
storia.
Prima di lui, altri - e fra questi in special modo il ben noto
W. Bousset5 - si sottrassero alla suggestione e d’un’interpretazione
cristologica a partire dalla suprema regalità del
Padre e videro nel Christus Kyrios una pura e semplice
espressione mitologica, che trasformò l’uomo Gesù in
essere divino. Da qui l’impegno, tutto liberale, di “smitizzare”
il Cristo della fede per ritrovar i lineamenti
storici di Gesù.
D’un personaggio, cioè, che non ha nulla in comune, nella
realtà dei fatti, con il Figlio preesistente di Dio, incarnatosi
per l’umana salvezza, crocefisso risuscitato ed assiso alla
destra del Padre. E che non può esser affatto il Kyrios presente
nella Chiesa con la forza del suo Spirito e con l’efficacia
dei suoi sacramenti. Tutto ciò, infatti, è mito che ha
trasformato Gesù in Cristo e di cui questo Cristo va spogliato
perché torni ad esser Gesù.
La peculiarità di R. Bultmann si mise
in luce nel distinguersi dalla smitizzazione
liberale: egli parlò di smitologizzazione
- s’è possibile tradurre cosi
la sua intraducibile “Entmythologisierung”,
un lemma composito che può
capirsi solo se scomposto -. Le componenti
principali son “Mythos” e “Logos”,
precedute dal prefisso inseparabile
“ent” che richiama la funzione
dell’alfa privativo in greco, e seguite
dal suffisso indicante l’azione privativa
introdotta da “ent”. Basterebbe una
tale scomposizione a far capire che il
programma bultmanniano, pur procedendo
in direzione liberale, è tutt’altro
rispetto alla smitizzazione della teologia
liberale: non spazza via il mito e
meno ancor il senso e l’intenzione di
esso, ne tutela anzi la trascendenza liberandolo
dalla “ratio” (Logos) che
ne altera il senso, elevandolo a valore
soprannaturale come supporto e spiegazione
del Cristo della fede, un uomo
che la fede avrebbe trasformato
in essere divino6. In comune con i liberali,
tuttavia, anche Bultmann aveva
il traguardo del ridimensionamento del
Cristo della Fede sul Gesù della storia. Nemmeno per lui i
titoli messianici neotestamentari “Messia”, “Figlio
dell’uomo”, “Figlio di Dio”, “Signore”, “Salvatore” e
via dicendo, dimostrerebbero che Gesù è “un’ipostasi di-
2 Stauffer E., “Die Theologie des Neuen Testaments”, Stoccarda
19473. Altrettanto Voegel H., Christologie, 1.Monaco 1949, sp. p. 22.
3 Galtier P., “L’unité du Christ: tre, Personne, ConscienceÓ, Parigi
19392; ID., La conscience humaine du Christ, in “Gregor.” 32 (1951)
526ss, sp. p. 562; in polemica con lui, ma ad altissimi livelli, intervenne
Parente P., col suo capolavoro L’Io di Cristo, Morcelliana, Brescia
1955, terza ed. Istituto Padano Arti Grafiche, Rovigo 1981; ID., Unità
ontologica e psicologica dell’Uomo-Dio, Collez. Urbaniana 3/2, Roma
1952.
4 Barth K., “Kirchliche Dogmatik”, I/2 Zollikon-Zurigo 19453, p.
71: “... nach dem Phantom eines historischen Jesus im leeren Raum
hinter dem Neuen Testament”.
5 Bousset W., Kyrios Christos. Geschichte des Christusglaubens von
den Anfängen des Christentums bis Irenaeus, Gottinga 19212.
6 Cf spec. Bultmann R., “Theologie des Neuen Testaments”, Verlag
J. C. B. Mohr (Siebeck) Tubinga 19583; ID., Die Geschichte der synoptischen
Tradition, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottinga 19615; ID.,
Glauben und Verstehen, 3 voll., J. C. B. Mohr (Siebeck), Tubinga
1961-62. Tra le innumerevoli opere d’interpretazione o di presentazione,
scelgo l’unica che più d’ogni altra riesce a far capire il programma
della “smitologizzazione” bultmanniana: Malet A., Mythos et Logos -
La pensée de Rudolph Bultmann, Labor et Fides, Ginevra 1962. Come
puntuale ed onesta controversia fra due grandi si veda anche Barth K.,
Rudolph Bultmann: ein Versuch, ihn zu verstehen, Zurigo 19643; al
riguardo si confronti anche lo scambio epistolare Karl Barth-Rudolph
Bultmann: Briefwechsel 1922-1966, a c. di B. Jaspert, Zurigo 1971,
spec. lett.94/95 p. 169ss.
Mons. Bruno Forte,
Arcivescovo di Chieti-Vasto.
“Chiesa viva” *** Gennaio 2011 9
vina”; una loro interpretazione in tal senso, secondo lui,
“razionalizzerebbe” Dio e misconoscerebbe che “la divinità
di Cristo è un evento sempre nuovo e non oggettivabile
con nessun fatto del passato” e proprio per questo
“opposto ad ogni oggettivazione”7. La conclusione, pertanto,
non poteva esser diversa dalla seguente: «La formula
“Cristo è Dio” è falsa in ognuno di quei sensi - ariano,
niceno, ortodosso o liberale - che intendono Dio come
una grandezza oggettivabile. Essa è corretta solo se intende
Dio come l’evento dell’azione di Dio»8.
È, questa, una costante bultmanniana. La si riscontra perciò
anche in altri interventi. Nel seguente, p. es.: «Accanto
a Dio non c’è un’altra persona divina che, come tale, completi
la fede giudaica nell’unico Dio. La fede non è l’affermazione
di speculazioni metafisiche sulla divinità di Cristo
e sulle sue (due) nature. La fede in Cristo non è
nient’altro che la fede nell’azione di Dio in Cristo»9.
Era proprio necessario arrivare fin qui per capire che
cosa significhi “Il Dio di Gesù Cristo”. Esso non ha senso
se non nella separazione fisica e qualitativa di Gesù
Cristo da Dio. Ha senso se si parte dal dato di fatto di codesta
irriducibile dualità: da una parte, Gesù Cristo e
Dio, dall’altra. L’uno non è l’altro e viceversa. L’uno può
parlare dell’altro, ma senza che ciò lo identifichi con l’altro.
Quando si legge “Io ed il Padre siamo un’entità sola”
(Gvc 10,30) si è di fronte non ad un’autoaffermazione
sulla divinità di Cristo, sbocciante sulle sue labbra come
rivelazione del suo mistero, ma a parole con cui la Chiesa
avrebbe divinizzato Gesù, oggettivando nella sua fede il
Padre ed il Figlio. In altri termini, l’espressione “il Dio di
Gesù Cristo” è formalmente identica a quella veterotestamentaria
sul Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe
(Esc 3,6) che il NT (Mtc 22,32; Mc. 12,26) ripete alla lettera
e con identico significato.
Quello, cioè, di Dio unico trascendente e sovrano, che può
prendersi cura d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, solo
perché si distingue nettamente - qualitativamente, metafisicamente
- da loro. L’espressione non assume un significato
diverso se applicata a Gesù Cristo. Come non fa
d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe altrettante divinità
né accanto a Dio, né in competizione con Lui, così l’incauta
e blasfema espressione “il Dio di Gesù Cristo” non innalza
il personaggio chiave dell’Evangelo al rango della
divinità ed ignora - o forse nega - il dogma delle due nature
in lui ipostaticamente unite. E come nel primo caso,
oltre alla trascendenza di Dio, la formula esprime la fede
d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe nel Dio che s’è coinvolto
nella loro storia ed in quella del loro popolo, così nel
secondo caso la formula esprime:
– Iddio metafisicamente distinto e separato da Gesù Cristo
in base ad un’infinita differenza qualitativa di
kierkegardiana memoria;
– la condizione puramente umano-creaturale di Gesù Cristo
che, alludendo a Dio, indica in Lui il totalmente altro
da sé;
– la fede con cui Gesù Cristo si rapporta continuamente a
Dio, espressa nella sua predicazione su Dio Padre,
Amore, Giustizia, Pace.
(continua)
La battaglia continua - 4
sac. dott. Luigi Villa
(pp. 65 - Euro 10)
Tutti, ormai, vedono che molto è cambiato nella Chiesa cattolica, e cambiato
dai suoi stessi figli, già una volta fedeli. Questo cambiamento è avvenuto
con “l.aggiornamento” per farne una Chiesa più universale, più aperta.
Ma il termine “universale” non è la traduzione del termine “cattolica”?
Questo nuovo scritto dimostra che non è possibile cambiare i termini, ossia
il modo di esprimere la Fede senza cambiare la Fede stessa.
Il cambiamento, quindi, della Chiesa d.oggi, non è che un laicismo come
conseguenza immediata.
Per richieste, rivolgersi a:
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7 Buktmann R., “Glauben und Verstehen”, II. p. 258: “So ist auch
Christi Herr-Sein, seine Gottheit, immer nur je Ereignis. Eben das ist
der Sinn dessen, daß er das eschatologische Ereignis ist, das nie zu
einem Ereignis der Vergangenheit objektiviert werden kann, auch
nicht zu einem Ereignis in einer metaphysischer Sphäre, das vielmehr
jeder Obiektivation widerstreit”.
8 Ibid.
9 Ibid., I, p. 331.
L
a libertà è un vuoto concetto,
se non è coraggio e audacia,
se non è fiducia nella Luce
del Bene e non si adopera nella lotta
al male ed all’errore.
La libertà vivifica lo spirito, lo fortifica,
rendendolo vigilante e caritatevole.
Quando è ispirata da Dio,
essa è vissuta senza tattiche ed
astuzie, senza tornaconti ed esitazioni
nell’aiutare gli altri a ritrovare
la Verità.
Nella nostra cultura il concetto corrente
di libertà spinge, invece, a dare
importanza alla materia più che
allo spirito e, strisciando per terra
senza mai alzare lo sguardo agli
orizzonti infiniti che ci sovrastano,
siamo capaci di restare nel fango
dell’utilitarismo anche per un’intera esistenza, perseverando
negli abusi, nei sacrilegi e nell’immoralità.
Di tanto, indiscutibilmente, è causa il fatto che anche
l’ambito religioso in occidente è desacralizzato, dopo essere
stato defraudato delle inestimabili ricchezze del passato,
spazzate via dalla pletora di riforme liturgiche e dottrinali.
Le pastorali odierne, infatti, sono unicamente improntate
al terreno ed al superamento della dialettica del superiore e
dell’inferiore per orientare ciascuno a transformarsi
nell’altro, in virtù dei diffusi princípi che impongono
all’attenzione globale i diritti dell’uomo, anziché quelli di
Dio. Se, dunque, qualcuno volontariamente annega nel
malcostume, nell’empietà e nell’eresia, è d’obbligo rispettarne
l’autonomia di pensiero, astenendosi dall’ammonirlo
e dal giudicarne la condotta.
La libertà di coscienza, riconosciuta
quale diritto inalienabile per
chiunque, nel terzo millennio non è
invece ammessa per chi voglia attenersi
al rigore etico ed ai dettati
evangelici che è, di continuo, attaccato,
vessato ed emarginato.
Nel “Padre nostro” chiediamo a
Dio che venga il Suo Regno ossia
che Egli dimori nelle anime, ma
senza alcuna intenzione di adoperarci
affinché ciò possa avvenire.
Non c’è, dunque, posto per il Regno
di Dio nell’uomo contemporaneo,
a causa della dissolutezza generale
e della maggioranza dei ministri
cattolici che, svendutisi al
mondo, hanno rinunciato al mandato
di correggere e guidare le coscienze verso la radicale
conversione.
Porporati, religiosi e presbiteri, in massa, soffocati dall’indifferentismo
verso Cristo-Signore e le anime, percorrono,
infatti, la strada tracciata da una teologia reinventata per
scopi umanitaristici, infarcita di pragmatismo e, perciò,
aliena dal trascendente.
Di conseguenza, in simile contesto socio-ecclesiale, strutturato
in funzione antropica, per un vero Sacerdote è
davvero difficile essere segno visibile di Dio ed annunciare
il Vangelo, mantenendo le distanze dal buonismo accondiscendente
di certi Prelati.
Questi, infatti, presentano quale elemento di disturbo e
10 “Chiesa viva” *** Gennaio 2011