quinta-feira, 18 de março de 2010

Cardeal Giuseppe Siri: 1972 Lettera ai Professori di Liturgia e di Rubriche, nonché di canto dei Seminari





LETTERA DI S. E. IL CARDINALE ARCIVESCOVO



ARCIVESCOVADO DI GENOVA

Pasqua 1972

Ai RR. Professori di Liturgia e di Rubriche,
nonché di canto nei nostri Seminari
e.p.c.
agli altri Superiori e Professori.

OGGETTO DI QUESTA LETTERA
Si deve prendere atto che nel mondo si è determinata una ondata collettiva di spoliazione. Qualche volta si parla di semplificazione, ma il termine non è rispondente alla realtà. Ne è venuto, come generalmente accade dei movimenti umani, una certa infiltrazione nello stesso senso. Questa ha raggiunto anche i Seminari e non mancano giovani che giudicano quanto è esterno e simbolo nella Chiesa e nella sua Liturgia e tenuta, pleonastico, inutile, pesante. Questo giudizio sul quale sto per fare le mie considerazioni è certamente dannoso alla vita spirituale di quelli che lo accolgono e lo riesprimono, perché li mette in situazione di criticare quanto non è ancora, sotto ogni profilo, di loro competenza. Gli atti di orgoglio sono sempre rovinosi per la retta maturazione dei giovani.
Veniamo al «fatto», ossia all’uso che la Chiesa fa di elementi esterni svariati. Il vento che spira contro di essi, se può avere qualche giustificazione in qualche limitato settore, è certamente un vento protestantico, che ha alla base le stesse ragioni per cui un giorno popoli cattolici hanno abbandonato la loro primitiva Fede. La presente lettera ha lo scopo di ristabilire la verità circa gli «elementi esterni e simbolici» avuti dalla Tradizione Apostolica ed Ecclesiastica.

La risposta del Vecchio Testamento
Dell’antico Patto non sopravvivono certo le regole rituali. Ciò è ben noto. Sopravvivono però le regole e le indicazioni «morali». Esse, come ha dichiarato Cristo nel discorso della Montagna, restano intatte e Lui le ha completate.
La solennità del culto del Signore, il rispetto che vi deve essere dimostrato nei gesti e nelle cose, la distinzione che si esige per i sacri ministri, non sono semplicemente leggi rituali, ma regole morali.
Si percorra, a convincersene l’Esodo al c. 12 e nei capitoli 25-30, il Levitico ai cc. 8-9, i Numeri ai cc. 7-8 ed il discorso legislativo detto da Mosé e riportato al capo 12 del Deuteronomio.
Tutto questo viene ribadito e rinforzato nelle rivelazioni fatte da Dio a Davide ed al suo figlio Salomone, a proposito del grande Tempio. di Gerusalemme (II Sam. 7; I Re, 3, 10segg.; 5, 15segg.: 6; 7, 13segg.; 8; 9, 1-9 etc.).
Non è difficile capire una intima ragione delle disposizioni e beneplaciti divini a proposito di elementi esterni: essi dovevano «simboleggiare» e cioè richiamare al popolo verità sacrosante, quali la sudditanza a Dio, il rispetto alle cose di Dio, etc. Tutto assolveva, oltre la ragione pratica immediata, la funzione di «segno».

La risposta del Nuovo Testamento
Cristo ha Lui istituiti i sette Sacramenti (Conc. Trid., Dz. 1601). Ora i Sacramenti sono costituiti da «segni» sensibili. Il Salvatore ha voluto che ogni fatto soprannaturale interno, certo, fosse notificato all’esterno da elementi sensibili. Ha accettato ed applicato un principio. I tre Sinottici ci danno la istituzione e dell’Eucaristia e del Sacrificio Eucaristico (Conc. Trid. Dz. 1751segg), il quale si attua evidentemente attraverso elementi esterni, applicando il principio detto sopra
Lo stesso Salvatore pur poverissimo non ha mai respinto gli onori esterni che gli venivano tributati, specialmente in casa di amici anzi, li ha elogiati (Matt 26, 6segg; Mc 14, 3segg, etc.) ed ha ripreso un ospite che tali onori non gli aveva tributati. Per la istituzione della Eucaristia ha voluto una sala grande, bella, tutta ricoperta di tappeti e cuscini (Mc. 14, 15). Ha voluto per sé un sepolcro nuovo ed illustre; ha circondato di prodigi la prima grande iniziale discesa dello Spirito Santo. Questi fenomeni durarono tutta l’età Apostolica. Anche nel nuovo Testamento Dio ha fatto un largo posto all’elemento umano «che doveva significare», ossia doveva aiutare uomini materiali a vedere realtà soprannaturali, invisibili per gli occhi umani.
Il Vangelo non ci ha lasciato davvero una legge di «spoliazione» e di «denudata miseria».

La necessità permanente ed immediata del «segno»
Noi siamo tenuti per disposizione di natura a raggiungere le realtà esterne alla nostra intelligenza attraverso i sensi, cioè attraverso le cose materiali che, sole, si offrono ai sensi. Si tratta di una legge alla quale non si deroga.
La conseguenza è chiara: tutto ciò che si vuol fare giungere all’intelletto (e ciò significa, coscienza, raziocinio, etc.), deve essere espresso con elementi materiali. La parola ne è il primo mezzo comune.
Cioè: le cose che non possono venire afferrate immediatamente dall’anima intelligente, pena il restare essa nella sua dannosa oscurità, debbono esserle «significate» attraverso elementi sensibili, materiali. A parte ogni astrattismo, vecchio e vieto, questa è la realtà colla quale chi ancora ragiona, deve fare i conti.
La Chiesa porta con sé grandissime cose, che sono per sé oggetto dell’anima e della sua intelligenza. Tutta la realtà del Regno di Dio, tutto il suo tesoro (Matteo 13), tutto il fatto della incarnazione e redenzione, per sé preferito e appartenente come elemento recepito nei fatti umani, al passato anche se divinamente presente, i sacramenti il Sacrificio, i sacramentali: ecco quello che deve rendere presente ai sensi prima che all’intelletto.
Ma c’è altro. Esiste una Gerarchia. Questa è per volere divino necessaria alla Chiesa ed alla salvezza delle anime. E’ di giurisdizione ed é di Ordine. I poteri che il Salvatore ha messo in mano a questa doppia Gerarchia sono incommensurabili. Per Gerarchia di Giurisdizione (Papa e Vescovi) c’è un potere di magistero che è autentico, cioè fatto in nome di Cristo ed in talune condizioni infallibile: per esso la verità è legata a condizioni che si inverano nella realtà terrestre. Ma se il Magistero lo si può udire, il suo valore e la sua colleganza colla azione divina non sono visibili. La stessa Gerarchia ha il potere di giurisdizione; può fare leggi e queste sono già sanzionate da Dio (Matteo 18); può dunque creare la obbligazione grave nell’intimo della coscienze. Per la capacità di Ordine dispone dei Sacramenti. Ciò significa: trasforma le anime, le arricchisce della grazia di Dio. Si tratta di azioni divine.
La Gerarchia di Ordine, che, effettuando un servizio e non una direzione, deve essere necessariamente più numerosa, mentre resta ridotto il numero di quelli che dirigono, comprende i Vescovi, i Preti, i Ministri o Diaconi. I poteri dei Diaconi per quanto ampliati nell’ultimo Concilio non toccano cose sostanziali e necessarie. Basterebbe per i preti richiamare il solo potere di consacrare il pane e il vino.
Tutto quello che procede dalla Gerarchia di Giurisdizione e di Ordine nel proprio livello è divino e soprannaturale, oltrepassa le possibilità umane e create. Tutto questo lo sa chi ha la Fede. Per chi non l’ha ed è fuori, il discorso dovrebbe essere un altro, ma colla stessa conclusione.
Ci si provi a riflettere che cosa sta dietro una assoluzione impartita da un sacerdote od anche dietro una sua semplice benedizione.
La Chiesa porta con sé il «tesoro nascosto nel campo» del quale ha parlato Gesù. Tutto questo non ha che modesti e semplici riscontri esterni. Ecco perché occorre il «segno», ossia tutto quello che è capace di rendere percettibile al popolo, per la sua eterna salvezza, il «tesoro nascosto nel campo». Il ridurre o, peggio, l’abolire gli elementi espressivi esterni, significa togliere la ORDINARIA, ABITUALE, insostituibile cognizione delle cose che debbono restare vive, penetranti, espressive, operanti attraverso il dato esterno. Forse sarebbe meglio dire che si tratterebbe di protestantesimo.
Crediamo sia chiara la necessità del «SEGNO».
Si applichi. La liturgia, lo stato ecclesiastico, la funzione sacerdotale, l’ambiente sacro, hanno bisogno di «SEGNI» inconfondibili, immediati, sempre operanti, facili e di sicuro intendimento.
Ecco perché la Liturgia ha bisogno di vesti, di segni, di strumenti e tanto più incide e rende presente il «mistero» quanto più le azioni e le parole e le cose sono unite armonicamente in una coreografia.
Ecco perché il prete ha bisogno di una veste, che lo qualifichi. Guai il giorno in cui il prete fosse irriconoscibile!
Ecco perché gli uffici diversi e talvolta grandi hanno bisogno di ammenicoli esterni che li indichino nella loro realtà giuridica e soprannaturale. .
In realtà, quando si hanno a significare cose divine, è difficile esagerare. E chi ha ben chiara la sostanza delle cose, deve ammetterlo. Tuttavia nell’assumere le cose esterne si deve tenere per criterio quello di significare a sufficienza, senza arrivare ad effetti negativi dello scopo per cui si agisce. Quanto è certa la necessità del segno, altrettanto va tenuta in conto la opportunità di un adattamento alle circostanze. E questo adattamento alle circostanze e meglio lasciarlo fare alla Madre Chiesa che non gettarlo in balia di furie iconoclaste, anticristiane, ricche di acredine contro tutto ciò che è elevato, bello e solenne.
Storicamente la Chiesa nel costruirsi il «SEGNO ESTERNO» del tesoro che porta con sé, ha potuto subire l’influenza di situazioni ad essa esterne. Ma se questo spiega il criterio di maggiore semplicità essenziale alla quale essa si è ispirata nei documenti degli ultimi dieci anni, non autorizza a rivolte scimmiescamente copiate dalle stanchezze degli uomini, quando sono esauriti da determinate esperienze politiche e sociali.
La Chiesa è un altra cosa. Ma volerla privare del suo «SEGNO ADEGUATO» è volerla negare. Si ascolti la intelligenza ed il cuore non la passione e l’istinto.


2 Aprile 1972

+ Giuseppe Card. Siri
Fonte:http://www.cardinalsiri.it