Ho letto con viva commozione la lettera del Servo di Dio Don Edoardo Poppe, che mi pare proprio ispirata dal Signore; certo vi confesso che a me ha fatto tanto bene e credo che possa ugualmente farne a quanti la vorranno leggere e meditare.
In quest’ora decisiva, nella quale Gesù continuamente ci chiama tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi, dobbiamo sentire il bisogno di uscire dalla mediocrità ed impegnarci a fondo per la nostra santificazione, unico mezzo per salvare un mondo che va alla deriva. E’ una missione divina la nostra, ma insieme quale responsabilità se non viviamo all’altezza del compito dalla Provvidenza assegnatoci!
Per questo io vorrei che la voce del Poppe, che ci richiama al pensiero i grandi doveri inerenti alla nostra sublime vocazione, arrivasse «usque ad finem terrae», per scuotere e animare tutti al santo fervore nel divino servizio; poiché oggi gli uomini non credono più alle parole, vogliono vedere i fatti, e noi Sacerdoti e Religiosi dobbiamo essere Vangeli viventi, per essere veramente, come Gesù ci vuole, «sale della terra e luce del mondo». Solamente così si potrà far trionfare nei cuori la nostra santa Religione; guai se la vita pratica fosse una smentita a quello che predichiamo!
Nella mia povertà prego lo Spirito Santo ad infondere in queste brevi pagine tanta grazia, che tutti quelli che vorranno leggere e meditare ne riportino preziosi frutti di luce, di forza e di celeste unzione, per rinnovarci in Cristo.
Chiediamo carità di preghiera, in C. J. sac. GIOVANNI CALABRIA
CENNI BIOGRAFICI
Nato a Temsche (Belgio) il 18 dicembre 1890, dopo una gioventù esemplare, entrò nel Seminario di Gente fu ordinato Sacerdote il 10 maggio 1916. Da allora, come Viceparroco a Gent (1916-’18), come Direttore della Suore di S. Vincenzo a Moarzeke (1918-’22), come Direttore spirituale a Leopoldsburg (1922-’24), irradiò, come la fiaccola sul candelabro, il dolce splendore di una vita santamente sacerdotale. Si distinse per un grande spirito di povertà, una umiltà profonda, un’obbedienza perfetta, una fede semplice come quella di un fanciullo, una carità ardentissima.
Nella sua consacrazione sacerdotale, aveva domandato a Dio di poter essere lui stesso l’offerta e la vittima del suo apostolato. Dio gli diede una salute debole e malferma. Gli otto anni che visse come Sacerdote li passò fra penose alternative di una malattia, che sempre si ripeteva con nuove crisi, seguite da convalescenze lunghe e difficili. Emanava da lui un influsso potente di grazia, e la sua parola dolce e benefica suscitò in migliaia di anime un rinnovamento di fede attiva e di vita interiore. Fu il grande apostolo di Maria Mediatrice e del Regno Eucaristico di Gesù, e legò indissolubilmente il suo nome alla pratica della “Vera Devozione” e al movimento della “Crociata Eucaristica”.
Negli ultimi anni, consumato da uno zelo ardente per la santificazione dei suoi confratelli nel Sacerdozio, si studiava di condurre con la parola e con l’esempio gli eletti di Cristo alla perfezione propria dei loro Stato. Specialmente i suoi cari “Cibisti”, seminaristi e religiosi, infermieri di Leopoldsburg, dei quali gli era stata affidata la direzione spirituale, trovarono in lui una guida e un animatore incomparabile.
Offrì la sua vita a Dio per la santificazione del Clero e si spense santamente il 10 giugno 1924.
Il processo informativo diocesano per la Causa di Beatificazione fu aperto a Gent, il 21 marzo 1946. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1999.
LETTERA DEL BEATO DON EDOARDO POPPE AI SACERDOTI
Pater, santifica eos. Mettiamoci con fiducia sotto l’impero di Maria Mediatrice delle grazie del sacerdozio di Gesù… Ave Maria!…
MIEI CARI CONFRATELLI,
Per quanto io mi senta indegno e in capace di scrivere questa lettera spi rituale, lo faccio tuttavia, per l’amore che porto alla vostra perfezione sacerdotale. Dio vi ha dato una grazia preziosa: vi ha fatto sentire il dovere di una vita sacerdotale santa. Voi stessi vi siete ripetuto più volte: «Io devo di ventare un santo Sacerdote; se così non avvenisse, giudicherei finita la mia carriera». Com’è vero ciò, so stanzialmente vero!
GUERRA ALLA MEDIOCRITA’
Sì, cari Fratelli; voi dovete essere Sacerdoti santi, non già dei preti qualunque, dei preti ordinari. Altri menti il vostro zelo e le vostre fa tiche riusciranno a ben poco e le vostre pecorelle si allontaneranno da voi e si perderanno in gran numero. Una sola parola di un santo è più efficace che un mucchio di predi che di un freddo oratore. Le parole di un Sacerdote santo colpiscono, scuotono, commuovono e penetrano le anime, rinnovandole in modo me raviglioso. Sono, infatti, parole nate dalla grazia, dalla preghiera, fors’an che dalla penitenza; per questo so no piene della forza di Dio. Un sa piente potrà anche imitarle con rara abilità, ma Dio predica solo attra verso la bocca di un santo: «Non vos qui loquimini…» (Mt. X, 20). La scienza è un utile aiuto, i doni na turali sono necessari, ma senza la santità noi siamo più o meno dei «cymbalum tinniens, aens sonans…» (I Cor. XIII, 1).
Fratelli, non vendete ciance! Fratelli, non siate vasi vuoti; abbiate pure scienza e talento, ma prima di tutto siate uomini di preghiera e austeri nella penitenza: siate santi!
GUARDARSI DALL’ABITUDINE!
Fratelli, tutti i giorni siamo chiamati alle solite occupazioni: nobili, ma monotone e spesso faticose. Fratel li, attenti a non lasciarvi vincere dall’abitudine, e vegliate perché i Sacramenti non perdano agli occhi vostri il loro carattere divino; atten ti che il vostro Maestro non vi di venti tra le mani «un oggetto indifferente»; attenti a non perdere la stima cristiana per gli ammalati e i poveri; attenti a che i fanciulli non vi diventino cagione di noia, og getto d’avversione i peccatori. Ma che dico? Siate attenti a una cosa sola, a non diventare dei preti me stieranti.
State bene attenti: sappiate star fer mi nel proposito di farvi santi come lo siete in quello di salvarvi. Solo così il continuo contatto con i santi Sacramenti sarà per voi una fonte ricchissima di consolazioni e di edificazione.
Restate sul sentiero della santità! Allora il vostro Maestro sarà l’amico intimo del vostro cuore, allora Egli vi si farà conoscere «in fractione Panis» (Lc. XXIV, 35), e in nessun luogo lo riconoscerete più facilmente e lo visiterete più volentieri che nell’Ostia così spesso maneggiata. Continuate a tendere alla perfezione! Allora i vostri malati diventeranno i vostri più validi collaboratori, e voi avrete per essi le più belle parole di consolazione. Allora amerete i vostri poveri e vedrete in essi i veri fratelli di Cristo, e ben presto vi sentirete nei loro confronti piuttosto dei debitori che dei creditori. I fanciulli, nonostante i loro difetti, saranno i prediletti del vostro cuore e voi i loro: essi diventeranno per voi come una grande famiglia spirituale di cui voi sarete il padre: «Sterilem fecit matrem filiorum laetantem!» (Sal. CXII, 8).
NON SCORAGGIARSI MAI!
Continuate a battere la via diritta! Incontrerete nel cammino croci su croci, malintesi, contrarietà, derisioni, aridità, abbandoni; ma voi arriverete alla méta senza bisogno di mendicare consolazioni dal mondo. In mezzo alle croci conserverete almeno la speranza e la fiducia: questo già basta quaggiù, ma potrebbe anche darsi che proprio la vostra croce diventasse la vostra gioia. Fratelli, viviamo una volta sola e non siamo destinati a una patria terrena: siamo dei viaggiatori in cammino, e pazzo sarebbe colui che cercasse quaggiù la sua dimora e il suo riposo: «Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus» (Eb. XIII, 14). A che servono i bei mobili con teste di leoni e ornamenti di cuoio? Fra trent’anni si troveranno nella camera dei nostri eredi. A che giovano le aderenze e le amicizie di questo mondo? Quindici giorni appena dopo la morte, voi sarete già svaniti dalla memoria e usciti dal cuore di coloro che ora vi costano tanto tempo e tante seccature. E che cosa ci giovano la lode e la stima? Fumo vano, che troppo facilmente ci dà alla testa, rendendoci men chiaro il cammino e facendoci più male che bene.
POVERTA’ E DISTACCO
Povertà! ecco, Fratelli, la parola benedetta, la parola dura, ma salutare, che ci conviene avere sulle labbra alla vista dei beni e delle gioie mondane: «Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam» (Fil. III, 8). Sì, noi consideriamo «ut stercora» il denaro che possediamo per le nostre necessità; fuggiamo «ut stercora» la popolarità mondana e le lodi così seducenti degli uomini; fuggiamo «ut stercora» ogni abitudine del mondo e tutte le sue consolazioni. «Ut Christum lucrifaciam», per poter partecipare dello spirito del Cristo, della forza del Cristo, della fecondità di Cristo.
«Mihi vivere Christus est» (Fil. I, 21). È verità fuor di dubbio: «Sacerdos alter Christus!». Noi dobbiamo sentirci interiormente un altro Cristo e tali apparire agli occhi degli uomini; il che vuol dire non essere dei preti qualunque, ma sacerdoti santi. La frase: «Fate come fanno tutti» è un modo di dire insensato, che contraddice al santo Vangelo. «Sicut misit me Pater, et Ego mitto vos!» (Gv. XX, 21). «Estote perfecti, sicut et Pater vester perfectus est!» (Mt. V, 48). Nessuno ha il diritto di dirvi: «Fate come noi». Soltanto il Cristo può dire e dice con tutta verità: «Ego sum via… sequere Me». Dunque è Lui solo che noi dobbiamo fissare, contemplare, seguire.
Fratelli, e non vedete dunque ch’Egli fu povero? Bambinello, aveva almeno una mangiatoia, ma quando si dette alla vita apostolica, non aveva neanche una pietra su cui posare il capo. Ah, le abitudini! «Exemplum dedi vobis… Ego sum via!» (Gv. XIII, 15; XIV, 6).
APOSTOLICA VIVENDI FORMA
Osservo gli Apostoli, esamino lo spirito dei Santi: essi hanno seguito Gesù, non le abitudini del loro tempo: erano poveri! II Venerabile P. Chevrier era povero, anche se viveva nel secolo XIX, e ci incoraggia con un grido di vittoria: «Un Sacerdote povero è onnipotente!».
Guai ai ricchi, perché hanno le loro soddisfazioni su questa terra… «Beati pauperes!». Come si fa carezzevole la voce del Maestro quando proclama beata la povertà! «Beati pauperes spiritu» (Mt. V, 3).
Fratelli, ne conoscete molti di que ti poveri di spirito che non sono perfettamente poveri in certe cose? In questa materia, voi siate «semplici come la colomba, ma prudenti come il serpente». Che se non osate mostrare la povertà nella sala da ricevere o nei locali accessibili ai visitatori, introducetela allora nella vostra camera da letto e almeno là lasciatela regnare sovrana.
UMILTA’ E NASCONDIMENTO
Fratelli, aiutatevi scambievolmente a ricordarvi che il nostro Maestro ha amato di vivere nascosto: trent’anni su trentatrè! Non è dunque lo zelo la principale virtù del Sacerdote, ma l’umiltà. Siamo dei grandi illusi se non siamo severi su questo punto. Essere umili non vuol dire tenere gli occhi bassi andando per la strada o darsi l’aria del santo. Senza dubbio, l’umiltà deve pur scorgersi nella modestia esteriore, ma questa deve essere l’irradiazione naturale della umiltà e del raccoglimento interiore. Contegno, dunque, né pomposo né affettato. Non sussiego da magistrato, ma neppure collo torto da santerello. Modestia semplice! Questo dobbiamo tutti cercare, di essere umili di spirito. II nostro motto sia: «Sine gratia nihil sum». Non accon tentatevi di dirlo, ma pensatelo quando predicate, quando confessate, quando v’intrattenete coi fedeli. Inoltre amate d’essere ignorati e considerati un nulla: «Ama nesciri». Non illudetevi con vane parole. Si vuole sì esser santi, si vuole sì esser umili, ma poi le umiliazioni nessuno le vuole. Desiderate dunque le umiliazioni, che l’umiltà tutti son capaci di desiderarla.
Avete forse lanciato un’iniziativa importante, ed altri ne raccoglie la gloria: «Ama nesciri». Avete fatto del vostro meglio e tornate a casa soddisfatti della vostra fatica: siete accolti con una severa ramanzina: «Ama nesciri». Questo è il momento di praticare l’umiltà. Essere umile vuol dire desiderare la stima di Dio e disprezzare quella degli uomini. Promozioni, popolarità, stima e altre formule di questo genere… adoperiamoci a sbarrar loro il passo, perché non abbiano ad esercitare la minima influenza sul nostro cuore: «Ama nesciri et pro nihilo reputari». II Cristo fu posto tra i malfattori: «Cum iniquis reputatus est» (Mc. XV, 28). E perché noi abbiamo tanto amor proprio, da voler esser considerati tra i migliori?
SOFFERENZA E FORTEZZA
Non lasciamoci illudere da buone parole o da qualche bella risoluzione in occasione di ritiri! «Christus passus est» (Pt. II, 20). Fratelli, Cristo ha sofferto! Se vogliamo diventare Sacerdoti santi e fecondi, Fratelli, dobbiamo soffrire. Se si esclude il dolore, è inutile pensare di mettersi a far del bene e a santificarsi. Dovete dunque dire: «Voglio soffrire, soffrire molto», con la stessa facilità con cui direste: «Voglio diventare un buono e santo Sacerdote». È la stessa cosa.
Dobbiamo essere fermamente fedeli a questa risoluzione di soffrire: è un’ancora di salvezza. Si rabbrividisce talvolta nel proprio intimo al pensiero di quanto ci potrà riserbare questo desiderio: «Voglio soffrire». Non badateci, lasciate che il vostro essere tremi e frema, e continuate a dire umilmente: «Voglio soffrire». Ben presto familiarizzerete con que sta idea e comincerete ad apprezzare la sofferenza; forse, ad amarla.
VALORE DELLA SOFFERENZA
Lavorare è bene, pregare è meglio, ma soffrire è meglio ancora. Manca forse qualcosa, oggi, alla mensa del Sacerdote? La sua casa è forse men comoda di quella di un ricco? Che cosa manca al suo abbigliamento e al suo svago? Eppure, per il Sacerdote più che per gli altri cristiani valgono le parole di Gesù: «Qui non renuntiat omnibus» (Lc. XIV, 33); «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me» (Mt. XVI, 24). Può darsi che il futuro s’incarichi di fare assomigliare di più la nostra vita a quella del Salvatore. Comunque sia, da veri amici della croce accettiamo intanto ogni infortunio, ogni contraddizione, ogni malattia, ogni prova interiore ed esteriore: «In cruce salus, nobis et animabus».
«Vos estis lux mundi» (Mt. XV, 14). Se la vostra vita non mostra davanti al mondo il sigillo della croce, che cosa sarà la vita degli altri uomini? «Vos estis sai terrae» (Mt. V, 13). II sale della terra più che la predicazione, è la sofferenza.
Perciò, o Fratelli, non lasciatevi scoraggiare da un insuccesso o abbattere da una derisione; basta coi sospiri impazienti davanti alle contraddizioni, via la malinconia sfiduciata quando, dopo tanti anni di fatica, non raccogliete un bel nulla! Non scoraggiatevi nelle malattie, ma soprattutto non abbandonate il vostro ideale per malintesi e contraddizioni, anche se venissero da parte dei superiori. Soffrire e obbedire.
Fonte:una Fides
Fonte:una Fides