sábado, 7 de maio de 2011

Bento XVI no nordeste da Itália pede que se testemunhe o amor de Deus pelo homem e se construa juntamente, com todos os homens de boa vontade, uma cidade mais humana, mais justa e solidária

VENICE, ITALY - MAY 07:  Pope Benedict XVI (R), accompanied by Patriarch of Venice Angelo Scola, greets the crowd gathered in St Mark's Square while crossing the square on an electric vehicle on May 7, 2011 in Venice, Italy. Pope Benedict XVI is visiting Venice until May 8, some 26 years after his predecessor Pope John Paul II last visited the city.



(7/5/2011) Aquileia, Veneza e Mestre recebem neste fim de semana a visita de Bento XVI. Na tarde deste sábado, o Santo Padre esteve já em Aquileia, encontrando-se agora em Veneza. No domingo, celebrará a missa no Parque São Juliano, em Mestre, regressando, em seguida, a Veneza, de onde no fim da tarde parte para Roma.
Um fim de semana de intensa actividade para o Papa. Visitou o Friuli passados 35 anos do terramoto que destruiu grande parte da região. Em Aquileia, diocese de Gorizia, a antiga sede do Patriarcado, recordou diversos povos reunidos pelas suas raízes cristãs. Ali inaugurou a fase preparatória do II Convénio Eclesial do Triveneto sobre evangelização e missionários.
Os bispos do Triveneto esperam de Bento XVI uma luz para o caminho da Igreja na região, uma mensagem que supere as fronteiras italianas e promova um diálogo entre povos, para que encontrem juntos a luz da fé e soluções para os problemas sociais, económicos e culturais.
Na sua saudação á população de Aquileia o Papa explicou o motivo da sua presença nesta região do nordeste da Itália: confirmar na fé profunda dos antepassados: nesta hora da historia – disse – redescobri, professai com calor espiritual esta verdade fundamental. De facto somente de Cristo a humanidade pode receber esperança e futuro; somente dele pode receber o significado e a força do perdão, da justiça e da paz. Procurai manter sempre vivas, com coragem, a fé e as obras das vossas origens. O convite final de Bento XVI foi de ser sempre de novo discípulos do Evangelho, para o traduzir em fervor espiritual, clareza de fé, sincera caridade, uma pronta sensibilidade para com os pobres
Logo a seguir, na Basílica de Aquileia, o Papa introduziu a ultima fase de preparação do segundo encontro eclesial do nordeste da Itália na presença dos bispos do triveneto, dos membros dos conselhos pastorais diocesanos e outros convidados.
A missão prioritária que o Senhor vos confia hoje - disse Bento XVI é aquela de testemunhar o amor de Deus pelo homem. Sois chamados a fazê-lo antes de mais com as obras do amor e as opções de vida a favor das pessoas concretas, a partir das mais débeis, frágeis, sem defesa, não auto suficientes, como são os pobres, os idosos, os doentes e os deficientes.
Tende o cuidado – acrescentou o Papa – de colocar no centro da vossa atenção a família, berço do amor e da vida. Célula fundamental da sociedade e da comunidade eclesial, um empenho pastoral que se tornou mais urgente devido á crise cada vez mais difusa da vida conjugal e da diminuição da natalidade. Na vossa acção pastoral sreservai um cuidado especial pelos jovens; eles olham hoje para o futuro com grande incerteza, vivem muitas vezes em condições de fragilidade e falta de segurança, mas trazem no coração uma grande fome e sede de Deus que pede uma constante atenção e resposta.
A concluir o seu discurso Bento XVI salientou a necessidade de os cristãos proporem a beleza do acontecimento de Jesus Cristo, caminho, verdade e vida, a cada homem e mulher, numa relação franca e sincera com os nãos praticantes, com os não crentes e com os crentes de outras religiões. Chamados a viver com aquela atitude cheia de fé, descrita pela Carta a Diogneto "não renegueis nada do Evangelho em que acreditais, mas estai no meio dos outros homens com simpatia, comunicando no vosso estilo de vida, aquele humanismo que afunda as suas raízes no Cristianismo, tendentes a construir juntamente com todos os homens de boa vontade uma cidade mais humana, mais justa e solidária.

VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AD AQUILEIA E VENEZIA

 

Benedetto XVI: Incontro con la cittadinanza in Piazza San Marco a Venezia (7 maggio 2011)


INCONTRO CON LA CITTADINANZA

SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Molo di San Marco - Venezia
Sabato, 7 maggio 2011


Signor Cardinale Patriarca,
Confratelli nell’Episcopato,
Signor Sindaco e distinte Autorità,
Cari fratelli e sorelle!

Rivolgo un cordiale saluto a ciascuno di voi, che dalle varie “calli” e dai “campi” di questa meravigliosa Città siete confluiti su questo Molo, per esprimere il vostro affetto al Successore di Pietro, venuto in pellegrinaggio nelle terre di San Marco. La vostra presenza, accompagnata da vibrante entusiasmo, esprime la vostra fede e la vostra devozione, e questo è per me motivo di grande gioia. In particolare, ringrazio il Signor Sindaco per le nobili espressioni che, anche a nome dell’intera Città, mi ha rivolto e per i sentimenti che mi ha manifestato; con lui, saluto e ringrazio tutte le altre Autorità civili e militari, che sono venute ad accogliermi.


Oggi ho la gioia di poter incontrare la gente di questa laguna. Vengo in mezzo a voi per rinsaldare quel profondo vincolo di comunione che storicamente vi unisce al Vescovo di Roma e di cui sono testimoni anzitutto i venerati Pastori che da questa Sede patriarcale sono passati a quella di san Pietro: molti di voi conservano vivo il ricordo del Patriarca Albino Luciani, figlio di queste terre venete, che divenne Papa con il nome di Giovanni Paolo I; e come non ricordare il Patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, che, divenuto Papa Giovanni XXIII, è stato elevato dalla Chiesa alla gloria degli altari e proclamato beato? Ricordiamo infine il Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro san Pio X, che con il suo esempio di santità continua a vivificare questa Chiesa particolare e tutta la Chiesa universale. Testimonianza della sollecitudine pastorale dei Papi per la vostra Città sono anche le visite pastorali compiute dal Servo di Dio Paolo VI e dal Beato Giovanni Paolo II. Anch’io, sulle orme di questi miei Predecessori, ho voluto venire oggi in mezzo a voi, per portarvi una parola di amore e di speranza, e confermarvi nella fede della Chiesa, che il Signore Gesù ha voluto fondare sulla roccia che è Pietro e ha affidato alla guida degli Apostoli e dei loro successori, nella comunione con la Chiesa di Roma “che presiede alla carità” (S. Ignazio).

Cari amici, secondo le tradizioni veneziane avete voluto accogliermi in questo luogo suggestivo, che è come la porta di accesso al cuore della Città. Da qui lo sguardo abbraccia il sereno bacino di San Marco, l’elegante Palazzo Ducale, la meravigliosa mole della Basilica marciana, l’inconfondibile profilo della città, giustamente detta “la perla dell’Adriatico”. Da questo molo si può cogliere quell’aspetto di singolare apertura che da sempre caratterizza Venezia, crocevia di persone e comunità di ogni provenienza, cultura, lingua e religione. Punto di approdo e di incontro per gli uomini di tutti i continenti, per la sua bellezza, la sua storia, le sue tradizioni civili, questa Città ha corrisposto nei secoli alla speciale vocazione di essere ponte tra Occidente ed Oriente. Anche in questa nostra epoca, con le sue nuove prospettive e le sue sfide complesse, essa è chiamata ad assumere importanti responsabilità in ordine alla promozione di una cultura di accoglienza e di condivisione, capace di gettare ponti di dialogo tra i popoli e le nazioni; una cultura della concordia e dell’amore, che ha le sue solide fondamenta nel Vangelo.


Lo splendore dei monumenti e la fama delle istituzioni secolari manifestano la storia gloriosa e il carattere delle genti venete, oneste e laboriose, dotate di grande sensibilità, di capacità organizzative e di quello che nel linguaggio quotidiano viene detto “buon senso”. Tale patrimonio di tradizioni civili, culturali ed artistiche ha trovato un fecondo sviluppo anche grazie all’accoglienza della fede cristiana, che affonda le sue radici molto lontano, già dalla nascita dei primi insediamenti di questa laguna. Con il passare dei secoli, la fede trasmessa dai primi evangelizzatori si è radicata sempre più profondamente nel tessuto sociale, fino a diventarne parte essenziale. Ne sono visibile testimonianza le splendide Chiese e le tante edicole devozionali disseminate tra calli, canali e ponti. Vorrei ricordare, in particolare, i due importanti Santuari che, in tempi diversi, vennero edificati dai veneziani in ottemperanza ad un voto, per ottenere dalla Provvidenza divina la liberazione dalla piaga della peste: eccoli di fronte a questo Molo, sono la Basilica del Redentore e il Santuario della Madonna della Salute, entrambi mete di numerosi pellegrini nelle rispettive ricorrenze annuali. I vostri padri ben sapevano che la vita umana è nelle mani di Dio e che senza la sua benedizione l’uomo costruisce invano. Perciò, visitando la vostra Città, chiedo al Signore che doni a tutti voi una fede sincera e fruttuosa, capace di alimentare una grande speranza e una paziente ricerca del bene comune.

Cari amici, la mia preghiera si eleva a Dio per implorare che effonda le sue benedizioni su Venezia e il suo territorio. Invito tutti voi, cari Veneziani, a ricercare e custodire sempre l’armonia tra lo sguardo della fede e della ragione che permette alla coscienza di percepire il vero bene, in modo che le scelte della comunità civile siano sempre ispirate ai principi etici corrispondenti alla profonda verità della natura umana. L’uomo non può rinunciare alla verità su di sé, senza che ne soffrano il senso della responsabilità personale, la solidarietà verso gli altri, l’onestà nei rapporti economici e di lavoro.


Mentre, al crepuscolo di questo giorno ci introduciamo nella festa domenicale, disponiamoci a celebrare la Pasqua settimanale del Signore con la gioia che caratterizza il tempo pasquale e con la certezza che Gesù ha vinto la morte con la sua risurrezione e ci vuole far partecipi della sua stessa vita. Affidandovi alla materna protezione di Maria Santissima, invoco su questa Città, su quanti la abitano, su chi la governa, su chi si prodiga a renderla sempre più degna di Dio e dell’uomo la Benedizione del Signore. Grazie a tutti voi, buona domenica.

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Benedetto XVI: Assemblea del Secondo Convegno di Aquileia (Basilica di Aquileia, 7 maggio 2011)


ASSEMBLEA DEL SECONDO CONVEGNO DI AQUILEIA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di Aquileia
Sabato, 7 maggio 2011


Signor Cardinale Patriarca,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Nella magnifica cornice di questa storica Basilica che in modo solenne ci accoglie, rivolgo il mio più cordiale saluto a tutti voi, che rappresentate le 15 Diocesi del Triveneto. Sono molto lieto di incontrarvi mentre vi preparate a celebrare, l’anno prossimo, il secondo Convegno ecclesiale di Aquileia. Saluto con affetto il Cardinale Patriarca di Venezia e i Confratelli nell’Episcopato, in particolare l’Arcivescovo di Gorizia, che ringrazio per le espressioni con cui mi ha accolto, e l’Arcivescovo-Vescovo di Padova, che ci ha offerto uno sguardo sul cammino verso il Convegno. Saluto, con altrettanto affetto, i presbiteri, i religiosi e le religiose e i numerosi fedeli laici. Con l’Apostolo Giovanni, anch’io vi ripeto: “Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). Attraverso il “convenire sinodale” lo Spirito Santo parla alle vostre amate Chiese e a tutti voi singolarmente, sostenendovi per una più matura crescita nella comunione e nella reciproca collaborazione. Questo “convenire ecclesiale” permette a tutte le comunità cristiane, che qui voi rappresentate, di condividere anzitutto l’esperienza originaria del Cristianesimo, quella dell’incontro personale con Gesù, che svela pienamente ad ogni uomo e ad ogni donna il significato e la direzione del cammino nella vita e nella storia.

Opportunamente avete voluto che anche il vostro Convegno ecclesiale avesse luogo nella Chiesa madre di Aquileia, da cui sono germinate le Chiese del Nord-est dell’Italia, ma anche le Chiese della Slovenia e dell’Austria e alcune Chiese della Croazia e della Baviera e persino dell’Ungheria. Riunirsi ad Aquileia costituisce perciò un significativo ritorno alle “radici” per riscoprirsi “pietre” vive dell’edificio spirituale che ha le sue fondamenta in Cristo e il suo prolungamento nei testimoni più eloquenti della Chiesa aquileiese: i santi Ermagora e Fortunato, Ilario e Taziano, Crisogono, Valeriano e Cromazio. Ritornare ad Aquileia significa soprattutto imparare dalla gloriosa Chiesa che vi ha generato come impegnarsi oggi, in un mondo radicalmente cambiato, per una nuova evangelizzazione del vostro territorio e per consegnare alle generazioni future l’eredità preziosa della fede cristiana.


“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7). I vostri Pastori hanno ripetuto questo invito dell'Apocalisse a tutte le vostre singole Chiese e alle diverse realtà ecclesiali. Vi hanno così sollecitato a scoprire e a “narrare” ciò che lo Spirito Santo ha operato e sta operando nelle vostre comunità; a leggere con gli occhi della fede le profonde trasformazioni in atto, le nuove sfide, le domande emergenti. Come annunciare Gesù Cristo, come comunicare il Vangelo e come educare alla fede oggi? Avete scelto di prepararvi, in modo capillare, diocesi per diocesi, in vista del Convegno del 2012, per affrontare anche le sfide che superano i confini delle singole realtà diocesane, in una nuova evangelizzazione radicata nella fede di secoli e rinnovata nel vigore. La presenza oggi, in questa splendida Basilica, delle diocesi nate da Aquileia sembra indicare la missione del Nord-est del futuro che si apre anche ai territori circostanti e a quelli che, per diverse ragioni, entrano in contatto con essi. Il Nord-est dell’Italia è testimone ed erede di una storia ricca di fede, di cultura e di arte, i cui segni sono ancora ben visibili anche nell’odierna società secolarizzata. L’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale. Esso è segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali. Lo dimostrano la vitalità delle vostre comunità parrocchiali, la vivacità delle aggregazioni, l’impegno responsabile degli operatori pastorali. L’orizzonte della fede e le motivazioni cristiane hanno dato e continuano ad offrire nuovo impulso alla vita sociale, ispirano le intenzioni e guidano i costumi. Ne sono segni evidenti l’apertura alla dimensione trascendente della vita, nonostante il materialismo diffuso; un senso religioso di fondo, condiviso dalla quasi totalità della popolazione; l’attaccamento alle tradizioni religiose; il rinnovamento dei percorsi di iniziazione cristiana; le molteplici espressioni di fede, di carità e di cultura; le manifestazioni della religiosità popolare; il senso della solidarietà e il volontariato. Custodite, rafforzate, vivete questa preziosa eredità. Siate gelosi di ciò che ha fatto grandi e rende tuttora grandi queste Terre!

La missione prioritaria che il Signore vi affida oggi, rinnovati dall’incontro personale con Lui, è quella di testimoniare l’amore di Dio per l’uomo. Siete chiamati a farlo prima di tutto con le opere dell’amore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili, quelle che san Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale (cfr 1 Cor 12,15-27). Le idee e le realizzazioni nell’approccio alla longevità, preziosa risorsa per le relazioni umane, sono una bella e innovativa testimonianza della carità evangelica proiettata in dimensione sociale. Abbiate cura di mettere al centro della vostra attenzione la famiglia, culla dell’amore e della vita, cellula fondamentale della società e della comunità ecclesiale; questo impegno pastorale è reso più urgente dalla crisi sempre più diffusa della vita coniugale e dal crollo della natalità. In tutta la vostra azione pastorale sappiate riservare una cura tutta speciale per i giovani: essi, che guardano oggi al futuro con grande incertezza, vivono spesso in una condizione di disagio, di insicurezza e di fragilità, ma portano nel cuore una grande fame e sete di Dio, che chiede costante attenzione e risposta!

Anche in questo vostro contesto la fede cristiana deve affrontare oggi nuove sfide: la ricerca spesso esasperata del benessere economico, in una fase di grave crisi economica e finanziaria, il materialismo pratico, il soggettivismo dominante. Nella complessità di tali situazioni siete chiamati a promuovere il senso cristiano della vita, mediante l’annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana. Dalla fede vissuta con coraggio scaturisce, anche oggi come in passato, una feconda cultura fatta di amore alla vita, dal concepimento fino al suo termine naturale, di promozione della dignità della persona, di esaltazione dell’importanza della famiglia, fondata sul matrimonio fedele e aperto alla vita, di impegno per la giustizia e la solidarietà. I cambiamenti culturali in atto vi chiedono di essere cristiani convinti, “pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15), capaci di affrontare le nuove sfide culturali, in rispettoso confronto costruttivo e consapevole con tutti i soggetti che vivono in questa società.

La collocazione geografica del Nord-est, non più solo crocevia tra l’Est e l’Ovest dell’Europa, ma anche tra il Nord e il Sud (l’Adriatico porta il Mediterraneo nel cuore dell’Europa), il massiccio fenomeno del turismo e dell’immigrazione, la mobilità territoriale, il processo di omologazione provocato dall’azione pervasiva dei mass-media, hanno accentuato il pluralismo culturale e religioso. In questo contesto, che in ogni caso è quello che la Provvidenza ci dona, è necessario che i cristiani, sostenuti da una “speranza affidabile”, propongano la bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, ad ogni uomo e ad ogni donna, in un rapporto franco e sincero con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni. Siete chiamati a vivere con quell’atteggiamento carico di fede che viene descritto dalla Lettera a Diogneto: non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale.

Come attesta la lunga tradizione del cattolicesimo in queste regioni, continuate con energia a testimoniare l’amore di Dio anche con la promozione del “bene comune”: il bene di tutti e di ciascuno. Le vostre comunità ecclesiali hanno in genere un rapporto positivo con la società civile e con le diverse Istituzioni. Continuate ad offrire il vostro contributo per umanizzare gli spazi della convivenza civile. Da ultimo, raccomando anche a voi, come alle altre Chiese che sono in Italia, l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico. Esso ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una “vita buona” a favore e al servizio di tutti. A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità.

Cari fratelli e sorelle! Ringrazio Dio che mi ha concesso di condividere questo momento così significativo con voi. Vi affido alla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, e ai vostri Santi Patroni, e imparto con grande affetto la Benedizione Apostolica a tutti voi e ai vostri cari. Grazie per la vostra attenzione.

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Benedetto XVI: Incontro con la cittadinanza in Piazza Capitolo ad Aquileia (7 maggio 2011)


INCONTRO CON LA CITTADINANZA

SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza Capitolo - Aquileia
Sabato, 7 maggio 2011


Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia giungo a voi, figli ed eredi dell’illustre Chiesa di Aquileia, e inizio da qui la mia visita alle Chiese di queste Terre. A tutti voi, Pastori e Autorità civili, fedeli delle Diocesi del Triveneto, come pure di quelle di Slovenia, Croazia, Austria e Baviera, rivolgo il mio cordiale saluto. Ringrazio il Sindaco di Aquileia per le sue cortesi parole. I resti archeologici e le mirabili vestigia artistiche, che rendono Aquileia ovunque ben nota, mi invitano in questo momento a riandare alle origini di questa Città, che sorse nel 181 e prosperò nei secoli successivi, come canta il Vescovo poeta Paolino: “… bella, illustre, splendida di palazzi, famosa per le mura e più ancora per le innumerevoli folle dei tuoi cittadini. Tutte le città della Venezia ti erano soggette e ti avevano fatto loro capitale e metropoli, essendo tu fiorente per il tuo clero, e splendida per le chiese, che avevi dedicato a Cristo” (Poetae Latini aevi Carolini, in M.H.H., 1881, p. 142). Aquileia nacque e si sviluppò nel pieno della potenza dell’Impero, porta tra Oriente e Occidente, luogo di presidio e di scambi economici e culturali.

Ma era altra la gloria di Aquileia! Infatti, ci dice san Paolo, Dio non ha scelto ciò che è nobile e potente, ma ciò che per il mondo è debole e stolto (cfr 1 Cor 1,27-28). Nella lontana provincia di Siria, al tempo di Cesare Augusto, era sorto Colui che veniva a rischiarare gli uomini con la luce della Verità, Gesù, figlio di Maria e di Giuseppe, Figlio consostanziale ed eterno del Padre, rivelatore dell’intramontabile impero di Dio sugli uomini, del suo disegno di comunione per tutti i popoli; Colui che con la sua morte di croce, subita per mano dell’Impero, instaurerà il vero regno di giustizia, d’amore e di pace, dando agli uomini che lo accolgono “il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Da Gerusalemme, attraverso la Chiesa di Alessandria, giunse anche qui il Lieto Annuncio della salvezza di Cristo. Giunse in questa Regione romana il seme della grande speranza. Quella di Aquileia divenne ben presto, nella Decima Regio dell’Impero, una Comunità di martiri, di eroici testimoni della fede nel Risorto, seme di altri discepoli e di altre comunità. La grandezza di Aquileia, allora, non fu solo di essere la nona città dell’Impero e la quarta dell’Italia, ma anche quella di essere una Chiesa viva, esemplare, capace di autentico annuncio evangelico, coraggiosamente diffuso nelle regioni circostanti e per secoli conservato e alimentato. Pertanto, io rendo omaggio a questa terra benedetta, irrorata dal sangue e dal sacrificio di tanti testimoni, e prego i santi Martiri aquileiesi di suscitare anche oggi nella Chiesa discepoli di Cristo coraggiosi e fedeli, votati solo a Lui e perciò convinti e convincenti.

La libertà di culto concessa nel IV° secolo al cristianesimo non fece altro che estendere il raggio d’azione della Chiesa di Aquileia, allargandolo oltre i naturali confini della Venetia et Histria fino alla Retia, al Norico, alle ampie Regioni danubiane, alla Pannonia, alla Savia. Andò così formandosi la provincia ecclesiastica metropolitana di Aquileia, a cui Vescovi di Chiese assai lontane offrivano la loro obbedienza, ne accoglievano la professione di fede, si stringevano ad essa nei vincoli indissolubili della comunione ecclesiale, liturgica, disciplinare e perfino architettonica. Aquileia era il cuore pulsante in questa Regione, sotto la guida dotta ed intrepida di santi Pastori, che la difesero contro il dilagare dell’arianesimo. Fra tutti, ricordo Cromazio - sul quale già mi soffermai nella Catechesi del 5 dicembre 2007 -, Vescovo premuroso ed operoso come Agostino ad Ippona, come Ambrogio a Milano, “santissimo e dottissimo fra i Vescovi”, come lo definì Girolamo. Ciò che fece grande la Chiesa che Cromazio amò e servì, fu la sua professione di fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Commentando il racconto evangelico della donna che profuma dapprima i piedi, quindi il capo di Gesù, egli afferma: “I piedi di Cristo indicano il mistero della sua incarnazione per cui si è degnato di nascere da una vergine in questi ultimi tempi; il capo, al contrario indica la gloria della sua divinità nella quale procede dal Padre prima di tutti i tempi…. Ciò significa che dobbiamo credere due cose di Cristo: che è Dio e che è uomo, Dio generato dal Padre, uomo nato da una vergine… Non possiamo essere salvati altrimenti, se non crediamo queste due cose di Cristo” (Cromazio di Aquileia, Catechesi al popolo, Città Nuova, 1989, p. 93).

Cari fratelli, figli ed eredi della gloriosa Chiesa di Aquileia, oggi sono in mezzo a voi per ammirare questa ricca e antica tradizione, ma soprattutto per confermarvi nella fede profonda dei vostri Padri: in quest’ora della storia riscoprite, difendete, professate con calore spirituale questa verità fondamentale. Solo da Cristo, infatti, l’umanità può ricevere speranza e futuro; solo da Lui può attingere il significato e la forza del perdono, della giustizia, della pace. Tenete sempre vive, con coraggio, la fede e le opere delle vostre origini! Siate nelle vostre Chiese e in seno alla società “quasi beatorum chorus”, come affermava Girolamo del clero di Aquileia, per l’unità della fede, lo studio della Parola, l’amore fraterno, l’armonia gioiosa e pluriforme della testimonianza ecclesiale. Vi invito a farvi sempre di nuovo discepoli del Vangelo, per tradurlo in fervore spirituale, chiarezza di fede, sincera carità, pronta sensibilità per i poveri: possiate plasmare la vostra vita secondo quel “sermo rusticus”, di cui ancora parlava Girolamo riferendosi alla qualità evangelica della comunità Aquileiese. Siate assidui alla “mangiatoia”, come diceva Cromazio, cioè all’altare, dove il nutrimento è Cristo stesso, Pane di vita, forza nelle persecuzioni, alimento che rincuora in ogni sfiducia e debolezza, cibo del coraggio e dell’ardore cristiano. Il ricordo della santa Madre Chiesa di Aquileia vi sorregga, vi sproni a nuovi traguardi missionari in questo travagliato periodo storico, vi renda artefici di unità e di comprensione fra i popoli delle vostre terre. Vi protegga sempre nel cammino la Vergine Maria e vi accompagni la mia Benedizione.

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Card. Alfons M. Stickler L’attrattiva teologica della Messa Tridentina

http://www.fiuv.org/plaatjes/stickler02.jpg
 
Questo ci aiuta nel proseguire compiutamente nelle nostre riflessioni. Ho già fatto notare il nesso tra fede e preghiera, la liturgia cioè; ma in modo particolare ciò vale per il rapporto tra fede e la più alta espressione liturgica, il culto pubblico cioè della S. Messa.

Una espressione classica di questo legame l’abbiamo nella trattazione che questo Concilio ha dedicato all’Eucarestia in tre Sessioni: nella tredicesima dell’ottobre 1551, nella ventesima del luglio 1562, che trattò del Sacramento dell’Eucarestia, e so-prattutto nella ventiduesima del settembre 1562, che stabilì i capitoli ed i canoni dogmatici concernenti il Santo Sacrificio della Messa.

A questo si aggiunge uno specifico decreto su ciò che deve essere osservato ed evitato nella celebrazione della Messa. E’ una dichiarazione ufficiale e classica centrale che esprime il pensiero della Chiesa su questa materia.

Il decreto studia prima di tutto la natura della Messa. Martin Lutero rinnegò apertamente e chiaramente questa natura, dichiarando che la Messa non è un sacrificio. Occorre notare che i Riformatori, per non turbare i fedeli semplici, non eliminarono subito tutte quelle parti della Messa che esprimono la fede vera in contrasto con le loro nuove dottrine.

Essi conservano, per esempio, l’elevazione dell’Ostia tra il Sanctus e il Benedictus. Per Lutero e i suoi seguaci, il culto consisteva principalmente nella predicazione destinata ad istruire e ad edificare, interrotta da preghiere e da inni.

Ricevere la Comunione era solo cosa secondaria. Ciononostante Lutero sosteneva ancora la Presenza di Cristo nel pane al momento della Comunione, ma negava fortemente il Sacrificio della Messa.

Per lui l’altare non poteva perciò mai essere il luogo del Sacrificio. Da questa negazione della vera natura della Messa possiamo meglio comprendere la rottura che si ebbe nella liturgia protestante, liturgia completamente diversa da quella della Chiesa Cattolica.

Noi comprendiamo ugualmente meglio la ragione per la quale il Concilio di Trento ha definito la fede cattolica in ciò che concerne la natura del Sacrificio eucaristico: questo Sacrificio è una vera forza per la nostra salvezza. Nel Sacrificio di Gesù Cristo, il Sacerdote sostituisce Cristo stesso. Con l’ordinazione diventa un vero “alter Christus”. Con la Consacrazione il pane è tra-sformato nel Corpo di Cristo ed il vino nel Suo Sangue. Questa rinnovazione del Suo Sacrificio è una adorazione di Dio.
 
Il Concilio specifica che questo Sacrificio non è un nuovo Sacrificio, indipendente dal Sacrificio unico della Croce: dipende piuttosto da questo Sacrificio unico di Cristo, rinnovato in modo incruento, rendendo tuttavia sostanzialmente presenti il Corpo ed il Sangue di Cristo, che rimangono però sotto le apparenze di pane e di vino.

Non esiste, di conseguenza, un nuovo valore del Sacrificio: ma Gesù Cristo produce e riattualizza piuttosto costantemente nella Messa il frutto infinito del Sacrificio cruento della Croce.

Ne deriva che l’atto del Sacrificio si compie al momento della Consacrazione.

L’Offertorio (con il quale il pane ed il vino sono preparati in vista della Consacrazio-ne) e la Comunione sono parti integranti della Messa. Ma la parte essenziale è la Consacrazione con la quale il sacerdote, nella persona di Cristo, e nello stesso modo, pronuncia le parole della Consacrazione usate da Cristo.

Da ciò si comprende che la Messa non è e non può essere una semplice cele-brazione di comunione, o un semplice ricordo o memoriale del Sacrificio della Croce, ma la riattualizzazione reale incruenta del Sacrificio della Croce.

Perciò la Messa quale vero rinnovamento del Sacrificio della Croce è sempre essenzialmente una adorazione di Dio, offerta solo per lui. Questa adorazione dà immediatamente luogo ad altri atti collegati, quali sono:

la lode, l’azione di grazie per tutte le grazie ricevute, il dolore dei nostri peccati, la domanda di grazie indispensabili.

La Messa può certamente essere offerta per una o per tutte queste intenzioni diverse. I capitoli ed i canoni della ventiduesima sessione del Concilio di Trento hanno disposto e promulgato insieme queste nozioni dottrinali.


Card. Alfons M. Stickler
L’attrattiva teologica
della Messa Tridentina
Testo della Conferenza tenuta
a New York (U.S.A.)
Maggio 1995 
 
http://www.viapulchritudinis.net/page-322.html

CARDEAL ALFONS STICKLER:UMA DESGRAÇA PASTORAL. O ABANDONO DO LATIM COMO LÍNGUA DO CULTO; O LECCIONÁRIO DE TRÊS ANOS, UM CRIME CONTRA A NATUREZA; SENTENÇA DE MORTE PARA AS MELODIAS GREGORIANAS.

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Artigo do cardeal Alfons Stickler


UMA DESGRAÇA PASTORAL. O ABANDONO DO LATIM COMO LÍNGUA DO CULTO

Uma segunda e maior fonte de desgraça pastoral, novamente contra a vontade explícita do Concílio, resultou de abandonar o latim como língua do culto. O latim desempenha um papel de linguagem universal que unifica o culto público da Igreja sem ofender nenhuma língua vernácula.

Reveste-se isto da maior importância, hoje, em um tempo em que o desenvolvimento do conceito de Igreja encadeia a todo o Povo de Deus, no único corpo Místico de Cristo, ressaltado em outro lugar da reforma.

Ao introduzir o uso exclusivo da língua vernácula, a reforma deixa fora da unidade da Igreja a várias pequenas Igrejas, separadas e isoladas. Onde está a possibilidade pastoral para os católicos, através de todo o mundo, de encontrar sua Missa, para vencer diferenças raciais através de uma língua comum de culto, ou, pelo menos, em um mundo cada vez menor, poder simplesmente rezar juntos, como o pede explicitamente o Concílio? Onde está agora a factibilidade pastoral de que um sacerdote exerça o ato mais altamente sacerdotal –a Santa Missa–- em todas parte, sobretudo em um mundo onde faltam sacerdotes?

Uma pessoa não pode surpreender-se quando descobre que em cada paróquia parece reinar um Ordo diferente

O LECCIONÁRIO DE TRÊS ANOS, UM CRIME CONTRA A NATUREZA

Na Constituição Conciliar não se fala em nenhuma parte da introdução de um lecionário de três anos. Através disto a Comissão de reforma se tornou culpada de um crime contra a natureza. Um simples ano calendário teria bastado para todos os desejos de mudança. O Concilium podia ter se mantido dentro de um ciclo anual, enriquecendo as leituras com tantas y tão variadas possibilidades de escolha como quereriam, sem alterar o curso normal do ano.

Nessa mudança, foi destruída a velha ordem de leituras, e foi introduzida uma nova ordem, com uma grande carga e gasto em livros, nos quais se podiam instalar tantos textos quanto fosse possível, não somente do mundo da Igreja como também –como se praticou amplamente– do mundo profano. A parte das dificuldades pastorais por parte dos fregueses para compreender textos que necessitam exegeses especiais, resultou ser uma oportunidade –que foi aproveitada– para manipular os textos com o fim de introduzir novas verdades em lugar das velhas.

Passagens pastoralmente impopulares –freqüentemente de significado teológico e moral fundamentais– foram simplesmente eliminadas. Um exemplo clássico é o texto de 1 Cor. 11 :27-29: aqui, na narração da instituição da Eucaristia, foi deixada fora continuamente a séria exortação final sobre as graves conseqüências de recebê-la impropriamente, ainda que na festa de Corpus Christi. A necessidade pastoral desse texto, tendo em vista a atual recepção da comunhão, sem confissão e sem reverência, é óbvia.

Os desatinos que se podem cometer com as novas leituras, especialmente em suas palavras introdutórias e conclusivas, são exemplificados pela nota de Klaus Gamber ao final da leitura do primeiro domingo da Quaresma do Ciclo A, que fala das conseqüências do Pecado Original : ¨Então os olhos de ambos se abriram e souberam que estavam nus¨. Logo após o que o povo, exercendo sua vívida e ativa participação deve responder: ¨Graças a Deus¨.

Indo mais além, por que era necessária a alteração da seqüência das festas sacras? Se algum cuidado era necessário, era aqui por interesse pastoral e consciência do apego do povo às festas de suas Igrejas locais, cuja desordem temporária tinha que ter uma muito má influência na piedade popular. Os que implementaram a reforma litúrgica parecem não ter sentido a menor comiseração com essas considerações, apesar dos artigos 9, 12, 13 e 37da Constituição para a liturgia.

SENTENÇA DE MORTE PARA AS MELODIAS GREGORIANAS.

Umas breves palavras devem ser ditas ainda sobre as regulamentações conciliares sobre música litúrgica. Nossos reformadores certamente não compartilhavam dos grandes elogios ao canto gregoriano, que expressavam, mais e mais, os observadores seculares e os entusiastas.

A abolição radical (sobretudo pela criação de novas partes corais para a Missa) do Intróito, Gradual, Tracto, Alleluia, Ofertorio, Comunhão (e isto especialmente como uma oração especial da comunidade), a favor de outras de duração consideravelmente maior, foi uma sentença de morte silenciosa para as maravilhosas e variáveis melodias gregorianas, com a exceção das simples melodias das partes fixas da Missa, a saber o Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus/ Benedictus, e Agnus Dei, e isto só para umas poucas Missas. As instruções do Concílio sobre a protecção e respaldo a este antigo canto da Igreja se encontraram na prática com uma epidemia fatal.

* Prière de Jésus : 1. L'OEUVRE SPIRITUELLE 2. L'INV... * Rosário: recomendações da Ir. Lúcia em suas cartas... * * o TEXTES DU PERE MATTA EL MASKINE . Ar... * TEXTES DU PERE MATTA EL MASKINE . Articles by Fr. ... * Coping with Dryness or Spiritual Aridity by Father... * The Ascetic Heart is ultimately a heart of prayer.... * Matta El Meskin es uno de los pilares de la renova... * EN CHEMIN VERS LA PRIÈRE * LAS VIRTUDES DEL BEATO JUAN PABLO II

Quiero tratar de la actitud nociva de los filo-lefebvrianos dentro de la Iglesia católica, y rondan continuamente a los confesores y defensores de la ortodoxia católica.

(126) Filo-lefebvrianos -I

A las 11:08 AM, por José María Iraburu
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–Mire usted que también este tema…
–El Señor me ayudará.
Quiero tratar de la actitud nociva de los filo-lefebvrianos dentro de la Iglesia católica, no sin antes describir muy brevemente la posición de lefebvrianos y anti-lefebvrianos. Trato especialmente de los filo-lefebvrianos porque nos quedan cerca, y rondan continuamente a los confesores y defensores de la ortodoxia católica.
—Los lefebvrianos consideran a Mons. Lefebvre como el San Atanasio de nuestro tiempo, y a la Fraternidad sacerdotal de San Pío X (FSSPX) como garante imprescindible de la ortodoxia doctrinal y litúrgica de la Iglesia. El Obispo lefebvriano Bernard Tissier de Mallerais, autor de una gran biografía de Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), entiende su vida «como una bella línea ascendente» (Marcel Lefebvre, une vie, Clovis 2002, 2ª ed.). Sacerdote misionero, Obispo de Senegal (1947), es elegido superior de la congregación de Espíritu Santo (1962). Dimite de este cargo para fundar en Écône, Suiza, la FSSPX (1970), que en el tiempo postconciliar se significa muy notablemente por su adhesión cerrada a la Misa antigua y por su oposición a algunas doctrinas del Vaticano II.
 

(127) Filo-lefebvrianos -II

A las 12:55 PM, por José María Iraburu
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–¿Ha visto usted qué escandalera ha producido su primer artículo sobre los filolefebvrianos?
–Bueno, el alboroto escandaloso no lo ha producido mi artículo, sino los filolefebvrianos, que se han visto retratados del natural. Lo que demuestra, por si alguno lo dudaba, que haberlos, haylos.
—Señalo brevemente algunos argumentos que los filolefebvrianos aducen para justificar a Mons. Lefebvre y a la FSSPX, defendiendo las ordenaciones episcopales prohibidas y otras actitudes y palabras suyas contra el Concilio Vaticano II, contra los Papas y contra la liturgia del postconcilio. Los filolefebrianos toman esos argumentos de los lefebvrianos, y los hacen suyos, unos más y otros menos. Y hago notar en esto que tanto entre los lefebvrianos como entre los filolefebvrianos hay grados muy diversos en la fuerza de sus aprobaciones y condenas.
5.03.11
 
 

(128) Filo-lefebvrianos -III .pausa

A las 10:09 PM, por José María Iraburu
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–¿Y ahora, después del tremendo barullo que ha armado usted con lo de los filolefebvrianos, qué hacemos?
Ad primum: el barullo no lo he armado yo, sino ellos, que yo escribí con orden y paz, con datos y argumentos, y sin mencionar ni insultar a nadie. Ad secundum: conviene pensar y escribir con calma, y eso exige ahora esperar unos cuantos días o semanas a que pase la tormenta.

Este artículo de ahora viene a ser, pues, un descanso reflexivo, una pausa. Relajémonos un poco, en el mejor sentido del término.
Yo he descrito en dos artículos, sin nombrar a personas o grupos concretos, un catolicismo vinculado más o menos a Mons. Lefebvre, que adolece de graves desviaciones en algunas importantes cuestiones. Y algunos, auto-identificándose con la descripción, se han sentido ofendidos, han protestado en diversos medios de internet con gran energía y agresividad, publicando una avalancha de argumentos y documentos contra mis artículos.
Se sienten muy dolidos. Y se comprende perfectamente. Los filo-lefebvrianos están acostumbrados a ser impugnados por los progre-modernistas, en una palabra, por los herejes; pero no por católicos tradicionales como yo. A los ataques de los progresaurios ya están acostumbrados; pero quedan totalmente descolocados y perplejos cuando reciben de pronto la impugnación de uno que, como yo, describe exactamente sus errores, después de haber escrito en este mismo blog más de un centenar de artículos en los que denuncio los abusos e infidelidades que se producen frecuentemente en las Iglesias del Occidente descristianizado, y en los que critico a Marciano Vidal, Anthony De Mello, Olegario, Borobio, Flecha, Schillebeeckx, Haight, Sobrino, Rahner, Küng, Pagola, etc.; y en los que, más aún todavía, rechazo los errores de los luteranos, de los quietistas y, lo que ya es el colmo, de toda la piadosa corte aparentemente correcta de semipelagianos, que hoy quizá son mayoría entre los buenos católicos. Puede repasarse el Índice de Reforma o apostasía para comprobar que digo la verdad.
13.03.11

(129) Filo-lefebvrianos -IV

A las 10:09 AM, por José María Iraburu
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–A ver por dónde seguimos ahora… Ay, madre.
–Tranquilo. La verdad debe ser afirmada con paz, alegría y fortaleza. Y con paciencia.

Una breve evocación de la historia de la Iglesia en su último medio siglo nos ayudará a entender mejor la posición de Mons. Lefebvre, de la FSSPX y de aquellos que hoy están más o menos de acuerdo con ellos.
El sagrado Concilio Vaticano II, convocado por el Beato Juan XXIII, fue una inmensa gracia de Dios para su Iglesia (1962-1965), como todos los Concilios anteriores. En él Nuestro Señor Jesucristo reunió en asamblea eclesial a 2.500 Padres. Fué con gran diferencia el Concilio más numeroso de la historia. Y partiendo de los Concilios anteriores, muchos de ellos dogmáticos, trató con una finalidad predominantemente pastoral y renovadora las grandes realidades de la Iglesia católica.

 

(130) Filo-lefebvrianos -V

A las 10:03 AM, por José María Iraburu
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–Y con éste ya van cinco.
–En la tradición bíblica el siete es un número perfecto.
El diagnóstico exacto de una enfermedad es clave para lograr su sanación. Mons. Lefebvre veía a Roma afectada de «sida espiritual» (Tissier 597). Por su parte, como ya dije en el primer artículo de esta serie (126), el lefebvrismo es una enfermedad espiritual que tiene dos causas principales: 1ª el discernimiento condenatorio de la Iglesia presente y de sus Papas; y 2ª, el convencimiento de que la Fraternidad Sacerdotal San Pío X es el medio providencial necesario para salvar a la Iglesia, manteniéndola en la ortodoxia doctrinal y litúrgica. Voy a asegurar ahora este diagnóstico recordando en una síntesis el desarrollo histórico del lefebvrismo.
1970. Mons. Lefebvre funda la Fraternidad Sacerdotal San Pío X «ante todo para hacer sacerdotes y, consiguientemente, abrir seminarios». Así lo declara en una importante conferencia de principios de 1987, en la que hace un resumen histórico de la FSSPX. Vuelvo en seguida sobre ella. Efectivamente, poco después del Concilio Vaticano II, e incluso durante su celebración, la vida de la Iglesia se vió perturbada por turbulencias muy fuertes. Parecía que andaban sueltos todos los diablos, se producían innumerables «errores y horrores», que ya he descrito (129), siendo quizá el más espectacular el arruinamiento brusco de los Seminarios. Hubo Seminarios diocesanos que pasaron de 1.000 a 10 seminaristas, o a cero.

(131) Filo-lefebvrianos -VI

A las 10:03 AM, por José María Iraburu
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–¿Y ahora qué hacemos? Mire usted lo que dicen en…
–Tranquilo. Bendigo al Señor en todo momento y su alabanza está siempre en mi boca. ¿Vale con eso?
En el artículo precedente expuse que la enfermedad lefebvriana tenía como causas principales un discernimiento condenatorio de la Iglesia postconciliar y de sus Papas, y una convicción de que la Fraternidad San Pío X era necesaria e imprescindible para la continuidad de la Iglesia. Una síntesis histórica vino a confirmar este diagnóstico. Y como medicina a esa enfermedad, se hace necesario reafirmar algunas verdades fundamentales de la fe en la Iglesia.
3.04.11

(132) Filo-lefebvrianos -y VII

A las 4:38 PM, por José María Iraburu
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–Perdone, pero la longitud de este artículo es para los lectores una verdadera provocación.
–Yo tengo a mis lectores en gran consideración, y espero que sabrán hacer un esfuerzo especial para leer en este largo artículo la síntesis y la conclusión de todos los anteriores. No creo que me fallen.
La situación actual de la Fraternidad Sacerdotal San Pío X en relación con la Iglesia Católica ha de ser conocida a la luz de varios documentos pontificios. Recordaré algunos principales, aunque sea en forma abreviada, dando siempre el enlace al texto íntegro.
–1988. Juan Pablo II, en la Ecclesia Dei (carta apostólica-motu proprio, 2-VII-1988) expresa «la gran aflicción de la Iglesia de Dios» causada por Mons. Lefebvre en las ordenaciones de cuatro Obispos para la FSSPX:
«Ese acto [30-VI-1988] ha sido en sí mismo una desobediencia al Romano Pontífice en materia gravísima y de capital importancia para la unidad de la Iglesia, como es la ordenación de obispos, por medio de la cual se mantiene sacramentalmente la sucesión apostólica. Por ello, esa desobediencia –que lleva consigo un verdadero rechazo del Primado romano– constituye un acto cismático (can. 751)…
9.04.11
http://infocatolica.com/blog/reforma.php?blog=42&paged=2

La cuestión conciliar abierta y reformable

 


Hubo concilios celebrados en pacifica sesión y clausurados en armónica comunión, algo no tan corriente ni tan frecuente como se supone, ya que algunos concilios tuvieron sus momentos de tensión, de colisión, de agresión y hasta de tumulto. Y no fueron los peores ni los menos importantes, al contrario.

Recuerdo como una estupenda, aprovechada y divertida temporada de estudios el curso que dediqué a estudiar los Concilios de los siglos IV-V y sus secuelas, toda una parte fascinante y fundamental de la Historia de la Iglesia y el Dogma Cristiano. Y recuerdo las trifulcas de los Padres Conciliares, unas veces agarrados a las barbas (los unos de las de los otros), otras a baculazo limpio (unos en las cabezas de otros), y otras dictando doctrina sacratísima entre vociferaciones, sentencias, anatemas y contra-anatemas. Fascinante. Y el Espíritu Santo activo como nunca, iluminando la mente de los Santos y dejando sin luces los entendimientos de los malos. Así se celebraron y desenvolvieron los Concilios de la antigüedad.

A veces, el tsunami sobrevenía post-concilium, con episodios violentos que eran la consecuencia de lo que no se trató bien, debidamente, en el aula conciliar, y luego estallaba, como cuando se digiere mal una comida defectuosa y rompe al dia siguiente en cólico violento. Algo parecido.

Pues en esas estamos, diría yo, con el Vaticano IIº, en pleno cólico entripado por la apresurada y mala digestión de productos en mal estado, defectuosos. Y van saliendo, aflorando, eructos cada vez más incontenibles. Supongo que es por la proximidad de los 50 años, que se cumplirán pronto, y se están cargando las baterías para la conmemoración.

¿Un concilio intocable? No. ¿Un concilio inerrante? No. ¿Un concilio irreformable? No. Por todos sitios (sitios serios, católicos, conscientes, creyentes) se urge la reconversión del Vat.2º en el sentido de la tradición de la que depende sine qua non. Absolutamente.

Ayer y anteayer fue noticia en los medios católicos italianos la proclama del ilustre profesor Roberto de Mattei, en el sentido de que la infalibilidad pertenece a la Iglesia propiamente, no al concilio, y que el concilio puede errar, equivocarse. Y ahora ha sido el Papa Benedicto quien insiste en la ya abierta polémica aportando nuevas tesis/sentencias al caso:

- la relación correcta y constante entre sana traditio y legitima progressio

- el vínculo estrechísimo y orgánico entre la renovación de la Liturgia y la renovación de toda la vida de la Iglesia

- la Liturgia de la Iglesia va más allá de la propia 'reforma conciliar' cuyo objetivo no era principalmente el de cambiar los ritos y los gestos, sino más bien renovar las mentalidades y poner en el centro de la vida cristiana y de la pastoral la celebración



Son extractos del discurso del Santo Padre a los liturgistas de la Facultad de San Anselmo, el centro académico-litúrgico romano por antonomasia, al recibirlos en audiencia con motivo del 50 aniversario de la erección del Pontificio Instituto Litúrgico San Anselmo, justo en los prolegómenos del Vaticano IIº.

Algunas palabras del Papa, pronunciadas en ese ámbito, tienen una gravedad importante; por ejemplo estas:

“Por desgracia, quizás, también por nosotros Pastores y expertos, la Liturgia fue tomada más como un objeto que reformar que no como un sujeto capaz de renovar la vida cristiana”

¿No está claro? ¿No se entiende? ¿O no quieren entender? Citas como esta, con el precedente del motu proprio Summorum Pontificum plantando un puntal referencial, tienen en sí y adquieren en proporción un valor especial, en cuanto suponen, de hecho, una crítica del máximo nivel al Vaticano IIº, su obra y sus consecuencias. Una crítica hecha por la única y privilegiada instancia que puede, por autoridad ex sese, reconvertir lo mal hecho y rectificar lo desviado.

Algunos se preguntan ¿por qué no más contundencia, entonces? La respuesta es tan evidente como dolorosa: Por la cerrilidad contumaz de gran parte del episcopado y ciertos sectores de la Iglesia, que se han instalado en el innovacionismo vaticanosecundista de forma, paradójicamente, inmovilista.

Un inmovilismo en el sentido de marcar una línea de no retroceso, porque en otro sentido aceleran el progresismo ideológico sin freno postulando una especie de perpetuo ensayismo creativista, ya en la liturgia, ya en la doctrina, ya en la moral.

Para todos los comentaristas del Vaticano IIº, la controversia litúrgica fue el primer capítulo de la polémica conciliar. No sería de extrañar que ese particular mal elaborada fuera, a cincuenta años de distancia, la causa-motor de la necesaria y urgente reconversión.

n.b. Un extracto del discurso del Papa en zenit
Y el original en italiano en Messa in Latino

http://exorbe.blogspot.com/

Cardenal Stickler - El atractivo de la Misa Tridentina : Fe y Liturgia. El sacrificio de la Misa, centro de la liturgia católica. Declaraciones conciliares: doctrinales y disciplinarias. El Concilio de Trento y la Misa. Anatemas del Concilio de Trento. Trento y el Latín. El silencio. La vida y el ejemplo de los ministros del culto. La Misa de San Pío V y la de Paulo VI. Vulgarización de la Misa – El latín debe conservarse. La conducta de los ministros sagrados.

 









EL ATRACTIVO DE LA MISA

TRIDENTINA


por el Cardenal Alfons Stickler *

(tomado de The Latin Mass, verano de 1995)

El sólido erudito austríaco, fallecido a los 97 años el 12 de diciembre de 2007, fiesta de Nuestra Señora de Guadalupe, Patrona de América, fue un salesiano que actuó como perito en otras dos comisiones del Vaticano II (además de la de Liturgia). Entre sus obras, “La causa del celibato del clero” (Ignatius Press) documenta cómo el celibato sacerdotal fue decretado desde los primeros días de la Iglesia.

La Misa Tridentina es el rito de la Misa fijado por el Papa Pío V a solicitud del Concilio de Trento y promulgado el 5 de diciembre de 1570. Este Misal contiene el antiguo rito Romano, del que fueron eliminados varios agregados y alteraciones. Cuando se la promulgó, se preservaron otros ritos que habían existido por lo menos durante 200 años. Por lo tanto, es más correcto llamar a este Misal la liturgia del Papa San Pío V.

Fe y Liturgia. El sacrificio de la Misa, centro de la liturgia católica.

Desde el comienzo mismo de la Iglesia, la fe y la liturgia han estado íntimamente conectadas. Una clara prueba de esto puede hallarse en el propio Concilio de Trento. Este Concilio declaró solemnemente que el sacrificio de la Misa es el centro de la liturgia Católica, en oposición a la herejía de Martín Lutero, quien negaba que la Misa fuese un sacrificio. Sabemos, a partir de la historia del desarrollo de la Fe, que esta doctrina ha sido fijada con autoridad por el Magisterio en la enseñanza de papas y concilios. También sabemos que en la totalidad de la Iglesia, y especialmente en las iglesias orientales, la Fe fue el factor más importante para el desarrollo y la formación de la liturgia, particularmente en el caso de la Misa. Existen argumentos convincentes en este sentido desde los primeros siglos de la Iglesia. El Papa Celestino I escribió a los obispos de la Galia en el año 422: Legem credendi, lex statuit supplicandi; lo que en adelante se expresó comúnmente por la frase lex orandi, lex credendi (la ley de la oración es la ley de la fe). Las iglesias ortodoxas conservaron la Fe a través de la liturgia. Esto es muy importante porque en la última carta que escribió el Papa hace siete días dijo que la Iglesia Latina debe aprender de las iglesias de Oriente, especialmente sobre la liturgia ...

Declaraciones conciliares: doctrinales y disciplinarias.

Un tema a menudo descuidado lo constituye los dos tipos de declaraciones y decisiones conciliares: las doctrinales (teológicas) y las disciplinarias. En la mayoría de los concilios hemos tenido ambas, doctrinales y disciplinarias.
En algunos concilios no ha habido declaraciones o decisiones disciplinarias; y a la inversa, ha habido algunos concilios sin declaraciones doctrinales, con declaraciones solamente disciplinarias. Muchos de los concilios de Oriente después del de Nicea trataron sólo cuestiones de fe.
El Segundo Concilio de Tolón, del año 691, fue un concilio estrictamente oriental, para declaraciones y decisiones exclusivamente disciplinarias, porque las iglesias de Oriente habían sido dejadas de lado en los concilios precedentes. Esto actualizó la disciplina para las iglesias orientales, especialmente para la de Constantinopla.
Esto es importante porque en el Concilio de Trento tenemos claramente ambas: capítulos y cánones que pertenecen exclusivamente a la fe y, en casi todas las sesiones, después de los capítulos teológicos y cánones, cuestiones disciplinarias. La diferencia es importante. En todos los cánones teológicos tenemos la declaración de que cualquiera que se oponga a las decisiones del Concilio queda excluido de la comunidad: anatema sit.
Pero el Concilio nunca declara anatema por razones puramente disciplinarias; las sanciones del Concilio son sólo para las declaraciones doctrinales.

El Concilio de Trento y la Misa

Todo esto es importante para nuestras reflexiones actuales. Ya hemos señalado la conexión entre fe y oración (liturgia) y especialmente entre fe y la forma más elevada de la liturgia, el culto común. Esta conexión tiene su expresión clásica en el Concilio de Trento, que trató el tópico en tres sesiones: la decimotercera de octubre de 1551, la vigésima de julio de 1562 y, especialmente, la vigésimo segunda en septiembre de 1562, que produjo los capítulos y cánones dogmáticos del Santo Sacrificio de la Misa.
Existe, además, un decreto especial concerniente a aquellas cuestiones que deben ser observadas y evitadas en la celebración de la Misa. Esta es una declaración clásica y fundamental, autorizada y oficial, del pensamiento de la Iglesia sobre el tema.
El decreto considera primero la naturaleza de la Misa. Martín Lutero había negado de forma clara y pública su misma naturaleza declarando que la Misa no era un sacrificio. Es verdad que, para no perturbar al fiel común, los reformadores no eliminaron inmediatamente aquellas partes de la Misa que reflejaban la verdadera Fe y que se oponían a sus nuevas doctrinas. Por ejemplo, mantuvieron la elevación de la Hostia entre el Sanctus y el Benedictus.

Para Lutero y sus seguidores, el culto consistía principalmente en la prédica como medio de instrucción y edificación, mezclado con oraciones e himnos. Recibir la Santa Comunión era sólo un episodio secundario. Lutero todavía mantenía la presencia de Cristo en el pan en el momento de su recepción, pero negaba firmemente el Sacrificio de la Misa. Para él el altar nunca podía ser un lugar de sacrificio. A partir de esta negación, podemos entender los errores consiguientes en la liturgia protestante, que es completamente diferente de la de la Iglesia Católica. También podemos entender por qué el Concilio de Trento definió aquella parte de la Fe Católica que concierne a la naturaleza del Sacrificio Eucarístico: es una fuerza salvadora real. En el sacrificio de Jesucristo el sacerdote substituye a Cristo mismo. Como resultado de su ordenación él es un verdadero alter Christus. Mediante la Consagración, el pan se transforma en el Cuerpo de Cristo y el vino en Su Sangre. Esta realización de Su sacrificio es la adoración de Dios.
El Concilio especifica que éste no es un nuevo sacrificio independiente del sacrificio único de Cristo sino el mismo sacrificio, en el que Cristo se hace presente en forma incruenta, de manera tal que Su Cuerpo y Su Sangre están presentes en substancia permaneciendo bajo la apariencia de pan y vino. Por lo tanto, no existe un nuevo mérito sacrificial; más bien, el fruto infinito del sacrificio cruento de la Cruz es efectuado o realizado por Jesucristo constantemente en la Misa.
De esto se deriva que la acción del sacrificio consiste en la Consagración. El Ofertorio (por el cual el pan y el vino se preparan para la Consagración) y la Comunión son partes constitutivas de la Misa, pero no son esenciales. La parte esencial es la Consagración, por la cual el sacerdote, in persona Christi y de la misma manera, pronuncia las palabras consagratorias de Cristo.
De esta manera, la Misa no es y no puede ser la simple celebración de la Comunión, ni una simple persona la que represente a Cristo y, del mismo modo, pronuncie las palabras de consagración de Cristo.
En consecuencia, la Misa no es y no puede consistir simplemente en una celebración de Comunión, o en un simple recuerdo o memorial del sacrificio de la Cruz, sino en hacer verdadero y presente este mismo sacrificio de la Cruz.

Razón por la cual podemos entender que la Misa es una renovación efectiva del sacrificio de la Cruz. Es esencialmente una adoración a Dios, ofrecida sólo a Él. Esta adoración incluye otros elementos: alabanza, acción de gracias por todas las gracias recibidas, dolor por los pecados cometidos, petición de las gracias necesarias. Naturalmente, la Misa puede ser ofrecida por una o por todas estas distintas intenciones. Todas estas doctrinas fueron establecidas y promulgadas en los capítulos y cánones de la Sesión 22ª del Concilio de Trento.

Anatemas del Concilio de Trento

De esta naturaleza teológica fundamental de la Misa derivan varias consecuencias. En primer lugar, el Canon Missae.
En la liturgia Romana, siempre ha habido un único Canon, introducido por la Iglesia hace varios siglos. El Concilio de Trento estableció expresamente en el capítulo 4, que este canon está libre de error, que no contiene nada que no sea pleno de santidad y de piedad y nada que no eleve a los fieles a Dios. Está compuesto sobre la base de las palabras de Nuestro Señor mismo, la tradición de los apóstoles y las normas de los papas santos. El canon 6 del capítulo 4 amenaza con la excomunión a aquellos que sostengan que el Canon Missae contiene errores y por lo tanto, deba ser abolido.


En el Capítulo 5 el Concilio estableció que la naturaleza humana requiere de signos exteriores para elevar el espíritu a las cosas divinas. Por tal razón, la Iglesia ha introducido ciertos ritos y signos: la oración silenciosa o hablada, las bendiciones, las velas, el incienso, las vestiduras, etc. Muchos de estos signos tienen su origen en prescripciones apostólicas o en la tradición.
A través de estos signos visibles de fe y piedad se acentúa la naturaleza del sacrificio. Los signos fortalecen y estimulan a los fieles a meditar sobre los elementos divinos contenidos en el sacrificio de la Misa. Para proteger esta doctrina, el Canon 7 amenaza con la excomunión a aquel que considere que estos signos exteriores inducen a la impiedad y no a la piedad. Esto es un ejemplo de lo que traté más arriba: esta clase de declaración, con el canon de sanciones, tiene mayormente un significado teológico y no solamente un sentido disciplinario.

En el Capítulo 6 el Concilio destaca el deseo de la Iglesia de que todos los fieles presentes en la Misa reciban la Santa Comunión, pero establece que si sólo el sacerdote que celebra la Misa recibe la Santa Comunión esta Misa no debe ser denominada privada y, por ello, criticada o prohibida. En este caso, los fieles reciben la Comunión espiritualmente y, además, todos los sacrificios ofrecidos por el sacerdote como ministro público de la iglesia se ofrecen por todos los miembros del Cuerpo Místico de Cristo. En consecuencia, el Canon 8 amenaza
con excomunión a todos aquellos que digan que tales Misas son ilícitas y por lo tanto deben ser prohibidas (otra aseveración teológica).

Trento y el Latín. El silencio.

El Capítulo 8 está dedicado al lenguaje particular del culto en la Misa. Se sabe que en el culto de todas las religiones se emplea un lenguaje sagrado. Durante los primeros tres siglos de la Iglesia Católica Romana, el idioma era el griego, que era la lengua más comúnmente empleada en el mundo latino. A partir del siglo IV el latín se transformó en el idioma común del Imperio Romano. El latín permaneció durante siglos en la Iglesia Católica Romana como la lengua para el culto. Muy naturalmente, el latín era también el idioma del rito Romano en su acto fundamental del culto: la Misa. Así permaneció incluso después de que el latín fuera reemplazado por el lenguaje vivo de las distintas lenguas romances.

Y llegamos a la cuestión: ¿por qué el latín y no otra alternativa? Respondemos: la Divina Providencia establece aun las cuestiones secundarias. Por ejemplo, Palestina (Jerusalén) es el lugar de la Redención de Jesucristo. Roma es el centro de la Iglesia. Pedro no nació en Roma, él fue a Roma. ¿Por qué? Porque era el centro del entonces Imperio Romano, es decir, del mundo. Este es el fundamento práctico de la propagación de la Fe por el Imperio Romano, sólo una cuestión humana, una cuestión histórica, pero en la que ciertamente participa la Divina Providencia.

Un proceso semejante puede verse incluso en otras religiones. Para los musulmanes, la vieja lengua árabe está muerta y, no obstante, sigue siendo el lenguaje de su liturgia, de su culto. Para los hindúes, lo es el sánscrito.
Debido a su obligada conexión con lo sobrenatural, el culto naturalmente requiere su propio lenguaje religioso, que no debe ser uno “vulgar”.
Los padres del Concilio sabían muy bien que la mayoría de los fieles que asistían a la Misa ni entendían el latín ni podían leer traducciones. Generalmente eran analfabetos. Los padres también sabían que la Misa contiene una parte de enseñanza para los fieles.
No obstante, ellos no coincidieron con la opinión de los protestantes de que era necesario celebrar la Misa sólo en la lengua vernácula. Para instruir a los fieles, el Concilio ordenó que la vieja costumbre del cuidado de las almas mediante la explicación del misterio central de la Misa, aprobada por la Santa Iglesia Romana, madre y maestra de todas las iglesias, se mantuviera en todo el mundo.

El Canon 9 amenaza con la excomunión a aquellos que afirmen que el lenguaje de la Misa debe ser sólo en la lengua vernácula. Es notable que tanto en el capítulo como en el canon del Concilio de Trento se rechaza sólo la exclusividad del lenguaje “vulgar” en los ritos sagrados. Por otro lado, debe tenerse en cuenta una vez más que estas distintas normativas conciliares no tienen sólo carácter disciplinario. Se basan en fundamentos doctrinales y teológicos que involucran la Fe misma.
Las razones de esta preocupación pueden verse, primeramente, en la reverencia debida al misterio de la Misa. El decreto siguiente sobre lo que debe observarse y evitarse en la celebración de la Misa establece: “La irreverencia no puede separarse de la impiedad”. La irreverencia siempre implica impiedad. Además, el Concilio deseó salvaguardar las ideas expresadas en la Misa, y la precisión de la lengua latina protege el contenido contra malentendidos y posibles errores basados en la imprecisión lingüística.
Por estas razones la Iglesia siempre ha defendido la lengua sagrada e incluso, en época más reciente, Pío XI declaró expresamente que esta lengua debía ser non vulgaris.
Por estas mismas razones, el Canon 9 establece la excomunión de quienes afirmen que debe ser condenado el rito de la Iglesia Romana en el cual una parte del Canon y las palabras de consagración sean pronunciadas silenciosamente. Incluso el silencio tiene un trasfondo teológico.

La vida y el ejemplo
de los ministros del culto

Finalmente, en el primer canon del decreto de la reforma, en la sesión vigésimo segunda del Concilio de Trento, hallamos otras normativas que tienen un carácter parcialmente disciplinario pero que también completan la parte doctrinaria, puesto que nada es más adecuado para orientar a los participantes del culto a una comprensión más profunda del misterio, que la vida y el ejemplo de los ministros del culto. Estos ministros deben modelar sus vidas y conducta en torno a este fin, que debe reflejarse en su vestimenta, su compostura, su lenguaje. En todos estos aspectos deben verse dignificados, humildes y religiosos. También
deben evitar incluso las faltas leves, puesto que en su caso éstas deberían considerarse graves. Los superiores deben exigir a los ministros sagrados vivir fundamentalmente de acuerdo a toda la tradición de comportamiento clerical apropiado.

La Misa de San Pío V y la de Paulo VI

Ahora podemos apreciar y entender mejor el trasfondo y el fundamento teológicos de las discusiones y normativas del Concilio de Trento respecto de la Misa como culminación de la sagrada liturgia. Es decir, el atractivo teológico de la Misa Tridentina se puede comprender por contraposición y como respuesta al grave desafío del Protestantismo, y no solamente en relación a este período especial de la historia sino como una pauta de referencia para la Iglesia y frente a la reforma litúrgica del Vaticano II.
En primer lugar, tenemos que determinar aquí el significado correcto de esta última reforma, como lo hicimos en el caso de la Misa Tridentina, destacando la importancia de saber precisamente qué se entendía por la Misa del Papa San Pío V, que cumplía con los deseos de los padres del Concilio en Trento.
Empero, debemos destacar que el nombre correcto que debe darse a la Misa del Concilio Vaticano II es el de Misa de la comisión litúrgica posconciliar. Una simple ojeada a la constitución litúrgica del Segundo Concilio Vaticano ilustra de inmediato que la voluntad del Concilio y la de la comisión litúrgica están a menudo en desacuerdo e incluso son evidentemente opuestas.
Examinaremos brevemente las diferencias principales entre las dos reformas litúrgicas así como la forma en que podríamos definir su atractivo teológico.
Primeramente, frente a la herejía protestante, la Misa de San Pío V enfatizaba la verdad central de la Misa como un sacrificio, basada en las discusiones teológicas y las normas específicas del Concilio. La Misa de Paulo VI (también llamada así porque la comisión litúrgica para la reforma después del Vaticano II trabajó bajo la responsabilidad última de ese Papa) enfatiza, más bien, la Comunión, con el resultado de que el sacrificio queda transformado en lo que podría denominarse una comida. La gran importancia dada a las lecturas y a la prédica en la nueva Misa, e incluso la facultad dada al sacerdote para agregar palabras personales y explicaciones, es otro reflejo de lo que podría denominarse una adaptación a la idea protestante del culto.
El filósofo francés Jean Guitton dice que el Papa Paulo VI le reveló que había sido su intención (la del Papa) la de asimilar tanto como fuera posible la nueva liturgia católica al culto protestante [1]. Evidentemente, es necesario verificar el real significado de este comentario, puesto que todas las declaraciones oficiales de Paulo VI, incluida su excelente encíclica eucarística “Mysterium Fidei” en 1965, emanada antes de la finalización del Concilio, así como el “Credo del Pueblo de Dios”, demuestran una perfecta ortodoxia. Entonces, ¿cómo pueden explicarse estas declaraciones opuestas?
Dentro de esta misma línea podemos tratar de comprender la nueva posición del altar y del sacerdote. De acuerdo con los bien fundados estudios de Monseñor Klaus Gamber respecto de la posición del altar en las antiguas basílicas de Roma y otros lugares, el criterio para la anterior posición no era que debían mirar a la asamblea que rinde culto sino, más bien, mirar hacia el Este, que era el símbolo de Cristo como sol naciente a quien se debía rendir culto. La posición completamente nueva del altar y del sacerdote mirando a la asamblea, algo previamente prohibido, hoy expresa a la Misa como un encuentro comunitario.
En segundo lugar, en la vieja liturgia el Canon es el centro de la Misa como sacrificio. De acuerdo con el testimonio del Concilio de Trento, el Canon reconstruye la tradición de los apóstoles y estaba substancialmente completo en la época de Gregorio el Grande, en el año 600.
La Iglesia Romana nunca tuvo otros cánones. Incluso respecto del Mysterium fidei en la fórmula de la Consagración, tenemos evidencias desde Inocencio III, explícitamente, en la ceremonia de investidura del Arzobispo de Lyon. No sé si la mayoría de los reformadores de la liturgia conocen este hecho. Santo Tomás de Aquino, en un artículo especial, justifica este Mysterium fidei. Y el Concilio de Florencia confirmó explícitamente el Mysterium fidei en la fórmula de la Consagración.
Ahora bien, este mysterium fidei fue eliminado de las palabras de la consagración originadas en la nueva liturgia. ¿Por qué? También se autorizan nuevos cánones. El segundo de ellos, que no menciona el carácter sacrificial de la Misa, por su mérito de ser el más breve prácticamente ha suplantado al antiguo Canon Romano en todas partes.De aquí que se haya perdido el profundo discernimiento teológico otorgado por el Concilio de Trento.
El misterio del Sacrificio Divino es actualizado en cada rito, si bien de manera diferente. En el caso de la Misa Latina este misterio fue enfatizado por el Concilio Tridentino con la lectura silenciosa del Canon en Latín. Esto ha sido descartado en la nueva Misa por la proclamación del Canon en voz alta.
Tercero, la reforma del Vaticano II destruyó o cambió el significado de gran parte del rico simbolismo de la liturgia (si bien se mantiene en los ritos orientales). La importancia de este simbolismo fue destacada por el Concilio de Trento ...
Este hecho fue deplorado incluso por un psicoanalista ateo muy conocido, quien llamó al Segundo Concilio Vaticano el “Concilio de los tenedores de libros”.

Vulgarización de la Misa –
El latín debe conservarse

Hay un principio teológico completamente destruido por la reforma litúrgica pero confirmado tanto por el Concilio de Trento como por el Concilio Vaticano II, después de una larga y sobria discusión (yo asistí y puedo confirmar que las claras resoluciones del texto final de la Constitución del Concilio lo reafirmaban sustancialmente). El principio: el latín debe preservarse en el Rito Latino.
Como en el concilio de Trento, también en el Vaticano II los padres del Concilio admitieron la lengua vernácula pero sólo como una excepción.
Pero para la reforma de Paulo VI la excepción se tornó en la regla exclusiva. Las razones teológicas establecidas en ambos Concilios para mantener el latín en la Misa pueden verse ahora justificadas a la luz del uso exclusivo de la lengua vernácula introducida por la reforma litúrgica. La lengua vernácula a menudo ha vulgarizado la Misa misma, y la traducción del latín original ha resultado en errores y malentendidos doctrinales graves.
Además, antes la lengua vernácula no estaba siquiera permitida para las personas iletradas o completamente diferentes entre sí. Ahora que los pueblos católicos de distintas tribus y naciones pueden emplear diferentes lenguas y dialectos en el culto, viviendo próximos en un mundo que se torna cada día más pequeño, esta Babel del culto común resulta en una pérdida de la unidad externa de la Iglesia Católica en todo el mundo, otrora unificada en una voz común.

Además, en numerosas ocasiones, se ha vuelto causa de desunión interna incluso en la propia Misa, que debería ser el espíritu y el centro de la concordia interna y externa entre los católicos de todo el mundo. Tenemos muchos, pero muchos ejemplos, de este hecho de desunión causada por la lengua vulgar.

Y otra consideración ... Antes, cada sacerdote podía decir en el mundo entero la Misa en Latín para todas las comunidades, y todos los sacerdotes podían entender el latín. Hoy, desafortunadamente, ningún sacerdote puede decir Misa para todos los pueblos del mundo. Debemos admitir que, sólo unas décadas después de la reforma de la lengua litúrgica, hemos perdido aquella posibilidad de orar y cantar juntos, aun en los grandes encuentros internacionales, como los Congresos Eucarísticos o, incluso, durante los encuentros con el Papa, el centro de la unidad de la Iglesia. Ya no podemos, actualmente, cantar ni rezar juntos.

La conducta de los ministros sagrados

Finalmente, tenemos que considerar seriamente, a la luz del Concilio de Trento, la conducta de los ministros sagrados, cuya profunda relación con su sacro ministerio fue enfatizada por el Concilio de Trento. Una conducta clerical, vestimenta, porte y comportamiento correctos animan a la gente a seguir lo que sus ministros dicen y enseñan. Desafortunadamente, la conducta lamentable de muchos clérigos suele obscurecer la diferencia entre ministro sagrado y laico, y profundiza la diferencia entre ministro sagrado y alter Christus.

Resumiendo nuestras reflexiones, podemos decir que el atractivo teológico de la Misa Tridentina crece en relación directa con la incorrección teológica de la Misa del Vaticano II. Por esta razón, el Christi Fidelis de la tradición teológica debe continuar manifestando, en espíritu de obediencia a los superiores legítimos, el legítimo deseo y la legítima preferencia pastoral por la Misa Tridentina.
fonte:una voce argentina