sábado, 14 de maio de 2011

Third Rome Summorum Pontificum Conference Draws Large Numbers. De Mattei: latino e Chiesa cattolica, binomio inscindibile. Suor Maria Francesca FFI: l'eternità della Messa tradizionale. Mons. Bux: relazione sul rito tradizionale dell'ordinazione . Mons. Pozzo (Ecclesia Dei) spiega (bene!) la nuova Istruzione sul motu proprio Universae Ecclesiae. Mons. Schneider: verso un motu proprio che ristabilisca gli ordini minori e li riservi agli uomini. Card. Koch: la liturgia cattolica riformata è la sola che dia le spalle a Dio.

Third Rome Summorum Pontificum Conference Is Biggest Yet








Under the patronage of Our Lady of Fatima. Grazie, Padre Vincenzo!

Third Rome Summorum Pontificum Conference Hosted at Pontifical University of St. Thomas Aquinas


















Opening Mass this morning inside Rome's Dominican Church of Sts. Dominic and Sixtus celebrated by Fr. Vincnezo Nuara, O.P.

 http://orbiscatholicussecundus.blogspot.com/

 

De Mattei: latino e Chiesa cattolica, binomio inscindibile.

Il prof. de Mattei ha affrontato un argomento che, potremmo dire, è coessenziale al nome stesso del nostro blog: Il latino, lingua liturica della Chiesa e della Cattolicità.

La tesi dello storico, sostenuta con dovizia di riferimenti documentali  che qui, ovviamente, non possiamo riportare, è che la lingua latina sia costitutiva della stessa liturgia cristiana: non, quindi, elemento accidentale che può essere tranquillamente abrogato o modificato.

E' vero che la prima liturgia cristiana fu espressa nel greco della koiné, ma fin dai primi secoli a Roma l'utilizzo del latino si diffonde, secondo quanto possiamo ricostruire dai resti epigrafici.

Papa San Damaso, nel IV secolo, benché spagnolo di nascita, rafforzò la romanità, nelle sue due articolazioni: da un lato la petrinitas, cioè il primato del romano pontefice, dall'altro la latinitas, ossia la romanità della Chiesa . A lui si deve l'adozione della lingua latina come lingua universale della Chiesa, che esprime una rinnovata Weltanschauung della Chiesa.

Quando Teodosio il Grande vinse la battaglia del Frigido contro i pagani barbari, si saldò definitivamente l'unione tra il romano impero e la Fede cristiana. Fino alla riforma liturgica, si continuò quindi a pregare per il romanus imperator, anche se il Sacro Romano Impero era stato dissolto nel 1806 e la stessa casa di Asburgo, che aveva per secoli cinto il serto imperiale, era decaduta nel 1918.

La liturgia della Chiesa non nasce nel IV-V secolo, ma in quel tempo essa fu codificata in stretta aderenza al traditum: in un rescritto del 416 Innocenzo I attesta come la Liturgia romana rappresentava l'antico costume fedelmente conservato. E' la tradizione di sempre, però romanamente sfrondata delle ampollosità che in Oriente ebbero tanto successo.

Il latino arrivò con la fede là dove le legioni romane non misero mai piede, come in Irlanda: ecco la risposta migliore contro chi crede che la Fede si sia inculturata nella latinità, e non viceversa. Le genti irlandesi non parlavano affatto il latino, e l'evangelizzazione avvenne in gaelico, ma accolsero la liturgia nella sua pura forma latina, la fecero propria e la difesero nei secoli contro le più dure persecuzioni.

Lungi dall'inculturarsi nella (inesistente) latinità irlandese, la Fede trapiantò la latinità nell'Irlanda e da là, grazie ai 40 benedettini irlandesi, si diffuse alla Scozia e pure in Inghilterra a sud del Vallo di Adriano, dove era quasi estinto perfino il ricordo dell'Impero romano. Da lì, ulteriormente, in Germania, altro territorio ove le legioni erano state fermate nella selva di Teutoburgo e la latinità romana non era prima pervenuta.

Il greco ambì a divenire come il latino lingua universale, a causa del nazionalismo del patriarcato di Costantinopoli. Il patriarca ambiva a soppiantare il Papa, sul rilievo del primato politico della Seconda Roma (Costantinopoli) rispetto alla decaduta Roma che non aveva più imperatori. Ma in Oriente il Patriarca era soggetto al cesaropapismo imperiale e non valeva molto di un funzionario imperiale. Il greco scomparve gradualmente, poi, per effetto delle invasioni musulmane.

Quando l'Impero romano rinacque con Carlo Magno, la latinitas riassunse anche un ruolo politico di unificazione; e quando nel Basso Medioevo iniziarono a diffondersi le lingue nazionali, l'uso del latino non declinò, e restò la lingua internazionale fino al XVIII secolo, la lingua della Chiesa, della scienza, della diplomazia.

Vi è una necessità, sia pure storia e non metafisica, di relazione tra il cattolicesimo e la lingua latina. Quel binomio che il padre Chénu, alla vigilia del Concilio, si proponeva di spezzare eliminando il latino dalla vita della Chiesa. Il movimento liturgico pure auspicava un rinnovamento in tal senso in nome di una maggior partecipazione dei fedeli alla liturgia. Ma a questi aneliti rispondeva Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia, promulgata con la massima solennità (il giorno della Cattedra di Pietro, in San Pietro, davanti a numerosi cardinali e vescovi), che alla vigilia del Concilio, e come ad orientarne gli esiti, chiedeva non solo di conservare l'uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l'utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria e volgare, e dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla fluttuazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

E' significativo che anche il codice canonico per le chiese orientali sia sempre stato in lingua latina.

Nessun'altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità e, al tempo stesso, di essere aliena ai nazionalismi. La massoneria internazionale da sempre ricerca una società perfetta che parli un'unica lingua ed ha escogitato l'esperanto, però miseramente fallito; mai ha pensato di utilizzare allo stesso fine il latino, per odio alla Chiesa.

L'uso della lingua volgare è una caratteristica di tutte le eresie di questo millennio, a cominciare da quella catara.

L'intervento del prof. de Mattei è stato interrotto a questo punto dall'arrivo dal card. Castrillòn Hoyos, che è stato accolto da un calorosissimo applauso.

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla compresione unitaria delle lingue: logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un'unica lingua per tutti. La lingua latina, ricordava Giovanni XXIII, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L'unità linguistica resta un modello e un ideale; e se nella predicazione è giocoforza utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono l'unica lingua sacra. Fu un grave errore del postconcilio che la Chiesa si facesse immanente al mondo rinunziando alla sua lingua, proprio quando l'incipiente mondializzazione avrebbe richiesto un gesto in senso esattamente contrario.

Oggi la Chiesa dovrebbe riaffermare la sua romanitas e latinitas; e in esse trova pieno spazio il rito romano antico riportato alla Chiesa dal motu proprio Summorum Pontificum. Ricordando che Pio XII scriveva che il sacerdote che misconoscesse il latino era afflitto da una "deplorevole miseria intellettuale".

Lunga standing ovation finale.

Suor Maria Francesca FFI: l'eternità della Messa tradizionale

Suor Maria Grazia ha letto l'intervento di suor Maria Francesca (suora di clausura), entrambe dell’Immacolata – dei benemeriti Francescani dell’Immacolata - ed ha tenuto l’intervento  “Le origini apostolico-patristiche della ‘Messa Tridentina’” dove ha spiegato – in maniera  analitica – l’antichità della Messa Tridentina che ha origini precedenti non solo a S. Gregorio Magno, ma addirittura apostoliche. L’eresia antiliturgica – portata avanti dai novatores che si sono succeduti nei secoli -  ha sempre cercato di attaccare i libri liturgici tradizionali. Ricordiamo che la Tradizione è anteriore alla parte neotestamentaria della S. Scrittura.

La creazione di nuova liturgica può indebolire la fede e la  dottrina.
Gesù – come dice l’Aquinate – è stato lui stesso il vero artefice della liturgia cattolica, con le sue modalità, pronunciando la formula eucaristiche e chiedendo che tutto ciò venisse ripetuto. Gli Atti degli Apostoli inoltre osservano che Gesù apparve agli apostoli molte volte e la tradizione dei Padri ci dice che insegnò agli stessi molte azioni liturgiche durante queste apparizioni.
S. Basilio scrive che molti atti liturgica (preghiera verso oriente, benedizione dell’acqua, etc.) hanno origine apostolica come riferisce, inter alia, S. Giustino.
Ha analizzato inoltre  il ruolo di S. Pietro nell’elaborazione della prima liturgia romana come suggerisce anche Dom Gueranger.
Hia nel III secola la Messa aveva acquisito una forma definita.
La grande codifica della Sacra Liturgia avvenne da parte di  S. Gregorio Magno. Che inserì alcune innovazioni, come la recita del Pater appena prima della S. Comunione. C’è una tradizione costante che indica  S. Gregorio come l’ultimo che intervenne a modificare il Canone.
L’intervento di S. Pio V fu solo una codifica di questa Messa antichissima. Nessuno propose un Novus Ordo Missae, cosa ritenuta scandalosa.
Nel 1969 entra nella storia della Chiesa il Novus Ordo Missae che i cardinali Bacci e Ottaviani non esitarono a manifestare dubbi sulla sua opportunità  e la definizione di “liturgia costruita a tavolino “ è del card. Ratzinger.
L’intervento di suor Maria è stato lungamente applaudito.
 

Mons. Bux: relazione sul rito tradizionale dell'ordinazione

E' ora la volta al convegno sul motu proprio della relazione di mons. Nicola Bux, il teologo-litugista che è uno dei principali testimonial del recupero, al centro nevralgico della Chiesa, della tradizione liturgica (cosa che gli vale un cordiale astio da parte di tutti i teorici del modernismo liturgico).

La sua relazione odierna ha un contenuto particolarmente tecnico: Il sacramento dell'Ordine sacro nel Pontificale Romanum (editio typica del 1961-1961). Una riflessione di teologia liturgica. Il tema, dicevo, è molto tecnico e non è quindi particolarmente sunteggiabile per un articolo di blog; lasciate però aggiungere al vostro cronista che colpisce che Bux abbia scelto proprio questo tema apparentemente anodino, proprio allorché l'Istruzione sul motu proprio ha decretato che questo "sacramento dell'Ordine sacro nel Pontificale Romanum" non deve applicarsi, se non dietro i cancelli e le mura di pochi istituti e comunità religiose...

Ma torniamo a Bux: rinvio alla lettura degli atti la parte dottrinale dell'intervento e riporto la parte più, come dire, più discorsiva (e interrotta da applausi). Ecco alcuni aforismi:

- La Liturgia richiede purezza di cuore e profonda umiltà. No quindi ad attitudini gigionesche e di spettacolarizzazione. 

- Dove c'è abuso della liturgia, quasi certamente vi sono gravi distorsioni morali

- Solo vescovo e presbitero esercitano il sacerdozio, non il diacono. Cos'è il sacerdozio? La mediazione tra uomo e Dio, funzione di fronte alla quale i sacerdoti, se se ne rendessero conto appieno, tremerebbero.

- Dobbiamo rendere a Dio il giusto culto: questo diritto di Dio non è disponibile per nessuno.

- San Paolo a Tito scrive: dottrina pura, dottrina sana, dottrina sicura. Questi sono i criteri per discernere la dottrina vera da quella falsa. E tutto questo è ricordata nel rito antico dell'Ordinazione: quanto è vera dunque la regola di Prospero d'Aquitania: lex orandi, lex credendi.

Enrico

Mons. Pozzo (Ecclesia Dei) spiega (bene!) la nuova Istruzione sul motu proprio Universae Ecclesiae


Il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha svolto al terzo convegno sul motu proprio Summorum Pontificum la relazione più attesa, poiché suo è il compito di spiegare all'uditorio la freschissima Istruzione Universae Ecclesiae sul motu proprio pubblicata appena ieri.

Gli antecedenti di questa Istruzione, ha spiegato, sono le relazioni e i resoconti inviati dall'episcopato mondiale dopo i tre anni dall'entrata in vigore del motu proprio. Da essi, e anche dalle comunicazioni dei gruppi interessati, si evince che il motu proprio ha già prodotto fruttuosi effetti. Certamente, ha aggiunto, in modo ineguale tra varie chiese locali. Sarebbe inoltre ingenuo negare che ancora esistono resistenze e ostilità sia da parte del clero che dei vescovi.

Ma la reticenza dev'essere dissipata proprio dalla precisa osservanza delle disposizioni pontificie, che invitano a riconoscere da una parte la liturgia riformata, depurata da abusi, malintesi e grossolani travisamenti, e dall'altra la grandezza della viva Tradizione della Chiesa.

Scopo della Istruzione Universae Ecclesiae è di far applicare il Summorum Pontificum .

Non c'è dubbio che oggi è in gioco addirittura la Fede, che in vaste zone della terra è in pericolo di spegnersi come una fiamma non alimentata, come ha deplorato il Papa nella lettera ai vescovi per la revoca della scomunica ai 4 vescovi della FSSPX. La priorità è quindi riportare le genti a Dio; non a qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato a Mosé sul Sinai, e si è incarnato nel seno di Maria. Ora, chi si oppone alla liturgia antica, non svolge attività pastorale che va nel senso dovuto ed anzi nega di fatto la continuità della Chiesa.

L'Istruzione ora chiarisce ulteriormente che il motu proprio è legge per tutta la Chiesa, per giunta speciale, ossia che (n. 28) deroga alle norme incompatibili emanate dal 1962 in avanti. Il motu proprio non è quindi un indulto o una concessione, ma un provvedimento fondamentale e generale sulla liturgia.

L'Istruzione Universae Ecclesiae ricorda al n. 8 che il motu proprio vuole concedere a TUTTI i fedeli il tesoro della liturgia antica, non a gruppi specifici o 'nostalgici', come ancora si sente dire in certi ambienti. Il motu proprio va inteso in senso favorevole ai fedeli legati alla liturgia antica. Ai vescovi sta il compito di favorire queste legittime aspirazioni, evitando la marginalizzazione dei fedeli tradizionali, i quali peraltro devono evitare forme di contestazione della nuova liturgia.

La Commissione Ecclesia Dei riceve piena competenza per dirimere le controversie. Sono anche precisate le competenze degli ordinari diocesani, che devono vigilare affinché tutto si svolga nella serenità, ma sempre nella mente del romano pontefice, come espressa dal motu proprio.

Ci sono anche i diritti e i doveri dei fedeli laici. Un coetus fidelium è stabile se alcune persone si sono riunite, anche dopo il motu proprio (togliendo quindi l'argomento ostile che dovesse trattarsi di gruppo preesistente) e può costituirsi tra fedeli anche di diverse parrocchie o perfino diocesi.

Non è stabilito un numero; ma d'altronde anche per celebrazioni ordinarie accade che i fedeli presenti siano pochi.

Per i sacerdoti, si richiede una conoscenza basica della lingua latina: non un esperto latinista. A questo proposito, si stabilisce che in seminario devesi insegnare il latino, come d'altronde imponeva il documento conciliare Optatam totius: che chi si appella al Concilio, cominci ad applicare davvero (e in tutto)!
Sulle ordinazioni, di cui il motu proprio non parlava, l'Istruzione ha ritenuto di intervenire con una precisazione: su richiesta di alcuni presuli che temevano vie parallele e non armonizzate nella formazione sacerdotale, viene stabilito che gli ordini minori e l'ordinazione secondo l'antico rito sia applicata sono negli istituti Ecclesia Dei. E' anche precisato che solo con il diaconato si assume lo stato clericale.

L'Istruzione ha un compito circoscritto, data anche la natura solo applicativa di tale documento. E' comunque uno strumento affidato in primis alla responsabilità di vescovi e sacerdoti, con animo di carità e sollecitudine pastorale. Ma al tempo stesso, è uno strumento al servizio della celebrazione del Culto divino. Il motu proprio non è un passo indietro, ma guarda al futuro della Chiesa, che non potrà mai rinnegare le proprie radici, così come non potrà mai chiudersi ad un rinnovamento ancorato nella Tradizione della Chiesa.
 

Mons. Schneider: verso un motu proprio che ristabilisca gli ordini minori e li riservi agli uomini

Il vescovo germano-kazaco Athanasius Schneider è intervenuto al terzo convegno sul motu proprio con una relazione liturgica di tipo assai tecnico su Gli ordini minori e il santo servizio all'Altare.

Ha esordito ricordando come la tripartizione ebraica tra sommo sacerdote, sacerdote e levita, è stata ripresa dal cristianesimo negli ordini dell'episcopato, presbiterato e diaconato. A ciascuno sono affidati gerarchicamente i distinti servizi liturgici.

Papa Clemente I nel I secolo definiva i leviti con l'espressione di diacono. Un parallelismo tra la tripartizione dell'antico Testamento e quella della Chiesa è presente nel rito pontificale tradizionale, con riferimento ad Aronne (nell'ordinazione episcopale), ai settanta uomini anziani (per i presbiteri) e più volte ai leviti (nell'ordinazione diaconale).

S. Tommaso d'Aquino spiegava che il diacono non ha la facoltà di insegnare, il modus docendi che competono a vescovo e presbitero, ma può solo catechizzare (modus cathechizandi).

I diaconi non sono sacerdoti, non sono sacrificatores: preparano, assistono, servono l'azione liturgica ma secondo la tradizione orientale e occidentale hanno una funzione di servizio, non di sacerdozio. Il primo Concilio di Nicea vietava loro anche la facoltà di offrire la comunione al sacerdote.

Non è corretto dire che tutto quanto non è riservato ai sacerdoti, spetta ai fedeli laici in virtù del sacerdozio comune. In realtà i vari ministeri sono gerarchicamente ordinati, in continuità con i leviti. In tempi apostolici le funzioni non sacerdotali erano dei diaconi, ma fin dai primi secoli si aggiunsero altri ministeri inferiori (suddiaconati, esorcistato, lettorato, ostiariato, accolitato). Ai diaconi furono riservati i compiti non sacerdotali più alti e il loro stesso numero fu limitato (per alcuni concili regionali, e per Roma, non potevano eccedere il numero di sette).

Il Concilio di Trento usa il termine "ministri", evitando quello di diaconi, probabilmente per esprimere che le funzioni degli ordini minori fanno parte del diaconato.

L'esistenza di cinque gradi inferiori rispetto al diaconato risale almeno al secondo secolo dopo Cristo, secondo tutte le testimonianze liturgiche. Si tratta quindi di un'antichissima tradizione. La Chiesa ha attribuito anche ai ministeri minori il termine "Ordo", per esprimere che quelle funzioni sono parte delle funzioni specifiche del diacono. Fino al motu proprio del 1972 di Paolo VI Ministeria quaedam, una tradizione ininterrotta almeno dal secondo secolo nominava queste funzioni come ordines; dal 1972 sono invece divenuti ministeri laicali e si è persino detto che le funzioni di lettore e accolito sarebbero espressione del sacerdozio comune dei fedeli. E' quindi consequenziale che le donne siano diventate de facto lettrici e chierichette. Grazie a Dio, ha detto mon. Schneider, questo non è ancora ammesso nelle liturgie papali a Roma; ma fuori Roma, succede pure alle liturgie papali, benché il codice di diritto canonico lo vieti. Abbiamo una contraddizione tra diritto e prassi, anzi una finzione giuridica. Di qui l'improvvida proposta, nel corso del Sinodo episcopale sulla parola di Dio, di ammettere le donne al lettorato; a quel punto, perché escludere il diaconato sacramentale? E infatti le pressioni in tal senso non mancano, sullo specioso rilievo che la Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II non si applica al diaconato. Ma ciò sarebbe contro la tradizione comune con le Chiese d'Oriente e contro il Concilio di Trento. Inoltre gli storici hanno dimostrato che diaconesse, nel senso di diaconato che noi intendiamo, non sono mai esistite nella Chiesa.

Il Concilio di Trento prevede l'accesso agli ordini minori di uomini sposati. Una consacrazione che mai, mai ha previsto l'accesso delle donne alle funzioni degli ordini minori.

Per finire: nel regno di Cristo non c'è la corsa ad avere più poteri all'esercizio del Culto Divino: anzi, tutto dev'essere improntato all'umiltà e all'abnegazione.

Chiediamo la grazia, ha concluso mons. Schneider tra scroscianti applausi di approvazione, che il Santo Padre emani un motu proprio per il riordino e il ripristino degli ordini minori secondo la disciplina di sempre e comune agli orientali: nessun Concilio, nemmeno il Vaticano II, ha mai chiesto di abolire gli ordini minori o anche solo di cambiarne struttura e natura. Un motu proprio che ristabilisse ordini minori e suddiaconato saebbe il complemente necessario al motu proprio Summorum Pontificum e, soprattutto, un dono per tutta la Chiesa, un onore per i ministri sacri nel servire all'altare e un aumento della sacralità della Liturgia.

Un auspicio che ha sapore di un annuncio.

Card. Koch: la liturgia cattolica riformata è la sola che dia le spalle a Dio

Il card. Kurt Koch è stato da poco nominato Presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani; in precedenza era vescovo di Basilea. In un ambiente, quello elvetico, dove tiranneggiano i peggiori progressisti, si era distinto per fedeltà a Roma e, prima ancora, per buon senso (ad esempio chiedendo pubblicamente ai tanti sedicenti difensori del Concilio, se avessero mai letto la Sacrosanctum Concilium: vedi qui).

L'argomento della sua relazione è singolare: il ritorno della Tradizione col motu proprio è stato presentato come un attentato contro l'ecumenismo sviluppatosi dopo il Concilio Vaticano II. In realtà, proprio la Liturgia antica rappresenta un "ponte ecumenico", secondo il titolo della relazione del cardinale.

C'è un'interpretazione dualista, che vede nell'antico rito un Sacrificio e nel nuovo una santa Cena. Nessuna definizione dogmatica è diventata contesa e contestata come la definizione la Messa come sacrificio. Tanto che v'è il rischio che l'ortodossia eucaristica possa cadere nell'oblio. Molti cattolici oggi condividono che parlare di sacrificio nella Messa sia un orrore e una terribile idolatria, secondo le parole di Martin Lutero.

Ma l'insistenza sul Sacrificio serve per rendere più fluido il confine tra la vita e la Liturgia, perché attraverso la pietà eucaristica e il concetto di Sacrificio la vita dell'uomo si conforma a Cristo. La preghiera eucaristica è rationabile obsequium: è giusto e opportuno che la preghiera di ringraziamento si sia fin dall'inizio saldata e fusa con l'oblatio, ossia col Sacrificio. Lungi dall'essere considerato un relitto medioevale, l'idea di Sacrificio è essenziale e fondante della Liturgia. La conseguenza dev'essere che il canone romano, dalla  splendida didattica sacrificale, dev'essere riscoperto e applicato con abbondanza pure nel nuovo rito.

Altro pregiudizio corrente è che prima del Concilio solo il sacerdote era attore della Liturgia, mentre dopo il Concilio è la comunità celebrante. In realtà, tutto il popolo di Dio è liturgico, ma ciascuno secondo la propria funzione.

Ancora: la lotta contro l'adorazione eucaristica è stata acerrima nei decenni del postconcilio. Contro tutta la Tradizione dei Padri. L'adorazione dell'Agnello nell'Apocalisse di S. Giovanni assume valore profetico della liturgia celeste. Cesserà allora il Sacrificio e la Consacrazione, ma non cesserà mai l'Adorazione.

Il recupero della Tradizione è la strada per ritrovare più profonde possibilità di intesa con le altre confessioni cristiane. Ad esempio la celebrazione verso Dio o, come dicono i detrattori, con le spalle al popolo, è il ritorno alla più antica tradizione liturgica allorché i fedeli, dopo l'invito "conversi ad Dominum", si giravano clero e popolo verso oriente. E così facevano e fanno gli ebrei e i musulmani.

D'altro canto, ha aggiunto facetamente il cardinale, non solo girare gli altari non è stato in alcun modo previsto o supposto dai Padri conciliari, ma soprattutto non si vede quale ne fosse la necessità di "rispetto per il popolo": non risulta che nessuno si sia mai lamentato se il guidatore di un autobus guarda la strada e dà le spalle ai passeggeri!

Ancora oggi, nella liturgia, l'invito "Sursum corda" contiene l'invito a ritrovare quell'orientamento interiore che è meglio e più facilmente vissuto se diventa anche esteriore, ossia tutti rivolti verso Iddio.

E, dal punto di vista ecumenico, non possiamo sottacere che la liturgia ordinaria della Chiesa cattolica è, tra le varie confessioni cristiane, la sola che volti le spalle a Dio.
 
http://blog.messainlatino.it/

Notícias do III Congresso sobre o Motu Proprio Summorum Pontificum – Uma esperança para toda a Igreja


Iniciaram-se hoje, na Pontifícia Universidade São Tomás de Aquino, mais conhecida como Angelicum, os trabalhos abertos a todo público do “III Congresso Summorum Pontificum: uma esperança para toda a Igreja” (“III Convegno Summorum Pontificum: una speranza per tutta la Chiesa”) para o qual fomos convidados pela associação Giovani e Tradizione.
A missa de abertura, celebrada pelo Revdo. Padre Vicenzo Nuara, OP, presidente honorário da associação italiana Giovani e Tradizione e fundador da Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum, organizadoras do evento, realizou-se na Igreja de São Domingos, da mesma universidade, e contou com o serviço litúrgico e musical dos Franciscanos da Imaculada, jovem congregação que, a partir do Motu Proprio, aderiu à liturgia tridentina e que possui hoje cerca de setecentos membros em seus dois ramos, masculino e feminino. A adesão à liturgia tradicional tem trazido a essa congregação um número sempre crescente de vocações.
O público presente era numeroso, sendo notável a presença de grande quantidade de sacerdotes e religiosos, da Itália e do exterior, bem como as prestigiosas presenças de dois bispos – S. Excia. Revma. Dom Marc Aillet, bispo de Bayonne, e S. Excia. Revma. Dom Athanasius Schneider, bispo auxiliar de Astana – e de três cardeais – S. Ema. Revma. Cardeal Antonio Cañizares Llovera, prefeito da Congregação para o Culto Divino e a Disciplina dos Sacramentos, S. Em. Revma. Cardeal Kurt Koch, presidente do Pontifício Conselho para a promoção da Unidade dos cristãos, e S. Ema. Revma. Cardeal Castrillón Hoyos, presente ao fim dos trabalhos e à benção do Santíssimo, com a qual se finalizou o dia na Igreja de São Domingos.
Após a abertura oficial – pronunciada pelo Padre Nuara, em que agradeceu ao Santo Padre Bento XVI a promulgação do Motu Proprio Summorum Pontificum e também afirmou que mesmo os fiéis que seguem a forma ordinária do Rito Romano, ou seja, a reforma do Papa Paulo VI, têm o direito de conhecer a forma extraordinária desse Rito e que é dever dos padres e dos bispos fazê-lo conhecer a todos os fiéis, mesmo àqueles que não o peçam. E, por isso, o Usus Antiquor deveria existir em todas as paróquias e não apenas onde fosse pedida por alguns fiéis –, tomou a palavra S. Ema. Revma. Cardeal Cañizares Llovera, que tratou da importância da liturgia na vida da Igreja.
Segundo o Cardeal, ardoroso defensor da hermenêutica da continuidade, propugnada por Bento XVI, o pós-concílio foi marcado por uma concepção do homem como criador, concepção essa que não combina com uma liturgia inteiramente voltada para Deus, como deve ser, segundo ele, toda a liturgia católica. E, portanto, para uma verdadeira reforma litúrgica, é necessário renovar o conhecimento do sentido da liturgia, tanto nos sacerdotes quanto nos fiéis, colocando a adoração a Deus, o sacrifício de Cristo, no centro de toda a ação litúrgica.
Falou a seguir Dom Marc Aillet, bispo de Bayonne, numa conferência intitulada Spirito della liturgia, liturgia dello Spirito, em que defendeu, seguindo a atmosfera predominante, embora não exclusiva, do Congresso, um “clima paz e de reconciliação litúrgica”, afirmando que não pretendia, com suas observações sobre as qualidades da forma extraordinária, pôr “em discussão o missal de 1969”, pois que não pode haver, segundo ele, forma litúrgica que não tenha elementos contingentes. Sua Excia. ressaltou particularmente o fato de que o ofertório do Usus Antiquor manifesta de forma excelente o caráter propiciatório do sacrifício de Cristo, o que não acontece no Novus Ordo. Também procurou ressaltar alguns pontos positivos, segundo ele, da reforma litúrgica e que poderiam enriquecer o missal de 1962, como, por exemplo, as leituras mais variadas da Sagrada Escritura.
A terceira palestra foi pronunciada pelo Cardeal Kurt Koch que, de forma surpreendente, tratou do Usus Antiquor como uma “ponte ecumênica”, chegando a afirmar que hoje a Igreja Católica é a única Igreja cristã que não tem seu culto voltado para o Senhor, de onde deduzimos que ele apenas chamou de “igrejas”, separadas da católica, as cismáticas orientais, e não as diversas seitas protestantes, no espírito, aliás, da Declaração Dominus Iesus, do Papa João Paulo II.
Os trabalhos da manhã foram concluídos com a excelente e muito aplaudida conferência de Dom Athanasius Schneider, conferencista nas três edições do Convegno. Sob o título de As Ordens menores e o santo serviço do Altar, ele tratou de maneira erudita e profundamente teológica da importância da conservação das ordens menores na Igreja por, pelo menos, mil e setecentos anos, ressaltando sua imensa importância doutrinária no que tange ao sacerdócio católico, para concluir pedindo um novo Motu Proprio que as restabeleça, pois considera essa medida uma necessidade lógica da promulgação do Motu Proprio Summorum Pontificum e, portanto, “um grande bem para a Igreja”.
Após a recitação do terço, iniciaram-se as palestras da tarde com a conferência de Mons. Guido Pozzo, secretário da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, que devia falar sobre o tema O Motu Proprio Summorum Pontificum, balanço e perspectivas, mas que, de fato, concentrou seu pronunciamento sobre a instrução Universae Ecclesiae, promulgada ontem. Notável e curioso foi o fato de que, ao examinar detalhadamente os pontos desse documento, Mons. Pozzo saltou, em sua análise, do item 18 para o item 20, não mencionando, nem fazendo qualquer comentário sobre o delicado ponto de número 19, que define as condições sob as quais deve se encontrar o coetus fidelium para que lhe seja concedida a missa na forma extraordinária, embora tenha ressaltado, desde o início de sua palestra, que, segundo a mens da Comissão Ecclesia Dei, não deve haver nenhum espírito que oponha uma forma à outra. Tivemos ocasião de tratar, em particular, sobre o significado desse delicado ponto com alguns palestrantes do congresso e pudemos verificar que há nuances em sua interpretação.
Em seguida tomou a palavra o Padre Nicola Bux, do Instituto Teológico de Bari, autor do livro recém publicado Como ir à Missa e não perder a fé. Efetuando uma reflexão teológica sobre o sacramento da ordem – O sacramento da Ordem sacra no Pontifical Romano (editio typica de 1961-62) –, ele ressaltou que o culto devido a Deus é aquele que Deus mesmo estabeleceu e apresentou São João Batista como “protótipo do ministro sagrado”, que deve diminuir para que Cristo cresça, insistindo em que o ministro sacro não é o protagonista da liturgia, mas o próprio Cristo. Afirmou também, referindo-se aos escândalos de pedofilia, que onde há abusos litúrgicos, há sérios desvios morais.
A palestra seguinte – A origem apostólico-patrística da “Missa Tridentina” – foi preparada pela irmã Francisca da Imaculada, do ramo contemplativo das Franciscanas da Imaculada, que vivem em clausura. E, por isso, a conferência foi lida por uma irmã do ramo ativo da mesma congregação. Foi a única palestra a ser aplaudida de pé, pois a religiosa fez uma corajosa e erudita demonstração de que o chamado rito tridentino de nenhuma forma foi uma criação litúrgica efetuada em moldes semelhantes à do Papa Paulo VI, mas apenas uma purificação de um rito já então estabelecido há mais de mil anos pelo Papa São Gregório Magno. Citou, além disso, o Breve Exame Crítico do Novus Ordo, de autoria dos Cardeais Ottaviani e Bacci, lembrando a famosa afirmação de que o novo rito se afasta de forma impressionante da teologia católica da missa. Solicitamos à irmã leitora o texto da interessantíssima palestra, que ela prometeu enviar-nos e que pretendemos traduzir e publicar no site Montfort.
Fechou o Congresso o Prof. Roberto De Matei, da Univerdade Europeia de Roma, que dissertou sobre o latim como língua universal da Igreja Católica, propugnando o incremento necessário do estudo do latim e de sua difusão como língua litúrgica e de governo para uma verdadeira e profícua reforma da Igreja.
O dia do Congresso conclui-se com o canto do Te Deum e a benção do Santíssimo Sacramento, oficiada pelo Cardeal Castrillón Hoyos, na feliz expectativa da Missa Pontifical de encerramento, a ser celebrada amanhã pelo Cardeal Walter Brandmüller no Altar da Confissão na Basílica de São Pedro, de onde o rito gregoriano se encontrava banido há mais de quarenta anos. Laus Deo Virginique Matri!
Ivone Fedeli e Guilherme Chenta
Roma, 14 de maio de 2011

http://www.montfort.org.br/

Il significato dell'istruzione «Universae Ecclesiae» (Guido Pozzo)


Il significato dell'istruzione
«Universae Ecclesiae»


La costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium del concilio Vaticano II, afferma che «la Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità» (n. 37). Non sfugge a molti che oggi sia in questione la fede, per cui è necessario che le varietà legittime di forme rituali debbano ritrovare l’unità essenziale del culto cattolico. Il Papa Benedetto XVI lo ha ricordato accoratamente: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni, 13, 1) in Gesù Cristo crocifisso e risorto» (Lettera ai vescovi in occasione della revoca della scomunica ai quattro presuli consacrati dall’arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009).

Il beato Giovanni Paolo II richiamava a sua volta che «la sacra liturgia esprime e celebra l’unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale» (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 51) e che «la liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri» (ivi, n. 52). Nella costituzione liturgica conciliare si afferma inoltre: «il Sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la Santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati» (n. 4). La stima per le forme rituali è il presupposto dell’opera di revisione che di volta in volta si rendesse necessaria. Ora, le due forme ordinaria e extraordinaria della liturgia romana, sono un esempio di reciproco incremento e arricchimento. Chi pensa e agisce al contrario, intacca l’unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata, non svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità a cui hanno diritto.

In continuità col magistero dei suoi predecessori, Benedetto XVI promulgò nel 2007 il motu proprio Summorum Pontificum, con cui ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della liturgia romana, e ora ha dato mandato alla Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» di pubblicare l’istruzione Universae Ecclesiae per favorirne correttamente l’applicazione.

Nell’introduzione del documento si afferma: «Con tale motu proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa» (n. 2). Ciò significa che non si tratta di un indulto, né di una legge per gruppi particolari, ma di una legge per tutta la Chiesa, che, data la materia, è anche una «legge speciale» che «deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962» (n. 28). Va qui ricordato l’aureo principio patristico da cui dipende la comunione cattolica: «ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede» (n. 3). Il celebre principio lex orandi-lex credendi richiamato in questo numero, è alla base del ripristino della forma extraordinaria: non è cambiata la dottrina cattolica della messa nel rito romano, perché liturgia e dottrina sono inscindibili. Vi possono essere nell’una e nell’altra forma del rito romano, accentuazioni, sottolineature, esplicitazioni più marcate di alcuni aspetti rispetto ad altri, ma ciò non intacca l’unità sostanziale della liturgia.

La liturgia è stata ed è, nella disciplina della Chiesa, materia riservata al Papa, mentre gli ordinari e le conferenze episcopali hanno alcune competenze delegate, specificate dal diritto canonico. Inoltre, l’istruzione riafferma che vi sono ora «due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano (…) L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore» (n. 6). Il numero seguente riporta un passaggio-chiave della lettera del Santo Padre ai vescovi, che accompagna il motu proprio: «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» (n. 7). L’istruzione, in linea col motu proprio, non riguarda solo quanti desiderano continuare a celebrare la fede nello stesso modo con cui la Chiesa l’ha fatto sostanzialmente da secoli; il Papa vuole aiutare i cattolici tutti a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all’antica forma romana di celebrazione, comprendano che la costituzione Sacrosanctum Concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione.

(©L'Osservatore Romano 15 maggio 2011)
http://www-maranatha-it.blogspot.com/

La Virgen no estaba contenta en Fátima



Contrariamente a lo que podría esperarse en una aparición celestial a niños, la Virgen en Fátima no estaba contenta, sino muy triste. Es esto lo que afirma, en una entrevista inédita, Sor Lucía, la vidente que fue monja carmelita. Además, Sor Lucía da las razones del porqué de este semblante de la Virgen.
Comienza así el relato de la entrevista por parte del sacerdote: “La encontré (a Sor Lucía, vidente de Fátima) en su convento muy triste, pálida y demacrada; y me dijo: ‘Padre, la Santísima Virgen está triste, porque nadie hace caso a su mensaje, ni los buenos ni los malos. Los buenos porque prosiguen su camino de bondad pero sin hacer caso a este mensaje. Los malos porque no viendo el castigo de Dios actualmente sobre ellos, a causa de sus pecados, prosiguen también su camino de maldad. Pero créame, Padre, Dios va a castigar al mundo, y lo va a castigar de una manera tremenda…’”.
Según las palabras de Sor Lucía, nadie, ni los buenos ni los malos, hacen caso de los mensajes de Fátima: tanto unos como otros, piensan que son cuentos para niños. Piensan que porque la Virgen se apareció a niños, el mensaje, o está reservado para ellos, o tiene el valor que tiene una fábula para niños.
Sin embargo, no es un cuento para niños la siguiente aparición, relatada por Sor Lucía: “La Señora abrió las manos como en los meses pasados. El reflejo parecía penetrar en la tierra, y vimos como un mar de fuego: sumergidos en este fuego a los demonios y a las almas, como si fuesen brasas transparentes y negras o bronceadas, con forma humana, que fluctuaban en el incendio, llevadas por las llamas que salían de las mismas juntamente con nubes de humo, cayendo hacia todos los lados, seme­jante al caer de pavesas en los grandes incendios, sin peso ni equilibrio, entre gritos y gemidos de dolor y desesperación, que horrorizaban y hacían estremecer de pavor.
A la vista de esto di aquel “ay”, que dicen haberme oído. Los de­monios se distinguían por sus formas horribles y asquerosas de animales espantosos y desconocidos, pero transparentes como ne­gros carbones en brasa. Asustados y como para pedir socorro, levantamos la vista ha­cia Nuestra Señora que nos dijo entre bondad y tristeza: -Habéis visto el infierno, adonde van las almas de los po­bres pecadores. Para salvarlas, Dios quiere establecer en el mun­do la devoción a mi Inmaculado Corazón. Si hacéis lo que os digo se salvarán muchas almas y habrá paz. La guerra va a terminar. Pero si no dejan de ofender a Dios, en el pontificado de Pío XI comenzará otra peor. Cuando viereis una noche iluminada por una luz desconocida, sabed que es la señal que Dios os da de que va a castigar al mundo por sus crímenes por medio de la guerra, del hambre y de persecuciones de la Iglesia y del Santo Padre. Para impedirlo, vendré a pedir la consagración de Rusia a mi Inmaculado Corazón y la comunión reparadora de los prime­ros sábados (…)”.
No hacer caso –como hacen los buenos y los malos, según Sor Lucía- del mensaje de Fátima, produce nocivas consecuencias, una de ellas, el descuidar una fuente de conversión y santidad. como la visión del infierno.
Según Sor Lucía, la primera causa de santificación de Francisco y Jacinta fue ver la tristeza de la Virgen por el destino de los pecadores; la segunda causa, fue la visión del infierno: “Dígales también, Padre, que mis primos esta visión fue una de las causas de la santificación; lo primero Francisco y Jacinta se sacrificaron porque vieron siempre a la Santísima Virgen muy triste en todas sus apariciones. Nunca se sonrió con nosotros, y esa tristeza y angustia que notábamos en la Santísima Virgen, a causa de las ofensas a Dios y de los castigos que amenazaban a los pecadores, nos llegaban al alma. Lo segundo que santificó a los niños fue la visión del infierno”.
¿Por qué esta visión es causa de santificación? La razón por la que la meditación acerca de la realidad del infierno, destino de dolor por toda la eternidad al cual se encamina el impenitente, los santificó, es porque les concedió la contrición del corazón, que es el arrepentimiento perfecto. Se equivocan quienes piensan que Dios, siendo infinitamente misericordioso, no puede castigar con castigos tan dolorosos, y de un modo indefinido, para siempre. Quienes así piensan, no tienen en cuenta que, en Dios, misericordia y justicia están estrechamente relacionados, y que dejaría de ser quien es, Dios Perfectísimo, sino aplicara su justicia en la vida eterna.
La Virgen no estaba contenta en Fátima, ya que demostraba una gran tristeza, al comprobar cómo muchas almas se condenaban para siempre. También está triste la Iglesia, al comprobar cómo cientos de miles de sus hijos, niños, jóvenes, adultos y ancianos, se encaminan hacia la perdición eterna, seducidos por los ídolos de nuestra época: el materialismo, que niega el espíritu y lo sobrenatural; el hedonismo, que exalta la sensualidad corpórea, y el relativismo, que niega la Verdad Absoluta revelada en Cristo.
Pero hay otra advertencia que nos hace la Virgen María en Fátima, siempre según las palabras de Sor Lucía: estamos en el fin de los tiempos.
Continúa Sor Lucía, refiriéndose a las apariciones, advirtiéndonos que nos encontramos en peligro inminente de condenación, de continuar haciendo caso omiso de los mensajes dados por la Virgen en Fátima, mensajes que llaman a la oración, a la penitencia, al sacrificio: “Padre, no esperemos que venga de Roma una llamada a la penitencia, de parte del Santo Padre, para todo el mundo: ni esperemos tampoco que venga de parte de los señores Obispos para cada una de sus diócesis: ni siquiera tampoco de parte de las Congregaciones Religiosas. No: ya nuestro Señor usó muchas veces de estos medios y el mundo no le ha hecho caso. Por eso, ahora, ahora que cada uno de nosotros comience por sí mismo su reforma espiritual: que tiene que salvar no sólo su alma, sino salvar a todas las almas que Dios ha puesto en su camino. Por esto mismo Padre, no es mi misión indicarle al mundo los castigos materiales que ciertamente vendrán sobre al tierra si el mundo antes no hace oración y penitencia. No, mi misión es indicarle a todos lo inminente del peligro en que estamos de perder para siempre nuestra alma si seguimos aferrados al pecado. (…) Padre, la Santísima Virgen no me dijo que nos encontramos en los últimos tiempos del mundo, pero me lo dio a demostrar por tres motivos:
- el primero porque me dijo que el demonio está librando una batalla decisiva con la Virgen, y una batalla decisiva es una batalla final, en donde se va a saber de qué partido es la victoria, de qué partido es la derrota. Así que ahora o somos de Dios o somos del demonio.
- Lo segundo porque me dijo que dos eran los últimos remedios que Dios daba al mundo: el santo Rosario y la devoción al Inmaculado Corazón de María.
- Y tercero, porque siempre en los planos de la Divina Providencia, cuando Dios va a castigar al mundo, agota antes todos los demás medios, y cuando ha visto que el mundo no le ha hecho caso a ninguno de ellos, entonces, como si dijéramos a nuestro modo imperfecto de hablar, nos presenta con cierto temor el último medio de salvación, su Santísima Madre. Porque si despreciamos y rechazamos este último medio, ya no tendremos perdón del cielo, porque hemos cometido un pecado que, en el Evangelio suele llamarse pecado contra el Espíritu Santo: que consiste en rechazar abiertamente, con todo conocimiento y voluntad, la salvación que se presenta en las manos; y también porque nuestro Señor es muy buen hijo; y no permite que ofendamos y despreciemos a su Santísima Madre, teniendo como testimonio patente la historia de varios siglos de la Iglesia que con ejemplos terribles nos indica como Nuestro Señor siempre ha salido en defensa del honor de su Santísima Madre.”

http://deangelesysantos.blogspot.com/

Tercera Conferencia sobre el Motu Proprio “Summorum Pontificum”, “Una Esperanza para toda la Iglesia”, organizada por la Asociación “Giovani e Tradizione”·.


A lo largo del  día de hoy, y en el Angelicum de Roma (Universidad Pontificia de los Dominicos) continúan celebrándose, con gran altura en las ponencias y nutrida concurrencia de asistencia, las sesiones de la Tercera Conferencia sobre el Motu Proprio “Summorum Pontificum”,  “Una Esperanza para toda la Iglesia”, organizada por la Asociación “Giovani e Tradizione”·.
En la sesión de hoy intervinieron, entre otros, los cardenales Cañizares (Culto Divino), y Koch (Unidad de los Cristianos), los obispos de Bayona (Marc Aillet) y auxiliar de Astana (monseñor Schneider), así como monseñor Nicola Bux y monseñor Guido Pozzo (Secretario de “Ecclesia Dei”).
La conferencia concluirá mañana con una solemne Misa Pontifical en el altar de la cátedra de San Pedro, en la basílica vaticana, que celebrará Su Eminencia el cardenal Walter Brandmüller, Presidente del Pontificio Comité de Ciencias Históricas

http://hocsigno.wordpress.com/

FOTOS DO CÍRCULO DO ARCO ÍRIS EM VOLTA DO SOL QUE SE VIU NO SANTUÁRIO DE FÁTIMA A 13 DE MAIO DE 2011 NO FINAL DA MISSA EM QUE SE VIA UM VIDEO DA VIDA DO BEATO JOAO PAULO II, TAL FENÓMENO DUROU MAIS DE UMA HORA E FOI VISTO TAMBÉM A MAIS DE 30KM DE FÁTIMA

http://g1.globo.com/VCnoG1/foto/0,,26957909,00.jpghttp://www.dn.pt/storage/DN/2011/big/ng1527165.jpg?type=big&pos=0http://astropt.org/blog/wp-content/uploads/2011/05/fatima-halo-solar.jpghttp://www.jn.pt/Storage/JN/2011/big/ng1526611.jpg

sexta-feira, 13 de maio de 2011

* PONTIFÍCIA COMISSÃO ECCLESIA DEI INSTRUÇÃO Sobre ... * PONTIFICIA COMISIÓN ECCLESIA DEI INSTRUCCIÓN sobr... * PÄPSTLICHE KOMMISSION ECCLESIA DEI INSTRUKTION üb... * PONTIFICAL COMMISSION ECCLESIA DEI INSTRUCTION on... * COMMISSION PONTIFICALE ECCLESIA DEI INSTRUCTION s... * TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA PONTIFICIA COMMISS... * ISTRUZIONE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA D... * ESPANTOSO CIRCULO DE ARCO-ÍRIS EM VOLTA DO SOL HOJ...

05/08 - 05/15 (33)

PONTIFÍCIA COMISSÃO ECCLESIA DEI INSTRUÇÃO Sobre a aplicação da Carta Apostólica Motu Proprio Summorum Pontificum de S. S. O PAPA BENTO XVI


http://blog.adw.org/wp-content/uploads/St-Marys-Trid-Mass-smallerer.jpghttp://4.bp.blogspot.com/_2tggLZ2rGkg/TQi8ed5IZdI/AAAAAAAAKBY/GJgtNWDcvO0/s1600/0.jpghttp://www.catholichomeandgarden.com/images/high%20mass.jpg


I.
Introdução
1. A Carta Apostólica Summorum Pontificum Motu Proprio data do Soberano Pontífice Bento XVI, de 7 de julho de 2007, e em vigor a partir de 14 de setembro de 2007, fez mais acessível à Igreja universal a riqueza da Liturgia Romana.
2. Com o sobredito Motu Proprio o Sumo Pontífice Bento XVI promulgou uma lei universal para a Igreja com a intenção de dar uma nova regulamentação acerca do uso da Liturgia Romana em vigor no ano de 1962.
3. Tendo recordado a solicitude dos Sumos Pontífices no cuidado pela Santa Liturgia e na revisão dos livros litúrgicos, o Santo Padre reafirma o princípio tradicional, reconhecido dos tempos imemoráveis, a ser necessariamente conservado para o futuro, e segundo o qual "cada Igreja particular deve concordar com a Igreja universal, não só quanto à fé e aos sinais sacramentais, mas também quanto aos usos recebidos universalmente da ininterrupta tradição apostólica, os quais devem ser observados tanto para evitar os erros quanto para transmitir a integridade da fé, de sorte que a lei de oração da Igreja corresponda à lei da fé."1
4. O Santo Padre recorda, ademais, os Pontífices romanos que particularmente se esforçaram nesta tarefa, em especial São Gregório Magno e São Pio V. O Papa salienta que, entre os sagrados livros litúrgicos, o Missale Romanum teve um papel relevante na história e foi objeto de atualização ao longo dos tempos até o beato Papa João XXIII. Sucessivamente, no decorrer da reforma litúrgica posterior ao Concílio Vaticano II, o Papa Paulo VI aprovou em 1970 um novo missal, traduzido posteriormente em diversas línguas, para a Igreja de rito latino. No ano de 2000 o Papa João Paulo II, de feliz memória, promulgou uma terceira edição do mesmo.
5. Diversos fiéis, tendo sido formados no espírito das formas litúrgicas precedentes ao Concílio Vaticano II, expressaram o ardente desejo de conservar a antiga tradição. Por isso o Papa João Paulo II, por meio de um Indulto especial, emanado pela Congregação para o Culto Divino, Quattuor abhinc annos, em 1984, concedeu a faculdade de retomar, sob certas condições, o uso do Missal Romano promulgado pelo beato Papa João XXIII. Além disso, o Papa João Paulo II, com o Motu Próprio Ecclesia Dei de 1988, exortou os bispos a que fossem generosos ao conceder a dita faculdade a favor de todos os fiéis que o pedissem. Na mesma linha se põe o Papa Bento XVI com o Motu Próprio Summorum Pontificum, no qual são indicados alguns critérios essenciais para o Usus Antiquior do Rito Romano, que oportunamente aqui se recordam.
6. Os textos do Missal Romano do Papa Paulo VI e daquele que remonta à última edição do Papa João XXIII são duas formas da Liturgia Romana, definidas respectivamente ordinária e extraordinária: trata-se aqui de dois usos do único Rito Romano, que se põem um ao lado do outro. Ambas as formas são expressões da mesma lex orandi da Igreja. Pelo seu uso venerável e antigo a forma extraordinária deve ser conservada em devida honra.
7. O Motu Proprio Summorum Pontificum é acompanhado de uma Carta do Santo Padre, com a mesma data do Motu Próprio (7 de julho de 2007). Nela se dão ulteriores elucidações acerca da oportunidade e da necessidade do supracitado documento; faltando uma legislação que regulasse o uso da Liturgia romana de 1962 era necessária uma nova e abrangente regulamentação. Esta regulamentação se fazia mister especialmente porque no momento da introdução do novo missal não parecia necessário emanar disposições que regulassem o uso da Liturgia vigente em 1962. Por causa do aumento de quanto solicitam o uso da forma extraordinária fez-se necessário dar algumas normas a respeito. Entre outras coisas o Papa Bento XVI afirma: "Não existe qualquer contradição entre uma edição e outra do Missale Romanum. Na história da Liturgia, há crescimento e progresso, mas nenhuma ruptura. Aquilo que para as gerações anteriores era sagrado, permanece sagrado e grande também para nós, e não pode ser de improviso totalmente proibido ou mesmo prejudicial."2
8. O Motu Proprio Summorum Pontificum constitui uma expressão privilegiada do Magistério do Romano Pontífice e do seu próprio múnus de regulamentar e ordenar a Liturgia da Igreja3 e manifesta a sua preocupação de Vigário de Cristo e Pastor da Igreja universal4. O Motu Proprio se propõe como objetivo:
a) oferecer a todos os fiéis a Liturgia Romana segundo o Usus Antiquior, considerada como um tesouro precioso a ser conservado;
b) garantir e assegurar realmente a quantos o pedem o uso da forma extraordinária, supondo que o uso da Liturgia Romana vigente em 1962 é uma faculdade concedida para o bem dos fiéis e que por conseguinte deve ser interpretada em sentido favorável aos fiéis, que são os seus principais destinatários;
c) favorecer a reconciliação ao interno da Igreja.
II.
Tarefas da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei
9. O Sumo Pontífice conferiu à Pontifícia Comissão Ecclesia Dei poder ordinário vicário para a matéria de sua competência, de modo particular no que tocante à exata obediência e à vigilância na aplicação das disposições do Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
10. § 1. A Pontifícia Comissão Ecclesia Dei exerce tal poder tanto por meio das faculdades a ela anteriormente conferidas pelo Papa João Paulo II e confirmadas pelo Papa Bento XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 11-12) quanto por meio do poder de decidir sobre os recursos administrativos a ela legitimamente remetidos, na qualidade de Superior hierárquico, mesmo contra uma eventual medida administrativa singular do Ordinário que pareça contrário ao Motu Proprio.
§ 2. Os decretos com os quais a Pontifícia Comissão julga os recursos são passíveis de apelação ad normam iuris junto do Supremo Tribunal da Assinatura Apostólica.
11. Compete à Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, depois de aprovação da Congregação para o Culto Divino e Disciplina dos Sacramentos, a tarefa de preparar a eventual edição dos textos litúrgicos concernentes à forma extraordinária.
III.
Normas específicas
12. A Pontifícia Comissão, por força da autoridade que lhe foi atribuída e das faculdades de que goza, dispõe, depois da consulta feita aos Bispos do mundo inteiro, com o ânimo de garantir a correta interpretação e a reta aplicação do Motu Proprio Summorum Pontificum, emite a presente Instrução, de acordo com o cânone 34 do Código de Direito Canônico.
A competência dos Bispos diocesanos
13. Os bispos diocesanos, segundo o Código de Direito Canônico5, devem vigiar em matéria litúrgica a fim de garantir o bem comum e para que tudo se faça dignamente, em paz e serenidade na própria Diocese, sempre de acordo com a mens do Romano Pontífice, claramente expressa no Motu Proprio Summorum Pontificum.6 No caso de controvérsia ou de dúvida fundada acerca da celebração na forma extraordinária julgará a Pontifícia Comissão Ecclesia Dei.
14. É tarefa do Ordinário tomar as medidas necessárias para garantir o respeito da forma extraordinária do Rito Romano, de acordo com o Motu Proprio Summorum Pontificum.
O coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 §1).
15. Um coetus fidelium será considerado stabiliter exsistens, de acordo com o art. 5 §1 do supracitado Motu Proprio, quando for constituído por algumas pessoas de uma determinada paróquia unidas por causa da veneração pela Liturgia em seu Usus Antiquior, seja antes, seja depois da publicação do Motu Proprio, as quais pedem que a mesma seja celebrada na própria igreja paroquial, num oratório ou capela; dito coetus pode ser também constituído por pessoas que vêm de diferentes paróquias ou dioceses e que convergem em uma igreja paroquial ou oratório ou capela destinados a tal fim.
16. No caso em que um sacerdote se apresente ocasionalmente com algumas pessoas em uma igreja paroquial ou oratório e queira celebrar na forma extraordinária, como previsto pelos artigos 2 e 4 do Motu Proprio Summorum Pontificum, o pároco ou o reitor de uma igreja, ou o sacerdote responsável por uma igreja, o admita a tal celebração, levando todavia em conta as exigências da programação dos horários das celebrações litúrgicas da igreja em questão.
17. §1. A fim de decidir nos casos particulares, o pároco, ou o reitor ou o sacerdote responsável por uma igreja, lançará mão da sua prudência, deixando-se guiar pelo zelo pastoral e por um espírito de generosa hospitalidade.
§2. No caso de grupos menos numerosos, far-se-á apelo ao Ordinário do lugar para determinar uma igreja à qual os fiéis possam concorrer para assistir a tais celebrações, de tal modo que se assegure uma mais fácil participação dos mesmos e uma celebração mais digna da Santa Missa.
18. Também nos santuários e lugares de peregrinação deve-se oferecer a possibilidade de celebração na forma extraordinária aos grupos de peregrinos que o pedirem (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se houver um sacerdote idôneo.
19. Os fiéis que pedem a celebração da forma extraordinária não devem apoiar nem pertencer a grupos que se manifestam contrários à validade ou à legitimidade da Santa Missa ou dos Sacramentos celebrados na forma ordinária, nem ser contrários ao Romano Pontífice como Pastor Supremo da Igreja universal.
O sacerdote idôneo (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum , art. 5 § 4)
20. No tocante à questão dos requisitos necessários para que um sacerdote seja considerado "idôneo" para celebrar na forma extraordinária, enuncia-se quanto segue:
a) O sacerdote que não for impedido segundo o Direito Canônico7, deve ser considerado idôneo para a celebração da Santa Missa na forma extraordinária;
b) No que se refere à língua latina, é necessário um conhecimento de base, que permita pronunciar as palavras de modo correto e de entender o seu significado;
c) Em referimento ao conhecimento e execução do Rito, se presumem idôneos os sacerdotes que se apresentam espontaneamente a celebrar na forma extraordinária, e que já o fizeram no passado
21. Aos Ordinários se pede que ofereçam ao clero a possibilidade de obter uma preparação adequada às celebrações na forma extraordinária, o que também vale para os Seminários, onde se deve prover à formação conveniente dos futuros sacerdotes com o estudo do latim8 e oferecer, se as exigências pastorais o sugerirem, a oportunidade de aprender a forma extraordinária do Rito.
22. Nas dioceses onde não houver sacerdotes idôneos, os bispos diocesanos podem pedir a colaboração dos sacerdotes dos Institutos erigidos pela Comissão Ecclesia Dei ou dos sacerdotes que conhecem a forma extraordinária do Rito, seja em vista da celebração, seja com vistas ao seu eventual ensino.
23. A faculdade para celebrar a Missa sine populo (ou só com a participação de um ajudante) na forma extraordinária do rito Romano foi dada pelo Motu Proprio a todo sacerdote, seja secular, seja religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art.2). Assim sendo, em tais celebrações, os sacerdotes, segundo o Motu Proprio Summorum Pontificum, não precisam de nenhuma permissão especial dos próprios Ordinários ou superiores.
A disciplina litúrgica e eclesiástica
24. Os livros litúrgicos da forma extraordinária devem ser usados como previstos em si mesmos. Todos os que desejam celebrar segundo a forma extraordinária do Rito Romano devem conhecer as respectivas rubricas e são obrigados a executá-las corretamente nas celebrações.
25. No Missal de 1962 poderão e deverão inserir-se novos santos e alguns dos novos prefácios9, segundo as diretrizes que ainda hão de ser indicadas.
26. Como prevê o Motu Proprio Summorum Pontificum no art. 6, precisa-se que as leituras da Santa Missa do Missal de 1962 podem ser proclamadas ou somente em língua latina, ou em língua latina seguida da tradução em língua vernácula ou ainda, nas missas recitadas, só em língua vernácula.
27. No que diz respeito às normas disciplinares conexas à celebração, aplica-se a disciplina eclesiástica contida no Código de Direito Canônico de 1983.
28. Outrossim, por força do seu caráter de lei especial, no seu próprio âmbito, o Motu Proprio Summorum Pontificum derroga os textos legislativos inerentes aos sagrados Ritos promulgados a partir de 1962 e incompatíveis com as rubricas dos livros litúrgicos em vigor em 1962.
Crisma e a Sagrada Ordem
29. A concessão de usar a fórmula antiga para o rito da Crisma foi confirmada pelo Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9, §2). Por isso para a forma extraordinária não é necessário lançar mão da fórmula renovada do Rito da Confirmação promulgado por Paulo VI.
30. No que diz respeito a tonsura, ordens menores e subdiaconado, o Motu Proprio Summorum Pontificum não introduz nenhuma mudança na disciplina do Código de Direito Canônico de 1983; por conseguinte, onde se mantém o uso dos livros litúrgicos da forma extraordinária, ou seja, nos Institutos de Vida Consagrada e Sociedades de Vida Apostólica que dependem da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, o membro professo de votos perpétuos ou aquele incorporado definitivamente numa sociedade clerical de vida apostólica, pela recepção do diaconado incardina-se como clérigo no respectivo instituto ou sociedade de acordo com o cân. 266, § 2 do Código de Direito Canônico.
31. Somente aos Institutos de Vida Consagrada e Sociedades de Vida Apostólica que dependem da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, e àqueles nos quais se conserva o uso dos livros litúrgicos da forma extraordinária, se permite o uso do Pontifical Romano de 1962 para o conferimento das ordens menores e maiores.
Breviarium Romanum
32. Outorga-se aos clérigos a faculdade de usar o Breviarium Romanum em vigor no ano de 1962, conforme o art. 9, § 3 do Motu Proprio Summorum Pontificum. Deve ser recitado integralmente e em latim.
O Tríduo Pascal
33. O coetus fidelium que adere à tradição litúrgica precedente, no caso de dispor de um sacerdote idôneo, pode também celebrar o Tríduo Sacro na forma extraordinária. Caso não haja uma igreja ou oratório destinados exclusivamente para estas celebrações, o pároco ou o Ordinário, em acordo com o sacerdote idôneo, disponham as modalidades mais favoráveis para o bem das almas, não excluindo a possibilidade de uma repetição das celebrações do Tríduo Sacro na mesma igreja.
Os ritos das Ordens Religiosas
34. Aos membros das Ordens Religiosas se permite o uso dos livros litúrgicos próprios, vigentes em 1962.
Pontificale Romanum e Rituale Romanum
35. Permite-se o uso do Pontificale Romanum e do Rituale Romanum, também como do Caeremoniale Episcoporum, vigentes em 1962, de acordo com o art. 28, levando-se em conta, no entanto, quanto disposto no n. 31 desta Instrução.
O Sumo Pontífice Bento XVI, em Audiência concedida no dia 8 de abril de 2011 ao subscrito Cardeal Presidente da Pontifícia Comissão "Ecclesia Dei", aprovou a presente Instrução e ordenou que se publicasse.
Dado em Roma, na Sede da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei, aos 30 de abril de 2011, memória de São Pio V.
William Cardeal Levada
Presidente
Mons. Guido Pozzo
Secretário
________________
1 BENTO XVI, Carta Apostólica Summorum Pontificum dada como Motu Proprio, I, in AAS 99 (2007) 777; cf. Introdução geral do Missal Romano, terceira ed. 2002, n. 397.
2 BENTO XVI, Carta aos Bispos que acompanha a Carta Apostólica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sobre o uso da Liturgia romana anterior à reforma de 1970, in AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. C.I.C. can. 838 § 1 e § 2.
4 Cf. C.I.C. can. 331.
5 Cf. C.I.C. can. 223 § 2; 838 §1 e § 4
6 Cf. BENTO XVI, Carta aos Bispos que acompanha a Carta Apostólica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sobre o uso da Liturgia romana anterior à reforma de 1970 , in AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. C.I.C. can. 900, § 2.
8 Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Decl. Optatam Totius n. 13.
9 Cf. BENTO XVI, Carta aos Bispos que acompanha a Carta Apostólica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sobre o uso da Liturgia romana anterior à reforma de 1970, in AAS 99 (2007) 797.
[00711-06.01] [Texto original: Latino]
[B0287-XX.01]

PONTIFICIA COMISIÓN ECCLESIA DEI INSTRUCCIÓN sobre la aplicación de la Carta Apostólica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" de S. S. BENEDICTO PP. XVI

http://www.youngcatholicadults.co.uk/news_files/consecration-1.jpghttp://phoenixlatinmass.com/Images/homeeaster2007.jpghttp://uvcarmel.files.wordpress.com/2009/11/fssp-sarasota.jpg?w=468&h=374http://2.bp.blogspot.com/_GK9vk5xxaSs/Rfbro-CqTOI/AAAAAAAAArg/JzF-swVZmwg/s1600/Tridentine%2BMass%2Bin%2BSt.%2BLouis.jpg
I.
Introducción

1. La Carta Apostólica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" del Sumo Pontífice Benedicto XVI, del 7 de julio de 2007, entrada en vigor el 14 de septiembre de 2007, ha hecho más accesible a la Iglesia universal la riqueza de la Liturgia Romana.
2. Con tal Motu Proprio el Sumo Pontífice Benedicto XVI ha promulgado una ley universal para la Iglesia, con la intención de dar una nueva reglamentación para el uso de la Liturgia Romana vigente en 1962.
3. El Santo Padre, después de haber recordado la solicitud que los sumos pontífices han demostrado en el cuidado de la Sagrada Liturgia y la aprobación de los libros litúrgicos, reafirma el principio tradicional, reconocido desde tiempo inmemorial, y que se ha de conservar en el porvenir, según el cual «cada Iglesia particular debe concordar con la Iglesia universal, no solo en cuanto a la doctrina de la fe y a los signos sacramentales, sino también respecto a los usos universalmente aceptados de la ininterrumpida tradición apostólica, que deben observarse no solo para evitar errores, sino también para transmitir la integridad de la fe, para que la ley de la oración de la Iglesia corresponda a su ley de fe»1.
4. El Santo Padre ha hecho memoria además de los romanos pontífices que, en modo particular, se han comprometido en esta tarea, especialmente de san Gregorio Magno y san Pío V. El Papa subraya asimismo que, entre los sagrados libros litúrgicos, el Missale Romanum ha tenido un relieve histórico particular, y a lo largo de los años ha sido objeto de distintas actualizaciones hasta el pontificado del beato Juan XXIII. Con la reforma litúrgica que siguió al Concilio Vaticano II, en 1970 el papa Pablo VI aprobó un nuevo Misal para la Iglesia de rito latino, traducido posteriormente en distintas lenguas. En el año 2000 el papa Juan Pablo II promulgó la tercera edición del mismo.
5. Muchos fieles, formados en el espíritu de las formas litúrgicas anteriores al Concilio Vaticano II, han expresado el vivo deseo de conservar la tradición antigua. Por este motivo, el papa Juan Pablo II, con el Indulto especial Quattuor abhinc annos, emanado en 1984 por la Sagrada Congregación para el Culto Divino, concedió, bajo determinadas condiciones, la facultad de volver a usar el Misal Romano promulgado por el beato Juan XXIII. Además, Juan Pablo II, con el Motu Proprio "Ecclesia Dei", de 1988, exhortó a los obispos a que fueran generosos en conceder dicha facultad a todos los fieles que la pidieran. El papa Benedicto XVI ha seguido la misma línea a través del Motu Proprio "Summorum Pontificum", en el cual se indican algunos criterios esenciales para el usus antiquior del Rito Romano, que aquí es oportuno recordar.
6. Los textos del Misal Romano del papa Pablo VI y del Misal que se remonta a la última edición del papa Juan XXIII, son dos formas de la Liturgia Romana, definidas respectivamente ordinaria y extraordinaria: son dos usos del único Rito Romano, que se colocan uno al lado del otro. Ambas formas son expresión de la misma lex orandi de la Iglesia. Por su uso venerable y antiguo, la forma extraordinaria debe ser conservada con el honor debido.
7. El Motu Proprio "Summorum Pontificum" está acompañado por una Carta del Santo Padre a los obispos, que lleva la misma fecha del Motu Proprio (7 de julio de 2007). Con ella se ofrecen ulteriores aclaraciones sobre la oportunidad y necesidad del mismo Motu Proprio; es decir, se trataba de colmar una laguna, dando una nueva normativa para el uso de la Liturgia Romana vigente en 1962. Tal normativa se hacía especialmente necesaria por el hecho de que, en el momento de la introducción del nuevo Misal, no pareció necesario emanar disposiciones que reglamentaran el uso de la Liturgia vigente desde 1962. Debido al aumento de los que piden poder usar la forma extraordinaria, se ha hecho necesario dar algunas normas al respecto.
Entre otras cosas el papa Benedicto XVI afirma: «No hay ninguna contradicción entre una y otra edición del ‘Missale Romanum’. En la historia de la Liturgia hay crecimiento y progreso pero ninguna ruptura. Lo que para las generaciones anteriores era sagrado, también para nosotros permanece sagrado y grande y no puede ser de improviso totalmente prohibido o incluso perjudicial»2.
8. El Motu Proprio "Summorum Pontificum" constituye una relevante expresión del magisterio del Romano Pontífice y del munus que le es propio, es decir, regular y ordenar la Sagrada Liturgia de la Iglesia3, y manifiesta su preocupación como Vicario de Cristo y Pastor de la Iglesia Universal4. El documento tiene como objetivo:
a) ofrecer a todos los fieles la Liturgia Romana en el usus antiquior, considerada como un tesoro precioso que hay que conservar;
b) garantizar y asegurar realmente el uso de la forma extraordinaria a quienes lo pidan, considerando que el uso la Liturgia Romana entrado en vigor en 1962 es una facultad concedida para el bien de los fieles y, por lo tanto, debe interpretarse en sentido favorable a los fieles, que son sus principales destinatarios;
c) favorecer la reconciliación en el seno de la Iglesia.
II.
Tareas de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei
9. El Sumo Pontífice ha conferido a la Pontificia Comisión Ecclesia Dei potestad ordinaria vicaria para la materia de su competencia, especialmente para supervisar la observancia y aplicación de las disposiciones del Motu Proprio "Summorum Pontificum" (cf. art. 12).
10. § 1. La Pontificia Comisión ejerce tal potestad a través de las facultades precedentemente concedidas por el papa Juan Pablo II y confirmadas por el papa Benedicto XVI (cf. Motu Proprio "Summorum Pontificum", art. 11-12), y también a través del poder de decidir sobre los recursos que legítimamente se le presenten, como superior jerárquico, contra una eventual medida administrativa del ordinario que parezca contraria al Motu Proprio.
§ 2. Los decretos con los que la Pontificia Comisión decide sobre los recursos podrán ser impugnados ad normam iuris ante el Tribunal Supremo de la Signatura Apostólica.
11. Compete a la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, previa aprobación de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos, la tarea de ocuparse de la eventual edición de los textos litúrgicos relacionados con la forma extraordinaria del Rito Romano.
III.
Normas específicas
12. Esta Pontificia Comisión, en virtud de la autoridad que le ha sido atribuida y de las facultades de las que goza, después de la consulta realizada entre los obispos de todo el mundo, para garantizar la correcta interpretación y la recta aplicación del Motu Proprio "Summorum Pontificum", emana la siguiente Instrucción, a tenor del can. 34 del Código de Derecho Canónico.
La competencia de los Obispos diocesanos
13. Los obispos diocesanos, según el Código de Derecho Canónico, deben vigilar en materia litúrgica en atención al bien común y para que todo se desarrolle dignamente, en paz y serenidad en sus diócesis5, de acuerdo siempre con la mens del Romano Pontífice, claramente expresada en el Motu Proprio "Summorum Pontificum"6. En caso de controversias o dudas fundadas acerca de la celebración en la forma extraordinaria, decidirá la Pontificia Comisión Ecclesia Dei.
14. Es tarea del obispo diocesano adoptar las medidas necesarias para garantizar el respeto de la forma extraordinaria del Rito Romano, a tenor del Motu Proprio "Summorum Pontificum".
El coetus fidelum (cf. Motu Proprio "Summorum Pontificum", art. 5 § 1)
15. Un coetus fidelium se puede definir stabiliter existens, a tenor el art. 5 § 1 del Motu Proprio "Summorum Pontificum", cuando esté constituido por algunas personas de una determinada parroquia que, incluso después de la publicación del Motu Proprio, se hayan unido a causa de la veneración por la Liturgia según el usus antiquior, las cuales solicitan que ésta sea celebrada en la iglesia parroquial o en un oratorio o capilla; tal coetus puede estar también compuesto por personas que provengan de diferentes parroquias o diócesis y que, para tal fin, se reúnen en una determinada parroquia o en un oratorio o capilla.
16. En caso de que un sacerdote se presente ocasionalmente con algunas personas en una iglesia parroquial o en un oratorio, con la intención de celebrar según la forma extraordinaria, como previsto en los art. 2 y 4 del Motu Proprio "Summorum Pontificum", el párroco o el rector de una iglesia o el sacerdote responsable admitan tal celebración, respetando las exigencias de horarios de las celebraciones litúrgicas de la misma iglesia.
17. § 1. Con el fin de decidir en cada caso, el párroco, el rector o el sacerdote responsable de una iglesia se comportará según su prudencia, dejándose guiar por el celo pastoral y un espíritu de generosa hospitalidad.
§ 2. En los casos de grupos numéricamente menos consistentes, habrá que dirigirse al ordinario del lugar para individuar una iglesia en la que dichos fieles puedan reunirse para asistir a tales celebraciones y garantizar así una participación más fácil y una celebración más digna de la Santa Misa.
18. También en los santuarios y lugares de peregrinación se ofrezca la posibilidad de celebrar en la forma extraordinaria a los grupos de peregrinos que lo requieran (cf. Motu Proprio "Summorum Pontificum", art. 5 § 3), si hay un sacerdote idóneo.
19. Los fieles que piden la celebración en la forma extraordinaria no deben sostener o pertenecer de ninguna manera a grupos que se manifiesten contrarios a la validez o legitimidad de la Santa Misa o de los sacramentos celebrados en la forma ordinaria o al Romano Pontífice como Pastor Supremo de la Iglesia universal.
El sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)
20. Sobre los requisitos necesarios para que un sacerdote sea considerado idóneo para celebrar en la forma extraordinaria, se establece cuanto sigue:
a) cualquier sacerdote que no esté impedido a tenor del Derecho Canónico se considera sacerdote idóneo para celebrar la Santa Misa en la forma extraordinaria7;
b) en relación al uso de la lengua latina, es necesario un conocimiento suficiente que permita pronunciar correctamente las palabras y entender su significado;
c) en lo que respecta al conocimiento del desarrollo del rito, se presumen idóneos los sacerdotes que se presenten espontáneamente para celebrar en la forma extraordinaria y la hayan usado anteriormente.
21. Se exhorta a los ordinarios a que ofrezcan al clero la posibilidad de adquirir una preparación adecuada para las celebraciones en la forma extraordinaria. Esto vale también para los seminarios, donde se deberá proveer a que los futuros sacerdotes tengan una formación conveniente en el estudio del latín8 y, según las exigencias pastorales, ofrecer la oportunidad de aprender la forma extraordinaria del rito.
22. En las diócesis donde no haya sacerdotes idóneos, los obispos diocesanos pueden solicitar la colaboración de los sacerdotes de los institutos erigidos por la Comisión Ecclesia Dei o de quienes conozcan la forma extraordinaria del rito, tanto para su celebración como para su eventual aprendizaje.
23. La facultad para celebrar la Misa sine populo (o con la participación del solo ministro) en la forma extraordinaria del Rito Romano es concedida por el Motu Proprio a todos los sacerdotes diocesanos y religiosos (cf. Motu Proprio "Summorum Pontificum", art. 2). Por lo tanto, en tales celebraciones, los sacerdotes, en conformidad con el Motu Proprio "Summorum Pontificum", no necesitan ningún permiso especial de sus ordinarios o superiores.
La disciplina litúrgica y eclesiástica
24. Los libros litúrgicos de la forma extraordinaria han de usarse tal como son. Todos aquellos que deseen celebrar según la forma extraordinaria del Rito Romano deben conocer las correspondientes rúbricas y están obligados a observarlas correctamente en las celebraciones.
25. En el Misal de 1962 podrán y deberán ser inseridos nuevos santos y algunos de los nuevos prefacios9, según a la normativa que será indicada más adelante.
26. Como prevé el art. 6 del Motu Proprio "Summorum Pontificum", se precisa que las lecturas de la Santa Misa del Misal de 1962 pueden ser proclamadas exclusivamente en lengua latina, o bien en lengua latina seguida de la traducción en lengua vernácula o, en las Misas leídas, también sólo en lengua vernácula.
27. Con respecto a las normas disciplinarias relativas a la celebración, se aplica la disciplina eclesiástica contenida en el Código de Derecho Canónico de 1983.
28. Además, en virtud de su carácter de ley especial, dentro de su ámbito propio, el Motu Proprio "Summorum Pontificum" deroga aquellas medidas legislativas inherentes a los ritos sagrados, promulgadas a partir de 1962, que sean incompatibles con las rúbricas de los libros litúrgicos vigentes en 1962.
Confirmación y Orden sagrado
29. La concesión de utilizar la antigua fórmula para el rito de la Confirmación fue confirmada por el Motu Proprio "Summorum Pontificum" (cf. art. 9 § 2). Por lo tanto, no es necesario utilizar para la forma extraordinaria la fórmula renovada del Ritual de la Confirmación promulgado por el Papa Pablo VI.
30. Con respecto a la tonsura, órdenes menores y subdiaconado, el Motu Proprio "Summorum Pontificum" no introduce ningún cambio en la disciplina del Código de Derecho Canónico de 1983; por lo tanto, en los institutos de vida consagrada y en las sociedades de vida apostólica que dependen de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, el profeso con votos perpetuos en un instituto religioso o incorporado definitivamente a una sociedad clerical de vida apostólica, al recibir el diaconado queda incardinado como clérigo en ese instituto o sociedad (cf. can. 266 § 2 del Código de Derecho Canónico).
31. Sólo en los institutos de vida consagrada y en las sociedades de vida apostólica que dependen de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei y en aquellos donde se mantiene el uso de los libros litúrgicos de la forma extraordinaria se permite el uso del Pontificale Romanum de 1962 para conferir las órdenes menores y mayores.
Breviarium Romanum
32. Se concede a los clérigos la facultad de usar el Breviarium Romanum en vigor en 1962, según el art. 9 § 3 del Motu Proprio "Summorum Pontificum". El mismo se recita integralmente en lengua latina.
El Triduo Pascual
33. El coetus fidelium que sigue la tradición litúrgica anterior, si hubiese un sacerdote idóneo, puede celebrar también el Triduo Pascual en la forma extraordinaria. Donde no haya una iglesia u oratorio previstos exclusivamente para estas celebraciones, el párroco o el ordinario, de acuerdo con el sacerdote idóneo, dispongan para ellas las modalidades más favorables, sin excluir la posibilidad de una repetición de las celebraciones del Triduo Pascual en la misma iglesia.
Los Ritos de la Ordenes Religiosas
34. Se permite el uso de los libros litúrgicos propios de las órdenes religiosas vigente en 1962.
Pontificale Romanum y Rituale Romanum
35. Se permite el uso del Pontificale Romanum y del Rituale Romanum, así como del Caeremoniale Episcoporum vigente en 1962, a tenor del n. 28 de esta Instrucción, quedando en vigor lo dispuesto en el n. 31 de la misma.
El Sumo Pontífice Benedicto XVI, en la Audiencia del día 8 de abril de 2011, concedida al suscrito Cardenal Presidente de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, ha aprobado la presente Instrucción y ha ordenado su publicación.
Dado en Roma, en la sede de la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, el 30 de abril de 2011, memoria de san Pio V.
William Cardenal Levada
Presidente
Mons. Guido Pozzo
Secretario
_______________
1 Benedicto XVI, Carta Apostólica Motu Proprio data "Summorum Pontificum", I, en AAS 99 (2007) 777; cf. Instrucción general del Misal Romano, tercera edición, 2002, n. 397.
2 Benedicto XVI, Carta a los Obispos que acompaña la Carta Apostólica «Motu Proprio data» Summorum Pontificum sobre el uso de la liturgia romana anterior a la reforma efectuada en 1970, en AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. Código de Derecho Canónico, can. 838 § 1 y § 2.
4 Cf. Código de Derecho Canónico, can 331.
5 Cf. Código de Derecho Canónico, cann. 223 § 2; 838 § 1 y § 4.
6 Cf. Benedicto XVI, Carta a los Obispos que acompaña la Carta Apostólica Motu Proprio data Summorum Pontificum sobre el uso de la liturgia romana anterior a la reforma efectuada en 1970, en AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. Código de Derecho Canónico, can. 900 § 2.
8 Cf. Código de Derecho Canónico, can. 249, cf. Concilio Vaticano II, Constitución Sacrosanctum Concilium, n. 36; Declaración Optatam totius, n. 13.
9 Cf. Benedicto XVI, Carta a los Obispos que acompaña la Carta Apostólica Motu Proprio data Summorum Pontificum sobre el uso de la liturgia romana anterior a la reforma efectuada en 1970, en AAS 99 (2007) 797.
[00711-04.01] [Texto original: Latino]