sábado, 21 de maio de 2011

La missione della liturgia antica nel futuro della Chiesa

 

di Inma Álvarez - Il passo compiuto da Papa Benedetto XVI di regolamentare la celebrazione della Messa nella sua forma extraordinaria è molto più di un recupero “archeologico” o una concessione a certi gruppi di fedeli “nostalgici”.

Si tratta, infatti, dell’inizio di un nuovo movimento liturgico voluto dal Pontefice, che deve esseere percepito dalla Chiesa come “un segno di speranza”.
Il giorno dopo la pubblicazione dell’Istruzione Universae Ecclesiae, della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha avuto luogo presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma il terzo simposio sul Motu proprio Summorum Pontificum, dal titolo “Una speranza per tutta la Chiesa”.
Hanno partecipato come oratori il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e il segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, monsignor Guido Pozzo.
Nel suo intervento, pubblicato da “L’Osservatore Romano”, monsignor Pozzo ha spiegato il significato dell’Istruzione, che vuole mettere il ricco patrimonio liturgico alla portata di tutti i fedeli.
La decisione del Papa, ha sottolineato il presule, è in continuità con la Costituzione Sacrosanctum Concilium, che al numero 4 definisce “uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti” e vuole che “in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati”.
Le due forme della liturgia romana “sono un esempio di reciproco incremento e arricchimento”, ha sottolineato monsignor Pozzo. “Chi pensa e agisce al contrario, intacca l’unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata”.

Non è un “indulto”

Monsignor Pozzo ha ribadito che la Universae Ecclesiae non deve essere considerata un “indulto” né “una legge per gruppi particolari”, ma “una legge per tutta la Chiesa”.
“Il celebre principio lex orandi-lex credendi” “è alla base del ripristino della forma extraordinaria: non è cambiata la dottrina cattolica della messa nel rito romano, perché liturgia e dottrina sono inscindibili”.
In ogni forma, ha spiegato, possono esserci “accentuazioni, sottolineature, esplicitazioni più marcate di alcuni aspetti rispetto ad altri, ma ciò non intacca l’unità sostanziale della liturgia”.
Il presule ha anche ricordato che la liturgia è “materia riservata al Papa”, e che questi, nella sua lettera ai Vescovi in accompagnamento alla Summorum Pontificum, sottolineava che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione”.
Il Papa “vuole aiutare i cattolici tutti a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all’antica forma romana di celebrazione, comprendano che la costituzione Sacrosanctum concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione”.
Ponte “ecumenico”

Dal canto suo, il Cardinale Kurt Koch ha affermato che il Motu proprio “potrà far compiere passi avanti nell’ecumenismo” solo se le due forme dell’unico rito romano non saranno considerate come “un’antitesi”, ma come “un mutuo arricchimento”.
In questo senso, ha spiegato che il problema ecumenico “si cela in questa fondamentale questione ermeneutica”.
Se alcuni vedono nel Summorum Pontificum un passo indietro, è perché “intendono la riforma liturgica postconciliare come un punto d’arrivo, che va difeso con tutte le forze, secondo il rigido conservatismo di molti progressisti”.
“Preferiscono infatti sostenere l’ermeneutica della discontinuità e della rottura, considerata inadeguata dal Papa, applicandola soprattutto al campo della liturgia e dell’ecumenismo”.
Anche il decreto sull’ecumenismo ha segnato un nuovo inizio nelle relazioni della Chiesa cattolica con le altre confessioni cristiane, ha sottolineato, ma “neanche questa nuova svolta ecumenica ha comportato una rottura con la tradizione; essa si inscrive piuttosto in una continuità di fondo con la tradizione”.
In ciò “risiede la questione fondamentale per il futuro della Chiesa cattolica e, al tempo stesso, per la credibilità del suo ecumenismo”, ha sottolineato, aggiungendo che il Summorum Pontificum “può diventare un ponte ecumenico veramente solido soltanto se esso viene innanzitutto percepito e recepito come una speranza per tutta la Chiesa”.
Nuovo movimento liturgico

Il Cardinale Koch ha spiegato che il Papa “ritiene che sia oggi indispensabile un nuovo movimento liturgico”, che nel passato egli ha definito come “riforma della riforma della liturgia”.
“Il Santo Padre è infatti dell’avviso che la riforma liturgica postconciliare abbia portato molti frutti positivi, ma che gli sviluppi liturgici del dopo Concilio presentino anche molte zone d’ombra, dovute in gran parte al fatto che il concetto di mistero pasquale del Concilio non è stato sufficientemente tenuto presente”.
Per questo, “oggi c’è bisogno di un nuovo movimento liturgico, che si prefigga come obiettivo quello di far fruttificare il vero patrimonio del concilio Vaticano II nell’odierna situazione della Chiesa, consolidando al tempo stesso i fondamenti teologici della liturgia”.
Occorre quindi “non solo la rivitalizzazione del primato cristologico, della dimensione cosmica e del carattere latreutico della liturgia, ma anche e soprattutto la riscoperta del significato basilare del mistero pasquale nella celebrazione della liturgia cristiana”.
Secondo il porporato, il Motu proprio “costituisce solo l’inizio. Benedetto XVI infatti sa bene che, a lungo termine, non possiamo fermarci a una coesistenza tra la forma ordinaria e la forma straordinaria del rito romano, ma che la Chiesa avrà nuovamente bisogno nel futuro di un rito comune”.
Tra le altre cose, propugna che nel novus ordo “potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni, il che rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo messale”.
Superare i dualismi
Uno dei dibattiti più importanti dopo il Concilio Vaticano II è stato infatti proprio sull’Eucaristia, da tre punti di vista: in primo luogo, se sia un sacrificio o un banchetto; in secondo luogo, se si tratti di un’azione a cui partecipa solo il sacerdote o se è un’azione del popolo di Dio; in terzo luogo, se c’è adorazione o partecipazione.
Circa la considerazione dell’Eucaristia come sacrificio o come banchetto, il Catechismo della Chiesa Cattolica mantiene unito ciò che è indivisibile: “La Messa è a un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e il sacro banchetto della comunione al Corpo e al Sangue del Signore”.
Quanto al soggetto della liturgia, il Cardinale Koch ha riconosciuto che nel corso della storia il ruolo originale di tutti i fedeli come co-soggetti della liturgia era andato scemando a poco a poco, e che l’ufficio divino comunitario della Chiesa primitiva, nel senso di una liturgia che vedeva partecipe tutta la comunità, aveva assunto sempre più il carattere di una Messa privata del clero.
“L’esistenza di una continuità di fondo tra la liturgia antica e la riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II traspare dalla visione ampia e approfondita della costituzione liturgica, secondo cui il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra”.
Quanto al terzo dibattito, su adorazione e partecipazione, il Cardinale Koch ha affermato che si tratta di una “falsa contrapposizione”, perché “lo stesso Agostino amava sottolineare che nessuno deve mangiare ‘di questa carne’ se non l’ha prima adorata”.
“La riforma liturgica postconciliare è considerata in ampi circoli della Chiesa cattolica come una rottura con la tradizione e come una nuova creazione”, il che ha provocato “una controversia sulla liturgia che, vissuta in maniera emozionale, continua tutt’oggi a farsi sentire”, ha ammesso.
Per questo, il Papa “ha voluto contribuire alla risoluzione di tale disputa e alla riconciliazione all’interno della Chiesa. Il Motu proprio promuove infatti, se così si può dire, un ‘ecumenismo intra-cattolico’”.
Ciò, però, presuppone che la liturgia antica “venga intesa anche come ‘ponte ecumenico’”, ha sottolineato il Cardinale a mo’ di conclusione. “Infatti, se l’ecumenismo intra-cattolico fallisce, la controversia cattolica sulla liturgia si estenderà anche all’ecumenismo e la liturgia antica non potrà svolgere la sua funzione ecumenica di costruttrice di ponti”. © 2011 ZENIT.org

S. LEONARDO DE PORTO-MAURÍCIO: " AS EXCELÊNCIAS DA SANTA MISSA"

  

Conforme a edição romana de 1737
dedicada a S.S. o Papa Clemente XII
DEDICATÓRIA
Santíssimo Padre,
O mínimo dos Frades Menores, humildemente prostrado
aos pés de Va Santidade, ousa oferecer-vos este livrinho. Vai
publicado sob o título de “TESOURO OCULTO”, mas para
vossa grande alma, é um tesouro há longo tempo conhecido,
pois trata da excelência e utilidade da Santa Missa, que
constitui toda a vossa consolação e é o esplendor da Igreja de
Deus.
A conveniência e a justiça combinadas levam-me a
apresentar-vos esta humilde homenagem.
Nada mais conveniente; pois já que trará do mais augusto
de todos os sacrifícios, a quem poderia ser melhor dedicado
este livro do que ao primeiro de todos os Padres? E onde
poderia eu buscar apoio mais precioso, senão no patrocínio do
Pastor supremo, que longe de guardar em si sua grande
piedade, deseja tão ardentemente espalhá-la em proveito dos
povos tão necessitados de luz? Igualmente, nada mais justo.
Numerosos e poderosíssimos são os motivos que, de longa
data, me impelem a manifestar em atos, meu vivo
reconhecimento a vossa Santidade. Oh! Quantos benefícios
que concedeu vossa clemência durante o pouco tempo que
passei na Cidade Eterna!
Atestam-no a faculdade de pregar missões em Roma, o
desenvolvimento do santo Exercício da Via Sacra, e a elevação
da “Adoração Perpétua do Santíssimo Sacramento”. Em uma
palavra, não há favor, que eu vos tenha pedido para o bem
comum de nosso Instituto, que não tenhais benevolamente
concedido.
Estes motivos e muitos outros excitam em meu coração
sentimentos do mais humilde respeito, obrigam-me a manifestar
o meu devotamento e encorajam-me a mandar imprimir no
frontispício destas páginas o vosso nome augusto, conferindolhes
assim uma recomendação que lhe aumentará o valor.
http://i87.servimg.com/u/f87/13/77/87/11/purgat10.jpg

-1-
AS EXCELÊNCIAS
DA
SANTA MISSA
Conforme a edição romana de 1737
dedicada a S.S. o Papa Clemente XII
aos pés de Va Santidade, ousa oferecer-vos este livrinho. Vai
publicado sob o título de “TESOURO OCULTO”, mas para
vossa grande alma, é um tesouro há longo tempo conhecido,
pois trata da excelência e utilidade da Santa Missa, que
constitui toda a vossa consolação e é o esplendor da Igreja de
Deus.
A conveniência e a justiça combinadas levam-me a
apresentar-vos esta humilde homenagem.
Nada mais conveniente; pois já que trará do mais augusto
de todos os sacrifícios, a quem poderia ser melhor dedicado
este livro do que ao primeiro de todos os Padres? E onde
poderia eu buscar apoio mais precioso, senão no patrocínio do
Pastor supremo, que longe de guardar em si sua grande
piedade, deseja tão ardentemente espalhá-la em proveito dos
povos tão necessitados de luz? Igualmente, nada mais justo.
Numerosos e poderosíssimos são os motivos que, de longa
data, me impelem a manifestar em atos, meu vivo
reconhecimento a vossa Santidade. Oh! Quantos benefícios
que concedeu vossa clemência durante o pouco tempo que
passei na Cidade Eterna!
Atestam-no a faculdade de pregar missões em Roma, o
desenvolvimento do santo Exercício da Via Sacra, e a elevação
da “Adoração Perpétua do Santíssimo Sacramento”. Em uma
palavra, não há favor, que eu vos tenha pedido para o bem
comum de nosso Instituto, que não tenhais benevolamente
concedido.
Estes motivos e muitos outros excitam em meu coração
sentimentos do mais humilde respeito, obrigam-me a manifestar
o meu devotamento e encorajam-me a mandar imprimir no
frontispício destas páginas o vosso nome augusto, conferindolhes
assim uma recomendação que lhe aumentará o valor.
http://2.bp.blogspot.com/_bPClQWxvVxA/TRviA454QUI/AAAAAAAAAFo/bgjBoxSoaOY/s1600/SantaMissa2.jpg

-1-
SANTA MISSA
Conforme a edição romana de 1737
dedicada a S.S. o Papa Clemente XII
povos tão necessitados de luz? Igualmente, nada mais justo.
Numerosos e poderosíssimos são os motivos que, de longa
data, me impelem a manifestar em atos, meu vivo
reconhecimento a vossa Santidade. Oh! Quantos benefícios
que concedeu vossa clemência durante o pouco tempo que
passei na Cidade Eterna!
Atestam-no a faculdade de pregar missões em Roma, o
desenvolvimento do santo Exercício da Via Sacra, e a elevação
da “Adoração Perpétua do Santíssimo Sacramento”. Em uma
palavra, não há favor, que eu vos tenha pedido para o bem
comum de nosso Instituto, que não tenhais benevolamente
concedido.
Estes motivos e muitos outros excitam em meu coração
sentimentos do mais humilde respeito, obrigam-me a manifestar
o meu devotamento e encorajam-me a mandar imprimir no
frontispício destas páginas o vosso nome augusto, conferindolhes
assim uma recomendação que lhe aumentará o valor.
-1-
Conforme a edição romana de 1737
dedicada a S.S. o Papa Clemente XII
concedido.
Estes motivos e muitos outros excitam em meu coração
sentimentos do mais humilde respeito, obrigam-me a manifestar
o meu devotamento e encorajam-me a mandar imprimir no
frontispício destas páginas o vosso nome augusto, conferindolhes
assim uma recomendação que lhe aumentará o valor.
-1-
O preito que vos rendo com este livro é, portanto
conveniente e justo.
Mas será sempre de vossa parte, santíssimo Padre, pura
benevolência se vos dignardes aceita-la. È o que espero,
vendo-vos tão inclinado a promover tudo que de qualquer
modo, possa facilitar o grande negócio da salvação das almas.
Este zelo admirável é que atrai sobre vós a proteção
visível do Altíssimo.
É Deus, certamente, que a uma idade tão avançada
ajunta santidade tão florescente: DEUS, vosso conselheiro em
tão difíceis conjunturas, DEUS, vossa Força nas provações tão
grandes da Igreja, DEUS mesmo, que será finalmente vossa
recompensa por tão gloriosos empreendimentos, dirigidos todos
para o bem do universo católico.
Digne-se vossa Santidade permitir que eu me prostre, com
profunda submissão, beijando vossos pés sagrados, e
oferecendo-vos minhas obras, minhas palavras e meu coração,
e que me confesse,
de vossa Santidade,
o mais humilde, respeitoso e obediente filho e servo,
Frei Leonardo de Porto-Maurício
Convento de São Boaventura,
Roma, 15 de Outubro de 1737.
PREFÁCIO
Os tesouros, por grandes e preciosos que sejam, não
podem ser estimados se não forem conhecidos. Eis porque,
caro leitor, muitos não têm pelo santo Sacrifício da Missa o
amor que deveriam ter, porque este tesouro, A MAIOR
MARAVILHA e a MAIOR RIQUEZA da IGREJA DE DEUS é um
TESOURO OCULTO um tesouro muito pouco conhecido. Ah!
se todos conhecessem esta preciosidade celeste, tudo
sacrificariam para adquiri-lo. A exemplo do mercador do
Evangelho, cada um, de boa vontade, daria tudo que possuísse
para obter tão precioso tesouro.(Mt 13, 46)
Para estabelecer, portanto, àqueles que não estimam
suficientemente tão grande mistério, publicamos este opúsculo.
Talvez a primeira vista, você não dê muito valor a ele, pois
tantos outros livros foram já impressos, que ensinam
admiravelmente o método para participar com fruto da Santa
Missa, que outros novos não se podem desejar, como
temerário, pois seria preciso mais talentos, a fim de pôr, em
evidência, todo o valor de um Mistério tão venerável, além da
inteligência dos próprios Serafins.
Responder-vos-ei, ingenuamente, que dizeis a verdade. E
confesso que nada tenho a objetar, e mais ainda, que por muito
tempo estas duas considerações me detiveram. Tolhia-me viva
repugnância de empreender uma obra que havia de ser julgada
pelo público, como supérflua e além de minhas forças.
Dois motivos, porém, impeliram-me a vencer todas as
resistências de meu coração. Em primeiro lugar um conselho,
para mim sagrado como uma ordem, pois que vinha dum
Personagem a quem, por muitos títulos, devo obediência. Em
segundo lugar a esperança de este escrito prestará algum
serviço às populações que tenho evangelizado nas Missões.
-3- -2-
Com efeito, um dos maiores benefícios que se obtém das
Missões é o incremento do culto e do amor ao Santíssimo
Sacramento. A finalidade delas é excitar em todos os cristãos
um santo fervor que os impila a nutrirem-se mais
freqüentemente do Pão dos Anjos, a acompanhar o santo
Viático, cada vez que ele é levado aos doentes, a fim de que se
forme um grande cortejo de pessoas e luzes, numa palavra, se
lhes prestem as honras e pompa adequadas. Muito esforço
também é feito no sentido de levar, todos os fiéis católicos, a
assistir diariamente à Santa Missa; e não podeis imaginar como
é vantajoso, para atingir um fim tão santo, colocar, entre as
mãos dos fiéis, livros compostos em estilo simples e a seu
alcance. Esses livros aplanam toda dificuldade para excitar a
devoção, aclarando a inteligência e aquecendo os corações; e
muitas vezes tira-se deles mais proveito que mesmo das
pregações, pois nestas a palavra se dissipa enquanto que a
verdade escrita permanece sempre sob os nossos olhos.
Ainda que este opúsculo, não fizesse bem senão a uma
única alma, não se poderia dizer que ficasse sem fruto.
A fim de colocá-lo ao alcance de todos, ele só conterá três
capítulos.
No primeiro encontrar-se-á uma curta introdução sobre a
excelência, a necessidade, e as vantagens da Santa Missa; no
segundo vai exposto um método piedoso e prático para dela
participar com fruto; no terceiro, registram-se alguns exemplos
próprios para excitar as pessoas, de boa condição, a assistir à
Santa Missa todos os dias.
Em suma, é um TESOUTO OCULTO que eu vos
desvendo, e, se souberdes dele aproveitar, enriquecereis de
todos os bens para a vida e para a morte, para o tempo e para
a eternidade.
http://4.bp.blogspot.com/_NpFHzdlacH0/TMwC7DedxZI/AAAAAAAAEjs/N7zgpU713hg/s400/untitled.bmp

EXCELÊNCIA, NECESSIDADE
E VANTAGENS
DO SANTO SACRIFÍCO DA MISSA
Grande paciência é necessária para suportar a
indiferença, que a maioria dos batizados na Igreja Católica têm
pela Santa Missa: eles rescendem ateísmo e são o veneno da
piedade. Pensam eles: “Uma missa a mais, uma missa a
menos, que importa... Já é bastante ouvir a missa nos dias de
festa. A missa de tal padre é uma missa de semana santa:
quando ele surge no altar eu fujo da igreja”.
Esses que assim falam deixam perceber claramente que
pouca ou nenhuma estima têm pelo santíssimo Sacrifício da
Missa.
Sabeis que, na realidade, a Santa Missa? É o sol da
cristandade, a alma da Fé, o centro da religião Católica
apostólica com a sede em Roma, a que tendem todos os seus
ritos, todas as suas cerimônias, todos os seus sacramentos. É
uma palavra, A ESSÊNCIA DE TUDO O QUE HÁ DE BOM E
BELO NA IGREJA DE DEUS.
Por isso caros leitores meditem bem tudo que vou dizervos
nesta instrução.
[22122009_600.jpg]

EXCELÊNCIA DO SANTO
SACRIFÍCIO DA MISSA
É uma verdade incontestável que todas as religiões, que
existiram desde o começo do Mundo, tiveram sempre algum
sacrifício como parte essencial do culto devido a DEUS.
-5- -4-
Mas porque essas religiões eram vãs ou imperfeitas, seus
sacrifícios, também, eram vãos ou imperfeitos.
Totalmente vãos eram os sacrifícios do paganismo, e nem
acode ao espírito falar sobre eles.
Quanto ao dos hebreus, eram imperfeitos.
Se bem que professassem, então, a religião verdadeira,
seus sacrifícios eram podres e defeituosos, infirma et egena
elementa, como qualifica São Paulo.
Não podiam, assim, apagar os pecados nem conferir
graça.
Só o Sacrifício que temos em nossa santa religião, que é a
Santa Missa, é um sacrifício santo, perfeito, e, em todo sentido,
completo: por ele, cada fiel honra dignamente a DEUS,
reconhecendo, ao mesmo tempo, o próprio nada e o supremo
domínio de DEUS. Davi o chama: Sacrifício de Justiça,
sacrificium justitiae; tanto porque contém o Justo dos justos e o
Santo dos santos, ou, melhor a própria Justiça e Santidade,
como porque santifica as almas pela infusão das graças e
abundância dos dons que lhes confere.
PRIMEIRA EXCELÊNCIA
O SACRIFÍCIO DA SANTA MISSA É O MESMO
QUE O SACRIFÍCIO DA CRUZ
A
Santa Missa é um sacrifício tão santo, o mais augusto e
excelente de todos, e a fim de formardes uma idéia adequada
de tão grande tesouro, algumas de suas excelências divinas;
pois dize-las todas não é empreendimento a que baste a
fraqueza da minha inteligência.
A principal excelência do santo Sacrifício da Missa
consiste em que se deve considerá-lo como essencialmente o
mesmo oferecido no Calvário sobre a Cruz, com esta única
diferença: que o sacrifício da Cruz foi sangrento e só se
realizou uma vez e que nessa única oblação JESUS CRISTO
satisfez plenamente por todos os pecados do Mundo; enquanto
que o sacrifício do altar é um sacrifício incruento, que se pode
renovar uma infinidade de vezes, e que foi instituído pra nos
aplicar especialmente esta expiação universal que JESUS por
nós cumpriu no Calvário,
Assim o SACRIFÍCIO CRUENTO foi o MEIO de nossa
REDENÇÃO, e O SACRIFÍCIO INCRUENTO nos proporciona
as GRAÇAS da nossa REDENÇÃO.
Um abre-nos os tesouros dos méritos de CRISTO Nosso
Senhor, o outro no-los dá para os utilizarmos.
Notai, portanto que na Missa não se faz apenas uma
representação, uma simples memória da Paixão e Morte do
nosso Salvador; mas num sentido realíssimo, o mesmo que se
realizou outrora no Calvário aqui se realiza novamente: tanto
que se pode dizer, a rigor, que em cada Santa Missa nosso
Redentor morre por nós misticamente, sem morre na realidade,
estando ao mesmo tempo vivo e como imolado: Vidi agunum
stantem tanquan accisum. (Apoc 5, 6)
No santo dia de Natal, a Igreja nos lembra o nascimento
do Salvador, mas não é verdade que Ele nasça, ainda, nesse
dia.
Nos dias da Ascensão e Pentecostes, comemoramos a
subida do Senhor JESUS ao Céu e a vinda do ESPÍRITO
SANTO, sem que, de modo algum nesses dias o Senhor suba
ainda ao Céu, ou o ESPÍRITO SANTO desça visivelmente à
Terra.
-6- -7-
A mesma coisa, porém, não se pode dizer do mistério da Santa
Missa, pois aí não é uma simples representação que se faz,
mas, sim, o mesmo sacrifício oferecido sobre a Cruz, com
efusão de sangue, e que se renova de modo incruento: é o
mesmo corpo, o mesmo sangue, o mesmo JESUS, que se
imola hoje na Santa Missa. Opus trae Redemptionis exercetur,
diz a Santa Igreja.
A obra de nossa Redenção aí se exerce: sim, exercetur, aí
se exerce atualmente. Este santo sacrifício realiza, opera o que
foi feito sobre a Cruz. Que obra sublime! Ora, dizei-me
sinceramente se, quando ides à Igreja para assistir a Santa
Missa, pensásseis bem que ides ao Calvário assistir à morte do
Redentor, que diria alguém que vos visse ai chegar numa
atitude tão pouco modesta? Se Maria Madalena fosse ao
Calvário e se prostrasse aos pés da Cruz vestida, perfumada e
ataviada como em seus tempos de desordem, quanto não seria
censurada! E que se dirá de vós que ides à Santa Missa como
se fôsseis a uma festa mundana?
Que aconteceria, sobretudo se profanásseis este ato tão
santo, com gestos, risadas, cochichos, encontros sacrílegos?
Digo que, em qualquer tempo e lugar, a iniqüidade não
tem cabimento; mas os pecados que se cometem na hora da
Santa Missa e na proximidade do altar, são pecados que

* CONCILIO VATICANO II: UN DEBATE PENDIENTE. Extract... * Cardinal Burke Says Liturgy Must Shift Focus Away ... * Dr. Alcuin Reid offers his commentary on Universae... * Il velo del calice e la benedizione dell’incenso * Blessed Pius XII: "That Beautiful Smile..." * MISION MARIANA EN LA PARROQUIA DE NUESTRA SEÑORA D... * EDICIÓN EN LENGUA PORTUGUESA DEL LIBRO "SUMMORUM P... * EL EJEMPLO DE UN OBISPO FRANCÉS * La atonía monástica de Montserrat fruto de no para... * Conferência de Sua Eminência Cardeal Cañizares Llo... * Novus Ordo Mass Set For Extinction * Roman figures speak out on Summorum Pontificum * Card. Koch: “El motu proprio es sólo el comienzo d...

sexta-feira, 20 de maio de 2011

CONCILIO VATICANO II: UN DEBATE PENDIENTE. Extractos del libro de Monseñor Brunero Gherardini

http://1.bp.blogspot.com/-V6lHD1wbVv8/TVqaxzqd43I/AAAAAAAAB78/q385mJHYgLY/s1600/Conc%25C3%25ADlio+Vaticano+II.jpg
Monseñor Gherardini, sacerdote de la diócesis de Prato (Italia), está vinculado a la Santa Sede desde 1965,
especialmente como profesor de Eclesiología y Ecumenismo en la Pontificia Universidad de San Juan de
Letrán. Es autor de casi cien libros y de varios cientos de artículos aparecidos en distintas revistas
especializadas que abordan tres círculos concéntricos de investigación: la Reforma del siglo XVI, Eclesiología y
Mariología. En la actualidad es canónigo de la Archibasílica Vaticana y Director de la revista internacional de
teología "Divinitas". Monseñor Gherardini no está enrolado en el movimiento de defensa de la Tradición
iniciado por Monseñor Lefebvre y en su obra no duda en tomar cierta distancia —tanto en el fondo como en la
forma— con los trabajos de los distintos congresos teológicos celebrados en París. Por tanto, su análisis del
Vaticano II es totalmente independiente.
La noción de "Tradición viva"
Extractos del Capítulo V: "La Tradición en el Concilio Vaticano II"
Para aclarar este punto, hasta el Vaticano II el teólogo disponía de una elaboración bastante precisa del concepto
de Tradición y extraía un argumento para calibrar su juicio de manera apropiada. Ya hice alusión a esta
elaboración en la primera parte del presente capítulo, considerando la Tradición bajo diversos puntos de vista y
calificándola —en función de cada uno de ellos— en apostólica, divino-apostólica, humano-apostólica,
humano-eclesiástica, inhesiva, declarativa y constitutiva. Ahora bien, el Vaticano II, excepción hecha a la
Tradición apostólica, aunque sin presentarla nunca en el sentido considerado en sucesivo como "tradicional" de
esta calificación, ignora sistemáticamente todas las otras. En cambio, se encuentra en él una calificación distinta,
de la cual hablaré más adelante, y que es la Tradición viva. Viva, sin embargo, ni reemplaza cualquier otra
calificación, ni el conjunto de estas calificaciones. A lo sumo, se añade a ellas, tomándolas o no en
consideración. Nos hallamos, pues, ante una manera de hablar, que queriendo simplificar el mensaje, termina
por complicarlo en virtud de su lenguaje demasiado genérico, su empleo ambiguo y su falta de especificidad. Y
no hablo del hecho que viva podría abrir las puertas a todo tipo de innovaciones que se harían germinar y crecer
en el viejo tronco (…)
Última observación sobre la Tradición, llamada viva, de la Iglesia. Aparentemente, es una expresión
irreprochable, pero en realidad es ambigua. Es irreprochable, porque la Iglesia es una realidad viviente y la
Tradición es su vida misma. Es ambigua, porque se presta a introducir en la Iglesia todas las novedades, aún la
más contraindicada, como si fuese expresión de su vida.
Dei Verbum habla del Evangelio vivo, de Magisterio vivo y de Tradición viva. Este amplio abanico no ayuda a la
univocidad del concepto. En el n° 7, por ejemplo, se afirma que "para que el Evangelio se conservara
constantemente íntegro y vivo1 en la Iglesia, los Apóstoles dejaron como sucesores suyos a los Obispos "; en el
n° 8 se lee que "el Espíritu Santo, por quien la voz del Evangelio resuena viva en la Iglesia, y por ella en el
mundo, va induciendo a los creyentes en la verdad entera"; viene luego el n° 10 de esta declaración: "El oficio
de interpretar auténticamente la palabra de Dios escrita o transmitida ha sido confiado únicamente al
Magisterio vivo de la Iglesia"; poco después, en el n° 12, se subraya el deber de "atender no menos
diligentemente al contenido y a la unidad de toda la Sagrada Escritura, teniendo en cuenta la Tradición viva de
toda la Iglesia ".
Del conjunto de estas declaraciones se percibe confusamente una cierta analogía en el empleo del adjetivo
"vivo", aunque ciertamente no su verdadera significación ni la razón de su empleo. Aquello que garantiza la
vitalidad del Evangelio — lo sabemos bien— es el Evangelio: en él resuena la Palabra de Dios vivo, que es la
Persona misma de Dios que habla, y por tanto, expresión de su vida misma. Que también haya un Magisterio
vivo, eso es un dato de nuestra fe, en el sentido de que todo titular de este Magisterio, gracias a la sucesión
apostólica, continúa la transmisión ininterrumpida de la enseñanza de Cristo y de sus Apóstoles.
De hecho, la sucesión extiende en el tiempo de la Iglesia la enseñanza de Cristo y de los Apóstoles, haciéndolo
un elemento vivo y vital de la existencia misma de la Iglesia. En cambio, el concepto de "Tradición viva" es más
nebuloso. El texto conciliar no obliga a atenerse sólo a él sino también a la analogía de la fe, es decir, al vínculo
que conecta, en recíproca interdependencia, cada una de las verdades reveladas, constituyendo una unidad
inseparable.
El objetivo de esta doble obligación tiende a superar los límites de la palabra escrita, palabra procedente de la
Palabra viva que representa el principio de la Tradición eclesiástica.
Pero, ¿por qué viva? El Concilio no lo dice, o al menos no lo hace con la claridad necesaria. Probablemente
responde a la unidad, al menos sustancial (y por tanto, a la continuidad), entre el primer estadio de la Tradición,
que es apostólica, y los estadios siguientes, desde el que es inmediatamente post-apostólico hasta los otros, que
conciernen los grandes momentos históricos de la Iglesia, y finalmente hasta el estadio actual. Eso es
probablemente lo que quiere decir, pero el silencio sobre esta continuidad implica también —y desgraciadamente
— la ausencia de toda certeza sobre este punto. "Vivo" podría seguramente indicar un vínculo entre las distintas
etapas, evitando las rupturas más o menos graves, asegurando así la continuidad viva y vital de la Tradición.
Con todo, el texto calla al respecto. Se limita a afirmar que la Tradición es viva. Pues bien, no basta con decir
que es viva para que lo sea realmente. La comunicación vital entre sus distintas fases no debe ser sólo
proclamada; antes que nada y sobre todo debe ser demostrada, y serlo de modo que esta demostración coincida
con la continuidad al menos sustancial de su contenido con los de las fases precedentes.
La Tradición es viva, no cuando ella se implanta en cierta novedad, sino cuando se descubre o deduce cierto
aspecto nuevo, que antes había escapado a la atención; o cuando cierta nueva comprensión de su contenido
original enriquece la actualidad de la vida eclesial.
Esta vida no procede por remezones o por saltos desconectados unos de otros, sino que descansa sobre el eje de
"lo que ha sido creído siempre, en todas partes y por todos ", y que el Concilio Vaticano I, sobre los vestigios de
Trento, expresaba refiriéndose al sentido "que tuvo y tiene la santa Madre Iglesia ". El "siempre", el "en to- das
partes" y el "por todos", no concierne a la identidad de palabras, y por tanto, a la afirmación en su conjunto, sino
al sentido que la Iglesia, por medio de su Magisterio solemne y ordinario, siempre tuvo y tiene también ahora en
sus afirmaciones teológicas y dogmáticas.
El principio de la "Tradición viva" no ha sido objeto de discusión. Sin embargo, es susceptible de abrir la vía a
una izquierdización del depósito sagrado de las verdades contenidas en la Tradición. En un ambiente como el
que imperaba durante y después del Concilio Vaticano II, cuando sólo lo que era nuevo aparecía como
verdadero, y cuando lo nuevo se presentaba bajo las características de la cultura inmanentista y
fundamentalmente atea de nuestro tiempo, la doctrina de siempre no constituía más que un vasto cementerio. La
Tradición fue mortalmente herida y (salvo que ya esté muerta) agoniza hoy en día por obra de posturas
radicalmente inconciliables con su pasado.
Así, pues, no basta con definirla como viva si ya no tiene nada de vivo. La realidad (y es cosa grave) muestra que
se habla de Tradición viva para justificar toda innovación presentada como un desarrollo natural de las verdades
oficialmente transmitidas y recibidas, aún en el caso de que la innovación no tiene nada en común con estas
verdades, y cuando es cosa bien distinta de un germen nuevo del viejo tronco.
En realidad, la Tradición es viva sólo en la medida que ella sea y continúe siendo la misma Tradición apostólica
que vuelve a ser presentada inalterada en y por la Tradición eclesiástica. Una tiene en sí una significación más
bien pasiva: es lo que es transmitido, siempre igual a sí mismo, comprendido dentro de su transmisión misma,
porque lo debe ser guardado inalterado es el depósito. La otra, en cambio, manifiesta una significación más
activa, como órgano oficial que provee a la transmisión fiel del depósito, y encuentra en esta finalidad que le es
inherente la justificación del adjetivo "vivo".
En consecuencia, un dato que no tuviese sus raíces en el contenido transmitido, no sería un dato de la Tradición
viva, aún en el caso de que, en sí y por un absurdo, sea propuesto oficialmente. Ejemplo manifiesto: la teología
trascendental de Karl Rahner jamás podría ser declarada elemento de la Tradición viva, ya que en realidad es su
tumba. En el Concilio hubo algo, y en el pos- concilio hubo muchas cosas, que contribuyeron a cavar esta tumba.
La legitimidad del adjetivo "vivo" en relación con el progreso del conocimiento que puede tenerse de la
tradición, tal como ya lo dijimos, es algo que no se pude discutir. Se refiere, pues, a la esfera del "progreso
dogmático". De hecho es deber del Magisterio eclesiástico, no sólo volver a proponer la Tradición apostólica,
sino también estudiarlo a fondo, analizarlo y explicitarlo. El carácter vivo de la Tradición entonces se manifiesta,
no en el hecho de justipreciar el contenido apostólico en relación al nivel y al contenido de la cultura de tal o
cual época de la historia, sino en el hecho de iniciar el paso de lo implícito a lo explícito. En todo caso, la
recurrencia actual a la Tradición viva se resume en un verdadero peligro para la fe de todos los cristianos y de
toda la comunidad cristiana. Los cambios ya mencionados y los que serán estudiados más adelante lo
demuestran ampliamente.
La libertad religiosa
Extractos del Capítulo VII: "El gran problema de la libertad religiosa"
¿Es posible inscribir Dignitatis Humanes en la hermenéutica de la continuidad? Si uno se contenta con una
declamación abstracta, sí; pero en el plano de la pertinencia histórica, yo no veo cómo... Y la razón es una
perogrullada: la libertad de que habla el Decreto Dignitatis Humanae, que no concierne un aspecto de la persona
humana, sino su esencia misma, y con ella, toda su actividad individual y pública en cuanto libre de todo
condicionamiento político y religioso, tiene muy poco en común, por ejemplo con Mirari vos de Gregorio XVI,
Quanta Cura y el Syllabus del beato Pío IX, Immortale Dei de León XIII (sobre todo en lo referido a las
relaciones entre la autoridad civil y el gobierno de la Iglesia), Pascendi Dominici gregis de San Pío X y el
Decreto Lamentabili del Santo Oficio, publicado poco antes de ella, y Humani generis de Pío XII.
En realidad, no se trata de una cuestión de diferente lenguaje. La diversidad es sustancial, y por eso irreductible.
Los respectivos contenidos son diferentes. Los del Magisterio precedente no tienen ni continuidad ni desarrollo
en los de Dignitatis Humance. Así, pues, ¿dos magisterios?
La pregunta ni siquiera debería formularse, porque el Magisterio eclesiástico es, por naturaleza, uno e
indivisible: es el que ha establecido Nuestro Señor Jesucristo. Muchos son los que, reafirmando la unidad e
indivisibilidad, no distinguen en medio del clima actualmente imperante el peligro de este desdoblamiento.
La idea de que el Magisterio aplique hoy en día un principio diferente, e incluso contrario al de ayer, pagando
tributo a las cambiadas circunstancias actuales, no los asusta. Yo podría decir que estoy de cuerdo con ello,
supuesto que quede siempre a salvo la condición inderogable e indiscutible del "en el mismo sentido y en el
mismo pensamiento".* Por desgracia, la evidencia proveniente del hecho de que cada uno parece seguir su
propio camino conduciría a pensar en desdoblamiento del Magisterio.
El eciunenismo
Extractos del Capítulo VIII: "Ecumenísmo o sincretismo"
Sí, verdaderamente, una vez más: ¿cuál es el protestantismo de Unitatis Redintegratio? Abandonado a esta
incertidumbre, el posconcilio no dirigió su atención hacia nadie en particular, acogiendo [en cambio] la
inclinación de todos hacia el mundo, como si se tratase de un "principio y fundamento" (cfr. Ejercicios
espirituales de San Ignacio) de nueva factura, asumiendo sus alegrías y esperanzas, tanto como sus
contradicciones, olvidando la advertencia del Apóstol: "Si complaciese a los hombres, no sería yo siervo de
Cristo" (Gálatas, 1, 10).
Se ampliaron los resultados obtenidos a resultas de esta complacencia con el mundo, que si no es
necesariamente una traición de Cristo, al fin de cuenta es siempre una ruptura de la venerable Tradición. Con
estas rupturas se han llenado los volúmenes del Enchiridion CEcumenicum, sin preocuparse por el escándalo, o
al menos por el estupor, que estos hechos han producido en los católicos serios.
Un solo ejemplo, y como dice Virgilio, "por uno se conocen los demás ": el sorprendente consenso en punto a la
doctrina luterana de la "justificación" (que, para quien tiene un mínimo de información, concierne la doctrina
del pecado original, sus efectos devastadores en la naturaleza humana, su remisión sólo por la gracia,
independientemente de todo concurso de la libertad, y su imputación puramente exterior en virtud de los méritos
de Cristo, que ocultarían el pecado, lo cual tiene por consecuencia que el justificado sigue siendo y quedando, al
mismo tiempo, justo y pecador "simul iustus et peccator ").
He dicho más arriba que precisamente Lutero (en 1537) habría estado dispuesto a todo tipo de concesión
respecto al "papismo"; una única cosa no podía ser puesta en cuestión, a saber, la doctrina de Injustificación por
la sola fe. Fueron necesarios cinco siglos, pero a la postre se le dio satisfacción: quien le dio razón, quien trajo su
doctrina a la antecámara de la fe, fue finalmente el posconcilio.
Petición al Papa Benedicto XVI
Extractos
Hace tiempo que me vino la idea (que me atrevo ahora a someter a Vuestra Santidad) de hacer una puesta a
punto grandiosa, y si fuera posible, definitiva, sobre el último concilio, en lo que se refiere a cada uno de sus
aspectos y de sus contenidos.
En efecto, parece lógico —y para mí, imperativo—, que cada uno de estos aspectos y contenidos sea estudiado
en sí y en el contexto de todos los otros, observando atentamente todas las fuentes, y bajo el ángulo específico de
la continuidad con el Magisterio eclesiástico precedente, sea solemne u ordinario.
A partir de un trabajo científico y crítico tan amplio e irreprochable como fuese posible, en unión con el
Magisterio tradicional de la Iglesia, será posible que seguidamente se extrajera materia para una evaluación
segura y objetiva del Vaticano II.
Esto permitirá responder a las siguientes preguntas (entre muchas otras):
¿Cuál es la verdadera naturaleza del Concilio Vaticano II?
¿Cuál es la relación entre su carácter pastoral (noción que será necesario definir con autoridad) y su eventual
carácter dogmático? ¿Lo pastoral es conciliable con lo dogmático? ¿Lo supone? ¿Lo contradice? ¿Lo ignora?
¿Es verdaderamente posible definir al Concilio Vaticano II como "dogmático"? ¿Y referirse a él como
dogmático? ¿Se pueden fundar sobre él nuevas afirmaciones teológicas? ¿En qué sentido? ¿Dentro de qué
límites? .
El Vaticano II, ¿es un "acontecimiento" en el sentido de los profesores de Bologna? ¿Corta los lazos con el
pasado e instaura una nueva era en todos aspectos? ¿O bien todo el pasado revive en él "eodem sensu eademque
sententia "?

Cardinal Burke Says Liturgy Must Shift Focus Away From Self and Back to God

http://www.institute-christ-king.org/uploads/main/news/2010-burke-cardinal.jpg
We have already shared the video of this presentation of Cardinal Burke last week, however, here is a good synopsis of the talk for those who have not had the time to watch the 40 minute presentation.

Cardinal Burke says liturgy must shift focus away from self and back to God

By Conor Gilliland

Cardinal Raymond L. Burke delivered a lecture on what he calls a nearly 50-year trend of self-centered liturgy last week at the Thomistic Institute in Washington, D.C.

“In the time since the Second Vatican Ecumenical Council, but certainly not because of the teaching of the council, there has been exaggerated attention on the human aspect of the sacred liturgy,” said the high ranking Vatican official in his May 11 address.

Cardinal Burke acknowledged upfront that the topic could seem redundant because the liturgy is, by its very essence, God-given and God-directed.

“Is not the Church by its very nature divine? That is, called into being and sustained in being by God, and therefore centered in God. Are not the Church herself and her worship by definition directed toward God?” he asked.

But, the American cardinal said, in the last 50 years undue attention has been given to the “human aspect of the sacred liturgy, which has overlooked the essence of the sacred liturgy as the encounter of God with us by means of sacramental signs. That is, as the direct action of the glorious Christ in the Church, to give to us the grace of the Holy Spirit.”

The over-emphasis on the human dimension, said Cardinal Burke, has raised the need to discuss this important topic.

Cardinal Burke drew on Old and New Testament scripture passages to demonstrate that God is the first and last object of worship in liturgy.

“He founded the covenant of faithful and enduring love between himself and his people on the Decalogue – the Ten Commandments.”

The Vatican-based cardinal said that the first three of the Ten Commandments establish the jus divinum – or “the divine right of God to be worshiped by us, in the manner in which he wishes to be worshiped.”

Cardinal Burke continued, saying that the first three commandments establish God as the only rightful recipient of worship. Following these first three commandments are the regulations about making sacrifices at the altar. About these regulations, Cardinal Burke reiterated that they were not man-made, but rather “the gift of God to man, in which God makes it possible for man to offer the sacrifice of communion with him.”

He went on to draw several parallels between Old Testament worship and the New Testament, where God's unique right to be worshiped finds its ultimate fulfillment.

“In the Sermon on the Mount, in which our Lord Jesus communicates the law of the New Covenant – the fulfillment of the covenant on Mt. Sinai – the first beatitude is poverty of spirit, which recognizes the Lord as the source of our being itself and of every good.”

In Jesus' affirmation that he came to fulfill the Old Testament law, rather than abolish it, Cardinal Burke said, “The words of the Lord confirm the fundamental service of the law, which is to honor and to safe-guard the jus divinum, the divine right, and thereby to honor and safeguard the order written by God in his creation.”

The cardinal argued that the Old Testament sacrificial code commanded by God is fulfilled in Christ's commandment at the Last Supper - “Do this in remembrance of me.” This command, he said, brings the rightful worship of God full circle in the Eucharist we celebrate today.

He also asserted that it is clear from Jesus' teaching that “faith in him as messiah, as God the son … is expressed first of all, and most perfectly, in the worship owed to God.”

Cardinal Burke summarized his talk by saying: “All of the norms of the Law are directed to the just relationship between God and his people upon which depends the salvation of the world. And thus they must be respected as the commandment of God and not the invention of man.”

Source: EWTN News

Dr. Alcuin Reid offers his commentary on Universae Ecclesiae in today's online edition of the Catholic Herald: The Pope has made clear the older rite is here to stay

http://2.bp.blogspot.com/_g_qXXK7DGE4/SLL2qEdh8II/AAAAAAAAEU4/O8LbR34Cbmc/s400/alcuin.jpg

It may seem rather odd that Pope Benedict XVI has expended so much energy on rules about the use of the old “Latin Mass” – after all, it would appear that most Catholics are content with the modern liturgy in the vernacular. Why, then, yet another set of rules from Rome in this Instruction?

The answer is found in the fact that, as the Instruction insists, the older rites are a “precious treasure to be preserved,” and that the Holy Father wants to offer this treasure “to all the faithful”, not as a quaint museum piece but as a living source of life and grace for the whole Church of today and into the future. All laity, clergy and religious should have access to its diverse riches.

These latest rules envisage the inclusion of recent saints and some new texts in the older liturgy. They even foresee new editions of the missal and other liturgical books of the older rites: the older liturgy will continue to exist and develop as it has over the centuries up until the Second Vatican Council. But it cannot, however, now have certain modern practices (altar girls, extraordinary ministers of Holy Communion, etc) imposed on it. Its integrity is guaranteed.

Of course, there are historical realities behind this Instruction and the 2007 Motu Proprio Summorum Pontificum which it clarifies. In the first place there is the controversy over the liturgical changes that followed the Council. Were they a legitimate development or did they involve a rupture with tradition? Neither of these documents settles that question, but the Instruction does, significantly, speak of the development of the Missale Romanum “until the time of Blessed Pope John XXIII” and of the “new Missal” approved for the Church in 1970 by Paul VI. This authoritative recognition of a clear distinction between the two – both of which, the Instruction maintains, must be seen to be legitimate and valid – does admit a clear “difference” between that of Paul VI and what came before. Discussion of the implications of this will continue.

And then there is the more recent historical reality of widespread opposition to the use of older liturgical rites (not just the Mass, but the sacraments and the blessings and so on, as the Instruction makes clear) on the part of bishops, religious superiors and priests. That is why the Instruction was necessary: even after Summorum Pontificum established that in Church law everyone who wants the older liturgy is entitled to it, this opposition continued, sometimes from high-ranking prelates. This Instruction underlines these rights and makes explicit what was implicit in Summorum Pontificum, namely that if these rights are denied Catholics, be they laity or clergy, have the right of appeal (“recourse”) according to the norms of canon law. It is unusual for Rome to advertise this in an Instruction, but in the light of the opposition it seems necessary.

One of the principal areas of dispute has been what constitutes the “stable group” that is required to request regular public celebrations of the old liturgy. The Instruction dismisses the various straw men put up since Summorum Pontificum in order to block requests for the older liturgy and insists that these groups can be small, can come from different parishes or even dioceses and that they can exist only for the purpose of worshipping the old rites.

This generosity of interpretation, which runs throughout the Instruction, is a fundamental principle in interpreting canon law: when ecclesiastical authority (the Pope in Summorum Pontificum) grants a favour for the good of people (the continued use of the older liturgy) it is to be applied generously and not restrictively.

One issue not resolved by this Instruction is what the older rites are to be called. It uses “ordinary form” and “extraordinary form” as well as “Antiquior Usus” (the “more ancient use”) of the Roman rite. Some commentators have insisted on an interpretation of “extraordinary” that is quite pejorative: the older rites have been regarded as an eccentric relative, mention of whose existence brings about a knowing smile and with whom close contact is seen as a risk. There is no foundation for this in either Summorum Pontificum or this Instruction. The terms “ordinary” and “extraordinary” are used in a sense of what is statistically normative, that is all. Indeed, in the Latin text “ordinaria” and “extraordinaria” are not capitalised, whereas “Antiquior Usus” is. Given the derogatory use to which “extraordinary form” has been put, it is probably time to set it aside in favour of “the more ancient rites” or some such terminology.

There are, I suggest, two areas in which the Instruction is weak. The first is in its assertion that seminarians should be given the opportunity to learn the older rites “where pastoral needs suggest it”. Some bishops will use the latitude permitted here to exclude such formation from seminaries. That will only serve to impoverish seminarians’ overall liturgical formation, for regardless of whether a diocese has a clear “pastoral” demand for the older rites, experience and knowledge of them on the part of future priests cannot but serve to enrich their grasp of liturgical theology and spirituality, and lay a good foundation for their liturgical ministry, even – perhaps especially – in the new rites.

The other weakness is the Instruction’s curious restriction of the older rites of ordination to those communities supervised by the Ecclesia Dei commission in Rome. This denies diocesan bishops the pastoral freedom to judge which rite of ordination is best; it may discourage vocations. Priests have this freedom in respect of celebrations of the Mass and other sacraments: why this ungenerous restriction on bishops? Also, communities who are not under the Roman commission but who permanently use the older liturgy in accordance with Summorum Pontificum could find themselves having to use the new ordination rites. This is an anomaly that needs to be addressed.

These concerns aside, the Instruction Universæ Ecclesiæ underlines the fact that the older Roman rites are here to stay. When Cardinal Joseph Ratzinger was elected pope I wrote that “there is little doubt that we shall see freedom granted to the traditional Latin Mass”. That has now more than come to pass, and decisively.

It may seem strange that this matter is a priority for Pope Benedict. But we need to remember, as he wrote in 1997, that “the true celebration of the sacred liturgy is the centre of any renewal of the Church whatever”. In the Holy Father’s judgment, free access to the Usus Antiquior is a necessary component of such renewal.

Dr Alcuin Reid is a cleric of the Diocese of Fréjus-Toulon, France, and editor of Ceremonies of the Roman Rite Described

http://www.newliturgicalmovement.org/

Il velo del calice e la benedizione dell’incenso

 




di  Mons.Nicola Bux*


ROMA, mercoledì, 18 maggio 2011 (ZENIT.org).- Si odono di frequente richiami a volgere l’attenzione all’Oriente cristiano, intanto sono omessi nel rito romano elementi che lo richiamano, come velare il calice e benedire l’incenso. La presenza di tende e veli nella liturgia è riconducibile al culto giudaico; per esempio il doppio velo all’ingresso del santuario nel tempio di Gerusalemme, segno di riverenza verso il mistero della Shekina, la presenza divina. Così per l’incenso e gli altri aromi che bruciavano sull’altare apposito antistante, al fine di elevare visibilmente l’anima alla preghiera, secondo le parole del salmo 140: Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum, in conspectu tuo – La mia preghiera stia davanti a te come incenso, o Signore. Nello stesso tempo il profumo copriva l’effetto sgradevole degli odori degli animali immolati e del sangue dei sacrifici.
Il velo rappresenta visibilmente l’esigenza di non toccare con mani, impure, le cose sacre: un simbolo dell’esigenza di purezza spirituale per avvicinarsi a Dio. Se la liturgia è fatta di simboli, questo è uno dei più importanti. I veli coprono le mani dei ministri, come gli angeli offerenti rappresentati nell’arte bizantina e romanica. In linea di principio, i vasi sacri, quando non in uso, sono sempre velati per alludere alla ricchezza che vi si nasconde.
Il velo del calice è un piccolo drappo del medesimo colore e stoffa della pianeta o casula, oppure sempre bianco, che serve a coprire tutto il calice, sull’altare o sulla credenza, dall’inizio della Messa all’offertorio; e poi dopo la purificazione che segue la comunione. Nel rito bizantino i veli sono due, per il calice e per il disco, ovvero la patena dei pani da consacrare. Nel rito romano, sebbene sia prescritto «lodevolmente» dall’Ordinamento generale del Messale di Paolo VI (n. 118), il velo che copre il calice è, nell’odierna prassi celebrativa, ordinariamente omesso.
Veniamo all’incensazione. Il sacerdote, all’inizio della Liturgia Eucaristica, messo l’incenso nel turibolo, lo benedice e poi incensa tutto l’altare, in onore del Signore. L’incenso viene benedetto, nella Messa in forma extraordinaria, con la preghiera: Per intercessionem beati Michaelis Archangeli, stantis a dextris altaris incensi, et omnium electorum suorum, incensum istud dignetur Dominus benedicere, et in odorem suavitatis accipere – Per intercessione di san Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito. Questa benedizione è più solenne della prima, nella quale si dice: Ab illo benedicaris, in cuius honore cremaberis – Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato. Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (8,4): Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo – E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio.
Ancor prima però, come spiega Prosper Guéranger, «siccome il pane e il vino che ha offerti hanno cessato d’appartenere all’ordine delle cose comuni e usuali, [il sacerdote] li profuma con l’incenso, come fa per Cristo stesso, rappresentato dall’altare». Belle le parole che accompagnano l’incensazione prima in forma di triplice croce e poi di triplice cerchio sul pane e del calice: Incensum istud a Te benedictum ascendat ad Te Domine et descendat super nos misericordia tua – Ascenda a te, Signore, questo incenso da Te benedetto e discenda su di noi la tua misericordia. È tutto il senso della liturgia, che ascende a gloria della presenza divina e discende per la nostra salvezza – in latino, salvare vuol dire conservare – affinché siamo completamente noi stessi e possiamo vivere in eterno con Dio. Il sacerdote si inchina «in spirito di umiltà e con animo contrito» affinché il sacrificio si compia alla presenza di Dio in modo da essere gradito; poi invoca lo Spirito sulle offerte. Il sacerdote, rendendo il turibolo al diacono, gli rivolge un augurio che fa ugualmente a sé medesimo, dicendo: Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam aeternae caritatis – Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità. Il diacono, ricevendo il turibolo, bacia la mano del sacerdote e poi la parte superiore delle catene, invertendo l’ordine delle azioni che aveva compiuto presentandoglielo. Tutti questi usi sono orientali e la liturgia li conserva perché sono dimostrazioni di rispetto e riverenza.
Dunque, la Chiesa non ha escluso gli aromi dai suoi riti, anzi usa il balsamo per preparare il Crisma. L’incensazione simboleggia il sacrificio perfetto dei santi doni del pane e del vino, cioè Gesù Cristo, a cui sono unite le nostre persone in sacrificio spirituale, emananti profumo soave che sale al cielo (cf. Gen 8,21; Ef 5,2); così sono le preghiere dei santi (Ap 5,8) e le virtù dei cristiani (2Cor 2,15).
Qualcuno osserverà che, da quanto il velo del tempio si è squarciato, non abbiamo più bisogno di alcun velo, e da quando si è offerto il sacrificio di Cristo non abbiamo più bisogno di incenso. In verità non dovremmo nemmeno più aver bisogno di alcun edificio sacro, perché Cristo è il nuovo tempio. Il punto è che, con la venuta di Gesù, il profano non è scomparso del tutto: però è continuamente incalzato dal sacro che è dinamico, in via di compimento: «Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro,il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici» (J. Ratzinger, Servitori della vostra gioia, Milano 2002, p 127).




--------
*Don Nicola Bux è professore di Liturgia orientale a Bari e consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede, per le Cause dei Santi, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; nonché dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.
 
http://blog.messainlatino.it/

Blessed Pius XII: "That Beautiful Smile..."

http://1.bp.blogspot.com/-sn61Cw5hqJ0/TdQIiKyuiEI/AAAAAAAASC0/JukUqlEagOw/s1600/smile.jpghttp://orbiscatholicussecundus.blogspot.com/2011/05/pius-xii-that-beautiful-smile.html

MISION MARIANA EN LA PARROQUIA DE NUESTRA SEÑORA DE FÁTIMA DE FUENLABRADA


Desde el día 12 hasta el 16 de mayo tuvo lugar la Misión mariana en la parroquia de Nuestra Señora de Fátima de Fuenlabrada, organizada por el Señor Cura Párroco, Don Andrés García Torres, en colaboración con los Hermanos de la Fraternidad de Cristo Sacerdote y Santa María Reina. A lo largo de los días participaron también activamente los miembros de los distintos grupos y asociaciones parroquiales: grupos de matrimonios de la parroquia, catequistas, Apostolado Mundial de Fátima, Grupos de oración del Padre Pío, miembros del Consejo parroquial, etc. Entre los actos, a los que acudieron multitud de fieles de la propia parroquia y de otras parroquias y pueblos limítrofes, destacamos:


Jueves día 12:


-Recibimiento de la Imagen del Inmaculado Corazón de María


-Rosario y Santa Misa


- Hora Santa con Exposición del Santísimo Sacramento


Viernes día 13:


- Exposición del Santísimo Sacramento a lo largo de todo el día.


- Santa Misa y administración del Sacramento de la Santa Unción a los enfermos de la parroquia


- Procesión de antorchas por distintos barrios de la parroquia


- Exposición del Santísimo y Adoración a lo largo de toda la noche.


Sábado día 14:


- Rosario de la aurora con procesión por las calles de la parroquia.


- Celebración de la Fiesta de la parroquia y consagración de la parroquia al Glorioso Patriarca San José.


Domingo día 15:


- Por la mañana Misa de las familias


- Por la tarde, Catequesis sobre la Santa Misa


- Celebración de la Santa Misa Cantada, conforme al Uso extraordinario del Rito Romano.


Lunes 16 de mayo:


- Santa Misa y procesión de despedida de la Imagen del Corazón Inmaculado -procesión de los pañuelos blancos-

Varios cientos de fieles participaron en la Santa Misa Gregoriana celebrada el domingo 15 de mayo. Es de destacar la participación piadosa y activa de los asistentes, previa catequesis explicativa del rito y de la teología sacramental. Para facilitar la participación más plena y consciente se facilitó a cada uno de los fieles un misal en lengua latina y castellana.
Siendo la primera misa celebrada conforme al uso extraordinario después de cuarenta años, los fieles participaron emocionados y una vez finalizada la Santa Misa fueron muchísimos los que expresaron su agradecimiento y su admiración por el venerable rito.
¡UNA PRUEBA CLARA DEL SENSUS FIDEI QUE TIENE EL PUEBLO DE DIOS!


En la foto aparece el Señor Cura párroco que asistió al Santo Sacrificio desde su reclinatorio












Besamanos a la Santísima Virgen, después de la celebración de la Santa Misa del día 16 de mayo






* Los Hermanos de la Fraternidad de Cristo Sacerdote y Santa María Reina están a disposición de los párrocos para la organización de Misiones marianas parroquiales, un excelente medio de renovación parroquial y de pastoral en orden a la nueva evangelización.