sábado, 16 de março de 2019

Tratto da “MEDITAZIONE SULLA PREGHIERA A GESÙ” di Don DIVO BARSOTTI

  português inglês alemão francês espanhol italiano neerlandês polaco russo

source



Se la nostra consacrazione dipende da una vocazione divina, conviene che noi meditiamo profondamente e lungamente che cosa importi questa vocazione.
Si potrebbe certo meditare sull'amore infinito di Dio che ci ama, che chiama ognuno per nome, che assiste ciascuno di noi e ci accompagna in ogni istante del nostro cammino. Si potrebbe certo pensare alla iniziativa di Dio in questo cammino di santificazione, in questo cammino di perfezione che deve esser per tutti la vita cristiana - e avremmo tanto da meditare! Voglio piuttosto meditare su un'altra verità che tante volte ci rimane nascosta, ed è precisamente il fatto che la vocazione ci mette in rapporto con Dio: non siamo più noi i padroni della nostra vita, non siamo più così liberi da dover determinare il nostro cammino.
Certo, la vocazione divina lascia a noi la decisione di una risposta, ma, sia che noi facciamo una via, sia che ne facciamo un'altra, il nostro cammino ora non è più che una risposta o un rifiuto a Dio. 
Noi siamo in rapporto con Dio, la nostra vita è essenzialmente questo rapporto; dal momento che il nostro cammino è determinato da una parola che ci è stata rivolta, il nostro cammino ora non può essere più che questo: o una risposta a Dio che ci chiama o un rifiuto a Lui che ci invita.
E questa verità ci insegna quale responsabilità pesa su di noi. Se a noi soli fosse lasciato di scegliere la via, il cammino, la mèta, non ci sentiremmo tanto colpevoli se poi non giungessimo là dove i nostri desideri ci farebbero tendere. Nessuno infatti si sente colpevole verso di sé, si può dire: - Pazienza! Volevo arrivar sulla cima e non son giunto altro che a metà del cammino. - Noi potremmo anche rimpiangere di non aver potuto realizzare quanto speravamo, ma non per questo Ci sentiremmo colpevoli. Siamo colpevoli invece quando dobbiamo rispondere a un Altro, il quale ha ogni diritto su noi, del nostro cammino.
Dobbiamo renderci conto che una vocazione divina che noi abbiamo ricevuto, ci fa precisamente responsabili di fronte al Signore di tutta la nostra vita.

Se fossimo stati noi a scegliere il Signore, certo, se poi non avessimo raggiunto la perfezione potremmo averne un certo dolore, ma ci potrebbe anche sollecitare la vanità di esser stati così bravi almeno da sceglierla, ci potremmo sentire, se non altro, contenti per il fatto che avremmo saputo scegliere la parte migliore anche se poi non avessimo potuto realizzare un nostro ideale di perfezione - ci darebbe una nobiltà il fatto stesso di averlo scelto noi. Ma se è Dio che ci sceglie, l'aver assunto un impegno di perfezione evangelica non è certo per noi motivo di vanità e di orgoglio, è motivo piuttosto di grave responsabilità per ciascuno di noi rispondere a Dio.
Sentire questo non è di poco conto per alcuno di noi: dobbiamo rispondere a Dio della nostra vita, di ogni nostro atto. 

È Dio che ci chiede in ogni istante una risposta al suo amore, e tutto quanto facciamo dev’essere un dono che offriamo al Signore. Non è un dono libero, un dono puramente gratuito - è una risposta d'amore all'Amore infinito. Non si può, se abbiamo ricevuto una vocazione che ci impegna alla santità, vivere con superficialità; non si può rimandare a domani l'impegno di una santificazione che oggi ci stringe, non possiamo sottrarci a una responsabilità pesante per ciascuno di noi.
La santità non è, non diventa un privilegio, né è tanto meno una presunzione - è un obbligo stretto per ciascuno. Chi non tende veramente alla perfezione una volta che sia consacrato al Signore, fallisce nella sua vita, e si rende colpevole verso l'Amore che l'ha scelto.
Rispondere a Dio: ecco che cosa vuol dire aver ricevuto una vocazione divina: vuol dire che noi in ogni istante dobbiamo rispondere a Dio dell'uso che noi facciamo di noi stessi, del nostro cuore, della nostra volontà, della nostra intelligenza, delle nostre forze, del nostro tempo - di tutto dobbiamo rispondere.
Troppo poco noi lo sentiamo; lo crediamo ma non lo realizziamo giorno per giorno, minuto per minuto; veramente non sentiamo il pungolo che ci spinge nel cammino che deve portarci alla santità. Si vive così tranquilli: una vita mediocre che sembra realizzare già molto quando noi aggiungiamo alle preghiere abituali un’altra preghiera, quando cerchiamo di esercitare un po’la pazienza, quando procuriamo di mantenerci fedeli a qualche esercizio particolare di virtù.
Ci sembra di far molto? È a Dio che dobbiamo rispondere, a un Amore infinito: tutto quello che noi possiamo fare sarà sempre poco se noi sentiremo davvero che la nostra vita dev’essere una risposta personale a un Amore infinito che ci ha voluti per Sé.
Da quale spirito interiore si sentivano portati i santi incontro a Dio! Nulla li arrestava nel loro cammino: né la stanchezza, né la malattia, non la debolezza del corpo, o la fragilità dello spirito; la loro anima era agitata come da un uragano, da un vento tempestoso che li spingeva violentemente incontro al Signore. Noi, invece, quanto facilmente ci contentiamo di quel che facciamo, come siamo facilmente soddisfatti di quel poco che a fatica doniamo! Voi mi dite: - Non siamo interamente soddisfatti e contenti, veramente ci sentiamo sempre in debito. - Vi sentite magari in debito verso il Signore, ma non perché non avete raggiunto la santità: vi sentite in debito semplicemente perché avete compiuto qualche mancanza, o perché avete detto male l'Ufficio o perché avreste voluto far meglio un certo esercizio di pietà o perché avreste voluto essere più pazienti in una certa congiuntura. È poco quello che voi pretendete da voi stessi, mentre da voi dovreste pretendere tutto.
Il cristiano, che deve rispondere a un Amore infinito, può essere contento soltanto quando avrà donato tutto se stesso nella sua morte - solo la morte lo può contentare. Che cosa può fare l'uomo quando si sia donato così da non poter dare di più? Ma ognuno di noi può dare di più fintanto che la vita cristiana non consuma tutte le potenze del cuore e dell'anima così da esigere, da operare la morte.
Oh, i santi! L'amore li ha consumati! Pensate una S. Teresa del Bambino Gesù, una S. Gemma Galgani, pensate un S. Francesco d'Assisi, un S. Giovanni della Croce: lo possiamo dire con verità, è l'amore che li ha consumati, perché non ha lasciato loro riposo, li ha incalzati con violenza sempre crescente in questa via che doveva condurli al Signore; ed essi, portati da questa violenza, non sono mai stati soddisfatti si sé, ma anzi hanno sentito via via che più amavano Dio tanto più rimaneva loro da amare.
Oh, certo, noi non somigliamo a queste anime! Come povero è il nostro dono di amore, povera la nostra risposta!

« Non voi avete eletto me, ma io voi ». Aver ricevuto una vocazione divina vuol dire che Dio ci ha amato. Ma l'amore esige l'amore, e l'amore infinito di Dio non può esigere da te che un amore totale, onde tu più nulla possa sottrarre a Colui che ti ha chiamato, ti ha voluto per sempre. Più nulla! Non viver più una nostra vita, non conservare più niente di noi, non sentirci mai più sicuri - Dio vuole tutto e perciò non ti lascia più alcuna sicurezza, più alcun riposo, alcuna proprietà né esterna né interiore, né che sia ricchezza misurabile dalla stima degli uomini, dalla consapevolezza di una perfezione. Devi donarti a Dio così che più nulla ti rimanga.
Non è davvero facile rispondere a una vocazione divina. Ma almeno noi dovremmo esser consapevoli di averla ricevuta e vivere perciò in tal modo che per noi la consacrazione debba essere anche un impegno che consumi tutta la vita. Sarebbe veramente ingenuo pensare che si possa rispondere a una consacrazione religiosa soltanto facendo quanto la Comunità prescrive come obbligo; sarebbe ben povera la coscienza che noi avremmo di esser chiamati da Dio e di dover rispondere a una consacrazione religiosa, se noi pensassimo che questa consacrazione esigesse questo soltanto. 

Una consacrazione religiosa esige la santità. Voi potete esser dispensati dal dire l'Ufficio, da ogni obbligo, ma la consacrazione non vi potrà mai più dispensare dal tendere alla perfezione evangelica, da esigere da voi stessi la perfezione della carità. Neppure la Chiesa può darvi mai più una dispensa dal farvi santi, dall'esigere da voi stessi il dono supremo di tutta la vita, il dono totale di tutti voi stessi al Signore.
In che modo viver tutto questo? Il modo ve lo può suggerire la Comunità attraverso i mezzi e le indicazioni che vi dà, gli insegnamenti, la vita comune; ve lo possono suggerire le condizioni nelle quali voi venite a trovarvi, i bisogni delle anime che vivono vicino a voi. Dio si farà sempre chiaramente sentire a un'anima che vuol veramente seguirlo.
No, nessuno può dispensarvi mai più da questo dovere di tendere alla perfezione. La santità è il vero obbligo che vi impone la consacrazione.
Dovete essere santi: la vocazione v’impone precisamente questo dovere. Non si tratta di essere delle anime pie, delle anime ferventi; non si tratta di far dell’apostolato, di far tanto bene intorno a voi - potete apparentemente anche non farne affatto: quello che la consacrazione vi impone è la santità. 

Tu non sai se il Signore ti darà sempre la salute, le possibilità per far del bene in qualche organizzazione; tu saprai però una cosa, cioè, che in qualunque tua condizione, stato di salute, ambiente in cui vivrai, dovrai realizzare sempre il dono totale di te all'amore di Dio, dovrai sempre realizzare la tua santità.