sábado, 16 de março de 2019

Album Fotografico di don Divo Barsotti

Tratto da “MEDITAZIONE SULLA PREGHIERA A GESÙ” di Don DIVO BARSOTTI

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Se la nostra consacrazione dipende da una vocazione divina, conviene che noi meditiamo profondamente e lungamente che cosa importi questa vocazione.
Si potrebbe certo meditare sull'amore infinito di Dio che ci ama, che chiama ognuno per nome, che assiste ciascuno di noi e ci accompagna in ogni istante del nostro cammino. Si potrebbe certo pensare alla iniziativa di Dio in questo cammino di santificazione, in questo cammino di perfezione che deve esser per tutti la vita cristiana - e avremmo tanto da meditare! Voglio piuttosto meditare su un'altra verità che tante volte ci rimane nascosta, ed è precisamente il fatto che la vocazione ci mette in rapporto con Dio: non siamo più noi i padroni della nostra vita, non siamo più così liberi da dover determinare il nostro cammino.
Certo, la vocazione divina lascia a noi la decisione di una risposta, ma, sia che noi facciamo una via, sia che ne facciamo un'altra, il nostro cammino ora non è più che una risposta o un rifiuto a Dio. 
Noi siamo in rapporto con Dio, la nostra vita è essenzialmente questo rapporto; dal momento che il nostro cammino è determinato da una parola che ci è stata rivolta, il nostro cammino ora non può essere più che questo: o una risposta a Dio che ci chiama o un rifiuto a Lui che ci invita.
E questa verità ci insegna quale responsabilità pesa su di noi. Se a noi soli fosse lasciato di scegliere la via, il cammino, la mèta, non ci sentiremmo tanto colpevoli se poi non giungessimo là dove i nostri desideri ci farebbero tendere. Nessuno infatti si sente colpevole verso di sé, si può dire: - Pazienza! Volevo arrivar sulla cima e non son giunto altro che a metà del cammino. - Noi potremmo anche rimpiangere di non aver potuto realizzare quanto speravamo, ma non per questo Ci sentiremmo colpevoli. Siamo colpevoli invece quando dobbiamo rispondere a un Altro, il quale ha ogni diritto su noi, del nostro cammino.
Dobbiamo renderci conto che una vocazione divina che noi abbiamo ricevuto, ci fa precisamente responsabili di fronte al Signore di tutta la nostra vita.

Se fossimo stati noi a scegliere il Signore, certo, se poi non avessimo raggiunto la perfezione potremmo averne un certo dolore, ma ci potrebbe anche sollecitare la vanità di esser stati così bravi almeno da sceglierla, ci potremmo sentire, se non altro, contenti per il fatto che avremmo saputo scegliere la parte migliore anche se poi non avessimo potuto realizzare un nostro ideale di perfezione - ci darebbe una nobiltà il fatto stesso di averlo scelto noi. Ma se è Dio che ci sceglie, l'aver assunto un impegno di perfezione evangelica non è certo per noi motivo di vanità e di orgoglio, è motivo piuttosto di grave responsabilità per ciascuno di noi rispondere a Dio.
Sentire questo non è di poco conto per alcuno di noi: dobbiamo rispondere a Dio della nostra vita, di ogni nostro atto. 

È Dio che ci chiede in ogni istante una risposta al suo amore, e tutto quanto facciamo dev’essere un dono che offriamo al Signore. Non è un dono libero, un dono puramente gratuito - è una risposta d'amore all'Amore infinito. Non si può, se abbiamo ricevuto una vocazione che ci impegna alla santità, vivere con superficialità; non si può rimandare a domani l'impegno di una santificazione che oggi ci stringe, non possiamo sottrarci a una responsabilità pesante per ciascuno di noi.
La santità non è, non diventa un privilegio, né è tanto meno una presunzione - è un obbligo stretto per ciascuno. Chi non tende veramente alla perfezione una volta che sia consacrato al Signore, fallisce nella sua vita, e si rende colpevole verso l'Amore che l'ha scelto.
Rispondere a Dio: ecco che cosa vuol dire aver ricevuto una vocazione divina: vuol dire che noi in ogni istante dobbiamo rispondere a Dio dell'uso che noi facciamo di noi stessi, del nostro cuore, della nostra volontà, della nostra intelligenza, delle nostre forze, del nostro tempo - di tutto dobbiamo rispondere.
Troppo poco noi lo sentiamo; lo crediamo ma non lo realizziamo giorno per giorno, minuto per minuto; veramente non sentiamo il pungolo che ci spinge nel cammino che deve portarci alla santità. Si vive così tranquilli: una vita mediocre che sembra realizzare già molto quando noi aggiungiamo alle preghiere abituali un’altra preghiera, quando cerchiamo di esercitare un po’la pazienza, quando procuriamo di mantenerci fedeli a qualche esercizio particolare di virtù.
Ci sembra di far molto? È a Dio che dobbiamo rispondere, a un Amore infinito: tutto quello che noi possiamo fare sarà sempre poco se noi sentiremo davvero che la nostra vita dev’essere una risposta personale a un Amore infinito che ci ha voluti per Sé.
Da quale spirito interiore si sentivano portati i santi incontro a Dio! Nulla li arrestava nel loro cammino: né la stanchezza, né la malattia, non la debolezza del corpo, o la fragilità dello spirito; la loro anima era agitata come da un uragano, da un vento tempestoso che li spingeva violentemente incontro al Signore. Noi, invece, quanto facilmente ci contentiamo di quel che facciamo, come siamo facilmente soddisfatti di quel poco che a fatica doniamo! Voi mi dite: - Non siamo interamente soddisfatti e contenti, veramente ci sentiamo sempre in debito. - Vi sentite magari in debito verso il Signore, ma non perché non avete raggiunto la santità: vi sentite in debito semplicemente perché avete compiuto qualche mancanza, o perché avete detto male l'Ufficio o perché avreste voluto far meglio un certo esercizio di pietà o perché avreste voluto essere più pazienti in una certa congiuntura. È poco quello che voi pretendete da voi stessi, mentre da voi dovreste pretendere tutto.
Il cristiano, che deve rispondere a un Amore infinito, può essere contento soltanto quando avrà donato tutto se stesso nella sua morte - solo la morte lo può contentare. Che cosa può fare l'uomo quando si sia donato così da non poter dare di più? Ma ognuno di noi può dare di più fintanto che la vita cristiana non consuma tutte le potenze del cuore e dell'anima così da esigere, da operare la morte.
Oh, i santi! L'amore li ha consumati! Pensate una S. Teresa del Bambino Gesù, una S. Gemma Galgani, pensate un S. Francesco d'Assisi, un S. Giovanni della Croce: lo possiamo dire con verità, è l'amore che li ha consumati, perché non ha lasciato loro riposo, li ha incalzati con violenza sempre crescente in questa via che doveva condurli al Signore; ed essi, portati da questa violenza, non sono mai stati soddisfatti si sé, ma anzi hanno sentito via via che più amavano Dio tanto più rimaneva loro da amare.
Oh, certo, noi non somigliamo a queste anime! Come povero è il nostro dono di amore, povera la nostra risposta!

« Non voi avete eletto me, ma io voi ». Aver ricevuto una vocazione divina vuol dire che Dio ci ha amato. Ma l'amore esige l'amore, e l'amore infinito di Dio non può esigere da te che un amore totale, onde tu più nulla possa sottrarre a Colui che ti ha chiamato, ti ha voluto per sempre. Più nulla! Non viver più una nostra vita, non conservare più niente di noi, non sentirci mai più sicuri - Dio vuole tutto e perciò non ti lascia più alcuna sicurezza, più alcun riposo, alcuna proprietà né esterna né interiore, né che sia ricchezza misurabile dalla stima degli uomini, dalla consapevolezza di una perfezione. Devi donarti a Dio così che più nulla ti rimanga.
Non è davvero facile rispondere a una vocazione divina. Ma almeno noi dovremmo esser consapevoli di averla ricevuta e vivere perciò in tal modo che per noi la consacrazione debba essere anche un impegno che consumi tutta la vita. Sarebbe veramente ingenuo pensare che si possa rispondere a una consacrazione religiosa soltanto facendo quanto la Comunità prescrive come obbligo; sarebbe ben povera la coscienza che noi avremmo di esser chiamati da Dio e di dover rispondere a una consacrazione religiosa, se noi pensassimo che questa consacrazione esigesse questo soltanto. 

Una consacrazione religiosa esige la santità. Voi potete esser dispensati dal dire l'Ufficio, da ogni obbligo, ma la consacrazione non vi potrà mai più dispensare dal tendere alla perfezione evangelica, da esigere da voi stessi la perfezione della carità. Neppure la Chiesa può darvi mai più una dispensa dal farvi santi, dall'esigere da voi stessi il dono supremo di tutta la vita, il dono totale di tutti voi stessi al Signore.
In che modo viver tutto questo? Il modo ve lo può suggerire la Comunità attraverso i mezzi e le indicazioni che vi dà, gli insegnamenti, la vita comune; ve lo possono suggerire le condizioni nelle quali voi venite a trovarvi, i bisogni delle anime che vivono vicino a voi. Dio si farà sempre chiaramente sentire a un'anima che vuol veramente seguirlo.
No, nessuno può dispensarvi mai più da questo dovere di tendere alla perfezione. La santità è il vero obbligo che vi impone la consacrazione.
Dovete essere santi: la vocazione v’impone precisamente questo dovere. Non si tratta di essere delle anime pie, delle anime ferventi; non si tratta di far dell’apostolato, di far tanto bene intorno a voi - potete apparentemente anche non farne affatto: quello che la consacrazione vi impone è la santità. 

Tu non sai se il Signore ti darà sempre la salute, le possibilità per far del bene in qualche organizzazione; tu saprai però una cosa, cioè, che in qualunque tua condizione, stato di salute, ambiente in cui vivrai, dovrai realizzare sempre il dono totale di te all'amore di Dio, dovrai sempre realizzare la tua santità.

Testi di don Divo Barsotti

Don Divo Barsotti: solo la santità salverà la Chiesa

quinta-feira, 14 de março de 2019

Don Divo Barsotti , INVITO AD UNA FEDE VIVA

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Il fondamento della vita cristiana è una fede che tende alla contemplazione, una fede vera, viva, non in un Dio che sta al di là delle nuvole, ma in un Dio che si è comunicato al mondo.
La fede è raggiungere Dio quando Dio si è reso accessibile nell’Incarnazione del Verbo.”


L'IMPORTANZA DEL RACCOGLIMENTO INTERIORE
“È certo dunque che per vivere il primato delle virtù teologali si impone un certo raccoglimento. [..]La nostra vita è nell'intimo, in questo sentimento della divina presenza e in questo sentire che l'amore in Dio ci investe in ogni parte, trabocca da tutto; e ci sentiamo come perduti in questa luce, noi ci sentiamo come sommersi in questo abisso di Dio.”
“tu non devi usare di te che per rivelare Dio. Sono tante le virtù, ma senza il raccoglimento interiore e l’umiltà non mi piacciono. Ammesso anche che un’anima non avesse altre virtù del raccoglimento e dell’umiltà, Io scenderei in quell’anima e farei Io la sua santità”
(Padre Serafino Tognetti "Divo Barsotti" ediz. San Paolo)


Buon Mercoledi delle Ceneri ed inizio della Quaresima
L'IMPORTANZA DELL'UMILTA'
"Quando un uomo, sia pur grande quanto si voglia, abbia pure la più grande missione, non rende testimonianza che a se medesimo, non dice più nulla a nessuno, svilisce la sua missione, compromette l'efficacia di ogni suo impegno. Solo l'umiltà salva questa efficacia, assicura il compimento di ogni missione. 
L'uomo nel suo più intimo valore, nella sua più intima essenza, è testimone del Cristo.
Tanto più egli è, quanto più rinunzia a se stesso e diviene pura trasparenza del Cristo
."
Don Divo Barsotto, dal Diario " Nel cuore di Dio "

GESU’ COMPIA LA SUA VOLONTÀ IN NOI
“Miei cari figli e fratelli, Dio ci ha dato una vocazione santa e immensamente grande, quella di essere una sola cosa con Cristo Gesù.
Forse non realizzeremo mai fino in fondo la nostra vocazione divina, ma almeno dobbiamo sentirci impegnati giorno per giorno sempre più a realizzarla, nell'umiltà di un amore che si offre costantemente al Signore perché Egli stesso compia in noi la sua volontà.
Nessuno scoraggiamento! 
Nessuna sfiducia!
Dio che ci ha chiamati, Egli stesso compirà in noi la sua volontà, se noi sapremo credere al suo amore per il quale ci ha scelti.

INCONTRO PERSONALE CON DIO
"Che il nostro rapporto con Dio sia vero: ecco la necessità prima della nostra preghiera, perché la preghiera cristiana, si diceva, si definisce come dialogo, come colloquio.
E la definizione che ne ha dato S. Teresa di Gesù, e mi sembra la definizione veramente più giusta.
E il colloquio dell'amico coll’Amico, o meglio ancora, come dice il Marmion, «il colloquio del figlio adottivo col suo Padre Celeste».  Ma in questa definizione entra un altro elemento, l'elemento cioè della Grazia. «Figlio adottivo», «amico», importa già che noi ci conosciamo, che già noi ci amiamo. 
Noi lo amiamo ed Egli ci ama: allora la preghiera diviene un rapporto che non implica più lo sgomento,
ma unicamente una comunione di amore. "
Don Divo Barsotti, dal libro "Il lavoro del cristiano"
 

Encontro pessoal com Deus

" que a nossa relação com Deus seja verdadeira: Eis a necessidade  da nossa oração, pois a oração cristã,   se define como diálogo, como  colóquio.
É a definição que deu  S. Teresa de Jesus, e parece-me a definição realmente mais justa.
É  o colóquio do amigo com o Amigo, ou melhor ainda, como diz o Marmion, " o colóquio do filho adotivo com o seu Pai Celestial".
Mas nessa definição entra outro elemento, o elemento   da graça. " FILHO ADOTIVO ", " amigo ", importa já que nós nos conhecemos, que já nós nos amamos.
Nós O amamos e Ele nos ama: Então a oração torna-se um relacionamento que não implica mais o desânimo,
Mas sómente  é uma comunhão de amor. " "



don Divo Barsotti

Don Divo Barsotti , NEL DESERTO CON GESU'

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Noi iniziamo la Quaresima e intendiamo entrare nel deserto con Gesù: dobbiamo essere solleciti nel rispondere alla grazia
divina per questo superamento dei nostri istinti.
Anzitutto bisogna che la grazia divina elimini in noi tutto quello che, per questa vita istintiva, si oppone direttamente alla volontà
di Dio.
In Cristo, qualche cosa che s’imponga a Dio non c’è: Egli stesso è Dio. Ci può essere una tensione fra natura e grazia, ma non una
opposizione. In noi c’è anche opposizione.
La prima cosa che lo Spirito Santo opera in noi è proprio la eliminazione di quello che è opposizione a Dio e che, perciò, non è
compatibile con la vita cristiana. Questo vuol dire non seguire il nostro egoismo morale, oltre che metafisico, per il quale noi ci
facciamo, a noi stessi, idoli. Noi vogliamo tutto a noi stessi, mentre la vita divina è puro dono di sé.
Prima di tutto s’impone, per noi, questa lotta.
Gli istinti della nostra natura, di per sé, non sono cattivi; divengono però occasione di peccato, per noi, proprio in forza di
un’ordinazione, della nostra natura, non a Dio, ma a noi stessi, al nostro corpo, al nostro orgoglio.
Nella misura che i nostri istinti alimentano in noi questo rivolgimento della creatura che, invece di volgersi a Dio, pretende rivolgersi a sé, viene in noi anche l’esigenza di non trascendere, di non sublimare gli istinti stessi.
Anche quando non sono peccaminosi, portano sempre con sé un grave pericolo, se noi ci abbandoniamo ad essi. Gli istinti sono
fatti per difendere la natura, non sono fatti per farsi amare. Di qui, di mano in mano che passano gli anni, l’importanza, la necessità di
una sublimazione di questi istinti, sublimazione che avviene anche
naturalmente. Per esempio, in una madre, l’amore diviene sempre più puro e meno istintivo, di mano in mano che i figli crescono,
se la madre è cristiana. Se non lo è, fa l’infelicità dei figli se non li vuole mollare, se vuole ancora possederli e pretendere che
nessuno abbia a toglierglieli, a strapparli al suo amore.
Vi è poi anche una sublimazione di un altro istinto: quello del potere. Accaparrare sempre! C’è una liberazione progressiva: tu
agisci tanto di più quanto più ti spogli, anche nel confronto dei figli, nel confronto degli altri. Nella misura che tu pretendi di avere un
monte di mezzi a tua disposizione, il tuo operare risulta quasi infecondo. Questa è una esperienza. Ci vuole una maturazione anche nella sofferenza; maturazione e spogliamento.
Quando uno, nella vecchiaia, crede di perdere tutto, è allora che acquista tutto: venerazione e amore. Senza queste convinzioni, il vivere la nostra vita non è più il vivere la vita cristiana.
E questo, come lo sentiamo!
... lasciando Dio libero di agire in noi
Non siamo più nostri: non possiamo contare su noi stessi, sul nostro tempo, sul nostro lavoro. Dov’è il nostro lavoro? Dio ci porta a fare cose che non volevamo, ci porta là ove non pensavamo di arrivare, a fare ciò cui non avremmo pensato mai, ad amare persone che ha posto sulla nostra vita.
Dio è sempre meraviglioso!
Non ci fa vivere mai secondo un nostro disegno, un nostro programma, ma ci porta a vivere quello che Egli vuole,
attraverso le vicissitudini per le quali ci conduce e ci fa vivere secondo la sua volontà, spogliandoci per un suo disegno: però, nel
cammino di spogliamento, immediatamente ci riveste di Sé perché la morte è un elemento di un mistero unico: morte e resurrezione.
Non c’è mai la morte senza la resurrezione: non si muore mai a noi stessi, se non nella misura che Dio si fa presente.
Se Dio vuole veramente lo spogliamento della mia volontà è perché, in fondo, in me s’incarna la volontà di Dio. Se così non fosse, io continuerei a vivere la mia vita, contro la mia missione.
È terribile anche questa evasione dai propri compiti, evasione che può essere una tentazione.
don Divo - dalla Meditazione "Come vivere la Quaresima"

Sul Padre Nostro. Don Divo Barsotti.



(Giotto di Bondone, Lavanda dei piedi, 1300-1305,  Cappella degli Scrovegni, Padova)

Trascrivo la meditazione di don Divo Barsotti (1914-2006), scritta per un ritiro del 16 giugno 1966. Teologo, fondatore della “Comunità dei figli di Dio”, nel 1972 ha seguito gli Esercizi Spirituali di papa Paolo VI

Formula e distintivo dei discepoli di Gesù

Se Ascolta Israele è la formula che distingue l’Ebraismo (e può essere nostra perché noi siamo il nuovo Israele) ed è la formula che distingue essenzialmente tutto il popolo eletto tanto dell’Antico come del Nuovo Testamento, il Padre Nostro invece è la formula che distingue solo il Nuovo Israele, i discepoli di Gesù.
Per chiarire queste concetto rifacciamoci alla Sacra Scrittura. Come Ascolta Israele è un testo fondamentale del Deuteronomio, così il Padre Nostro è un testo del Vangelo.
Come il Deuteronomio, richiamando l’Alleanza del Sinai, vuole anche essere come il vademecum del pio Israelita più di qualsiasi altro libro della Sacra Scrittura ed è proprio nel Deuteronomio che già troviamo, si direbbe, i testi fondamentali e primitivi della liturgia ebraica (proprio per questo il Deuteronomio, a differenza di tutti gli altri libri dell’Antico Testamento, è quello che comporta di più formule già fatte e testi che saranno all’origine di tutta la produzione liturgica israelitica) così all’inizio di tutta la produzione liturgica propria del Cristianesimo, rimane il Padre Nostro. E questo mi sembra bene sottolinearlo proprio per chiarire precisamente l’importanza che deve avere per la nostra vita di preghiera, sia pubblica che privata, il Padre Nostro
Ma dobbiamo dire di più, cioè, Nostro Signore medesimo ha voluto dare, secondo i Vangeli Sinottici e in particolare seconde il Vangelo di Luca, il Padre Nostro come tessera di riconoscimento per i suoi discepoli.
Nel quarto Vangelo la tessera di riconoscimento per i discepoli dì Gesù è l’amore fraterno: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli”, ma i Vangeli Sinottici riportano il Padre Nostro come tessera e distintivo dei disecepoli di Gesù. Infatti il dono del Padre Nostro ai discepoli, Gesù lo fa stimolato da loro, i quali si rivolgono a Lui per averlo visto pregare: “Insegnaci a pregare”. Gli chiedono che come Giovanni Battista ha dato ai suoi discepoli una formula di preghiera, così anche Lui dia loro una formula. E iPadre Nostro diviene il segno distintivo dei discepoli di Gesù e Gesù lo dà proprio come segno della fede che essi hanno nel Cristo.

L’amore fraterno è pure il distintivo del cristiano

L’amore fraterno, secondo l’evangelista Giovanni, e il Padre Nostro, secondo sopratutto San Luca, sono i due segni distintivi dei discepoli di Gesù.
Quello che distingue Israele è l’ascoltare Dio, perché ancora l’uomo non può parlare a Dio, non è entrato in vera comunione con Lui. L’Israelita dirà i Salmi, è vero, ma quello che lo distingue è l’ascoltare Dio che gli dona una Legge.

  Quello che distingue invece il cristiano, che è redento ed è entrato nella vita divina, è il colloquio, il dialogo, il rapporto vicendevole: Dio ti ascolta, tu gli puoi parlare, tu sei figlio.
Lo schiavo non può parlare, può accettare soltanto una legge e obbedire e deve stare zitto. Ora invece l’uomo è figlio e non solo ascolta Dio ma anche gli parla.
Ecco quello che distingue veramente il Cristianesimo: l’uomo è entrato veramente in comunione con l’Eterno, può rivolgersi a Lui e stabilire con Lui il rapporto più intimo: Padre. L’uomo quando si rivolge a Dio con le preghiera del Padre Nostro riconosce un legame ontologico, una unione, una comunione di sangue.
Padre Nostro… tessera di riconoscimento perché dice una redenzione avvenuta, perché dice l’unità di una vita, perché assicura e garantisce una vera comunione di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio.

Ma perché tessera di riconoscimento dei cristiani sarà anche l’amore fraterno? L’amore fraterno viene dopo aver riconosciuto un padre. Noi siamo fratelli soltanto se Dio è Padre, perché altrimenti, sul piano umano, nulla ci fa fratelli essendo stata la natura umana divisa e disgregata col peccato.
Dopo il peccato che cosa vi è di comune fra uomo e uomo? Il rapporto dell’uomo con l’uomo, dopo il peccato, non è tanto la comunione, quanto la guerra. Praticamente la storia di questo mondo è storia soltanto di guerre.

Ma se tu hai ritrovato il Padre, Dio, in Dio anche hai ritrovato gli uomini come tuoi fratelli. La paternità divina ristabilisce un’unione fra gli uomini che è ben altrimenti profonda di quella soltanto di natura. Ed è per questo che altra tessera di riconoscimento, allora, sarà l’amore fraterno.

L’uomo può raggiungere Dio?

Un’altra cosa che vorrei notare a proposito del Padre Nostro ed è il modo veramente strano della sua composizione. Sembra che tutto sia fatto a rovescio. Effettivamente sembra più logico terminare con la parola “Padre” che è certamente il vertice di ogni cosa. Dopo aver detto questa parola il resto è tutto compreso. Allora Nostro Signore ha sbagliato questa preghiera?
Vorrei dirvi una cosa: effettivamente sarebbe sbagliata soltanto se noi potessimo giungere a questo vertice, che è Dio, partendoci del basso, salendo.

Ma vi è strada fra l’uomo e Dio? Non vi è strada. Hai voglia di camminare o di salire, non raggiungi mai Dio. Bisogna che Dio ti ponga sul vertice e di là discendi fino ad abbracciare ogni cosa.
In fondo il processo cristiano è questo: Dio ti stabilisce in Sé, poi una volta che ti ha stabilito in Sé, che ti ha portato come aquila sulle altezze, allora di là domini tutto e puoi scendere anche nella valle. Ma dalla valle tu non sali al 

Sarebbe.  , mi sembra, la presunzione degli antichi giganti quella di scalare il cielo, pretendendo con le nostro forze, attraverso l’ascesi i Comandamenti, l’amore del prossimo di arrivare fino a Dio. Che pensi di poter fare con le tue forze?

La mistica precede l’ascesi

Quello che io ho sempre detto, anche il Padre Nostro lo giustifica. Si è sempre sentito dire che prima viene l’ascetica e poi la mistica. È il contrario che è vero! Che vuoi fare con l’ascetica? È la mistica che determina il grado di ascesi. È nella misura che Dio si fa presente che tu puoi fare il vuoto di tutto; altrimenti come fai a fare il vuoto se non sei riempito di nulla?
È Dio che rende possibile e l’esercizio anche minimo della virtù e poi l’esercizio massimo nella misura che vive in te Dio ha l’iniziativa. Noi non possiamo nemmeno avere il desiderio della fede senza la grazia preveniente. È Dio che fa tutto!
Che bello, però, tutto questo! Pensando di fare noi ci si accorge poi che in fondo, dopo esserci tanto arrabattati, siamo al medesimo punto di prima. Ed è giusto; perché fin tanto che non perdiamo la presunzione di poter fare senza Dio, non combiniamo nulla. È la forza della grazia che determina in noi e l’esperienza di Dio e la santità della condotta.

Molto spesso l’esperienza più alta di Dio, almeno la più sicura non sono tanto le estasi, ma il fatto che noi siamo fedeli, Dio vive in te nella misura che ti rende capace di conformare la tua volontà alla Sua. Non cercare altro, perché, in fondo, se tu cerchi altro, l’altro è molto meno sicuro, molto meno ti garantisce una presenza divina, di questa tua fedeltà.

Ecco perché la suprema mistica è sempre la conformità della propria alla volontà di Dio e l’esperienza più alta della nostra vita divina è la fedeltà ai divini Comandamenti. È questo bisogno, questa facilità che proviamo nel compiere quello che interiormente sentiamo più perfetto e che più può piacere a Dio. Tutto questo ci assicura più di qualsiasi altra cosa. Se poi sentiamo non soltanto docilità, facilità al compimento di quello che è il piacere di Dio, ma sentiamo che, in fondo, tutta la nostra vita non è che un atto solo, tutti i nostri atti pian piano si riducono all’atto onde l’anima consente a Dio di essere, che Egli sia, la volontà essenziale,basta! che volete cercare di più? Non c’è nulla di più alto di questo!

Se tu consenti che Dio sia mentre hai un cancro, la lebbra, mentre sei battuto, o buttato fuori dalla finestra, che vai a cercare le estasi? Basta questo.
Ecco, Dio precede, dunque, l’atto umano, perciò anche l’ascesi, Per questo Padre nostro che sei nei celi.
L’anima ai porta d’impeto sulle altezze vertiginose della vita divina.

Dire Padre è già entrare nella vita trinitaria

Che cosa vuoi dire Padre. È il richiamo alla vita trinitaria, perché non si dice Padre al Dio Unico, si dice Padre alla Persona del Padre. È alla Persona del Padre che si rivolge la mia preghiera.
Allora, vedete Padre nostro implica veramente un volo che ci porta al di là di tutti i termini, più in là non si va. È la vita Trinitaria pura, semplice, assoluta.

Dire Padre vuol dire vivere la vita del Figlio di Dio, perché la vita del Figlio di Dio non è altro che dire Padre come la vita del Padre non è che dire Figlio – Tu sei mio Figlio, la generazione dei Figlio, dire la Parola. Questa è la vita del Padre. Anche la vita dei Figlio è dire la Parola, ma la Parola rivolta verso di Lui è la Parola che nuovamente a Lui si volge: Padre!

Cosa più alta di questa non può esistere, non dico in questa vita, ma nemmeno nell’altra. Non dico per gli uomini, ma nemmeno per Iddio, perché la vita stessa di Dio consuma in questa aspirazione del Figlio: Padre! come la vita del Padre consuma in questa aspirazione: Tu sei mio Figlio! Figlio!

Dice il Beato Contardo Ferrini che se l’anima ascolta Dio che lo chiama figlio, anche l’anima non vive più che una risposta di amore a Dio chiamandolo Padre e l’anima esala tutta la vita dicendo Padre!

Pensate, dire questa parola sarà tutto il Paradiso, sarà tutta l’eternità, tutta la nostra vita, tutta la vita degli uomini, tutta la vita di Dio, la vita del Figlio di Dio: Padre!
Non siamo già agli estremi limiti? E di lì poi si passa: Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male.
Giusto, perché l’anima una volta salita lassù, deve ora vivere in tutte le sue potenze questa vita divina. E questa vita divina non la può vivere in tutte le sue potenze e in tutte le espressioni della vita umana, che, prima di tutto, in una realizzazione del Regno.

Sia santificato il Tuo Nome

Il commento al Padre Nostro si può compiere precisamente attraverso il Vangelo. Ricordate le ultime parole della preghiera sacerdotale di Gesù? Io ho fatto conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere ancora.

La conoscenza del Nome è la santificazione anche del Nome. Dio è glorificato nella misura che tu lo conosci come Padre, nella misura che tu lo riconosci e vivi il tuo rapporto con Lui come Padre. Dio si fa presente nella Sua intima vita, proprio nella tua vita in quanto Egli ti genera come figlio nel Figlio, e in quanto tu, come figlio, a Lui ti rivolgi. Ecco la santificazione del Nome. Ho fatto conoscere il Tuo nome e lo farò conoscere ancora. Ecco l’estrema glorificazione.
Ecco la vita intima di ciascuno. Però questo non è tutta la vita. Da questa nostra. santificazione, glorificazione in Dio, divinizzazione dell’essere creato, procede la comunità ecclesiale, il Regno di Dio.

Venga il Tuo Regno

Dopo il singolo, la comunità, Così come già è implicito nella invocazione iniziale: Padre nostro. Queste due paroline si allargano, si esemplificano, si spiegano, si direbbe, nelle prime due domande. La santificazione del Nome in quanto sono figlio e Lo glorifico come Padre; l’avvento del Regno in quanto questa santificazione non riguarda più il singolo soltanto, riguarda la comunità come tale.
Il Regno implica un popolo, una nazione, una comunità, L’avvento di questo Regno è il termine ultimo.
Ma come si giunge a questo?

Sia fatta la Tua Volontà

Nel compiere la volontà divina, nel far sì che si realizzi il piano di Dio. Venga il Tuo Regno è la presa di posizione da parte di Dio di tutta la comunità umana, di tutta la creazione. Il modo di avvenire è nel compimento della volontà divina. E questa deificazione implica una trasfigurazione di tutto l’essere umano.
La grazia divina non porta alla contemplazione di Dio soltanto l’intimo vertice dell’anima, ma investe tutta la natura dell’uomo, e questa grazia implica che nessuna attività umana si sottragga alla divinizzazione stessa.

Dacci oggi…

Di qui la richiesta del pane. Perché prima di tutto il Dacci oggi il nostro pane quotidiano vuol dire immediatamente il pane corporale; vorrà anche dire il cibo spirituale, ma prima di tutto, letteralmente vuol dire “pane”.
È l’uomo totale che è santificato da Dio, è l’uomo totale che è investito dalla grazia di Dio. Dal vertice dell’anima la grazia giunge anche alla natura fisica e a tutto provvede, tutto santifica, tutto investe di sé.

Rimetti a noi… come noi…

Poi si passa di nuovo dall’individuo alla comunità, ai rapporti con gli altri. L’unione con Dio implica l’unione con gli uomini.
Il perdono che Dio dona all’uomo e che tu implori, esige da te, come sua contropartita, il perdono che tu devi dare agli altri: la comunità che si realizza attraverso un perdono reciproco.
E a questo proposito faccio notare che anche

La Chiesa ha bisogno di chiedere perdono ai comunisti oltre che ai cristiani separati, la Chiesa come comunità e ciascuno di noi, perché certamente anche verso i comunisti abbiamo delle colpe noi singoli cristiani. Anche loro le hanno verso di noi, è sempre vicendevole. E quale è la misura del più e del meno? Lo sa Dio, noi sappiamo soltanto che siamo manchevoli e perciò il nostre onore deve essere essenzialmente legato alla misericordia. Alla misericordia di Dio che deve perdonarci, e anche ella misericordia che ciascuno di noi deve avere verso l’altro. Mai rigidezza, mai orgoglio.
La comunità si stabilisce, si crea attraverso questo esercizio di misericordia di Dio verso l’uomo e degli uomini verso i loro fratelli. Bontà, perdono, pazienza, accettazione degli altri. Ecco… così, si stabilisce il Regno, si compie la volontà divina.

Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male

Il fare la volontà divina Che cosa implica? Non essere indotti in tentazione, essere liberati dal male perché il male vero è il non compimento di questa volontà. Sicché, in fondo le prime tre domande del Padre Nostro che chiedono la glorificazione di Dio possono essere realizzate solo nella misura che noi viviamo le altre tre domande.
Dio e l’uomo sono ineffabilmente congiunti, sicché è impossibile la glorificazione di Dio senza la liberazione umana dal peccato, dal male, dal poco amore verso i fratelli. Sono condizionate. Si discende, ma senza separarci dalla vetta, senza separarci da questo vertice in cui l’anima sempre riposa, sempre rimane.
Rimanendo in questo vertice della vita divina, della aspirazione al Padre, l’anima realizza la sua divinizzazione che investe anima e corpo.

Mirabile compendio

Nel Padre Nostro c’è tutto il programma della vita cristiana, e c’è tutta la vita divina vissuta dall’uomo.
La realizzazione della divina Volontà implica che noi siamo già un po’ nella vita divina, implica già un essere noi in Dio. Il Padre Nostro ci dice un po’ quello che ci dice San Paolo quando da una parte afferma che noi siamo rivestiti del Cristo e dall’altra ci dice che dobbiamo rivestirci del Cristo. Così nel Padre Nostro: nella prima parte viviamo tutta la vita di Dio, nel invocarlo Padre, nel bisogno di esaltarne il Nome, di realizzare il Regno, di compiere la Sua volontà; e nella seconda parte chiediamo di essere liberati dal male, di esercitare la misericordia verso i fratelli, di ricevere l’alimento da parte di Dio per l’anima e per il corpo per potere realizzare il Suo Regno, santificare il Suo Nome, compiere la Sua Volontà.
Ecco in sintesi tutto il Padre Nostro. Deve essere il nostro programma di vita e la nostra tessera di riconoscimento, prima di tutto come cristiani e poi anche come membri della Comunità.
Ed è bello, mi sembra, che la Comunità dei Figli dì Dio non voglia realizzare altro che la vocazione propria del cristiano.
Non andiamo a cercare devozioncine qua e là: Padre Nostro! Ma come dobbiamo dirlo bene, come dobbiamo cercare di realizzare questa parola per vivere già quaggiù sulla terra la vita del cielo!

quarta-feira, 13 de março de 2019

Dal Diario di Don Divo Barsotti Chiesa problemi del Magistero


 - 26 Gennaio 1989

 

La Chiesa da decenni parla di pace e non la può assicurare, non parla più dell'inferno e l'umanità vi affonda senza gorgoglio. Non si parla del peccato, non si denuncia l'errore.
A che cosa si riduce il magistero? Mai la Chiesa ha parlato tanto come in questi ultimi anni, mai la sua parola è stata così priva di efficacia.
« Nel mio nome scacceranno i demoni ... ». Com'è possibile scacciarli se non si crede più alla loro presenza? E i demoni hanno invaso la terra.
La televisione, la droga, l'aborto, la menzogna e soprattutto la negazione di Dio: le tenebre sono discese sopra la terra.
Leggo la vita di Cechov. Era un agnostico, ma il suo amore per gli uomini, la sua semplicità ci conquistano. Mi domando come mai queste biografie che certo non sono di santi, mi prendono tanto.
Non vuole essere un eroe, non è un filosofo, sdegna di affrontare i grandi problemi, è conciliante, crede ingenuamente nel progresso.
Contestazione dei teologi al Papa.
Forse la crisi non sarà superata finché, in vera umiltà, i vescovi non vorranno riconoscere la presunzione che li ha ispirati e guidati in questi ultimi decenni e soprattutto nel Concilio e nel dopo-Concilio.
Essi, certo, rimangono i «doctores fidei» , ma proprio questo è il loro peccato: non hanno voluto definire la verità, non hanno voluto condannare l'errore e hanno preteso di «rinnovare» la Chiesa quasi che il «loro» Concilio potesse essere il nuovo fondamento di tutto.
 
Dal volume "Fissi gli occhi nel sole" Ed. Messaggero Padova

DON DIVO BARSOTTI, BIOGRAFIA a cura di Don Serafino Tognetti

DON DIVO BARSOTTI
Fondatore della “Comunità dei figli di Dio”
25 Aprile 1914 - 15 Febbraio 2006

"Chi veramente crede... vive al di là della morte"
BIOGRAFIA
a cura di
Don Serafino Tognetti
Superiore della “Comunità dei figli di Dio”

Don Divo BARSOTTI, unanimemente riconosciuto come una delle Figure più luminose della Chiesa del '900, è stato uno Scrittore, Poeta, Predicatore, un Uomo dello Spirito e Fondatore della “Comunità dei figli di Dio”, avente come base un carattere contemplativo, che conta più di duemila Membri sparsi nel Mondo.
Paradossalmente, per chi lo abbia cercato e abbia desiderato conoscerlo, non è stato mai facile scovarlo o incontrarlo, perché Don Divo non ha mai amato e né voluto le copertine, le immagini.
“Gesù – scriveva il Teologo e Scrittore Danese Soren Aabye KIERKEGAARD, 1813-1855 nei suoi Diari – non desidera ammiratori, ma seguaci; non vuole applausi, ma discepoli”.
Così, anche Don Divo BARSOTTI: pur avendo grandi capacità, grandi doti e una vita di preghiera fuori dal comune, è scappato sempre da ciò che può semplicemente apparire.
Irriducibile, Anima tesa all'Assoluto, Don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la Volontà di Dio, sino alla fine, senza sentirsi mai appagato in alcun posto, a iniziare dalla propria Diocesi, San Miniato, appena ordinato Sacerdote, tanto che nel dopoguerra il Vescovo lo lasciò partire volentieri per Firenze.
Anche a Firenze, un posto vero e proprio non lo ha mai avuto: troppo incandescente per avvicinarsi a lui
Una parola viva, ma anche tagliente, la sua.
Dal Convento della Calza, dove il Cardinale Elia DALLA COSTA lo aveva mandato come Cappellano delle Suore, cominciò a farsi notare per la Predicazione, ricca di toni nuovi per quel tempo, che richiedeva un rinnovamento della Chiesa, ossia di tutti i Battezzati, Chierici e Laici, nella via della Santità.
Dopo gli anni di vita nascosta, di studi privati e personali a Palaia, in Provincia di Pisa, le sue Predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasmettevano, con quella Esegesi Biblica, spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo non intrupparsi (unirsi in truppa) e irreggimentarsi (sottoporsi ad una intensa disciplina togliendo la libertà personale) in nessun schema.
Decisamente di indole contemplativa, quando nel 1951 scrisse il suo capolavoro “Il Mistero Cristiano nell'Anno Liturgico”, non si accorse di aprire una scuola nuova, insieme a Odo CASEL, Monaco Benedettino, Teologo della Liturgia, Filosofo e Sacerdote, 1886-1948, peraltro mai conosciuto personalmente, che avrebbe avuto una grande importanza, ancora non esaurita, in seguito.
Entrare nel Mistero della vita e della morte, inserirsi nell'Atto di Cristo di Morte e Resurrezione, per salvare, con Lui, il Mondo: questo è stato il punto fisso della Vita e della Predicazione di Don BARSOTTI.
Come?
Semplice: con la preghiera oggettiva, la Liturgia – Santa Messa e Liturgia delle Ore - la Contemplazione, il silenzio, l'esercizio della Divina Presenza continua, la preghiera del cuore. Cose che egli ha esercitato e insegnato a tutti i livelli.
Da giovane Prete, per qualche anno, volle andare in missione in India o in Oriente, ma i tentativi fallirono sempre.
Incarichi ed impegni ufficiali la Chiesa non gliene diede mai.
Amicizie tante, ma sempre al di là dei gruppi e degli schieramenti.
Giorgio LA PIRA, uomo politico, Sindaco di Firenze, Servo di Dio, 1904-1977, gli fu caro amico, soprattutto in quegli anni a Firenze.
Ma la sua irrequietezza, che sprigionava dal suo Spirito, gli impediva di mettere radici da qualche parte, in maniera definitiva.
Solo alcune donne anziane, della zona di Porta Romana, a Firenze, nel dopoguerra, osarono mettersi alla sua sequela (al suo seguito), e Don Divo, anziché proporre una direzione spirituale personale, singolarmente, fece di loro un Gruppetto di Preghiera e di studio, dando un programma di vita, che avrebbe impegnato severamente persino i Trappisti (Ordine Cistercense Riformato, che osserva rigorosamente la Regola Benedettina).
Nacque, così, la “Comunità dei figli di Dio”, che avrebbe poi avuto, nel tempo, una lenta e continua crescita sia in Italia che nel Mondo.
Ecco, cosa era:
     · Scrittore, senza cercare pubblicità;
     · uomo di preghiera, che sentiva l'urgenza di comunicare la propria esperienza;
     · amico di molti, senza dipendere da nessuno;
     · Insegnante di Teologia, ma senza Programmi Didattici;
     · padre di una “Comunità” numerosa, ma senza averlo cercato.
La Vita di Don Divo si riassume bene nel titolo di un suo Diario Spirituale:
“La fuga immobile”. 
Si fugge dal Mondo, dalle sue convenzioni, dalle sue vanità e dal suo dominio, ma per rimanere immobili in Dio, fermi nei principi immutabili di sempre, nella Tradizione, nell'Amore alla Chiesa.
Dopo il Concilio Vaticano II, Don Divo BARSOTTI non cambiò il tono delle sue proposte.
Rinnovamento sì, ma non nelle strutture: nei cuori.
Il richiamo alla Santità personale, fino alla fine, è stato il suo grido profetico, che ha vissuto in prima persona, sempre.
L'Amore alla Liturgia, alla Santa Messa sono i grandi richiami di Don Divo.
Chi ebbe l’occasione di assistere ad una sua Celebrazione Eucaristica, difficilmente la dimenticherà, non tanto per lui in sé, quanto perché, immergendosi in quell'Atto, a volte fino alla commozione e alle lacrime, introduceva i Fedeli, potentemente, nel Mistero: la Santa Messa diveniva la Presenza di Dio, del suo Sacrificio.
Don Divo ha scritto centinaia di libri, tradotti in molte lingue.
È molto conosciuto all'Estero: in Francia, in Germania, in Spagna, persino in Russia, per aver parlato, per primo, in Italia, di San Sergio, San Serafino, San Silvano del Monte Athos, dei Padri di Optina.
Ha scritto migliaia di pagine, articoli di Agiografia: conosceva benissimo tutti i Santi e Beati Italiani, anche quelli semisconosciuti nelle proprie Diocesi.
Ha scritto articoli di spiritualità, poesie, saggi, commenti biblici, eccetera, a tal punto che Padre Alonso Shoekel era entusiasta di lui e che, prima di morire, gli scrisse una lettera dalla Spagna, obbligandolo a ristampare il libro sulla Genesi,
Ha tenuto gli Esercizi Spirituali alla Curia Romana, al tempo di Papa Paolo VI; ha predicato in decine di Monasteri, in Italia e all'Estero, a Seminaristi, Sacerdoti, Vescovi... ma sempre rimanendo lontano dai riflettori, come se gli bastasse essere conosciuto solo da Cristo, nelle preghiere, nella pace.
Egli era consapevole del paradosso della sua Missione e Funzione:
“Sofronio di Gerusalemme fu eletto Patriarca di Gerusalemme a 84 anni – annota, nel suo Diario, l'8 Giugno 1973.
È necessaria tutta la vita per prepararsi a compiere quella che è la nostra Missione.
Cinquant'anni di silenzio, di macerazione solitaria, di fallimenti.
Bisogna che l'uomo non viva più per compiere nulla.
Quando sarà liberato da ogni volontà di potenza e non vivrà più la sua vita che nella profondità del silenzio, allora Dio userà di lui.
Che nulla ti turbi.
L'oblio di tutto il Creato, la rinunzia ad ogni opera è condizione imprescindibile alla vera Carità.
Bisogna che tu realizzi l'assoluta grandezza della Presenza di Dio nel vuoto di tutto, nel silenzio di ogni Creatura, nell'esperienza della tua povertà.
Era necessario che tu passassi per questo deserto; è necessario che nel deserto tu debba morire, bruciato dalla sete, scottato dal Sole.
In questo deserto, un giorno le ossa aride udranno, un giorno, la Sua Voce: tu potrai levarti, allora, pronto alla battaglia e lo Spirito di Dio ti sosterrà, ti porterà”.
La sua giornata di “Casa San Sergio”, piccola casa sui Colli fiorentini, nella quale ha vissuto dal 1956 fino alla morte, è stata scandita da un ritmo di preghiera, di silenzio, di meditazione, di ascolto.
I suoi Diari spirituali, alcuni dei quali editi, sono dei veri e propri Inni d’Amore e Trattati di Teologia – certo non sistematica – in cui Dio appare come il Grande Amato, il Grande Ricercato, il Senso stesso della Vita e del Mondo.
E in questo silenzio, in questo isolamento - Don Divo è stato molto amato dai suoi affezionati Lettori, dai suoi Figli Spirituali, dagli Amici, dai Religiosi in Conventi e Monasteri, ma ignorato dal Mondo Accademico - ci appare chiaro come il messaggio così Cristologico e Trinitario di Don Divo possa essere il centro di una ripresa vitale della Chiesa, che con Giovanni Paolo II, prima, e con Benedetto XVI, ora, richiama la Cristianità ai propri doveri e responsabilità davanti ad un Mondo secolarizzato e abbruttito dalla violenza.
“Aprite le porte a Cristo!” è il grido che in Don Divo ha un assoluto rilancio, proprio perché così lungamente meditato, un grido che può contribuire a dare luce e sale alla Cristianità, in Europa e nel Mondo.
Don Divo è stato un uomo che ha dedicato tutta la vita a far conoscere agli Uomini la bellezza della Verità, contemplata nella Fede.
Passionale e forte, dolce e paterno, solitario e uomo di Fede incrollabile, Monaco e Predicatore al tempo stesso, insofferente alle mode e capace, con una parola, di illuminare un'intera esistenza...
Tutto questo è stato Don Divo BARSOTTI.
Lascia dietro di sé Scritti, Libri e Pagine che testimoniano la sua straordinaria esperienza di Dio… lascia una Comunità di Anime Consacrate… lascia tanti solchi aperti e pronti ad essere fecondati di nuovo dalla Sapienza Divina.
Poco prima che la malattia finale gli togliesse lentamente la possibilità di leggere e scrivere, verso la fine del 2002, scrisse nel suoi Appunti queste parole:

“Nessuna fuga dal tempo
porta via con sé quello che io vivo.
Quello che io vivo entra con me
nella Presenza di Colui che mi ama:
nulla è perduto, ma in Lui tutto si raccoglie.
Non esiste la morte, se veramente esiste l'Amore”.