sábado, 11 de julho de 2009

I frutti del ‘Summorum Pontificum’ e i ‘peccatori liturgici’ del post-Concilio di Matteo Orlando



CITTA’ DEL VATICANO - Il 7 luglio è stato il secondo anniversario della diffusione nel mondo del ‘Motu Proprio’ di Sua Santità Benedetto XVI dal titolo: “Summorum Pontificum” (SP). In occasione del primo anniversario abbiamo cercato di commentare il post SP, tra ottime accoglienze ed inspiegabili malumori, purtroppo anche da parte di alcuni Cardinali e vescovi. Quest’anno vogliamo sottolineare qualcos’altro. Intanto un dato statistico significativo. Se in tutto il mondo occidentale le vocazioni sacerdotali sono in calo, quelle nelle comunità cattoliche che hanno preso sul serio il SP e la liturgia tradizionale sono in continuo aumento. In Francia, ad esempio, a discapito di un meno 80% di seminaristi odierni rispetto agli anni del Concilio Vaticano II, tutti gli istituti ‘Ecclesia Dei’ (riconosciuti da Roma), ma anche la ‘Fraternità San Pio X’, registrano un aumento nel numero dei seminaristi e prevedono ulteriori aumenti per i prossimi anni. Molti seminaristi diocesani, poi, non nascondono la loro preferenza per la forma straordinaria del rito romano e dicono di voler applicare il SP di Benedetto XVI nelle loro future parrocchie. Per la celebrazione del rito straordinario si prospetta un bell’avvenire, visto che circa un seminarista francese su quattro oggi è destinato alla celebrazione secondo la forma straordinaria, e questo benché i fedeli che frequentano centri di Messa tradizionale non siano più del 2-4% di tutti i cattolici. C’è da dire, ancora, che il SP ha avuto in tutto il mondo cattolico delle magnifiche conseguenze spirituali. Basti pensare all’aumento nelle vocazioni registratosi presso quegli Istituti sacerdotali e religiosi (come la società di vita apostolica in forma canonicale di diritto pontificio dell'Istituto di ‘Cristo Re Sommo Sacerdote’) che fanno uso della liturgia tradizionale, alla nascita di gruppi e circoli che ad esso si ispirano (come l’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum del domenicano padre Vincenzo Nuara) e al rinnovato fervore dei fedeli laici che frequentano gli ambienti in forte crescita della cosiddetta “Messa in latino”. Quindi, tra i tradizionalisti fioriscono vocazioni percentualmente molto più frequenti che tra i fedeli ordinari! Ancora, scagliarsi contro la Messa tradizionale e, quindi, contro il Motu Proprio che l’ha liberalizzata, non significa difendere il Concilio Vaticano II, che ha voluto la riforma liturgica, ma negarlo. Non ci credete? Ecco una rassegna di alcuni punti della ‘Sacrosanctum Concilium’:

21. La liturgia consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all' intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni. In tale riforma, occorre ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà, che significano, e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capire facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria.

22. Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo. Perciò, nessun altro, assolutamente, anche se sacerdote, aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa, in materia liturgica.

23. Non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l' avvertenza che le nuove forme scaturiscano in maniera in qualche modo organica da quelle già esistenti. Si evitino anche, per quanto è possibile, notevoli differenze di riti tra regioni confinanti.

24. Massima è l'importanza della Sacra Scrittura nel celebrare la liturgia. Da essa, infatti, vengono tratte le letture da spiegare nell'omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni. Perciò, allo scopo di favorire la riforma, il progresso e l'adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della sacra scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali.

28. Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia solo e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza.

29. Anche i ministranti, i lettori, i commentatori, e tutti i membri del coro svolgono un vero ministero liturgico. Essi perciò esercitino il proprio ufficio con la sincera pietà e l'ordine che convengono ad un così grande ministero e che il popolo di Dio esige giustamente da essi. Bisogna dunque che essi siano permeati con cura, ognuno secondo la propria condizione, dallo spirito liturgico, e siano formati a svolgere la propria parte secondo le norme stabilite e con ordine.

30. Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, la antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l' atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio.

35. Nelle sacre celebrazioni, venga disposta una lettura della Sacra Scrittura più abbondante, più varia e più adatta, si inculchi anche in tutti i modi una catechesi più direttamente liturgica, e negli stessi riti siano previste, se son necessarie, brevi didascalie da farsi con formule prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente, solo nei momenti più opportuni.

36. L'uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti latini. Dato però che, sia nella Messa sia nell'amministrazione dei Sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua volgare può riuscire assai utile per il popolo, si possa concedere ad essa una parte più ampia, e specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti.

52. Si raccomanda vivamente l'omelia, come parte della stessa liturgia; in essa, nel corso dell'anno liturgico, vengono presentati, dal testo sacro, i misteri della fede e le norme della vita cristiana. Anzi, nelle Messe della domenica e delle feste di precetto celebrate con partecipazione di popolo, l'omelia non si ometta se non per grave motivo.

53. Sia ripristinata dopo il vangelo e l'omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto, la "orazione comune" o "dei fedeli", in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano preghiere per la Santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo.

54. Si possa concedere, nelle Messe celebrate con partecipazione di popolo, un conveniente posto alla lingua volgare, specialmente nelle letture e nella "orazione comune", e, secondo la condizione dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo. Si abbia cura però che i fedeli possano recitare o cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della Messa che spettano ad essi.

113. L'azione liturgica assume una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente in canto, con la presenza dei sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo.

114. Si conservi e si incrementi con somma cura il patrimonio della musica sacra Si promuovano con impegno le "Scholae cantorum" specialmente presso le Chiese cattedrali; i vescovi, poi, e gli altri pastori d'anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata in canto tutta l'assemblea dei fedeli possa dare la sua partecipazione attiva.

115. Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei religiosi e delle religiose e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole cattoliche; per raggiungere questa formazione si preparino con sollecitudine i maestri destinati all'insegnamento della musica sacra. Si raccomanda, inoltre, se sarà opportuno, l'erezione di istituti superiori di musica sacra. Ai musicisti, ai cantori, e in primo luogo ai fanciulli, si dia anche una genuina formazione liturgica.

116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonica, non si escludono affatto nella celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell' azione liturgica.

117. Si porti a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano. Conviene inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori.

118. Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, e nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme e disposizioni delle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.

120. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, come strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle realtà supreme. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare,convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l' edificazione dei fedeli.

121. I musicisti, animati da spirito cristiano, sentano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra e che non solo possano essere cantate dalle maggiori "Scholae cantorum", ma convengono anche alle "Scholae" minori, e favoriscano la partecipazione attiva di tutta l' assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra scrittura e dalle fonti liturgiche.

124. Nel promuovere e favorire un'autentica arte sacra, gli ordinari procurino di ricercare piuttosto una nobile bellezza che una mera sontuosità. E ciò valga anche per le vesti e gli ornamenti sacri. I vescovi abbiano cura di allontanare con zelo dalla casa di Dio e dagli altri luoghi sacri le opere d'arte che sono contrarie alla fede e ai costumi, e alla pietà cristiana, che offendono il genuino senso religioso, o perché depravate nelle forme, o perché mancanti, mediocri o false nell'espressione artistica. Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente che siano idonei a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli.

125. Resti ferma la prassi di esporre nelle Chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre; tuttavia, si espongano in numero moderato e nell'ordine dovuto, per non destare meraviglia nel popolo cristiano e per non indulgere ad una devozione non del tutto retta.

127. Tutti gli artisti, che guidati dal loro ingegno intendono servire alla gloria di Dio nella Santa Chiesa, ricordino sempre che si tratta di una certa sacra imitazione di Dio creatore e di opere destinate al culto cattolico, all' edificazione, alla pietà e all' istruzione religiosa dei fedeli.

128. Si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici, a norma dell'art. 25, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, specialmente per la costruzione degna ed appropriata degli edifici sacri, la forma e la erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione e dell'ornamento. Quelle norme che risultano meno rispondenti alla riforma della liturgia siano corrette o abolite; quelle invece che la favoriscono siano mantenute o introdotte. A tale riguardo, soprattutto per quanto si riferisce alla materia e alla forma della sacra suppellettile e degli indumenti, si concede facoltà alle assemblee episcopali delle varie regioni di fare gli adattamenti richiesti dalle necessità e dalle usanze locali, a norma dell'art. 22 della presente costituzione.

Qualcuno, ora, ci dica se le definizioni del Concilio sulla liturgia, corrispondono di più alla Messa tradizionale o a quella riformata!Già solo il fatto che latino e canto gregoriano siano stati tanto raccomandati dal Concilio, che per di più non ha mai chiesto che il prete si girasse verso il popolo, dà una risposta chiara. Per concludere, una riflessione sulla dimensione culturale, artistica, pedagogica, musicale, e soprattutto storica e liturgica, del SP di Benedetto XVI espressa dal tedesco M. Mosebach in “Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico, edizioni Cantagalli”. In sostanza, citando CR n. 1098, “se il Messale del 1962, liberalizzato da Benedetto XVI, conteneva in sé tutta la tradizione liturgica e dottrinale della Chiesa latina ed anche segnalati elementi delle divine liturgie orientali, il Novus Ordo Missae è derivato da una Commissione di esperti che di fatto ruppero, almeno in parte, con questa tradizione sia per innovarla (e magari avvicinarla alla pseudo riforma luterana) sia paradossalmente per depurarla, riportandola ad una pretesa purezza originaria (e qui emerge l’insano archeologismo denunciato da Pio XII): due tendenze contrarie, dalla cui mistura è uscito quel novum che non poteva accontentare né la pietà dei fedeli, né la scienza liturgica dei migliori specialisti in materia, da Klaus Gamber allo stesso Joseph Ratzinger. Se la liturgia tradizionale era stata il veicolo della creazione di un’arte, di una musica e di una cultura cristianamente ispirate, la nouvelle liturgie, al contrario, si ispirò al mondo contemporaneo e alle sue forme artistiche e di pensiero secolarizzato per entrarci in dialogo e collaborazione. I risultati spirituali appaiono al Mosebach persino peggiori di quelli artistici visibili nelle Chiese innalzate per il nuovo rito. Se le Chiese fatte sotto l’ispirazione della riforma liturgica non giovano né all’arte né alla spiritualità cristiana, le stesse Chiese tradizionali (dalle basiliche romane alle cattedrali gotiche fino alle rustiche cappelle di campagna) sembrano decadere quando non vengono più animate dallo spirito per cui furono costruite”. La Messa antica non nuoce all’unità della Chiesa, come sottolineano giustamente gli amici di messainlatino.it. Nell’epoca della globalizzazione, poter trovare in ogni parte del mondo una Messa in latino, universalmente uguale, è un magnifico collante dell’unità della Chiesa e consente a tutti di sentirsi a casa. Naturalmente, vanno mantenute gli arricchimenti del nuovo Lezionario: l’importanza del fatto che il popolo di Dio è ammesso ad una maggiore ricchezza di brani scritturistici (anche se c’è da capire se il fedele medio quando esce da Messa si ricorda qualcosa delle molte letture ascoltate…); la preghiera dei fedeli che ha introdotto le aspirazioni della gente nella preghiera (anche se in pratica è diventata una preghiera che qualcuno definisce “dell’aria fritta”, come nel caso di “affinché i popoli della Terra, affratellati dal comune anelito alla giustizia, possano conseguire livelli di autosufficienza economica più consoni alle loro legittime aspirazioni...”: ma che vuol dire? Non sarebbe meglio, per esempio, qualcosa di concreto: “Preghiamo per la guarigione della nostra sorella…, per la liberazione dal demonio del nostro fratello…, per la vocazione dei nostri giovani…). Papa Benedetto XVI è stato sempre chiaro: la crisi della Chiesa deriva dal disastro dell’attuale liturgia, una “costruzione artificiale di una Messa nuova, seppure ricostruita con pezzi di quella precedente”, che ha allontanato molte persone dalla partecipazione alla liturgia. Il Papa, con grande coraggio, ha intrapreso un’opera di ricostruzione difficilissima, “dopo 40 anni di bombardamento sull’edificio liturgico”. Occorre pazienza, pazienza, e ancora pazienza. Oltre che un’accorata preghiera per la conversione dei peccatori… liturgici. Chi può intendere, intenda!

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