«La primissima reazione è stata di grande sorpresa e di grande timore. Poi, ho vissuto con una certa trepidazione la vigilia dell’inizio del mio servizio e, insieme, ho sentito molto il distacco dalla mia diocesi e dalla mia città, da mia sorella e dalla sua famiglia, dalle tante persone amiche, dagli ambienti nei quali ho esercitato in modo particolare il mio sacerdozio: la Curia, il Seminario, la Cattedrale. Al contempo, però, sono rimasto molto onorato di essere stato chiamato dal Santo Padre a svolgere il servizio di Maestro delle Celebrazioni Liturgiche. La possibilità che mi è stata data di stare accanto al Santo Padre l’ho sentita da subito come una vera grazia per il mio sacerdozio».
Monsignor Guido Marini, genovese, 42 anni, descrive così al Riformista, il suo arrivo lo scorso ottobre in Vaticano per prendere il posto di Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Papa. Una nomina che permette a monsignor Marini di lavorare a stretto contatto con il Papa. «Ciò che ho percepito all’inizio del mio nuovo mandato - racconta - ha trovato puntuale conferma tutte le volte che ho avuto la grazia di incontrare il Santo Padre. Questi incontri sono stati e sono sempre per me motivo di grande gioia e di grande emozione. Mai avrei pensato, io attento lettore ed estimatore del cardinal Ratzinger, di avere un giorno la grazia di essergli vicino come lo sono adesso. E poi, ogni volta, insieme alla venerazione profonda che suscita in me la figura del Papa, vivo l’esperienza del Suo tratto umano sereno, gentile, fine e delicato che mi riempie il cuore di gioia e che mi invita a spendermi con ogni energia per collaborare con generosità, umiltà e fedeltà per l’attuazione del Suo Magistero in ambito liturgico, per quanto attiene alle mie competenze».
Il posto di Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Papa è importante perché, se è vero che lex orandi lex credendi (la Chiesa crede in ciò che prega) allora dirigere le cerimonie papali con rigore e fedeltà alle norme è un aiuto alla fede di tuta la Chiesa. «La Liturgia della Chiesa - spiega Marini -, con le parole, i gesti, i silenzi, i canti e le musiche ci porta a vivere con singolare efficacia questi diversi momento della storia della salvezza, in modo tale che ne diventiamo davvero partecipi e ci trasformiamo sempre di più in discepoli autentici del Signore, ripercorrendo nella nostra vita le orme di Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza. La celebrazione liturgica, quando è realmente partecipata, induce a questa trasformazione che è storia di santità».
Il posto di Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Papa è importante perché, se è vero che lex orandi lex credendi (la Chiesa crede in ciò che prega) allora dirigere le cerimonie papali con rigore e fedeltà alle norme è un aiuto alla fede di tuta la Chiesa. «La Liturgia della Chiesa - spiega Marini -, con le parole, i gesti, i silenzi, i canti e le musiche ci porta a vivere con singolare efficacia questi diversi momento della storia della salvezza, in modo tale che ne diventiamo davvero partecipi e ci trasformiamo sempre di più in discepoli autentici del Signore, ripercorrendo nella nostra vita le orme di Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza. La celebrazione liturgica, quando è realmente partecipata, induce a questa trasformazione che è storia di santità».
E un aiuto in questa “trasformazione” può essere quel riposizionamento voluto nelle liturgie papali della croce nel mezzo dell’altare, come un residuo dell’antico “orientamento a Oriente” delle chiese: verso il sole che sorge, verso Colui che viene. «La posizione della Croce al centro dell'altare - dice Marini - indica la centralità del crocifisso nella Celebrazione Eucaristica e l'orientamento interiore esatto che tutta l'assemblea è chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal Signore viene la salvezza, Lui è l’Oriente, il Sole che sorge a cui tutti dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono della grazia. La questione dell’orientamento liturgico nella Celebrazione Eucaristica, e il modo anche pratico in cui questo prende forma, ha grande importanza, perché con esso viene veicolato un fondamentale dato insieme teologico e antropologico, ecclesiologico e inerente la spiritualità personale».
Un riposizionamento, quello della croce, che evidenzia come le prassi liturgiche del passato debbano vivere ancora oggi. «La liturgia della Chiesa - dice Marini -, come d’altronde tutta la sua vita, è fatta di continuità: parlerei di sviluppo nella continuità. Ciò significa che la Chiesa procede nel suo cammino storico senza perdere di vista le proprie radici e la propria viva tradizione: questo può esigere, in alcuni casi, anche il recupero di elementi preziosi e importanti che lungo il percorso sono stati smarriti, dimenticati e che il trascorrere del tempo ha reso meno luminosi nel loro significato autentico. Quando questo avviene non si realizza un ritorno al passato, ma un vero e illuminato progresso in ambito liturgico».
E in questo progresso non si può non menzionare il Motu proprio Summorum Pontificium: «Considerando con attenzione il Motu proprio, come anche la lettera indirizzata dal Papa ai vescovi di tutto il mondo per presentarlo, risalta un duplice preciso intendimento. Anzitutto, quello di agevolare il conseguimento di “una riconciliazione nel seno della Chiesa”; e in questo senso, come è stato detto, il Motu proprio è un bellissimo atto di amore verso l’unità della Chiesa. In secondo luogo, e questo è un dato da non dimenticare, quello di favorire un reciproco arricchimento tra le due forme del Rito Romano: in modo tale, ad esempio, che nella celebrazione secondo il Messale di Paolo VI (forma ordinaria del Rito Romano) “potrà manifestarsi in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso”».
Sono giorni importanti per la Chiesa. Giorni in cui la Chiesa rivive la passione, morte e risurrezione del Signore. Giorni di un tempo liturgico importante per i fedeli, i giorni di Quaresima e della settimana Santa e quindi della Pasqua: «La Quaresima - dice - è tempo di sincera conversione nel clima spirituale dell’austerità. Un’austerità che non è fine a se stessa, ma finalizzata ad agevolare il recupero di quanto è davvero essenziale nella vita umana. E ciò che è davvero essenziale, al di là di tutto, è Dio. Ecco perché la Quaresima è un tempo privilegiato di ritorno a Dio con tutto il cuore, attraverso la triplice via della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, come ci ricorda la pagina evangelica del Mercoledì delle Ceneri. È il tempo nel quale siamo chiamati a rivivere interiormente, nell’arco di quaranta giorni, l’esperienza dell’antico popolo di Dio pellegrino nel deserto e l’esperienza della tentazione provata da Gesù. In fondo, entrambe queste esperienze, ci riportano a una lotta vissuta per incontrare Dio e rimanere in intima comunione con Lui, conservare il primato della Sua volontà nella vita, non permettere che altro da Lui abbia la capacità di fagocitare il cuore umano. Con la Pasqua, invece, si aprono nuovi scenari di spiritualità, colorati di gioia esultante, di vita sovrabbondante, di luminosa speranza: perché con Cristo Risorto la morte è debellata, il peccato e il male non hanno più l’ultima parola sulla vita dell’uomo, l’eternità felice è una prospettiva reale, la vita trova un senso compiuto, si scopre che la Verità del volto di Dio è Amore misericordioso senza fine».