ANNUNCIO DEL CONCILIO
LE
APPLICAZIONI DEL VATICANO II OPPOSTE ALLE INTENZIONI DI GIOVANNI
XXIII
RICONOSCIMENTI DELLO SMARRIMENTO
A) Paolo VI, Seminario
lombardo in Roma, Oss. Rom., 7 dicembre 1968: "La Chiesa si trova in un'ora
inquieta di autocritica, si direbbe di autodemolizione. È come un rivolgimento
acuto e complesso che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. La Chiesa
quasi quasi viene a colpire se stessa".
B) Paolo VI, Oss. Rom., 30
giugno 1972: ".... da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di
Dio". /.../ "Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che
dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa.
E venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio".
C) Paolo VI, Oss. Rom., 18
luglio 1975. Più che l'assalto esterno, percuote la Chiesa, l'interiore
dissoluzione: "Basta con il dissenso interiore alla Chiesa. Basta con una
disgregatrice interpretazione del pluralismo. Basta con l'autolesione dei
cattolici alla loro indispensabile coesione. Basta con la disobbedienza
qualificata come libertà".
D) Papa Giovanni Paolo II in
occasione di un convegno per la Missioni al popolo, affermò: "Bisogna ammettere
realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani, oggi,
in gran parte, si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi; si sono
sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre
insegnata; si sono propagate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e
morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni; si è manomessa la Liturgia;
immersi nel "relativismo" intellettuale e morale, e perciò nel permissivismo, i
cristiani sono tentati dall'ateismo, dall'agnosticismo, dall'illuminismo
vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e
senza morale oggettiva" (Oss. Rom., 7 febbraio 1981).
MUTAZIONE SOSTANZIALE?
/.../ Può esserci una Chiesa
sostanzialmente nuova? Qui c'è un'idea impossibile nella Tradizione cattolica:
l'idea che il divenire storico della Chiesa, possa essere un divenire di fondo,
UNA MUTAZIONE SOSTANZIALE, un cambiamento da "tutt'altra" in "tutt'altra".
Invece nel divenire della Chiesa cambiano le forme accidentali e le
congiunture storiche, ma resta identica e senza innovazioni sostanziali, la
sostanza della religione. La sola novità che l'ecclesiologia ortodossa conosca è
la novità escatologica con "nuova terra e nuovo cielo", in cui la creazione è
liberata dall'imperfezione, non dal limite del peccato mediante la giustizia
delle giustizie. La Chiesa diviene, ma non muta. Non si dà, in essa, novità
radicale. Se la fede cattolica si mutasse da tutt'altro in tutt'altro, non ci
sarebbe più l'identico soggetto, ci sarebbero due soggetti sostanzialmente
differenti e morrebbe la continuità tra Chiesa presente, passata e futura. Ci
sono mutazioni nel tempo solo accidentali, non già nella sostanza. Di questa
sostanza "non passerà uno iota". Nemmeno uno iota muterà. Theilard de Chardin
non può preconizzare un andare del Cristianesimo oltre se stesso, perché questo
significherebbe morire.
CONCILIO OPPOSTO ALLA PREPARAZIONE
Il Vaticano II ebbe
risultati contrari a quelli indicati dalla sua preparazione. La preparazione
al Concilio (durata 2-3 anni) fu subito e interamente messa da parte. (nota 5 =
Questo fatto, dalle opere che fanno la storia del Concilio, è taciuto o esaltato
come una grande vittoria). Il Concilio nasce da se medesimo, indipendentemente e
contro la preparazione che era stata fatta, sotto la presidenza di Giovanni
XXIII. I fatti riuscirono difformi dalla preparazione. Vene di pensiero
modernista c'erano già in qualche punto della fase preparatoria. Esse però non
impregnarono l'insieme degli schemi preliminari così profondamente e
distintamente come avvenne nei documenti finali del Concilio.
A) Così, ad esempio, la
flessibilità della Liturgia alle varie indoli nazionali era proposta nello
schema della liturgia, ma era ristretta solo ai territori di missione e non si
faceva menzione dell'esigenza tutta soggettiva di una creatività del celebrante.
B) La pratica
dell'assoluzione comunitaria, allargata a scapito della confessione
individuale, era proposta nello schema "de sacramentis".
C) Perfino l'ordinazione
presbiterale di uomini sposati (non però quella di donne!) trovava posto nello
schema "de ordine sacro".
D) Lo schema "de libertate
religiosa" (Card. Bea) avanzava, in sostanza, la grande novità che venne infine
adottata, facendo uscire, sembra, la dottrina dalla via comune, da sempre
professata dalla Chiesa Cattolica.
E) Nello schema "de
disciplina cleri" contemplava l'inabilitazione e la rimozione di vescovi e
presbiteri, toccata una data età. (Motu proprio "Ingravescentem aetatem",
riguarda i Cardinali ottuagenari)
F) Un votum particolare
circa la talare, diede adito al costume di vestire alla laicale, dissimulando
la differenza specifica del prete dal laico e facendo cadere persino la
prescrizione che faceva obbligo della talare durante le funzioni
ministeriali.
C'era chi voleva innovare
l'educazione del clero. Schema "de sacro rum alumnis formandis". La Chiesa ha
sempre operato per formare preti secondo un principio peculiare corrispondente
alla peculiarità ontologica e morale del loro stato consacrato. (NA.R. = se i
preti sono ontologicamente diversi, cioè ricevono un dono che altri non hanno, è
chiaro che devono essere formati in modo diverso da chi non possiede la loro
specificità, il loro dono unico, originale e irriducibile ad altri doni =
N.d.R.) . Nello schema, invece, si chiedeva una formazione del clero che fosse
assimilata, quanto più possibile, alla formazione dei laici.(sic!) Per questo la
"ratio studiorum" dei seminari doveva esemplarsi su quella degli Stati e, in
generale, la cultura del clero doveva smettere ogni originalità rispetto a
quella dei laici. Il motivo (prevalente poi, in Concilio) era che gli uomini di
Chiesa si devono conformare al mondo (sic!) per potere esercitare sul mondo la
loro azione di insegnamento e di santificazione. La Chiesa contemporanea cerca
infatti "alcuni punti di convergenza tra il pensiero della Chiesa e la mentalità
caratteristica del nostro tempo" (Oss. Rom. 25 luglio 1974).
G) Anche circa la "riunione
dei cristiani non cattolici", si fece sentire la voce di chi pareggiava i
protestanti (senza sacerdozio, senza gerarchia, senza successione apostolica e
senza sacramenti) agli ortodossi aventi invece quasi tutto in comune coi
cattolici, fuorché primato e infallibilità. Pio IX aveva fatto nettissima
distinzione: inviò messi apostolici a portare lettere invitatorie ai patriarchi
orientali, ma non riconobbe come Chiese le varie confessioni protestanti,
riguardate come pure associazioni e inviò un appello "ad omnes protestantes",
non perché intervenissero al Concilio, ma affinché tornassero all'unità da cui
si erano allontanati. L’atteggiamento invece affiorato nella preparazione
poggiava sopra un'implicita parziale parità tra cattolici e acattolici; esso
riuscì minoritario nella fase preparatoria, ma ottenne poi che si invitassero,
come "osservatori", i protestanti, indistinti dagli ortodossi ed esercitò la sua
influenza nel decreto sull'ecumenismo.
H) C'era un generale
ottimismo nella diagnosi e nei pronostici nella minoranza della Commissione
centrale preparatoria. Che l'aumento delle scoperte scientifiche (la tecnica in
cui s'identifica la civiltà moderna) corrisponda al regno della dignità e della
felicità umana, fu affacciato nello schema "de Ecclesid", al Cap. 5 "de laicis",
ma impugnato dalla maggioranza che insisteva sul carattere adiaforo dei
progressi tecnici: questi non garantiscono, di per se, un aumento della
moralità. Eppure questo argomento della dominazione della terra per mezzo della
tecnica, verrà sacralizzato (cfr. § 218) nei documenti definitivi e investirà
tutto il pensiero teologico post-conciliare.
Elevare la tecnica a forza
civilizzatrice e moralmente perfezionatrice dell'uomo, non solo è uno sbaglio
in sé, ma partoriva l'idea del solo progresso inarrestabile del mondo e questo
gran vento di ottimismo (NAR. = anche da questo si vede che i documenti sono
almeno datati e vanno corretti c/o almeno aggiornati = N.d.R.)
Questo "ottimismo ingenuo"
doveva presiedere alle formulazioni assembleari e oscurare la visione reale
dello stato del cattolicesimo.
I) Per avere un'idea chiara
di questo strano atteggiamento riferiamo le critiche che un Padre della
Commissione centrale preparatoria opponeva alla descrizione troppo fiorita
della situazione del mondo e della situazione della Chiesa nel mondo (NAR. = è
evidente quindi che questo era il clima e la mentalità e che esso esisteva già
da tempo e che voleva impregnare di sé i documenti del Concilio = N.d.R.): "Non
approvo la descrizione fatta qui con tanta esultanza dello stato presente della
Chiesa, ispirata a mio avviso più alla speranza che alla verità. Perché infatti
parli di aumento del fervore religioso? O in confronto a quale epoca intendi?
Non si devono forse tener in conto le statistiche secondo cui la fede cattolica,
il culto divino e i pubblici costumi, declinano e rovinano? Lo stato generale
delle menti non è forse alieno dalla religione cattolica, essendo separati lo
Stato dalla Chiesa, la filosofia dalla fede, l'indagine scientifica dalla
riverenza verso il Creatore e lo sviluppo tecnico dall'ossequio alla legge
morale? Non soffre forse la Chiesa per la penuria di clero? Molte parti della
Santa Chiesa non sono forse conculcate dai Giganti e dai Minotauri che
insuperbiscono nel mondo? Oppure, come nella Cina, sono travagliate dallo
scisma? Le nostre missioni, piantate e irrigate con tanto zelo e carità, non le
ha forse devastate il nemico? L’ateismo non viene forse oggi celebrato non più
solo dai singoli ma stabilito, cosa assolutamente inaudita, per legge da intere
nazioni? Il numero dei cattolici, non decresce proporzionalmente ogni giorno,
mentre si espandono smisuratamente Maomettani e Gentili? Noi, infatti, che
eravamo poco fa un quarto del genere umano, siamo ridotti ad un quinto. E non è
forse vero che i nostri costumi paganeggiano col divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, la sodomia e con Mammona?".
IL SINODO ROMANO
Quesito paradosso (esito
difforme da quello preordinato, previsto, a cui preludeva) del Concilio,
rispetto alla sua preparazione, appare anche da tre fatti principali: 1) la
fallacia delle previsioni fatte dal Papa e dai preparatori del Concilio; 2)
l'inutilità effettiva del Sinodo Romano indetto da Giovanni XXIII come
anticipazione del Concilio; 3) la nullificazione, quasi immediata, della
Enciclica "Veterum sapientia" che prefigurava la fisionomia culturale della
Chiesa del Concilio.
1) Papa Giovanni XXIII aveva
preparato il Concilio con un atto di rinnovamento e di adeguamento funzionale
della Chiesa e pensava di poterlo concludere entro pochi mesi (Nota 11 - Questo
risulta dalla positio dell'istruttoria preliminare del processo di
beatificazione, ma risulta anche dalle parole del Papa stesso nell'udienza del
13/10/1962 che faceva credere potersi il Concilio concludere a Natale), forse
come il Laterano I, sotto Callisto II nel 1123, quando 300 Vescovi lo finirono
in 19 giorni, o forse come il Laterano II sotto Innocenzo II, nel 1139,*;con
1000 Vescovi che lo finirono in 17 giorni. Fu invece aperto l'11/10/1962 e
chiuso 1'8/12/1965, durando così, discontinuatamente, tre anni. Il
rovesciamento delle previsioni nacque dall'essere abortito il Concilio quale era
stato preparato e dall'essersi successivamente elaborato un Concilio difforme
dal primo e per così dire generatosi da sé stesso e, come dicevano i Greci,
autoghenes. (cfr. pp. 48-49).
TEMI DEL SINODO ROMANO
Fu ideato e convocato da
Giovanni XXIII come un atto solenne previo al Concilio, di cui doveva essere una
prefigurazione ed una realizzazione anticipata. Così dichiarò testualmente il
Papa stesso nell'allocuzione al clero e ai fedeli di Roma il 29 giugno 1960.
L'importanza, dunque, oltrepassava l'ambito della Diocesi di Roma e voleva
abbracciare tutta la Chiesa. La sua importanza veniva paragonata a quella che
rispetto al Concilio di Trento avevano avuto i Sinodi provinciali celebrati da
San Carlo Borromeo. Si riproponeva l'antico adagio che vuole comporsi tutta la
Chiesa Cattolica sul modello della Chiesa romana. Nella mente di Papa Giovanni
XXIII il Sinodo era destinato ad avere un effetto esemplare grandioso: apparve
anche dal fatto che ordinò subito che i testi fossero tradotti in italiano e in
tutte le principali lingue.
I testi del Sinodo Romano,
che furono promulgati il 25, 26 e 27 gennaio 1960, sono una reversione (ripresa,
ritorno ????), totale all'essenza propria della Chiesa, all'essenza,
intendiamo, non pure soprannaturale (questa non si può perdere), ma
dell'essenza storica della Chiesa, un ritiramento (per dire con Machiavelli)
dell'istituzione verso i suoi principii. In tutti gli ordini della vita
ecclesiale, infatti, il Sinodo proponeva una vigorosa restaurazione. La
disciplina del clero era modellata sullo stampo tradizionale, maturato dal
Tridentino e fondato sui due principii, sempre professati e sempre
praticati.
1) Il primo è quello della
peculiarità della persona consacrata e abilitata soprannaturalmente a
esercitare le operazioni di Cristo, e quindi inconfusibilmente separata dai
laici (sacro equivale a separato). Il Sinodo prescriveva ai sacerdoti tutto uno
stile di condotta nettamente differenziato dalle maniere laicali. Tale stile
esige l'abito ecclesiastico, la sobrietà del vitto, l'astensione dai pubblici
spettacoli, la fuga delle profanità. Della formazione culturale del clero era
similmente riaffermata l'originalità e si delineava il sistema che l'anno dopo
il Papa sanzionò solennemente nell'Enciclica "Veterum Sapientia". Il Papa
Giovanni XXIII ordinò anche che si ripubblicasse il "Catechismo" del Concilio
Tridentino, ma l'ordine non fu accolto. (NA.R. = evidentemente il partito dei
modernisti e dei disobbedienti era attivo e funzionava già prima del Vaticano II
= N.d.R.) Soltanto nel 1981, per iniziativa privata, se ne ebbe in Italia una
traduzione (cfr. Oss. Rom., 5-6 luglio 1982)
2) Il secondo principio,
conseguente al primo, è quello dell'educazione ascetica e della vita
sacrificata, che differenzia il clero come ceto (ma anche il laicato, è
chiamato a vivere la dimensione ascetica della vita cristiana).
LEGISLAZIONE LITURGICA DEL SINODO
Non meno significante è la
legislazione liturgica del Sinodo Romano:
a) Si conferma solennemente
l'uso del latino,
b) si condanna ogni
creatività del celebrante che farebbe scadere l'atto liturgico, che è atto
della Chiesa Cattolica, a semplice esercizio di pietà privata,
c) si indica l'urgenza e la
necessità di battezzare i bambini quanto prima.
d) Si prescrive il
tabernacolo nella forma e nel luogo tradizionale,
e) si comanda il canto
gregoriano,
f) si sottopongono
all'approvazione dell'Ordinario i canti popolari di nuova invenzione,
g) si allontana dalle
Chiese ogni profanità, vietando in generale che dentro l'edificio sacro si
eseguano spettacoli e concerti, si vendano stampati ed immagini, si dia campo ai
fotografi, si accendano promiscuamente lumi (si dovrà commettere al prete di
farlo).
Il rigore antico del sacro
viene ristabilito anche circa gli spazi sacri, vietando alle donne l'accesso
al presbiterio. Infine gli altari facciali sono concessi solo per eccezione che
spetta al Vescovo diocesano di concedere. Ognuno può constatare come una tale
massiccia reintegrazione della disciplina antica voluta dal Sinodo fu quasi in
ogni articolo contraddetta e smentita dal Vaticano II. E così il Sinodo Romano,
che doveva essere prefigurazione e norma del Concilio Vaticano Il, precipitò in
pochi anni nel più assoluto oblio ed è in verità "tamquam non fuerit" .
(Nota 12 - In Oss. Rom., 4
giugno 1981, si scrisse, addirittura, che il rinnovamento della Chiesa fu
cominciato da Giovanni XXIII con la celebrazione del Sinodo Romano e con la
celebrazione del Concilio e che "i due finiscono per amalgamarsi". Sì, se
amalgamare significa annientare. Il Sinodo romano non è citato dal Concilio
Vaticano II neppure una volta). Per dare un saggio di questa nullificazione del
Sinodo romano osserverò che, avendo io cercato, in Curie e archivi diocesani, i
testi del Sinodo Romano, non ve li trovai e dovetti estrarli da pubbliche
biblioteche civili (cfr. pp. 49-51) .
"VETERUM SAPIENTIA"
L’uso della lingua latina è,
non metafisicamente, ma storicamente, connaturato alla Chiesa Cattolica. Esso
costituisce inoltre un mezzo e un segno primario della continuità storica della
Chiesa. E siccome non c'è interno senza esterno e tale "interno" sorge, fluttua,
si innalza, si abbassa insieme con l'esterno, è sempre stata persuasione della
Chiesa che l'esternità del latino si dovesse conservare perpetuamente per
preservare l'interno della Chiesa. /.../ La rovina della latinità conseguita al
Vaticano II si accompagnò infatti a moltissimi sintomi di quell'autodemolizione
della Chiesa deprecata da Paolo VI. Anche qui salta agli occhi la frattura tra
l'ispirazione preparatoria data al Concilio e il risultato effettivo di
esso.
Con l'enciclica "Veterum
sapientia", Giovanni XXIII intendeva operare un ritorno ("ritiramento") della
Chiesa ai suoi principii, essendo questa ripresa dei principi fondamentali,
nella mente del Papa, la vera condizione del rinnovarsi della Chiesa nella
propria peculiare natura nel presente "articulus temporum". Il Papa attribuì al
documento un'importanza specialissima e volle rivestita la sua promulgazione di
una solennità che non ha pari nella storia di questo secolo: in San Pietro, al
cospetto del collegio Cardinalizio e di tutto il clero romano. L’Enciclica,
tecnicamente, fu annientata dall'oblio nel quale fu fatta cadere immediatamente
(NA.R. = evidentemente il partito dei modernisti e dei disobbedienti era attivo
e funzionava già prima del Vaticano II = N.d.R.) ed ebbe un insuccesso storico.
Ma la sua importanza rimane (i valori non sono tali solo e se perché accettati):
la sua importanza è data dalla perfetta consonanza con l'individualità storica
della Chiesa.
A) Eenciclica è anzitutto
un'affermazione di continuità. (NAR. = ricordiamo che Lutero volle l'abbandono
del latino principalmente e in modo strumentale per allontanare le masse da
Roma, dal papato = N.d.R.). C'è continuità con la letteratura greca e latina
perché le lettere cristiane sono, sin dai primordi, lettere greche e lettere
latine. Gli incunaboli del Libro Sacro sono greci; i simboli di fede più antichi
sono greci e latini; la Chiesa di Roma dalla metà del secolo III è tutta latina,
parla in latino; i Concili dei primi secoli non hanno altro idioma che il greco.
Questa è una continuità interna alla Chiesa che concatena tutte le sue epoche.
Ma vi è poi una continuità, per dir così, esterna che travalica l'era cristiana
e va a ripigliare tutta la sapienza gentilesca. La dottrina dei Padri greci e
latini, richiamata dal Pontefice con un testo di Tertulliano è che vi è
continuità tra il mondo di pensiero in cui visse la sapienza antica ("Veterum
sapientia") e il mondo di pensiero elaborato dopo la rivelazione del Verbo
incarnato. /.../ La cultura cristiana è, in qualche modo, preparata ed aspettata
obbedienzialmente, come dissero i medievali, dalla sapienza antica, perché
nessuna verità, nessuna giustizia, nessuna bellezza è estranea alla cultura
cristiana. Essa é, dunque, non opposta, ma consentanea alla cultura antica e si
e sempre sostenuta in essa, non solo facendosela ancella e giovandosene
funzionalmente, ma portandola in grembo. Però questo rapporto richiede che si
mantenga ferma la distinzione tra razionale e sovrarazionale e che si eviti di
cadere nel naturalismo e nello storicismo. S. Agostino afferma questa continuità
in modo assoluto e universale: "Infatti quella realtà stessa che oggi si chiama
religione cristiana, già esisteva negli antichi e non mancò mai dagli inizi del
genere umano" (Retract., 1, cap. 13).
B) La parte pratica e
dispositiva della "Veterum sapientia" è di una fermezza che è l'espressione e
l'applicazione di una cristallina dottrina. I punti decisivi sono proprio quelli
che, per la successiva papale desistenza, ne determinarono la
nullificazione.
1) La "ratio studiorum"
ecclesiastica riacquista la propria originalità fondata sullo specifico dello
"homo clericus"; si decide che si risostanzi l'apprendimento delle discipline
tradizionali, massime il latino e greco;
2) Che per ciò ottenere si
espungano e si raccorcino le discipline del "cursus" laicale che, per una
tendenza assimilativa si erano andate introducendo o ampliando (NA.R. = invece
la Gaudium et spes, prescriverà che nelle scienze sacre bisogna introdurre
psicologia e sociologia, addirittura per avere una fede più matura, cfr.
Gaudium et spes, n. 61 e: "Nella cura pastorale si conoscano sufficientemente e
si faccia buon uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle
scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della
sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti ad una più pura e matura
vita di fede" = N. d. R.).
3) Prescrive che nei
seminari le scienze fondamentali, come la dogmatica e la morale, si professino
in latino, seguendo manuali parimenti latini;
4) Che chi tra gli
insegnanti apparisse incapace o renitente alla latinità, si rimuova entro un
congruo tempo.
5) A coronamento della
Costituzione apostolica, destinata a procurare una generale reintegrazione
della latinità nella Chiesa, il Papa decretava l'erezione di un Istituto
superiore di latinità, che avrebbe dovuto formare latinisti per tutta la Chiesa
e curare un lessico del latino moderno. (Nota 15: "La disfatta del latino nella
chiesa post-conciliare è al contrario manifesta. Persino nel Congresso
internazionale tomistico del 1974 il latino non figurava tra le lingue ammesse.
Non c'è dubbio che c'è stato il passaggio ad una Chiesa multilingue ma aliena
dal latino"). La "Veterum sapientia", che toccava un punto storicamente
essenziale del cattolicesimo, richiedeva una grande virtù di obbedienza da
parte di tutti, soprattutto degli organi esecutivi. Occorreva una grande forza
pratica per fare applicare la riforma chiedendo, tra l'altro, agli insegnanti
di conformarsi o dimettersi. Invece la riforma degli studi ecclesiastici fu
osteggiata da molti lati (in molti ambiti) e con vari motivi (in vari modi),
massimi nella provincia tedesca (in Germania) con un libro del Winninger che
ebbe addirittura la prefazione del vescovo di Strasburgo. La riforma degli studi
ecclesiastici di Giovanni XXIII fu in breve tempo annientata. Il Papa, che prima
spingeva per la sua attuazione, ordinò che non se ne esigesse più l'esecuzione;
quelli a cui toccava, per ufficio, di renderla operativa, assecondarono la
fiacchezza papale e la "Veterum sapientia", di cui erano state tanto esaltate
l'opportunità e l'utilità, fu del tutto cancellata e non citata in alcun
documento conciliare.
(NAR. = evidentemente il
partito dei modernisti e dei disobbedienti era attivo e funzionava già prima del
Vaticano II = Era già pronto ed operativo tutto il programma e la macchina
organizzativa per far deviare il Concilio in senso modernista = N.d.R.)
In alcune biografie di
Giovanni XXIII se ne tace del tutto come se non fosse mai esistita, mentre i più
zelanti la menzionano soltanto come un errore. E non c'è nella storia di tutta
la Chiesa un documento così solennizzato e così gettato alle ortiche. Resta da
stabilire se la sua cancellazione "de libro viventium" è stata la conseguenza di
una mancanza di saggezza nel pubblicarla o se è invece stato l'effetto di una
mancanza di intrepidezza (fermezza-coraggio) nell'esigerne l'esecuzione. II
Card. Siri, in un'intervista pubblicata dal mensile "30 Giorni", riferì
dell'esistenza di un gruppo di "contro impostazione" al Concilio che operava
dentro il Concilio con l'aiuto esterno di stampa e media, che lavorava contro la
linea e il programma di Giovanni XXIII e che si riunì già prima del Concilio in
una certa parte dell'Europa. Attraverso questo gruppo si è manifestata una
chiara volontà di manipolare e stravolgere il Concilio (cfr. Fede e Cultura,
Giugno 2009, pp. 29-31). Un'ulteriore e diremmo definitiva prova viene dalla
confessione di uno dei "congiurati", riferita da un insospettabile scrittore
che era il preferito di Paolo VI: Jean Guitton. L’accademico di Francia così
infatti riferisce: "L’indomani faccio visita al card. Tisserant, che è irritato
con Giovanni XXIII. Mi fa vedere un quadro, dipinto da sua nipote sulla base di
una fotografia, che rappresenta una riunione di cardinali prima del concilio. Vi
si vedono sei o sette porporati attorno al presidente, che è Tisserant: "Questo
quadro è storico, o piuttosto è simbolico. Rappresenta la riunione che noi
abbiamo avuto prima dell'apertura del concilio, dove noi abbiamo deciso di
bloccare la prima sessione, rifiutando le regole tiranniche stabilite da
Giovanni XXIII" (Jean Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, (1985) Quarta
edizione 2002, p. 115). ["Ce tableau est historique ou plutòt il est symbolique. Il représent la
réunion que nous avions eu avant l'ouverture du Concile où nous avons décidé de
bloquer la première séance en refusant des règles tyranniques établies par Jean
XXIII" (Paul VI, secret, Paris, 1979, p. 123)1. Chi erano gli altri
porporati presenti a quel "consiglio di guerra"? Non è difficile immaginare chi
facesse parte di quei "noi", visto che al Concilio, in quella prima sessione
qualcuno di quel "noi" si impegnò pubblicamente e concretamente a farla fallire
quella sessione. (Tratto da: Fede e Cultura)