segunda-feira, 28 de abril de 2014

LE APPLICAZIONI DEL VATICANO II OPPOSTE ALLE INTENZIONI DI GIOVANNI XXIII

ANNUNCIO DEL CONCILIO

Papa Giovanni XXIII annuncio del concilio
 
LE APPLICAZIONI DEL VATICANO II OPPOSTE ALLE INTENZIONI DI GIOVANNI XXIII

RICONOSCIMENTI DELLO SMARRIMENTO


A) Paolo VI, Seminario lombardo in Roma, Oss. Rom., 7 dicembre 1968: "La Chiesa si trova in un'ora inquieta di autocri­tica, si direbbe di autodemolizione. È come un rivolgimento acuto e complesso che nes­suno si sarebbe atteso dopo il Concilio. La Chiesa quasi quasi viene a colpire se stessa".

B) Paolo VI, Oss. Rom., 30 giugno 1972: ".... da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio". /.../ "Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio".

C) Paolo VI, Oss. Rom., 18 luglio 1975. Più che l'assalto esterno, percuote la Chiesa, l'interiore dissoluzione: "Basta con il dissenso interiore alla Chiesa. Basta con una disgregatrice interpretazione del pluralismo. Basta con l'autolesione dei cattolici alla loro indispensabile coesio­ne. Basta con la disobbedienza qualificata come libertà".

D) Papa Giovanni Paolo II in oc­casione di un convegno per la Missioni al popolo, affermò: "Bisogna ammettere reali­sticamente e con profonda e sofferta sen­sibilità che i cristiani, oggi, in gran parte, si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi; si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propagate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e mo­rale, creando dubbi, confusioni, ribellioni; si è manomessa la Liturgia; immersi nel "relativismo" intellettuale e morale, e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall'ateismo, dall'agnosticismo, dall'illumi­nismo vagamente moralistico, da un cristia­nesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva" (Oss. Rom., 7 feb­braio 1981).

MUTAZIONE SOSTANZIALE?


/.../ Può esserci una Chiesa sostanzialmente nuova? Qui c'è un'idea impossibile nella Tradizione cattolica: l'idea che il divenire storico della Chiesa, possa essere un divenire di fondo, UNA MUTAZIONE SOSTAN­ZIALE, un cambiamento da "tutt'altra" in "tutt'altra". Invece nel divenire della Chie­sa cambiano le forme accidentali e le con­giunture storiche, ma resta identica e sen­za innovazioni sostanziali, la sostanza della religione. La sola novità che l'ecclesiologia ortodossa conosca è la novità escatologica con "nuova terra e nuovo cielo", in cui la creazione è liberata dall'imperfezione, non dal limite del peccato mediante la giustizia delle giustizie. La Chiesa diviene, ma non muta. Non si dà, in essa, novità radicale. Se la fede cattolica si mutasse da tutt'altro in tutt'altro, non ci sarebbe più l'identico soggetto, ci sarebbero due soggetti sostan­zialmente differenti e morrebbe la continu­ità tra Chiesa presente, passata e futura. Ci sono mutazioni nel tempo solo accidenta­li, non già nella sostanza. Di questa sostan­za "non passerà uno iota". Nemmeno uno iota muterà. Theilard de Chardin non può preconizzare un andare del Cristianesimo oltre se stesso, perché questo significherebbe morire.

CONCILIO OPPOSTO ALLA PREPARAZIONE


Il Vaticano II ebbe risultati contrari a quel­li indicati dalla sua preparazione. La pre­parazione al Concilio (durata 2-3 anni) fu subito e interamente messa da parte. (nota 5 = Questo fatto, dalle opere che fanno la storia del Concilio, è taciuto o esaltato come una grande vittoria). Il Concilio nasce da se medesimo, indipendentemente e contro la preparazione che era stata fatta, sotto la presidenza di Giovanni XXIII. I fatti riuscirono diffor­mi dalla preparazione. Vene di pensiero modernista c'erano già in qualche punto della fase preparatoria. Esse però non impregnarono l'insieme degli schemi preliminari così pro­fondamente e distintamente come avvenne nei documenti finali del Concilio.

A) Così, ad esempio, la flessibilità della Liturgia alle varie indoli nazionali era pro­posta nello schema della liturgia, ma era ristretta solo ai territori di missione e non si faceva menzione dell'esigenza tutta soggettiva di una creatività del celebrante.

B) La pratica dell'assoluzione comu­nitaria, allargata a scapito della confessione individuale, era proposta nello schema "de sacramentis".

C) Perfino l'ordinazione presbite­rale di uomini sposati (non però quella di donne!) trovava posto nello schema "de ordine sacro".

D) Lo schema "de libertate religiosa" (Card. Bea) avanzava, in sostanza, la grande novità che venne infine adottata, facendo uscire, sembra, la dottrina dalla via co­mune, da sempre professata dalla Chiesa Cattolica.

E) Nello schema "de disciplina cleri" contemplava l'inabilitazione e la rimozione di vescovi e presbiteri, toccata una data età. (Motu proprio "Ingravescentem ae­tatem", riguarda i Cardinali ottuagenari)

F) Un votum particolare circa la tala­re, diede adito al costume di vestire alla lai­cale, dissimulando la differenza specifica del prete dal laico e facendo cadere persino la prescrizione che faceva obbligo della tala­re durante le funzioni ministeriali.

C'era chi voleva innovare l'educazione del clero. Schema "de sacro rum alumnis for­mandis". La Chiesa ha sempre operato per formare preti secondo un principio pecu­liare corrispondente alla peculiarità onto­logica e morale del loro stato consacrato. (NA.R. = se i preti sono ontologicamente diversi, cioè ricevono un dono che altri non hanno, è chiaro che devono essere formati in modo diverso da chi non possiede la loro specificità, il loro dono unico, originale e irriducibile ad altri doni = N.d.R.) . Nello schema, invece, si chiedeva una formazione del clero che fosse assimilata, quanto più possibile, alla formazione dei laici.(sic!) Per questo la "ratio studiorum" dei seminari doveva esemplarsi su quella degli Stati e, in generale, la cultura del clero doveva smettere ogni originalità rispetto a quella dei laici. Il motivo (prevalente poi, in Concilio) era che gli uomini di Chiesa si devono con­formare al mondo (sic!) per potere esercitare sul mondo la loro azione di insegnamento e di santificazione. La Chiesa contemporanea cerca infatti "alcuni punti di convergenza tra il pensiero della Chiesa e la mentalità carat­teristica del nostro tempo" (Oss. Rom. 25 luglio 1974).

G) Anche circa la "riunione dei cri­stiani non cattolici", si fece sentire la voce di chi pareggiava i protestanti (senza sa­cerdozio, senza gerarchia, senza successione apostolica e senza sacramenti) agli ortodos­si aventi invece quasi tutto in comune coi cattolici, fuorché primato e infallibilità. Pio IX aveva fatto nettissima distinzione: inviò messi apostolici a portare lettere invitatorie ai patriarchi orientali, ma non riconobbe come Chiese le varie confessioni prote­stanti, riguardate come pure associazioni e inviò un appello "ad omnes protestantes", non perché intervenissero al Concilio, ma affinché tornassero all'unità da cui si erano allontanati. L’atteggiamento invece affiorato nella preparazione poggiava sopra un'impli­cita parziale parità tra cattolici e acattolici; esso riuscì minoritario nella fase preparato­ria, ma ottenne poi che si invitassero, come "osservatori", i protestanti, indistinti dagli ortodossi ed esercitò la sua influenza nel de­creto sull'ecumenismo.

H) C'era un generale ottimismo nel­la diagnosi e nei pronostici nella minoran­za della Commissione centrale preparatoria. Che l'aumento delle scoperte scientifiche (la tecnica in cui s'identifica la civiltà mo­derna) corrisponda al regno della dignità e della felicità umana, fu affacciato nello schema "de Ecclesid", al Cap. 5 "de laicis", ma impugnato dalla maggioranza che in­sisteva sul carattere adiaforo dei progressi tecnici: questi non garantiscono, di per se, un aumento della moralità. Eppure questo argomento della dominazione della terra per mezzo della tecnica, verrà sacralizzato (cfr. § 218) nei documenti definitivi e investirà tutto il pensiero teologico post-conciliare.

Elevare la tecnica a forza civilizzatrice e mo­ralmente perfezionatrice dell'uomo, non solo è uno sbaglio in sé, ma partoriva l'idea del solo progresso inarrestabile del mondo e questo gran vento di ottimismo (NAR. = anche da questo si vede che i documenti sono almeno datati e vanno corretti c/o al­meno aggiornati = N.d.R.)

Questo "ottimismo ingenuo" doveva pre­siedere alle formulazioni assembleari e oscu­rare la visione reale dello stato del cattoli­cesimo.

I) Per avere un'idea chiara di questo strano atteggiamento riferiamo le critiche che un Padre della Commissione centra­le preparatoria opponeva alla descrizione troppo fiorita della situazione del mondo e della situazione della Chiesa nel mon­do (NAR. = è evidente quindi che questo era il clima e la mentalità e che esso esisteva già da tempo e che voleva impregnare di sé i documenti del Concilio = N.d.R.): "Non approvo la descrizione fatta qui con tanta esultanza dello stato presente della Chie­sa, ispirata a mio avviso più alla speranza che alla verità. Perché infatti parli di aumen­to del fervore religioso? O in confronto a quale epoca intendi? Non si devono forse tener in conto le statistiche secondo cui la fede cattolica, il culto divino e i pubblici costumi, declinano e rovinano? Lo stato generale delle menti non è forse alieno dalla religione cattolica, essendo separati lo Stato dalla Chiesa, la filosofia dalla fede, l'in­dagine scientifica dalla riverenza verso il Creatore e lo sviluppo tecnico dall'ossequio alla legge morale? Non soffre forse la Chie­sa per la penuria di clero? Molte parti della Santa Chiesa non sono forse conculcate dai Giganti e dai Minotauri che insuperbisco­no nel mondo? Oppure, come nella Cina, sono travagliate dallo scisma? Le nostre missioni, piantate e irrigate con tanto zelo e carità, non le ha forse devastate il nemi­co? L’ateismo non viene forse oggi celebrato non più solo dai singoli ma stabilito, cosa assolutamente inaudita, per legge da intere nazioni? Il numero dei cattolici, non decre­sce proporzionalmente ogni giorno, mentre si espandono smisuratamente Maomettani e Gentili? Noi, infatti, che eravamo poco fa un quarto del genere umano, siamo ri­dotti ad un quinto. E non è forse vero che i nostri costumi paganeggiano col divorzio, l'aborto, l'eutanasia, la sodomia e con Mam­mona?".

IL SINODO ROMANO


Quesito paradosso (esito difforme da quello preordinato, previsto, a cui preludeva) del Concilio, rispetto alla sua preparazione, appare anche da tre fatti principali: 1) la fallacia delle previsioni fatte dal Papa e dai preparatori del Concilio; 2) l'inutilità effet­tiva del Sinodo Romano indetto da Giovan­ni XXIII come anticipazione del Concilio; 3) la nullificazione, quasi immediata, della Enciclica "Veterum sapientia" che prefigu­rava la fisionomia culturale della Chiesa del Concilio.

1) Papa Giovanni XXIII aveva prepa­rato il Concilio con un atto di rinnovamen­to e di adeguamento funzionale della Chiesa e pensava di poterlo concludere entro pochi mesi (Nota 11 - Questo risulta dalla positio dell'istruttoria preliminare del processo di beatificazione, ma risulta anche dalle parole del Papa stesso nell'udienza del 13/10/1962 che faceva credere potersi il Concilio con­cludere a Natale), forse come il Laterano I, sotto Callisto II nel 1123, quando 300 Vescovi lo finirono in 19 giorni, o forse come il Laterano II sotto Innocenzo II, nel 1139,*;con 1000 Vescovi che lo finirono in 17 giorni. Fu invece aperto l'11/10/1962 e chiuso 1'8/12/1965, durando così, discon­tinuatamente, tre anni. Il rovesciamento delle previsioni nacque dall'essere abortito il Concilio quale era stato preparato e dall'es­sersi successivamente elaborato un Concilio difforme dal primo e per così dire generatosi da sé stesso e, come dicevano i Greci, auto­ghenes. (cfr. pp. 48-49).

TEMI DEL SINODO ROMANO


Fu ideato e convocato da Giovanni XXIII come un atto solenne previo al Concilio, di cui doveva essere una prefigurazione ed una realizzazione anticipata. Così dichiarò testualmente il Papa stesso nell'allocuzione al clero e ai fedeli di Roma il 29 giugno 1960. L'importanza, dunque, oltrepassa­va l'ambito della Diocesi di Roma e vo­leva abbracciare tutta la Chiesa. La sua importanza veniva paragonata a quella che rispetto al Concilio di Trento avevano avuto i Sinodi provinciali celebrati da San Carlo Borromeo. Si riproponeva l'antico adagio che vuole comporsi tutta la Chiesa Catto­lica sul modello della Chiesa romana. Nel­la mente di Papa Giovanni XXIII il Sinodo era destinato ad avere un effetto esempla­re grandioso: apparve anche dal fatto che ordinò subito che i testi fossero tradotti in italiano e in tutte le principali lingue.

I testi del Sinodo Romano, che furono promulgati il 25, 26 e 27 gennaio 1960, sono una reversione (ripresa, ritorno ????), totale all'essenza propria della Chiesa, all'essen­za, intendiamo, non pure soprannaturale (questa non si può perdere), ma dell'essen­za storica della Chiesa, un ritiramento (per dire con Machiavelli) dell'istituzione verso i suoi principii. In tutti gli ordini della vita ecclesiale, infatti, il Sinodo proponeva una vigorosa restaurazione. La disciplina del cle­ro era modellata sullo stampo tradizionale, maturato dal Tridentino e fondato sui due principii, sempre professati e sempre pra­ticati.

1) Il primo è quello della peculiarità della persona consacrata e abilitata sopran­naturalmente a esercitare le operazioni di Cristo, e quindi inconfusibilmente sepa­rata dai laici (sacro equivale a separato). Il Sinodo prescriveva ai sacerdoti tutto uno stile di condotta nettamente differenziato dalle maniere laicali. Tale stile esige l'abito ecclesiastico, la sobrietà del vitto, l'asten­sione dai pubblici spettacoli, la fuga delle profanità. Della formazione culturale del clero era similmente riaffermata l'originalità e si delineava il sistema che l'anno dopo il Papa sanzionò solennemente nell'Encicli­ca "Veterum Sapientia". Il Papa Giovanni XXIII ordinò anche che si ripubblicasse il "Catechismo" del Concilio Tridentino, ma l'ordine non fu accolto. (NA.R. = eviden­temente il partito dei modernisti e dei disobbedienti era attivo e funzionava già prima del Vaticano II = N.d.R.) Soltanto nel 1981, per iniziativa privata, se ne ebbe in Italia una traduzione (cfr. Oss. Rom., 5-6 luglio 1982)

2) Il secondo principio, conseguente al primo, è quello dell'educazione ascetica e della vita sacrificata, che differenzia il clero come ceto (ma anche il laicato, è chiama­to a vivere la dimensione ascetica della vita cristiana).

LEGISLAZIONE LITURGICA DEL SINODO


Non meno significante è la legislazione li­turgica del Sinodo Romano:

a) Si conferma solennemente l'uso del latino,

b) si condanna ogni creatività del ce­lebrante che farebbe scadere l'atto liturgico, che è atto della Chiesa Cattolica, a semplice esercizio di pietà privata,

c) si indica l'urgenza e la necessità di battezzare i bambini quanto prima.

d) Si prescrive il tabernaco­lo nella forma e nel luogo tradi­zionale,

e) si comanda il canto gre­goriano,

f) si sottopongono all'ap­provazione dell'Ordinario i canti popolari di nuova invenzione,

g) si allontana dalle Chie­se ogni profanità, vietando in ge­nerale che dentro l'edificio sacro si eseguano spettacoli e concerti, si vendano stampati ed immagini, si dia campo ai fotografi, si accendano pro­miscuamente lumi (si dovrà commettere al prete di farlo).

Il rigore antico del sacro viene ristabilito an­che circa gli spazi sacri, vietando alle don­ne l'accesso al presbiterio. Infine gli altari facciali sono concessi solo per eccezione che spetta al Vescovo diocesano di concedere. Ognuno può constatare come una tale mas­siccia reintegrazione della disciplina antica voluta dal Sinodo fu quasi in ogni articolo contraddetta e smentita dal Vaticano II. E così il Sinodo Romano, che doveva essere prefigurazione e norma del Concilio Vati­cano Il, precipitò in pochi anni nel più as­soluto oblio ed è in verità "tamquam non fuerit" .

(Nota 12 - In Oss. Rom., 4 giugno 1981, si scrisse, addirittura, che il rinnovamento della Chiesa fu cominciato da Giovanni XXIII con la celebrazione del Sinodo Ro­mano e con la celebrazione del Concilio e che "i due finiscono per amalgamarsi". Sì, se amalgamare significa annientare. Il Sino­do romano non è citato dal Concilio Vatica­no II neppure una volta). Per dare un saggio di questa nullificazione del Sinodo romano osserverò che, avendo io cercato, in Curie e archivi diocesani, i testi del Sinodo Roma­no, non ve li trovai e dovetti estrarli da pub­bliche biblioteche civili (cfr. pp. 49-51) .

"VETERUM SAPIENTIA"


L’uso della lingua latina è, non metafisica­mente, ma storicamente, connaturato alla Chiesa Cattolica. Esso costituisce inoltre un mezzo e un segno primario della continu­ità storica della Chiesa. E siccome non c'è interno senza esterno e tale "interno" sorge, fluttua, si innalza, si abbassa insieme con l'esterno, è sempre stata persuasione della Chiesa che l'esternità del latino si dovesse conservare perpetuamente per preservare l'interno della Chiesa. /.../ La rovina del­la latinità conseguita al Vaticano II si ac­compagnò infatti a moltissimi sintomi di quell'autodemolizione della Chiesa depre­cata da Paolo VI. Anche qui salta agli occhi la frattura tra l'ispirazione preparatoria data al Concilio e il risultato effettivo di esso.

Con l'enciclica "Veterum sapientia", Gio­vanni XXIII intendeva operare un ritorno ("ritiramento") della Chiesa ai suoi princi­pii, essendo questa ripresa dei principi fon­damentali, nella mente del Papa, la vera condizione del rinnovarsi della Chiesa nella propria peculiare natura nel presente "ar­ticulus temporum". Il Papa attribuì al do­cumento un'importanza specialissima e volle rivestita la sua promulgazione di una solennità che non ha pari nella storia di questo secolo: in San Pietro, al cospetto del collegio Cardinalizio e di tutto il clero roma­no. L’Enciclica, tecnicamente, fu annientata dall'oblio nel quale fu fatta cadere immedia­tamente (NA.R. = evidentemente il partito dei modernisti e dei disobbedienti era atti­vo e funzionava già prima del Vaticano II = N.d.R.) ed ebbe un insuccesso storico. Ma la sua importanza rimane (i valori non sono tali solo e se perché accettati): la sua impor­tanza è data dalla perfetta consonanza con l'individualità storica della Chiesa.

A) Eenciclica è anzitutto un'afferma­zione di continuità. (NAR. = ricordiamo che Lutero volle l'abbandono del latino principalmente e in modo strumentale per allontanare le masse da Roma, dal papato = N.d.R.). C'è continuità con la letteratura greca e latina perché le lettere cristiane sono, sin dai primordi, lettere greche e let­tere latine. Gli incunaboli del Libro Sacro sono greci; i simboli di fede più antichi sono greci e latini; la Chiesa di Roma dalla metà del secolo III è tutta latina, parla in latino; i Concili dei primi secoli non hanno altro idioma che il greco. Questa è una continui­tà interna alla Chiesa che concatena tutte le sue epoche. Ma vi è poi una continuità, per dir così, esterna che travalica l'era cristiana e va a ripigliare tutta la sapienza gentilesca. La dottrina dei Padri greci e latini, richiamata dal Pontefice con un testo di Tertulliano è che vi è continuità tra il mondo di pensie­ro in cui visse la sapienza antica ("Veterum sapientia") e il mondo di pensiero elabora­to dopo la rivelazione del Verbo incarnato. /.../ La cultura cristiana è, in qualche modo, preparata ed aspettata obbedienzialmente, come dissero i medievali, dalla sapienza an­tica, perché nessuna verità, nessuna giusti­zia, nessuna bellezza è estranea alla cultura cristiana. Essa é, dunque, non opposta, ma consentanea alla cultura antica e si e sem­pre sostenuta in essa, non solo facendosela ancella e giovandosene funzionalmente, ma portandola in grembo. Però questo rapporto richiede che si mantenga ferma la distinzio­ne tra razionale e sovrarazionale e che si eviti di cadere nel naturalismo e nello storicismo. S. Agostino afferma questa continuità in modo assoluto e universale: "Infatti quella realtà stessa che oggi si chiama religione cri­stiana, già esisteva negli antichi e non mancò mai dagli inizi del genere umano" (Retract., 1, cap. 13).

B) La parte pratica e dispositiva della "Veterum sapientia" è di una fermez­za che è l'espressione e l'applicazione di una cristallina dottrina. I punti decisivi sono proprio quelli che, per la successiva papale desistenza, ne determinarono la nullificazio­ne.

1) La "ratio studiorum" ecclesiastica riacquista la propria originalità fondata sul­lo specifico dello "homo clericus"; si de­cide che si risostanzi l'apprendimento delle discipline tradizionali, massime il latino e greco;

2) Che per ciò ottenere si espungano e si raccorcino le discipline del "cursus" laicale che, per una tendenza assimilativa si erano andate introducendo o ampliando (NA.R. = invece la Gaudium et spes, pre­scriverà che nelle scienze sacre bisogna in­trodurre psicologia e sociologia, addirittura per avere una fede più matu­ra, cfr. Gaudium et spes, n. 61 e: "Nella cura pastorale si conoscano sufficientemen­te e si faccia buon uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze pro­fane, in primo luogo della psicologia e della sociolo­gia, cosicché anche i fedeli siano condotti ad una più pura e matura vita di fede" = N. d. R.).

3) Prescrive che nei semi­nari le scienze fondamentali, come la dog­matica e la morale, si professino in latino, seguendo manuali parimenti latini;

4) Che chi tra gli insegnanti apparisse incapace o renitente alla latinità, si rimuova entro un congruo tempo.

5) A coronamento della Costituzione apostolica, destinata a procurare una ge­nerale reintegrazione della latinità nella Chiesa, il Papa decretava l'erezione di un Istituto superiore di latinità, che avrebbe dovuto formare latinisti per tutta la Chie­sa e curare un lessico del latino moderno. (Nota 15: "La disfatta del latino nella chiesa post-conciliare è al contrario manifesta. Per­sino nel Congresso internazionale tomistico del 1974 il latino non figurava tra le lingue ammesse. Non c'è dubbio che c'è stato il passaggio ad una Chiesa multilingue ma aliena dal latino"). La "Veterum sapientia", che toccava un punto storicamente essenzia­le del cattolicesimo, richiedeva una grande virtù di obbedienza da parte di tutti, so­prattutto degli organi esecutivi. Occorreva una grande forza pratica per fare applicare la riforma chiedendo, tra l'altro, agli insegnan­ti di conformarsi o dimettersi. Invece la ri­forma degli studi ecclesiastici fu osteggiata da molti lati (in molti ambiti) e con vari motivi (in vari modi), massimi nella pro­vincia tedesca (in Germania) con un libro del Winninger che ebbe addirittura la prefazione del vescovo di Strasburgo. La riforma degli studi ecclesiastici di Giovanni XXIII fu in breve tempo annientata. Il Papa, che prima spingeva per la sua attuazione, or­dinò che non se ne esigesse più l'esecuzione; quelli a cui toccava, per ufficio, di renderla operativa, assecondarono la fiacchezza pa­pale e la "Veterum sapientia", di cui erano state tanto esaltate l'opportunità e l'utilità, fu del tutto cancellata e non citata in alcun documento conciliare.

(NAR. = evidentemente il partito dei modernisti e dei disobbedienti era attivo e funzionava già prima del Vaticano II = Era già pronto ed operativo tutto il programma e la macchina organizzativa per far deviare il Concilio in senso modernista = N.d.R.)

In alcune biografie di Giovanni XXIII se ne tace del tutto come se non fosse mai esistita, mentre i più zelanti la menzionano soltanto come un errore. E non c'è nella storia di tut­ta la Chiesa un documento così solennizzato e così gettato alle ortiche. Resta da stabilire se la sua cancellazione "de libro viventium" è stata la conseguenza di una mancanza di saggezza nel pubblicarla o se è invece stato l'effetto di una mancanza di intrepidezza (fermezza-coraggio) nell'esigerne l'esecuzio­ne. II Card. Siri, in un'intervista pubblicata dal mensile "30 Giorni", riferì dell'esisten­za di un gruppo di "contro impostazione" al Concilio che operava dentro il Concilio con l'aiuto esterno di stampa e media, che lavorava contro la linea e il programma di Giovanni XXIII e che si riunì già prima del Concilio in una certa parte dell'Europa. At­traverso questo gruppo si è manifestata una chiara volontà di manipolare e stravolgere il Concilio (cfr. Fede e Cultura, Giugno 2009, pp. 29-31). Un'ulteriore e diremmo definitiva prova viene dalla confessione di uno dei "congiurati", riferita da un inso­spettabile scrittore che era il preferito di Paolo VI: Jean Guitton. L’accademico di Francia così infatti riferisce: "L’indomani faccio visita al card. Tisserant, che è irritato con Giovanni XXIII. Mi fa vedere un qua­dro, dipinto da sua nipote sulla base di una fotografia, che rappresenta una riunione di cardinali prima del concilio. Vi si vedono sei o sette porporati attorno al presidente, che è Tisserant: "Questo quadro è storico, o piut­tosto è simbolico. Rappresenta la riunione che noi abbiamo avuto prima dell'apertura del concilio, dove noi abbiamo deciso di bloccare la prima sessione, rifiutando le re­gole tiranniche stabilite da Giovanni XXIII" (Jean Guitton, Paolo VI segreto, San Pao­lo, (1985) Quarta edizione 2002, p. 115). ["Ce tableau est historique ou plutòt il est symbolique. Il représent la réunion que nous avions eu avant l'ouverture du Concile où nous avons décidé de bloquer la premiè­re séance en refusant des règles tyranniques établies par Jean XXIII" (Paul VI, secret, Pa­ris, 1979, p. 123)1. Chi erano gli altri por­porati presenti a quel "consiglio di guerra"? Non è difficile immaginare chi facesse parte di quei "noi", visto che al Concilio, in quel­la prima sessione qualcuno di quel "noi" si impegnò pubblicamente e concretamente a farla fallire quella sessione. (Tratto da: Fede e Cultura)