quarta-feira, 1 de julho de 2009

Lo sbandamento liturgico ha causato sia l'apostasia di centinaia di milioni di persone






Recensione a Mosebach
Il Domenicale del 27 giugno scorso, oltre a riportare il brano di Mosebach che abbiamo ripreso nel post oggi pubblicato, offre questa recensione di Gianfranco Morra che vale la pena riportare, e commentare.


John Henry Newman definisce la liturgia con formula luminosa: «lex orandi, lex credendi» [veramente la frase legem credendi lex statuat supplicandi è di Prospero d'Aquitania, V secolo, dove, si noti, la lex orandi o supplicandi precede e 'comanda' quella credendi. E' proprio nell'oblio di questa regola la fonte del disastro attuale, e l'errore gravissimo di Paolo VI: aver pensato che bastasse "salvare il Catechismo", ossia l'espressione dottrinale della Fede, sacrificando invece la liturgia ritenuta meno importante o mero "accidente" non essenziale; mentre è quest'ultima che innerva, sostiene e dà vita alla Fede. Ecco perché lo sbandamento liturgico ha causato sia l'apostasia di centinaia di milioni di persone, sia l'imbastardimento della Fede in molti che pur si reputano ancora cattolici: in Francia il 67% di chi va a Messa non crede alla Presenza reale; il significato sacrificale della Messa, poi, è ignoto o rifiutato almeno dal 90% dei praticanti]. Fede e preghiera sono una carne sola: assieme stanno, assieme cadono. E assieme sono cadute, in uno dei periodi più bui della storia della Chiesa Cattolica, quello postconciliare, quando la crisi della fede ha condotto alle più squallide contaminazioni tra Vangelo e ideologie. Il nemico contro cui questi montoni [magnifica definizione], come li chiamava Jacques Maritain, davano di cozzo, era la forma, massima scoperta del pensiero europeo. Quella che all’inizio del Genesi tras-forma il caos in ordine, l’idea che in Platone consente alla materia di divenire pensabile e che in Aristotele produce la compiutezza del sinolo. In molti aspetti, il postconcilio fu distruzione di questa tradizione, cioè della forma. La deellenizzazione (contro la filosofia, riconduzione del molteplice alla forma), la deromanizzazione (contro la gerarchia, sacro ordine , scrive Dionigi Areopagita, che assume forma simbolica nella liturgia), il pasticcio liturgico, furono tutto meno che una ri-forma. Dato che proprio la forma della liturgia, che ne è la sostanza più forte, venne distrutta.

In Eresia dell’informe. La liturgia romana e il suo nemico, Martin Mosebach dimostra che il nemico dei nuovi liturgisti è appunto la forma. Ed egli la rivendica, avvalendosi di grandi scrittori, Goethe e Rilke, Eliot e Claudel, Péguy e Chesterton, Florenskij e Gómez Dávila, perché la letteratura è, soprattutto, forma, richiamando alla mente i pochi scrittori anticonformisti italiani, che, nel pieno predominio degli antiliturgisti, osarono prendere le difesa della tradizione: Romano Amerio, Tito Casini, Elémire Zolla, Cristina Campo, Rodolfo Quadrelli. Non solo la lingua latina, ma anche tutti quei riti e arredi liturgici, che avevano un profondo significato simbolico (descritti da Romano Guardini in opere indimenticabili quali Lo spirito della liturgia e I santi segni). Ciò a cui questi apostoli dell’informe hanno voltato le spalle è il valore artistico della liturgia, che è un teatro sacro [I novatori accusano spesso il vecchio rito di teatrino e coreografia, mentre il rito bugniniano sarebbe sobrio (ma qui si fan ridere dietro, se uno pensa alle casule che il primo Marini metteva al vecchio Papa, o agli spettacolini verbosi inscenati nelle parrocchie ordinarie) ed essenziale. Per contro si sciacquan la bocca della definizione dell'innocente Guardini di liturgia come gioco: di qui la giustificazione teorica - quando almeno ne sono consapevoli - delle bambocciate, dei cartelloni delle catechiste, dei quiz a Messa. Eppure dovrebbero ricordare che la Messa è divino mistero e sacra rappresentazione]. Ciò che più essi odiavano era l’immagine, dimentichi che l’arte cristiana altro non è (secondo l’Ortodossia) se non una teologia dell’icona. Ecco allora i riti trasformati in mix di assemblea politica, consiglio di amministrazione, gara sportiva e spettacolo tivù. Ecco il sacerdote democraticamente rivolto non più al Crocifisso, ma al popolo, gli abiti sciatti, le Nike che escono da camiciotti trasandati, gli strumenti musicali demoniaci, la babele linguistica, le traduzioni scarse e umoristiche, la predica spesso simile a un comizio buonista, la chiesa trasformata in sala di aspetto ferroviaria o palestra, il decentramento dell’ostia e la sua distribuzione come fosse un cono gelato.

Ecco le messe (mi scuso, le assemblee) inventate ad libitum, a seconda dei casi, per gratificare le diverse categorie di fedeli, come la missa pro homophilis inventata nei Paesi tedeschi. Ancora esiste per l’Oriente la liturgia di san Giovanni Crisostomo, ma non più quella di san Gregorio Magno per l’Occidente. La nuova riforma della liturgia occidentale non è stata fatta da santi, ma da galoppini e burocrati. Difendono la nuova liturgia solo quelli che della forma non sanno che farsene. Come ha fatto sul Corriere della Sera Alberto Melloni, ultima propaggine della linea Dossetti-Alberigo, con un articoletto esemplare per insipienza e banalità. Scrive Melloni che la riforma avrebbe avvicinato il popolo ai sacri riti. È la trita argomentazione secondo cui l’aggiornamento della Chiesa ne avrebbe accresciuta la presenza nel mondo: ma il risultato, oggi a tutti evidente, è stato la crisi delle vocazioni, della morale, della liturgia. Che fare, allora? Mosebach sa che anche gli antichi riti andavano incontro a pericoli ed è troppo acuto per riproporre un ritorno letterale all’antico. Occorre, invece, distinguere il molto che è essenziale, e che mai cambierà, da alcuni aggiustamenti richiesti dalla mutata situazione. Si pensi alla polemica sull’uso del latino, lingua non solo ufficiale, ma perenne della Chiesa. L’italiano è consentito, non obbligato. Papa Benedetto XVI lo ha detto nel motu proprio Summorum Pontificum: la messa si può dire anche in italiano, purché la lingua non banalizzi e distrugga le verità delle fede, di cui la liturgia è l’ergon. Purtroppo non pochi vescovi, cresciuti in seminari degradati e modernisti, provvidenzialmente vuoti, di cui spesso erano i direttori, gli hanno messo i bastoni fra le ruote, negando la messa latina ai fedeli che oggi la chiedono [Noi ne conosciamo di questi vescovi, oh se ne conosciamo! Ma verrà, presto, un giorno...]. Schiavi anch’essi dell’ eresia antiliturgica propagandata dai nuovi iconoclasti.
fonte:missainlatino.it