Contro la "dittatura del relativismo"
di Roberto de Mattei
Svolgerò alcune considerazioni dal punto di vista dello storico che riflette sulla situazione dell’Europa secolarizzata del nostro tempo, partendo dal concetto di “dittatura del relativismo”, formulato dall’allora cardinale Ratzinger nell’omelia tenuta durante la Messa Pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005.
Religione della Verità assoluta
Il Cristianesimo nasce come dottrina fondata su una verità assoluta. Nostro Signore disse agli Apostoli: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi invece non crederà, sarà condannato» (Mt. 16,16). La missione che Gesù affida agli Apostoli e ai loro successori è quella di annunciare un messaggio integrale di verità e di salvezza. “Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato”.
Questo messaggio venne diffuso in modo pacifico, da uomo a uomo, perché il Cristianesimo è una religione interiore che fa appello alle coscienze, e non può essere imposta con la forza. «Ad fidem nullus est cogendus invitus». Nessuno può essere costretto a credere, afferma sant’Agostino, perché la fede è un libero atto della volontà. Questo fu, e resta, l’insegnamento della Chiesa.
Nei primi secoli dell’era cristiana, i discepoli di Gesù Cristo non propagarono il Vangelo con l’appoggio delle legioni romane, ma lo diffusero, nonostante l’opposizione delle autorità imperiali, con le loro parole, con il loro esempio, con il loro sacrificio, con il loro martirio.
Gli idoli pagani caddero, la filosofia del Vangelo conquistò la società e questa società si affermò come “Christianitas”, la prima società della storia fondata sulla distinzione dei due poteri: quello religioso e quello politico. Il Cristianesimo permeò i costumi e le relazioni sociali, trasformò le mentalità, si tradusse nelle leggi e nelle istituzioni del Medioevo cristiano.
La persecuzione, prezzo dell’evangelizzazione
L’evangelizzazione è un’azione interiore, svolta nel profondo del cuore di ogni uomo, che si ripercuote però su tutta la società umana. Il comandamento «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt. 22, 37-40) sottolinea questa dimensione relazionale dell’uomo. L’uomo è, infatti, un essere sociale chiamato ad amare chi gli sta intorno, cioè a trasmettergli i beni, innanzitutto spirituali, ma anche ideali e affettivi, di cui è ricco.
Il mandato del Signore, inoltre, è quello di portare il Vangelo a tutte le genti (Mt. 28,19) cioè, non solo alle singole anime, ma alle nazioni della terra per cristianizzarle.
Il mondo, la società umana, può lasciarsi vivificare dal Cristianesimo, ma può anche rifiutarne lo spirito e il messaggio. Di fronte alla Verità del Vangelo che iniziava a diffondersi nel mondo, l’Impero Romano, che ospitava nel Pantheon, in una prospettiva di assoluto relativismo, tutti i culti della terra, perseguitò la Chiesa nascente come mai aveva fatto per nessuna delle numerose sette che proliferavano in questo tempo.
Non parliamo solo delle persecuzioni violente, del sangue versato nell’arena, dei supplizi e dei tormenti. Parliamo anche delle epurazioni nell’esercito e nella magistratura, della proibizione di insegnare per i docenti cristiani, della sottrazione della dignità per i nobili convertiti al Cristianesimo. Non parliamo dell’età di Nerone o di Diocleziano, ma di epoche considerate benevole verso il Cristianesimo, come quella sincretistica dei Severi.
Nel mondo pagano regnava una religione civile, senza dogmi e senza morale alla quale lo Stato imponeva un’adesione puramente esteriore. Il Cristianesimo, che si poneva come una religione innanzitutto interiore, del cuore e della coscienza, ma sottomesse ad una Verità oggettiva, rifiutò quest’adesione formale, espressa dall’incenso bruciato in omaggio agli idoli.
Questa scelta, questa coerenza estrema tra il pensiero e l’azione, questo amore per la Verità dei cristiani venne considerato una forma di pericolosa intransigenza e di fanatismo da parte di quelle autorità che pure professavano l’equiparazione sincretistica delle religioni.
Già troviamo in nuce la formula moderna: nessuna tolleranza per gli intolleranti. Fu il rimprovero che rivolse ai martiri Voltaire nel suo celebre Trattato sulla Tolleranza (1756). Voltaire, accumulando fango sui martiri e senza nascondere simpatia e ammirazione verso i loro carnefici, scrive: «Non si può credere che sotto gli Imperatori vi sia stata una inquisizione contro i cristiani. Non venne mai data noia per questo motivo né a un ebreo, né a un siriaco, né a un egiziano, né ai bardi. Martiri furono quelli che si sollevarono contro i falsi dei. Ma in fin dei conti, essi insorsero violentemente contro il culto tradizionale e per quanto assurdo questo culto potesse essere si è costretti a riconoscere che essi stessi – i martiri – erano intolleranti”.
Per Voltaire tutte le opinioni e i culti si possono tollerare, tranne l’“intolleranza”. «Bisogna – aggiunge nel suo Trattato – che gli uomini, per meritare la tolleranza, comincino col non essere fanatici».
L’inganno della tolleranza ideologica
Elevata a dogma ideologico, la tolleranza attribuisce lo stesso valore alla verità e all’errore come espressioni soggettive della coscienza ed equivale a relativismo ideologico, a ecumenismo dissolutore, a scetticismo radicale. Chiunque crede in una verità, qualunque essa sia, è bollato come fanatico, come integralista, come fondamentalista. Fu la parola d’ordine di Voltaire, che oggi riaffiora nella società secolarizzata postcristiana.
«Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa – ha affermato il cardinale Ratzinger nell’omelia del 18 aprile 2005 che ho ricordato – viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Dal relativismo alla persecuzione anticristiana
L’intolleranza contro i cristiani si esprime oggi attraverso la profanazione di chiese cristiane, siti e luoghi sacri di culto e il dileggio verso simboli e oggetti religiosi, come il crocifisso; gli attacchi verbali e le minacce a rappresentanti religiosi e civili delle religioni cristiane; le offese e gli scherni espressi nei confronti del cristianesimo da libri, film, canzoni, pubblicità, siti internet.
In una città europea, si è svolto, uno spettacolo teatrale del comico italiano Leo Bassi che, vestendo i panni di Benedetto XVI, lancia al pubblico preservativi “per espiare le colpe della Chiesa”. Nello stesso Paese europeo, un cantautore, Javier Krahe, si è esibito in un video clip dove insegna a “cucinare un crocifisso, ungendolo di lardo, lasciandolo in forno per tre giorni e aspettando che risorga ben cotto”.
Più recentemente, lo scorso 17 maggio, a Bologna, un corteo l’omofobia si è trasformato in una manifestazione di intolleranza contro la Chiesa Cattolica. I manifestanti, tra cui alcuni parlamentari, hanno impedito l’accesso alla cattedrale di una processione cittadina, lanciando insulti e slogan blasfemi nei confronti dei fedeli, dell’arcivescovo di Bologna e del Papa.
Scritte aggressive, e persino minacce di morte, contro Benedetto XVI e contro il presidente della Conferenza Episcopale sono apparse sui muri di molte chiese italiane.
Non dobbiamo dimenticare che la violenza è alimentata dall’odio, ma l’odio a sua volta attecchisce sui sentimenti di disprezzo e di sarcasmo verso le idee e i sentimenti delle persone che ci stanno vicine. Non di rado, quando i cattolici, ma ormai anche i non credenti, esprimono con fermezza le proprie idee religiose o morali, si crea un’atmosfera di irrisione, talvolta di intimidazione e di aggressione verbale, che istiga alla violenza e punta a creare le condizioni per l’intervento repressivo delle leggi dello Stato.
La risposta cristiana
La formula antica e sempre nuova «Date a Cesare quel è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt. 22,21) resta la risposta dei cristiani al relativismo totalitario dei nostri giorni. I cristiani riconoscono l’esistenza di un potere temporale, alla cui legge bisogna sottomettersi, distinto dall’autorità spirituale. Ma i confini del potere di Cesare sono limitati dall’affermazione di “Dare a Dio quel che è di Dio”, ossia del riconoscimento dell’esistenza di una autorità e di una legge che ha i suoi diritti “non negoziabili”. Cesare potrà essere l’imperatore romano, il despota assoluto, il parlamento democratico moderno: ma non potrà mai pretendere di svincolarsi dalla religione e della morale, esercitando un potere totalitario.
Vorrei sottolineare il fatto che la legge divina e naturale è un limite non solo al potere dello Stato, ma anche a quello della Chiesa. I moderni parlamenti democratici si arrogano un diritto che il Papa e i vescovi non hanno: i parlamenti possono decretare il riconoscimento giuridico dell’aborto, possono definire famiglia l’unione tra due uomini o tra due donne; possono togliere alla famiglia l’educazione dei figli.
Il Papa, i vescovi, non potrebbero farlo, neanche se volessero, perché sono vincolati, come ogni cristiano, da quella legge naturale e divina che impone “di dare a Dio quel che è di Dio”. «La legge stabilita dall’uomo, dai parlamenti, e da ogni altra istanza legislativa umana – ricorda Giovanni Paolo II citando san Tommaso d’Aquino – non può essere in contraddizione con la legge di natura cioè, in definitiva, con l’eterna legge di Dio».
Nel discorso tenuto il 12 febbraio 2007 alla Pontificia Università Lateranense, Benedetto XVI ricorda che «la legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica». Lo stesso Benedetto XVI, il 24 marzo di quest’anno, ha parlato di un’Europa che scivola verso «l’apostasia da se stessa», dimentica di «valori universali e assoluti» di cui in passato era fermento.
Dall’apostasia alla rinascita necessaria
Forse nessun concetto è appropriato come quello di apostasia per connotare l’Europa secolarizzata dei nostri giorni. L’Impero Romano perseguitava il Cristianesimo, senza conoscerlo. La società contemporanea è una società che rinnega il Cristianesimo dopo averne conosciuto tutti i benefici spirituali e morali, ma anche quelli culturali e sociali.
La responsabilità di chi oggi si chiede “Quid est Veritas?” è più grave di quella di chi se lo chiedeva agli inizi dell’era cristiana, come Pilato, prima espressione del relativismo nella storia.
Ma, per lo stesso motivo, le responsabilità dei cristiani di oggi sono più gravi di quelle dei cristiani dei primi secoli. Questi ultimi annunciavano una fede e costruivano un mondo nuovo. I cristiani di oggi hanno il compito non solo di rinnovare il messaggio antico e perenne del Vangelo, ma anche quello di ispirarsi ai frutti storici che di questo messaggio ancora sopravvivono nella società contemporanea, per fare di questo resto il germe della rinascita necessaria.
(RC n. 27 - Ago/Set 2007)
fonte:Radici cistiane