ROMA, 6 febbraio 2006 – Per la mattina di lunedì 13 febbraio Benedetto XVI ha convocato i cardinali prefetti delle congregazioni vaticane per decidere su due questioni: la revoca della scomunica ai seguaci dell’arcivescovo Marcel Lefebvre e l’allargamento della facoltà di celebrare la messa in latino secondo il rito stabilito dal Concilio di Trento.
Lo scisma lefebvriano e la difesa della messa tridentina sono entrambi espressione dell’opposizione tradizionalista al Concilio Vaticano II e alle innovazioni che ne sono seguite.
Benedetto XVI ha già fatto passi importanti verso una ricomposizione di queste divergenze.
Il 29 agosto, a Castel Gandolfo, ha ricevuto i due maggiori responsabili della Fraternità lefebvriana, Bernard Fellay e Franz Schmidberger, “in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare alla perfetta comunione”.
Il 22 dicembre, nel discorso prenatalizio alla curia vaticana, ha dato un’interpretazione del Concilio Vaticano II che tiene conto della serietà di alcune critiche avanzate dai tradizionalisti. In particolare, il papa ha voluto rassicurarli che il decreto conciliare sulla libertà religiosa non deve essere inteso come un cedimento al relativismo.
Inoltre, fin dalla prima messa celebrata dopo la sua elezione Benedetto XVI s’è mosso nel solco della grande tradizione liturgica, ridando spazio al latino e al canto gregoriano.
Ma c’è un elemento ancor più sostanziale che avvicina i tradizionalisti al magistero di Benedetto XVI: il primato da lui dato alla verità.
Il messaggio del papa per la giornata mondiale della pace, ad esempio, stabilisce fin dal titolo questo primato: “Nella verità, la pace”.
E anche la sua prima enciclica “Deus Caritas Est” l’ha scritta per restituire verità all’amore: “La parola ‘amore’ oggi è così sciupata, consumata, abusata. Dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario”.
Ebbene, proprio il primato della “veritas” è il cuore del pensiero del più autorevole e colto rappresentante dell’opposizione cattolica tradizionalista alla Chiesa del XX secolo: il filologo e filosofo svizzero Romano Amerio (vedi foto), morto a Lugano nel 1997 a 92 anni di età.
Amerio condensò le sue critiche in due volumi: “Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo”, cominciato nel 1935 e ultimato e pubblicato nel 1985, e “Stat Veritas. Sèguito a Iota unum”, uscito postumo nel 1997, entrambi per i tipi dell’editore Riccardo Ricciardi, di Napoli.
Il primo di questi volumi, di 658 pagine, fu ristampato tre volte in Italia per complessive settemila copie e poi tradotto in francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, olandese. Raggiunse quindi molte decine di migliaia di lettori in tutto il mondo.
Ma nonostante ciò, un quasi totale silenzio da parte dell’opinione pubblica cattolica punì Amerio sia quando era in vita sia dopo: lui che pure mai accondiscese allo scisma lefebvriano e fu sempre fedelissimo alla Chiesa.
Una recensione di “Iota unum” scritta per “L’Osservatore Romano” nel 1985 dall’allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana monsignor Angelo Paredi – su richiesta del direttore del giornale vaticano, Mario Agnes – non fu mai pubblicata.
Per assistere al primo convegno di studi sul pensiero di Amerio si è dovuto attendere il 2005. Il convegno si è tenuto a Lugano con il patrocinio della locale facoltà di teologia e alla presenza del vescovo, ma anche su questo convegno l’attenzione è stata minima.
Ora però un discepolo di Amerio, Enrico Maria Radaelli, ha finalmente pubblicato una monografia su questo filologo e filosofo a lungo ostracizzato, autore – oltre che dei due libri citati – dell’imponente edizione critica in trentaquattro volumi degli scritti del grande pensatore del XVI secolo Tommaso Campanella, di tre volumi dedicati alle “Osservazioni sulla Morale Cattolica” di Alessandro Manzoni, e di studi su Epicuro, Paolo Sarpi, Giacomo Leopardi.
Il saggio di Radaelli, stampato da Marco Editore e in vendita nelle librerie dal gennaio del 2006, ha per titolo: “Romano Amerio. Della verità e dell’amore”.
Esso include testi inediti tra cui la recensione non pubblicata dall’”Osservatore Romano”. E si distingue per una serie di contributi esterni di particolare interesse.
L’introduzione al volume ha per autore don Antonio Livi, sacerdote dell’Opus Dei, preside a Roma della facoltà di filosofia della Pontificia Università Lateranense.
Altri contributi sono di due vescovi italiani: quello di Albenga e Imperia, Mario Oliveri, e quello di Trivento, Antonio Santucci.
Infine, c’è un commento scritto da don Divo Barsotti, una delle figure più influenti e rispettate del cattolicesimo italiano dell’ultimo secolo, fondatore di una comunità spirituale, la Comunità dei Figli di Dio, che comprende i più diversi stili di vita: uomini e donne che abbracciano i voti monastici, semplici sacerdoti, coppie di sposi con bambini. Oggi la sua comunità conta circa 2000 persone, in Italia e in vari altri paesi: Australia, Colombia, Croazia, Benin, Sri Lanka. Appartiene ad essa l’attuale vescovo di Monreale, in Sicilia, Cataldo Naro.
Don Barsotti ha 92 anni, vive vicino a Firenze, a Settignano, in una casa intitolata al santo russo Sergio di Radonez, e questa sua pagina su Romano Amerio e forse l’ultima che è stato capace di scrivere di suo pugno. Ma è di fulminea densità.
Don Barsotti coglie in pieno l’essenza della critica formulata da Amerio, che definisce “un vero cristiano”. E sostiene che essa ha un fondamento valido: perché l’errore maggiore nella Chiesa d’oggi è precisamente quello di togliere la verità dal primo posto.
Quando invece “il progresso della Chiesa [deve] partire da qui, dal ritorno della santa Verità alla base di ogni atto”.
Balza evidente la consonanza di questa tesi con il magistero di papa Joseph Ratzinger.
Ma ecco, integrale, lo scritto di don Barsotti:
”Solo dopo avere costruito il fondamento della verità...”
di Divo Barsotti
Alla mia venerabile età forse non prenderò più in mano la penna, o forse la prenderò, non so. Però, anche se con grande fatica ormai, io vorrei approfittare della bella occasione che mi si offre, e far conoscere in qualche tratto minimo il mio pensiero su un cattolico vero a me caro come fu Romano Amerio.
Mi ha colpito infatti, di questo libro di Enrico Maria Radaelli, “Romano Amerio. Della verità e dell’amore”, come e quanto l’autore sia riuscito a stringere in pochi concetti – anzi forse in un concetto solo – la sostanza della filosofia e dell’atteggiamento di uno scrittore come Amerio che, specialmente con il suo famoso libro “Iota unum”, tanto turbò le coscienze cattoliche.
La lettura del libro di Radaelli, che è la prima monografia che si abbia su Amerio, mi ha attratto fin dal titolo: parlare di Romano Amerio – egli sembra dire – è parlare di un ordine della verità e della carità, dove la prima è congiunta alla seconda, ma la precede.
Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente ad un generale disordine mentale per cui viene messa la “caritas” avanti alla “veritas”, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità.
La cristianità, prima che nel suo seno si affermasse il pensiero di Cartesio, aveva sempre proceduto santamente facendo precedere la “veritas” alla “caritas”, così come sappiamo che dalla bocca divina del Cristo spira il soffio dello Spirito Santo, e non viceversa.
Nella lettera con cui Amerio presenta al filosofo Augusto Del Noce quello che sarà poi il celebre “Iota unum”, egli spiega chiaramente il fine per cui lo ha scritto, che è “di difendere le essenze contro il mo-bilismo e il sincretismo propri dello spirito del secolo”. Cioè difendere le tre Persone della Santissima Trinità e le loro processioni, che la teologia insegna avere un ordine inalterabile: “In principio era il Verbo”, e poi, riguardo all’Amore, “Filioque procedit”. Cioè l’Amore procede dal Verbo, e mai il contrario.
Di rimando Del Noce, evidentemente colpito dalla profondità delle tesi di Amerio, annota: “Ripeto, forse sbaglio. Ma a me pare che quella restaurazione cattolica di cui il mondo ha bisogno abbia come problema filosofico ultimo quello dell’ordine delle essenze”.
Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno della santa Verità alla base di ogni atto.
La pace promessa da Cristo, la libertà, l’amore sono per ogni uomo il fine da raggiungere, ma bisogna giungervi solo dopo avere costruito il fondamento della verità e le colonne della fede.
Dunque – come dice Amerio – partire da Cristo, dalla sovrannaturale verità che Lui solo insegna, per avere da Lui il dono dello Spirito Santo con cui sempre Lui, il Signore, ci dà vita e forza, e salire a porre infine l’architrave della “caritas”.
Romano Amerio era un laico, un laico che ha conosciuto il Signore. Egli ha conosciuto il Credo evangelico e ne è divenuto limpido testimone. Ho sempre avuto l’impressione – pur non avendolo mai conosciuto di persona – di avere visto in lui un vero cristiano, che non ha mai avuto paura di affrontare i temi più impegnativi della Rivelazione.
Quello che meraviglia – ed è la sua vera grandezza – è che pur essendo un laico egli è un vero testimone. Non è un teologo, non è un uomo di religione, ma uno che ha avuto da Dio il carisma di vedere quello che è implicito nell’insegnamento cristiano. Egli lo sente, ed accetta questo suo ruolo. Fa quanto il Signore gli ispira.
Tutta la cristianità ha motivo di ringraziare Dio per Romano Amerio, che in questi tempi difficili ha parlato così chiaramente dei fondamenti della Rivelazione.
Mi ha sempre meravigliato la conoscenza che Amerio ha del carisma che Dio gli ha dato. Per questo carisma, e per il dono che egli umilmente ne fa, Amerio rimane nella Chiesa una figura di primo piano.
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Il libro:
Enrico Maria Radaelli, “Romano Amerio. Della verità e dell’amore”, Marco Editore, Lungro di Cosenza, 2005, pp. 344, euro 25,00.
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Il sito web dell’autore del libro, Enrico Maria Radaelli, in italiano, inglese e latino:
> Aurea Domus
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Gli atti del convegno su Romano Amerio tenuto a Lugano il 29 gennaio 2005 sono disponibili sul numero di luglio-settembre 2005 di “Cenobio”, rivista trimestrale di cultura della Svizzera italiana:
> cenobio@easyclub.ch
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In questo sito, su Romano Amerio e don Divo Barsotti:
> Un filosofo, un mistico, un teologo suonano l’allarme alla Chiesa (7.2.2005)
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L’interpretazione del Concilio Vaticano II fatta da Benedetto XVI nel discorso alla curia vaticana del 22 dicembre 2005:
> Papa Ratzinger certifica il Concilio. Quello vero (23.12.2005)
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