quarta-feira, 25 de setembro de 2013

La fede in Cristo y la Liturgia


La fede in Cristo e la Liturgia

Cristo Pantocrator:
la bellezza dell'arte religiosa non è fine se stessa è tesa a testimoniare la verità della fede

Si ripete continuamente che i nostri sono tempi di confusione religiosa. Anch'io lo credo, ma dalla confusione non se ne esce se non lo si vuole. Oggi più che mai molti dei cosiddetti “capi” della Cristianità non sono in grado di aiutare le persone, presi come sono da una mentalità sempre più secolarizzata. Dove rivolgersi? Verso la liturgia tradizionale la quale continua a dare la sua perenne testimonianza ed esortazione.

Uno dei legami più forti che ha la liturgia tradizionale è con la dottrina, una dottrina certa, definita, per nulla ambigua, in grado d'illuminare anche gli animi più confusi e di condannare senza possibilità di appello gli errori.

La liturgia, infatti, non è altro che la fede celebrata, il dogma divenuto poesia e canto da porgere al cuore dei fedeli. Chi la vive con attenzione non può non venirne illuminato, se è nell'oscurità dell'ignoranza, o abbeverato, se ha sete di verità.

La cosa fondamentale sulla quale insiste all'infinito la liturgia è l'assoluta centralità di Cristo nella storia della salvezza di tutto il genere umano. Ogni preghiera inizia e termina nel nome di Cristo riconosciuto quale unico mediatore tra il genere umano e Dio. Chi lo rifiuta, come un tempo gli ebrei che lo condannarono in croce, non trova nella liturgia tradizionale tentennamenti o parole dolci: viene esecrato. Un passo tratto dalla settimana santa bizantina c'illustra, con chiara forza, questo concetto:

“Al posto del bene che hai fatto, o Cristo, alla stirpe degli ebrei, essi ti hanno condannato alla croce, dandoti da bere aceto e fiele. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza.
Non si contentarono del tradimento, o Cristo, i figli degli ebrei, ma scuotevano la testa schernendo e beffeggiando. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza.
Né la terra che si scosse, né le rocce che si spezzarono convinsero gli ebrei, né il velo del tempio né la resurrezione dai morti. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza” (Ufficio della santa Passione, Antifona 11).

Il testo non rimprovera un'etnìa in particolare, per quanto si rivolga agli ebrei del tempo di Cristo, ma chiunque non voglia credere in Cristo come unico mediatore tra cielo e terra e si volga ad altro. Ne è prova il fatto che è cantato in un'assemblea di cristiani perché essi intendano e non siano tentati di porsi sul piano di chi, rinnegando Cristo, si volge ad altre credenze.
La centralità e insostituibilità di Cristo, la sua unità in seno alla Trinità, sono condizioni indispensabili per la salvezza del singolo che, a giusta ragione, può così pregare:

“Unico Padre dell'Unico Figlio Unigenito, e Unica luce, riflesso dell'Unica luce, e tu che unicamente sei il santo Spirito dell'Unico Dio, essendo veramente Signore dal Signore; o Triade santa Monade salva me che proclamo la tua divinità!” (Doxastikon della nona ode del Mattutino del Giovedì prima della Domenica delle Palme).

Davanti alla fede in Cristo, ci sono state schiere di martiri che giunsero al disprezzo della propria vita, pur di mantenere intatto il credo della Chiesa. La liturgia bizantina li celebra continuamente. Ecco un esempio:

“Senza temere né fuoco, né spada né morte, avete mantenuto ferma la confessione che salva rinvigoriti da Cristo, o beati” (Mattutino del sabato della terza settimana di Quaresima).

In una sola frase si sottolinea che la confessione della vera fede genera la salvezza per la quale, opportunamente o inopportunamente, i martiri hanno dato testimonianza fino alla tragica conseguenza di versare il proprio sangue. Anche questo fatto, celebrato nella liturgia, diviene esortazione, parenesi e ricordo da non dimenticare ma, semmai, da imitare.

Nella pratica dei santi, all'ascesi si associa un vero e proprio “eros” per l'ortodossia della fede: essi sono nemici giurati di ogni comportamento compromissorio che possa alterare o minimamente corrompere la dottrina. La liturgia, che trasmette questa tradizione vitale, in tal senso, diviene più eloquente che mai:

“... Gioisci, sapiente Atanasio, tu che trai il nome dall'immortalità, tu che hai cacciato dal gregge di Cristo, come un lupo, Ario vaniloquente, colpendolo con la fionda elastica delle tue dottrine divinamente sapienti. Gioisci astro fulgidissimo, difensore della Sempre-Vergine, tu che con voce stentorea l'hai splendidamente proclamata Madre di Dio in mezzo al sacro sinodo di Efeso, e hai ridotto a nulla le chiacchiere di Nestorio, o beatissimo Cirillo....” (Doxastikon dei santi al Mattutino).

E ancora, rivolgendosi a san Giovanni Damasceno, polemico verso l'Islam allora nascente, la liturgia insegna che solo la vera fede glorifica Dio, non altre:

"Hai rovesciato con la tua sapienza le eresie, o beatissimo, o sapientissimo Giovanni, e hai donato alla Chiesa una dottrina ortodossa, perché rettamente definisca e glorifichi la Triade, Monade trisipostatica, in una sola sostanza" (Exapostilarion del santo al Mattutino).

Questa testimonianza donataci ancor oggi da una liturgia tradizionale (in questo caso quella bizantina) pare essere totalmente oscurata laddove la liturgia è stata appannata, umanisticizzata e manipolata e i pastori si sono corrotti alle dottrine mondane di un umanismo dolcificato e irenistico ma mortalmente letale per la fede. La fortuna di avere ancora oggi queste tradizioni vive, ci pone in mano un'arma con la quale, conoscendo il vero spirito della Chiesa, siamo in grado di proteggerci da quanto Chiesa non è ma la sta invadendo e sovvertendo dal suo interno.

La dottrina di sempre si staglia nella sua solenne immobilità per insegnare e confermare nella fede chi lo desidera. Nessuna tenebra potrà cancellare tale luce, nessuna confusione delle menti potrà svigorire la forza di questa testimonianza.
Il mondo può tremare e crollare, gli ecclesiastici potranno inebriarsi al vino della mondanità ma le montagne della fede – trasmesseci dalla tradizione liturgica – sono ancora là. Non resta che raggiungerle.


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