La fede in Cristo e la Liturgia
Cristo
Pantocrator: la bellezza dell'arte religiosa non è fine se stessa è tesa a testimoniare la verità della fede |
Si ripete
continuamente che i nostri sono tempi di confusione religiosa. Anch'io lo credo,
ma dalla confusione non se ne esce se non lo si vuole. Oggi più che mai molti
dei cosiddetti “capi” della Cristianità non sono in grado di aiutare le persone,
presi come sono da una mentalità sempre più secolarizzata. Dove rivolgersi?
Verso la liturgia tradizionale la quale continua a dare la sua perenne
testimonianza ed esortazione.
Uno dei
legami più forti che ha la liturgia tradizionale è con la dottrina, una dottrina
certa, definita, per nulla ambigua, in grado d'illuminare anche gli animi più
confusi e di condannare senza possibilità di appello gli errori.
La
liturgia, infatti, non è altro che la fede celebrata, il dogma divenuto poesia e
canto da porgere al cuore dei fedeli. Chi la vive con attenzione non può non
venirne illuminato, se è nell'oscurità dell'ignoranza, o abbeverato, se ha sete
di verità.
La cosa
fondamentale sulla quale insiste all'infinito la liturgia è l'assoluta
centralità di Cristo nella storia della salvezza di tutto il genere
umano. Ogni preghiera inizia e termina nel nome di Cristo riconosciuto
quale unico mediatore tra il genere umano e Dio. Chi lo rifiuta, come un
tempo gli ebrei che lo condannarono in croce, non trova nella liturgia
tradizionale tentennamenti o parole dolci: viene esecrato. Un passo tratto dalla
settimana santa bizantina c'illustra, con chiara forza, questo
concetto:
“Al posto
del bene che hai fatto, o Cristo, alla stirpe degli ebrei, essi ti hanno
condannato alla croce, dandoti da bere aceto e fiele. Tu dunque, Signore, rendi
loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua
condiscendenza.
Non si
contentarono del tradimento, o Cristo, i figli degli ebrei, ma scuotevano la
testa schernendo e beffeggiando. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro
opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza.
Né la
terra che si scosse, né le rocce che si spezzarono convinsero gli ebrei, né il
velo del tempio né la resurrezione dai morti. Tu dunque, Signore, rendi loro
secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza” (Ufficio
della santa Passione, Antifona 11).
Il testo
non rimprovera un'etnìa in particolare, per quanto si rivolga agli ebrei del
tempo di Cristo, ma chiunque non voglia credere in Cristo come unico
mediatore tra cielo e terra e si volga ad altro. Ne è prova il fatto che è
cantato in un'assemblea di cristiani perché essi intendano e non siano tentati
di porsi sul piano di chi, rinnegando Cristo, si volge ad altre
credenze.
La
centralità e insostituibilità di Cristo, la sua unità in seno alla Trinità, sono
condizioni indispensabili per la salvezza del singolo che, a giusta ragione, può
così pregare:
“Unico
Padre dell'Unico Figlio Unigenito, e Unica luce, riflesso dell'Unica luce, e tu
che unicamente sei il santo Spirito dell'Unico Dio, essendo veramente Signore
dal Signore; o Triade santa Monade salva me che proclamo la tua divinità!”
(Doxastikon della nona ode del Mattutino del Giovedì prima della Domenica delle
Palme).
Davanti
alla fede in Cristo, ci sono state schiere di martiri che giunsero al disprezzo
della propria vita, pur di mantenere intatto il credo della Chiesa. La liturgia
bizantina li celebra continuamente. Ecco un esempio:
“Senza
temere né fuoco, né spada né morte, avete mantenuto ferma la confessione che
salva rinvigoriti da Cristo, o beati” (Mattutino del sabato della terza
settimana di Quaresima).
In una
sola frase si sottolinea che la confessione della vera fede genera la salvezza
per la quale, opportunamente o inopportunamente, i martiri hanno dato
testimonianza fino alla tragica conseguenza di versare il proprio sangue. Anche
questo fatto, celebrato nella liturgia, diviene esortazione, parenesi e ricordo
da non dimenticare ma, semmai, da imitare.
Nella pratica dei santi, all'ascesi si associa un vero e proprio “eros” per l'ortodossia della fede: essi sono nemici giurati di ogni comportamento compromissorio che possa alterare o minimamente corrompere la dottrina. La liturgia, che trasmette questa tradizione vitale, in tal senso, diviene più eloquente che mai:
“...
Gioisci, sapiente Atanasio, tu che trai il nome dall'immortalità, tu che hai
cacciato dal gregge di Cristo, come un lupo, Ario vaniloquente,
colpendolo con la fionda elastica delle tue dottrine divinamente
sapienti. Gioisci astro fulgidissimo, difensore della Sempre-Vergine, tu che con
voce stentorea l'hai splendidamente proclamata Madre di Dio in mezzo al sacro
sinodo di Efeso, e hai ridotto a nulla le chiacchiere di
Nestorio, o beatissimo Cirillo....” (Doxastikon dei santi al
Mattutino).
E ancora, rivolgendosi a san Giovanni Damasceno, polemico verso l'Islam allora nascente, la liturgia insegna che solo la vera fede glorifica Dio, non altre:
"Hai rovesciato con la tua sapienza le eresie, o beatissimo, o sapientissimo Giovanni, e hai donato alla Chiesa una dottrina ortodossa, perché rettamente definisca e glorifichi la Triade, Monade trisipostatica, in una sola sostanza" (Exapostilarion del santo al Mattutino).
E ancora, rivolgendosi a san Giovanni Damasceno, polemico verso l'Islam allora nascente, la liturgia insegna che solo la vera fede glorifica Dio, non altre:
"Hai rovesciato con la tua sapienza le eresie, o beatissimo, o sapientissimo Giovanni, e hai donato alla Chiesa una dottrina ortodossa, perché rettamente definisca e glorifichi la Triade, Monade trisipostatica, in una sola sostanza" (Exapostilarion del santo al Mattutino).
Questa
testimonianza donataci ancor oggi da una liturgia tradizionale (in questo caso
quella bizantina) pare essere totalmente oscurata laddove la liturgia è stata
appannata, umanisticizzata e manipolata e i pastori si sono corrotti alle
dottrine mondane di un umanismo dolcificato e irenistico ma mortalmente letale
per la fede. La fortuna di avere ancora oggi queste tradizioni vive, ci pone in
mano un'arma con la quale, conoscendo il vero spirito della Chiesa, siamo in
grado di proteggerci da quanto Chiesa non è ma la sta invadendo e sovvertendo
dal suo interno.
La
dottrina di sempre si staglia nella sua solenne immobilità per insegnare e
confermare nella fede chi lo desidera. Nessuna tenebra potrà cancellare tale
luce, nessuna confusione delle menti potrà svigorire la forza di questa
testimonianza.
Il mondo
può tremare e crollare, gli ecclesiastici potranno inebriarsi al vino della
mondanità ma le montagne della fede – trasmesseci dalla tradizione liturgica –
sono ancora là. Non resta che raggiungerle.
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