Perché occorre ricevere
la Santa Comunione
direttamente in bocca,
dalle mani consacrate del Sacerdote
e, quindi, anche in ginocchio,
come quando vi erano le "balaustre"?
Una domanda a cui si può dare una coerente risposta…
è sufficiente credere che,
nella Santa Eucaristia,
vi è la
Presenza Viva
di
Nostro Signore Gesù Cristo!
Benedetto XVI vuole così, nelle Sante Messe da lui celebrate. Ma pochissimi vescovi e sacerdoti lo imitano. Eppure i pavimenti delle chiese erano resi preziosi anche per questo. Una guida alla scoperta del loro significato.
ROMA, 13 settembre 2010
Questa sopra è una panoramica parziale dell'immenso mosaico che ricopre il pavimento della cattedrale di Otranto, sulla costa sud-orientale dell'Italia.
I fedeli, percorrendolo dall'ingresso all'altare, hanno come guida l'albero della storia della salvezza, una storia che è sacra e profana insieme, con episodi dell'Antico Testamento, dei Vangeli, del romanzo di Alessandro Magno e del ciclo di Re Artù.
Il mosaico è del XII secolo, un'epoca nella quale le chiese erano vuote di sedie e di panche ed il pavimento appariva ai fedeli nella sua integrità. Anche quando non era figurato, il pavimento delle chiese era comunque prezioso per materiali e disegni. Su di esso si camminava. Si pregava. Ci si inginocchiava in adorazione.
Oggi l'inginocchiarsi – specie sul nudo pavimento – è caduto in desuetudine; tant'è vero che suscita stupore la volontà di Benedetto XVI di dare la Santa Comunione ai fedeli in bocca ed in ginocchio.
Questa della Comunione in ginocchio è una delle novità che Sua Santità, Papa Joseph Ratzinger, ha introdotto quando celebra la Santa Eucaristia.
Ma più che di novità si tratta di ritorni alla tradizione. Le altre sono il Santo Crocifisso al centro dell'Altare, "perché tutti durante la Messa guardiamo verso Cristo e non gli uni verso gli altri", e l'uso frequente del latino "per sottolineare l'universalità della Fede e la continuità della Chiesa", in qualunque parte del pianeta e con qualsiasi popolo e lingua ci si trovi.
In un'intervista al settimanale inglese "Catholic Herald", il maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini ha confermato che anche nelle Messe del suo prossimo viaggio nel Regno Unito il Papa si atterrà a questo suo stile di celebrazione.
In particolare, Marini ha annunciato che Papa Benedetto XVI pronuncerà interamente in latino il prefazio ed il canone, mentre per gli altri testi della Santa Messa adotterà la nuova traduzione inglese che entrerà in uso in tutto il mondo anglofono la prima Domenica di Avvento del 2011: questo perché la nuova traduzione "è più aderente all'originale latino e di stile più elevato" rispetto a quelle correnti.
L'attrazione che ha esercitato la Chiesa di Roma su molti convertiti illustri inglesi dell'Ottocento e del primo Novecento – da Newman a Chesterton a Benson – era anche l'universalismo della liturgia latina. Un'attrazione per una Fede solida ed antica, che oggi muove numerose comunità anglicane a chiedere di entrare nel cattolicesimo.
La "riforma della riforma" attribuita a Sua Santità Papa Joseph Ratzinger in campo liturgico avviene anche così: semplicemente con l'esempio dato da lui quando celebra (auspicabile per tutti i cattolici che lo seguono -laici e religiosi-).
Ma tra i gesti esemplari di Papa Benedetto XVI il meno compreso – sinora – è forse quello della Santa Comunione data ai fedeli inginocchiati (direttamente in bocca e con il 'piattino'. Tale gesto di rispetto verso il Sacro, previene anche l'eventuale sacrilegio di chi prende in mano, dalle mani consacrate del Scerdote, l'Ostia Sacra, con il rischio di disperdere per terra piccole particelle dell'Ostia Divina -ndr.-).
Nelle chiese di tutto il mondo non lo si fa quasi più, anche perché le balaustre, alle quali ci si inginocchiava per ricevere la Santa Comunione, sono state quasi dappertutto disertate o smantellate (in molti casi divelte, distruggendo eredità culturali, religiose e architettoniche).
Il momento più 'delicato' della Santa Comunione...
che può divenire anche il più sacrilego!
(E' sufficiente osservare come viene presa in mano la Santa Particola dai vari fedeli -anziani, giovani e ragazzi-, ma anche come viene distribuita dagli stessi sacerdoti -ancora peggio da alcuni diaconi- per comprendere il grado di preparazione, di spiritualità e di credenza nel distribuire e nel ricevere la Santa Comunione... tutto ciò a danno della vera Fede e del rispetto verso il Sacro, verso Gesù Eucaristia. Sembra quasi che vi sia una totale indifferenza nel credere che l'Eucaristia sia il Vero Pane Disceso dal Cielo. Un segno, anche questo, che ci fa capire come l'apostasia abbia raggiunto il massimo livello. -Ndr-.)
Una importante riflessione sull'argomento
lo si può leggere cliccando sotto su
Ma si è perso di vista anche il senso delle pavimentazioni delle chiese, tradizionalmente molto ornate proprio per far da fondamento e da guida alla grandezza ed alla profondità dei Santi Misteri celebrati.
Pochi oggi avvertono che pavimenti così belli e preziosi sono fatti anche per le ginocchia dei fedeli: un tappeto di pietre su cui prostrarsi davanti allo splendore dell'Epifania Divina.
Il testo che segue è stato scritto proprio per risvegliare questa sensibilità.
Ne è autore Monsignor Marco Agostini, officiale presso la seconda sezione della segreteria di Stato, cerimoniere pontificio e cultore di liturgia e arte sacra, che i lettori di http://chiesa.espresso.repubblica.it/ già conoscono per un suo illuminante commento alla "Trasfigurazione" di Raffaello.
L'articolo è uscito su "L'Osservatore Romano" del 20 agosto 2010.
INGINOCCHIATOI DI PIETRA
di Marco Agostini
È impressionante la cura che l'architettura antica e moderna, fino alla metà del Novecento, riservò ai pavimenti delle chiese. Non solo mosaici e affreschi per le pareti, ma pittura in pietra, intarsi, tappeti marmorei anche per i pavimenti.
Mi sovviene il ricordo del variopinto "tessellatum" delle basiliche di San Zenone o dell'ipogeo di Santa Maria in Stelle a Verona, o di quello vasto e raffinato delle basiliche di Teodoro ad Aquileia, di Santa Maria a Grado, di San Marco a Venezia, o quello misterioso della cattedrale di Otranto. L'"opus tessulare" cosmatesco luccicante d'oro delle basiliche romane di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Clemente, San Lorenzo al Verano, di Santa Maria in Aracoeli, in Cosmedin, in Trastevere, o del complesso episcopale di Tuscania o della Cappella Sistina in Vaticano.
E ancora gli intarsi marmorei di Santo Stefano Rotondo, San Giorgio al Velabro, Santa Costanza, Sant'Agnese a Roma e della basilica di San Marco a Venezia, del battistero di San Giovanni e della chiesa di San Miniato al Monte a Firenze, o l'impareggiabile "opus sectile" del duomo di Siena, o le pelte marmoree bianche, nere e rosse in Sant'Anastasia a Verona o i pavimenti della cappella grande del vescovo Giberti o delle settecentesche cappelle della Madonna del Popolo e del Sacramento, sempre nel duomo veronese, e, soprattutto, lo stupefacente e prezioso tappeto lapideo della basilica vaticana di San Pietro.
In verità la cura per l'impiantito non è solo cristiana: sono emozionanti i pavimenti a mosaico delle ville greche di Olinto o di Pella in Macedonia, o dell'imperiale villa romana del Casale a Piazza Armerina in Sicilia, o quelli delle ville di Ostia o della casa del Fauno a Pompei o la preziosità delle scene del Nilo del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina. Ma anche i pavimenti in "opus sectile" della curia senatoria nel Foro romano, i lacerti provenienti dalla basilica di Giunio Basso, sempre a Roma, o gli intarsi marmorei della "domus" di Amore e Psiche a Ostia.
La cura greca e romana per il pavimento non era evidente nei templi, ma nelle ville, nelle terme e negli altri ambienti pubblici dove la famiglia o la società civile si radunava. Anche il mosaico di Palestrina non era in un ambiente di culto in senso stretto. La cella del tempio pagano era abitata solo dalla statua del dio e il culto avveniva all'esterno innanzi al tempio, attorno all'ara sacrificale. Per tale ragione gli interni non erano quasi mai decorati.
Il culto cristiano è, invece, un culto interiore. Istituito nella stanza bella del cenacolo, ornata di tappeti al piano superiore di una casa di amici, e propagatosi inizialmente nell'intimo del focolare domestico, nella "domus ecclesiae", quando il culto cristiano assunse dimensione pubblica trasformò la casa in chiesa. La basilica di San Martino ai Monti sorge sopra una "domus ecclesiae", e non è la sola. Le chiese non furono mai il luogo di un simulacro, ma la casa di Dio tra gli uomini, il tabernacolo della reale presenza di Cristo nel santissimo sacramento, la casa comune della famiglia cristiana. Anche il più umile dei cristiani, il più povero, come membro del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, in chiesa era a casa e signore: calpestava pavimenti preziosi, godeva dei mosaici e degli affreschi delle pareti, dei dipinti sugli altari, odorava il profumo dell'incenso, sentiva la gioia della musica e del canto, vedeva lo splendore degli ornamenti indossati a gloria di Dio, gustava il dono ineffabile dell'eucaristia che gli veniva amministrata in calici d'oro, si muoveva processionalmente sentendosi parte dell'ordine che è anima del mondo.
I pavimenti delle chiese, lontani dall'essere ostentazione di lusso, oltre a costituire il piano di calpestio avevano anche altre funzioni. Sicuramente non erano fatti per essere coperti dai banchi, questi ultimi introdotti in età relativamente recente allorquando si pensò di disporre le navate delle chiese all'ascolto comodo di lunghi sermoni. I pavimenti delle chiese dovevano essere ben visibili: conservano nelle figurazioni, negli intrecci geometrici, nella simbologia dei colori la mistagogia cristiana, le direzioni processionali della liturgia. Sono un monumento al fondamento, alle radici.
Questi pavimenti sono principalmente per coloro che la liturgia la vivono e in essa si muovono, sono per coloro che si inginocchiano innanzi all'epifania di Cristo. L'inginocchiarsi è la risposta all'epifania donata per grazia a una singola persona. Colui che è colpito dal bagliore della visione si prostra a terra e da lì vede più di tutti quelli che gli sono rimasti attorno in piedi. Costoro, adorando, o riconoscendosi peccatori, vedono riflessi nelle pietre preziose, nelle tessere d'oro di cui talvolta sono composti i pavimenti antichi, la luce del mistero che rifulge dall'altare e la grandezza della misericordia divina.
Pensare che quei pavimenti così belli sono fatti per le ginocchia dei fedeli è commovente: un tappeto di pietra perenne per la preghiera cristiana, per l'umiltà; un tappeto per ricchi e poveri indistintamente, un tappeto per farisei e pubblicani, ma che soprattutto questi ultimi sanno apprezzare.
Oggi gli inginocchiatoi sono scomparsi da molte chiese e si tende a rimuovere le balaustre alle quali ci si poteva accostare alla Comunione in ginocchio. Eppure nel Nuovo Testamento il gesto dell'inginocchiarsi si presenta ogni qualvolta a un uomo appare la Divinità di Cristo: si pensi ai Magi, al cieco nato, all'unzione di Betania, alla Maddalena nel giardino il mattino di Pasqua.
Gesù stesso disse a Satana, che gli voleva imporre una genuflessione sbagliata, che solo a Dio si devono piegare le ginocchia. Satana sollecita ancora oggi a scegliere tra Dio o il potere, Dio o la ricchezza, e tenta ancora più in profondità. Ma così non si renderà Gloria a Dio per nulla; le ginocchia si piegheranno a coloro che il potere l'hanno favorito, a coloro ai quali si è legato il cuore attraverso un atto.
Buon esercizio di allenamento per vincere l'idolatria nella vita è tornare a inginocchiarsi nella Santa Messa, peraltro uno dei modi di "actuosa participatio" di cui parla l'ultimo Concilio. La pratica è utile anche per accorgersi della bellezza dei pavimenti (almeno di quelli antichi) delle nostre chiese. Davanti ad alcuni verrebbe da togliersi le scarpe come fece Mosè davanti a Dio che gli parlava dal roveto ardente.
(©L'Osservatore Romano - 20 agosto 2010)
Pubblicato da BLOG di www.Maranatha.it a 9/13/2010