Notizie su Julia, la prescelta dalla Vergine, e i suoi familiari
Ecco quello che Julia, dietro mia richiesta, ha scritto nel suo secondo diario, cominciato nel gennaio del 1987:
«Scrivo questo diario guardando alla mia vita passata, che non è stata né lunga, né corta.
Questo passato, in cui tutto mi accadeva in maniera imprevedibile e durante il quale ho riso, ho pianto, mi sono adirata per motivi puramente umani, ora lo trovo insignificante.
Mi era difficile capire il senso della vita.
Fino all'età di quattro anni sono vissuta felice in seno ad una famiglia molto unita: mio padre, maestro di scuola a Kwangju mia madre, una sorellina nata due anni dopo di me e mio nonno.
La sventura colpì la mia famiglia quando si scatenò la guerra di Corea, il 25 giugno 1950. All'arrivo delle truppe comuniste, ci demmo tutti alla fuga. Mio padre e mio nonno caddero prigionieri dei comunisti; non ritornarono più e non ne abbiamo mai più avuto notizia. Sono stati uccisi? Sono stati deportati nella Corea del Nord?
Dall'età di quattro anni in poi, la mia vita non è stata che un susseguirsi di lacrime. Ero una timida, un'isolata, una creatura infelice, che non riusciva a trovare la sua libertà e una sua propria volontà. Il cielo era buio; mi sentivo sola, e vagavo senza sosta per la nostra casa di campagna, invocando il padre che avevo perduto.
Le tenebre erano forse le mie sole amiche e il pianto era l'unico riposo che mi consolasse.
Quando la mia sorellina morì, all'età di tre anni, rimasi sola con mia madre. Non ci furono risparmiate né le difficoltà, né le sofferenze. Partimmo e andammo a vivere insieme a Kwangju.
Mia madre lavorò con grande coraggio per permettermi di continuare gli studi alle Scuole Medie, che completai all'età di diciotto anni.
Nel 1971, quando avevo 25 anni, sposai Julio. Ci sono nati quattro figli.
Adesso, cioè nel 1988, la nostra figlia maggiore, Rosa, ha diciotto anni. È studentessa dell'ultimo anno delle Medie Superiori (High School). Tommaso ha sedici anni e frequenta il primo anno delle Superiori. Teresa, di dodici anni, ha cominciato a frequentare le Medie Inferiori; e l'ultimo, Filippo, che ha dieci anni, fa la quarta elementare».
A questo punto, vi riassumo in breve quanto è scritto in questo secondo diario.
Sposa e madre ancora giovanissima, Julia cominciò ad essere afflitta da varie malattie. Fu più volte ricoverata e poi rimandata a casa, dove, a detta dei medici, non le restava che attendere la morte.
Ma Julia persisteva nel volersi curare per poter aiutare la madre e per non abbandonare i suoi quattro bimbi ancora piccini. Ricordava quanto aveva sofferto per la mancanza di suo padre, che le era stato strappato dai comunisti.
Tuttavia, ad un certo punto, finì per rendersi conto che per lei ormai non c'era più speranza. Infatti scrive: «... i dottori erano del parere che non c'era più niente da fare. Tuttavia fecero tutto quanto era in loro potere per aiutarmi, ma invano. A questo punto, mi ero rassegnata a morire». Più avanti, scrive ancora: «Avevo persino preparato del cianuro di potassio e un testamento destinato a colei che sarebbe diventata la seconda moglie di mio marito. Fu allora che, per mezzo di mio marito, il buon Dio mi chiamò alla Chiesa».
Julia aveva prima tentato di ricorrere a certi «mezzi legati alla superstizione». Ma vi rinunciò subito, rendendosi conto che non era quella la via da seguire. Frequentò anche per qualche tempo la Chiesa protestante, ma neanche questa la soddisfece. Cominciò allora a seguire, insieme al marito e ai figli, dei corsi di catechismo seguendo il consiglio di una parente; si era prima consultata con un sacerdote coreano, che aveva fama di persona eccellente.
Julia gli disse: «Se Dio esiste, è troppo crudele con me. Che ho fatto per dover bere questo calice così amaro? (Nel parlare di calice amaro, ella intendeva la morte, ma dagli altri fu interpretato come calice della sofferenza). Il padre le rispose: «Ma non sai che la grazia della sofferenza è ancora più grande della grazia della salute? Tu l'hai ricevuta nel tuo corpo malato. Io stesso non ho avuto la fortuna di una tale grazia. Devi credermi». Queste parole venivano, per la bocca del padre, dallo Spirito Santo. Julia prosegue: «In quello stesso istante sentii il mio corpo gelato diventare caldo e sudai copiosamente. Credetti al padre e comprai tutto quello che ritenevo necessario per poter pregare la santa Vergine: un velo per il capo, un crocifisso da appendere sopra la sua statua, e due ceri da accendervi davanti. Lo feci senza neanche capire che cosa stessero a significare i ceri e il velo.
Tre giorni dopo essermi incontrata col prete, ebbi un sogno, o meglio, udii soltanto una voce che mi diceva: "Accostati alla Bibbia; in verità, le parole della Bibbia sono le mie parole viventi". Mi svegliai: erano le tre del mattino. Aprii il libro a caso, e mi capitò sotto gli occhi il racconto dell'emorroissa. La donna era stata guarita in virtù della sua grande fede. Si era detta: "Se riuscirò solo a toccare la sua veste, sarò guarita". E Gesù le aveva detto: "Figlia, la tua fede ti ha salvata; va' in pace". Credetti a quelle parole di Gesù, poiché mi sembrò che fossero state rivolte anche a me. E infatti, secondo la sua parola, io, benché fossi appena una catecumena, fui completamente sanata.
Per darmi la sua luce, Dio mi ha chiamata a servirlo proprio quando le mie funzioni vitali stavano definitivamente per cessare e mi ha reso la salute.
Mio marito ne fu felicissimo; per lui, sua moglie era stata risuscitata. Fu per questo che mi portò a fare un viaggio, dicendo che si trattava di un secondo viaggio di nozze.
Potemmo anche aprire un salone di parrucchiere, mentre prima non avevamo neanche i mezzi per prendere in affitto una stanza.
È stato il Signore che ci ha visitati, elargendoci molto più di quanto avremmo potuto sperare...».
«Sono sempre stata dalla parte dei deboli. La nostra casa era chiamata l'alloggio dei mendicanti e dei venditori ambulanti. A volte, davo loro da mangiare a costo di privarmene io stessa. La gente mi chiamava "angelo" o "fata". Penso che il buon Dio mi abbia salvata perché sapeva che la mia vita era rivolta al bene.
Ed è stato in queste circostanze che Dio ha stabilito un rapporto fra lui e me. Gli avevo chiesto di farmi crescere spiritualmente, e fu così che alle tre del mattino ebbe inizio un dialogo fra Dio e me. Io non facevo che ripetere: "Signore, perdona questa peccatrice...". Sentii allora una voce che veniva dal cielo. Era la stessa voce che avevo udita tre giorni prima. Per tre volte la voce ripeté: "Ecco aperta la porta del cielo". E quando io, piccola anima, gli ebbi risposto due volte: "Signore, apri ancora di più il mio cuore", il cielo cominciò improvvisamente ad aprirsi. Il velo nero si dissipò e apparve la luce.
Nell'aprile del 1982, avevo offerto di nuovo le mie sofferenze al Signore. Gli avevo detto: "Signore, anche se le malattie fanno soffrire il mio corpo così vile, sarei talmente felice se potessero servire, non fosse che appena un poco, ai tuoi disegni!".
Fu da quel momento che le sofferenze cominciarono a poco a poco ad assalirmi, e che Gesù mi fece vedere, in varie occasioni, il suo Cuore aperto. Un'altra volta, mentre mi trovavo nella Casa di ritiro delle suore del Piccolo Fiore, (1) In Corea, santa Teresa di Lisieux viene chiamata «Il Piccolo Fiore».
alle tre del mattino mi apparve Gesù col petto aperto: il suo Cuore dilaniato sanguinava. Ho gridato: "Signore, che posso fare per il tuo Cuore straziato?". Il Signore mi ha risposto: "Ogni volta che i peccatori commettono una colpa, un lembo del mio Cuore si strappa. Almeno tu, che mi conosci, non dovresti riparare il mio Cuore così dilaniato?". "Sì, Signore, riparerò il tuo Cuore".
Dopo questo fatto, fui ricoverata varie volte in ospedale.
Ogni volta, Gesù mi fece la grazia di non soffrire unicamente in modo umano; meditavo continuamente sui sette dolori della Vergine.
Poi, nel maggio del 1985, dovetti prepararmi di nuovo alla morte.
E mentre passavo da un ospedale all'altro, offrivo sempre le mie sofferenze per la conversione dei peccatori. Mi alzavo alle cinque per meditare sulle cinque piaghe di Gesù e sui sette dolori della Vergine, e continuavo così fino alle sette. La mia vita di preghiera continuava anche negli ospedali. Accendevo anche due ceri per supplicare il Signore di degnarsi di illuminare i peccatori.
Quando uscii per l'ultima volta dall'ospedale, dovevo far uso di un apparecchio respiratorio che mi opprimeva il petto e mi rendeva penoso respirare.
Quando ero entrata in ospedale, riuscivo ancora a mangiare il riso, ma allorché ne uscii, non ce la facevo neanche a inghiottire il brodo di miglio filtrato. Eppure è stato proprio allora, durante le mie sofferenze, che ho offerto un maggior numero di preghiere e di sacrifici.
Dovevo ringraziare il buon Dio anche se mi richiamava a sé. I miei figli erano cresciuti; avevano messo da parte qualche soldo... Di che cosa potevo aver paura, se seguivo la volontà di Dio? Per offrirmi quale sacrificio e con spirito di penitenza, dicevo: "Nella vita come nella morte, appartengo al Signore".
Il 29 giugno 1985 andai in autobus, con alcune cristiane della parrocchia, al villaggio "Kkot Tongnai" (Villaggio dei Fiori)».
In questo villaggio, un prete coreano accoglie i mendicanti senza alloggio o malati, gli handicappati abbandonati, gli emarginati più diseredati; tutto è gratuito. Nel 1987 questo prete aveva già raccolto più di 900 bisognosi. Molte persone, sia cristiani che non, vi si recano o aiutano questa opera.
Julia mi ha raccontato personalmente che lei e le sue compagne erano rimaste molto commosse e impressionate, durante la loro visita al Villaggio dei Fiori, nel vedere tanta infelicità. Nel visitare le camere dei malati, Julia cercava di prestare quel poco di aiuto che poteva, poiché in ognuno di essi vedeva Gesù.
Julia scrive: «Rientrai a Naju verso le 23,30 del 30 giugno... Recitai il Rosario per la conversione dei peccatori e per la comunità dei poveri del Villaggio dei Fiori.
Mentre dicevo: "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte. Amen", feci un "Oh!" di meraviglia. Nel guardare gli occhi e le gote della statua della Vergine, avevo visto colare delle lacrime. Non sapevo se si trattasse di gocce di acqua o di lacrime. Profondamente turbata, svegliai mio marito che si era appena addormentato; era quasi mezzanotte. Per essere ben certi, riguardammo insieme e constatammo che erano proprio lacrime».
Il 1° luglio 1985 Julia scrive: «Mi alzai verso le sei e andai subito a vedere la statua. L'acqua santa con cui l'avevo aspersa era completamente scomparsa. Le lacrime, che la sera prima colavano dall'occhio sinistro, ora sgorgavano da entrambi gli occhi. Perplessi da questo fatto straordinario, mio marito ed io recitammo le nostre preghiere. Chiedevamo insistentemente alla Vergine di spiegarci il motivo del suo pianto».
La Vergine continuò a piangere anche nei giorni seguenti. Il giovedì 4 luglio, Julia scrive: «Al mattino mi alzai e tornai a guardare. La Vergine piangeva ancora. Prima di andare al lavoro, mio marito Julio mi disse: "Per ora, non devi dirlo ad anima viva". E mi raccomandò di pregare con fervore.
A partire dalle nove e mezzo, cominciai a sentirmi in preda ad una sensazione straordinaria (come quella che ebbi durante le assemblee del Rinnovamento Carismatico). A un certo punto non fui più capace di resistere e telefonai alle suore della parrocchia. Non rispose nessuno. Allora telefonai in canonica, ma inutilmente...
Nel frattempo, erano arrivati da me alcuni membri di un "praesidium" della Legione di Maria. Recitammo insieme il Rosario davanti alla statua che versava lacrime. Li pregai di non farne parola con alcuno. Mi risposero che non c'era alcun motivo di tenere nascosto il fatto. Io insistetti e tentai di nuovo di mettermi in contatto telefonico con le suore; ma non rispose nessuno.
Al mio ritorno da una visita ad alcuni malati, appresi che durante la mia assenza era venuta parecchia gente, alcuni addirittura dalla città di Kwangju».
Da quel momento, gli eventi precipitarono: accorsero cattolici, protestanti e persone non cristiane.
Le strade erano affollate... venne istituito un servizio d'ordine. L'attività nel salone di parrucchiere si disorganizzò, con grande irritazione delle pettinatrici che non riuscivano più a portare a termine il loro lavoro.leggere...