Dopo l’intervista di padre Vincenzo Nuara, torniamo sul convegno dello scorso ottobre sul motu proprio Summorum Pontificum con l’articolo di Fabrizio Cannone, sempre tratto da Radici Cristiane.
Dal 16 al 18 ottobre 2009, sotto il titolo di Un grande dono per tutta la Chiesa, si è celebrato a Roma, a pochi passi dal Vaticano, il “II Convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum di S.S. Benedetto XVI”. La riuscita di questo importante evento è innegabile. Siamo sicuri che, nelle riflessioni sull’attualità dell’immortale liturgia latina, esso lascerà un segno indelebile.
di Fabrizio Cannone
Organizzato dall’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum e dal gruppo laicale Giovani e Tradizione, il convegno è stato presieduto dall’animatore nonché fondatore dei due menzionati organismi: il domenicano Padre Vincenzo Nuara.
Il primo giorno, detto di pre-convegno, è stato in realtà una sorta di breve ritiro spirituale per il clero e i seminaristi (con la recita del Rosario in comune, l’Adorazione Eucaristica, i Vespri e la Benedizione), e ha visto la partecipazione di quasi cento chierici.
Dopo il canto del Veni Creator nella cappella della Casa Bonus Pastor, sede dei lavori, e dopo l’introduzione di padre Nuara, il momento forte si è avuto con la conferenza di SE. mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare in Kazakhstan. Il tema era ripreso dal titolo di un ben noto testo di dom Columba Marmion, Cristo, ideale del sacerdote.
II cambiamento dei “segni dei tempi”
II giorno seguente, sabato 17 ottobre, si è aperto il Convegno vero e proprio. La grande presenza di giovani sacerdoti e seminaristi, religiosi e religiose, molti dei quali neppure trentenni, è stata una prova eloquente di quanto gli attuali “segni dei tempi” vadano sempre più nel senso di un ritorno alle radici della fede, della dottrina e della spiritualità cristiana.
Dopo la Santa Messa nella forma straordinaria, comunemente detta Messa di san Pio V, celebrata da S E. mons. Schneider, il presidente del Convegno ha fatto una relazione introduttiva. In essa, il domenicano ha detto che dalla promulgazione del Motu proprio che si stava per commemorare, la vita di molti dei presenti è cambiata. Ed è cambiata radicalmente e per sempre.
Secondo Padre Nuara, chi disse due anni fa che il documento pontificio sarebbe presto finito del dimenticatoio sbagliò gravemente, e il successo del convegno ne sarebbe una prova lampante. Se, come si espresse Benedetto XVI introducendo un testo di mons. Klaus Gamber, la “crisi di fede” è dovuta al “crollo della liturgia”, il Motu proprio è una risposta efficace sia all’una che all’altra: esso è il vero segno dei tempi nella Chiesa d’oggi.
Lamentando una situazione difficile in ordine all’applicazione del testo pontificio, il padre ha però richiamato il valore ascetico della sofferenza per una giusta causa: proprio dalle pene patite nel silenzio e nell’abbandono dai sacerdoti e dai fedeli legati tota corde al rito tradizionale, verrà l’inizio della (vera) riforma della Chiesa.
Tempi di crisi liturgica
La seconda conferenza è stata curata da mons. Schneider, più una meditazione profonda e articolata che una lezione di taglio professorale-scientifico. «Nessuno può negare il fatto che la Chiesa di oggi stia soffrendo una grave crisi liturgica», ha detto il vescovo, entrando subito in medias res.
D tema affrontato era quello della “sacralità e bellezza della Liturgia nei Santi Padri”. Secondo il prelato, il culto di Dio deve essere consapevole della santità divina e questa nozione fondante e imprescindibile è presente fin dai testi liturgici più antichi che ci vengono dalla Tradizione. Tra i tanti riferimenti possibili, sono stati citati brani dell’Antico Testamento, dell’Apocalisse, di Papa san Clemente I, della Passione delle martiri Perpetua e Felicita, di Tertulliano e di san Giovanni Crisostomo, detto Dottore Eucaristico. In tutti la liturgia si configura come un’opera angelica, teocentrica, assolutamente sacrale e anagogica, tutta impregnata di orientamento sovrannaturale.
In pratica, l’esatto opposto di ciò che la moda liturgica prevalente, intrisa di valori umanistici e intramondani, ci vorrebbe imporre già da vari decenni. Il simbolismo e la gestualità sono fondamentali per una retta comprensione del mistero celebrato: secondo il prelato dunque nulla, assolutamente nulla, dovrebbe essere lasciato al caso, all’improvvisazione e all’arbitrio umano.
Con toccanti parole poi, sua Eccellenza ha detto che la cosa più preziosa dell’intero universo è il corpo e il sangue di Cristo, presenti sull’altare del sacrificio e nel Tabernacolo: il rispetto ad essi dovuto è dunque conseguenza di tale consapevolezza di fede.
Notava infine mons. Schneider che sia il Concilio di Trento sia il Vaticano n parlano di una liturgia in conformità coi “santi Padri”, dunque tale conformità desiderata dalla Chiesa deve al più presto tornare a esprimersi con atteggiamenti consoni alla ri-presentazione del Sacrificio della Croce. In conclusione, ha citato un bel testo eucaristico di san Pietro Giuliano Eymard.
La romanità, quintessenza della cattolicità
La relazione seguente è stata affidata al prof. Roberto de Mattei, e aveva l’impegnativo titolo di “Cattolicità e Romanità della Chiesa nell’ora presente”. Lo storico romano ha presentato una sintesi estremamente convincente, e in più passaggi toccante, del significato di Roma e della romanità all’interno della visione cattolica del mondo. Arduo appare sintetizzarla in poche battute.
In ogni caso, la caratteristica della romanitas, non è una nota aggiuntiva e di secondario valore per definire la vera Chiesa di Dio. A ben vedere, anzi, essa appare la quintessenza della cattolicità, ed esprime in modo netto e distinto, quasi plastico, sia la fede nella Provvidenza divina (che attraverso il beato Pietro scelse Roma quale sede del suo Regno in terra), sia l’ancoraggio storico culturale e liturgico della nostra fede su quella dei nostri predecessori, anzitutto i Sommi Pontefici Romani.
Non è un caso infatti che i nemici della Chiesa siano anche, necessariamente, nemici della (vera) roma nità. Troppo forte è il legame tra diritto canonico e diritto romano, tra lingua latina e culto cristiano, tra primato (storico-politico) della Roma antica e Primato (giuridico e dottrinale) della Sede Petrina perché questa inimicizia sia elusa. La modernità, inaugurata dall’anti-romanesimo luterano, registra due fenomeni speculari e convergenti: da un lato vuole “purificare” il cristianesimo dalla romanità, come vorranno tutte le sette protestanti, il giansenismo, e poi il modernismo e il neo-modernismo; dall’altro si esalta Roma, per farne una sorta di idolo in funzione anti-cattolica: si pensi qui a Féderico, a Machiavelli, al ghibellinismo, ai giacobini e al nazionalismo laico otto-novecentesco. Se vogliamo dunque essere cattolici integrali dobbiamo essere i primi assertori di quel principio meta-storico «onde Cristo è Romano» (Dante), e in tal senso la liturgia latina tradizionale appare il miglior modo per preservare, nella temperie odierna del relativismo e del pluralismo, la latinità e la romanità, l’universalità e la stabilità, lafides e lo ius, lapietos e la veri-tas della santa Chiesa di Roma.
Altri interventi
Nella medesima mattinata vi sono state anche due brevi ma importanti comunicazioni dovute una al Vice Presidente della Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra, dom Michael John Zielinski e l’altra a mons. Valentino Mi-serachs Grau, Presidente del Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Entrambi gli interventi hanno inteso significare l’importanza per l’Arte sacra e per la musica di Chiesa del legame colla tradizione liturgica latina e gregoriana: i due presuli hanno quindi criticato molte delle recenti evoluzioni artistiche o musicali, che occultano quella sacralità così necessaria al culto cristiano e alla spiritualità dei fedeli.
Dopo il pranzo, v’è stato l’inatteso intervento di mons. Guido Pozzo, nuovo Segretario della Commissione Ecclesia Dei. Il presule ha ribadito l’importanza della liturgia tradizionale per la continuità dottrinale cattolica e ha notato che, nonostante le difficoltà esistenti, l’applicazione del Motuproprio che si stava commemorando deve continuare a estendersi.
Molto attesa era la relazione seguente, tenuta da padre Stefano M. Manelli, figlio spirituale di Padre Pio e fondatore dei Francescani dell’Immacolata, una delle più giovani e promettenti famiglie della “riforma francescana”.
Il sacerdote ha parlato del rapporto inscuidibile tra la vita religiosa, che lui vive in prima persona da oltre mezzo secolo, e la liturgia. La decadenza liturgica attuale, più volte segnalata da Benedetto XVI, ha influito certamente sul calo delle vocazioni sacerdotali e religiose, e anche sulla più grave desacralizzazione di monasteri, conventi e istituti un tempo fiorenti.
La decisione dei Francescani dell’Immacolata di tornare alla Messa e all’ufficio liturgico tradizionale sta dando frutti preziosi, sia in quantità di vocazioni, sia in un innalzamento della vita spirituale nelle loro comunità maschili e femminili.
Secondo padre Manelli, a norma del Motu proprio, sono in particolare i religiosi che debbono riprendere gli antichi usi liturgici e ascetici: così essi formeranno quelle sante oasi di cui tutti i fedeli avvertono sempre più il bisogno.
L’ultimo a parlare è stato il noto teologo mons. Brunero Gherardini, recente autore di un importante messa a punto sul valore (e i limiti) dei documenti conciliari. Dopo aver detto che il Motuproprio si configura come una “sanatio”, ha illustrato da par suo il vero senso della Tradizione, all’insegna della continuità dogmatica e magisteriale.
Con acume e profondità teologica, ha saputo mostrare l’opposizione tra la Tradizione vivente, intesa in senso cattolico, e cioè la virtualità infinita del magistero di fissare “nuovi” dogmi, già facenti parte della Divina Rivelazione, e la “tradizione vivente” del modernismo, che usa questa espressione per conformare il dogma e la dottrina alle variazioni pressoché infinite del fragile pensiero umano.
La Messa in S. Pietro e il saluto del Papa
D seguente 18 ottobre i convegnisti hanno avuto la grazia di partecipare alla Santa Messa pontificale nel cuore della Chiesa, cioè nella Basilica di San Pietro, n celebrante è stato S.E. mons. Raymond Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica.
Giova ricordare che alla Messa conclusiva, come del resto già al convegno, erano presenti membri di tutti gli Istituti che usano del messale antico: dalla Fraternità san Pietro all’Istituto di Cristo Re, dai Francescani dell’Immacolata all’Istituto del Buon Pastore, oltre a figure ben note come mons. Camille Perl.
L’unità della “famiglia cattolica tradizionale”, pur tra tante difficoltà, non è il minor successo dell’iniziativa – destinata a ripetersi e ad ampliarsi – di padre Vincenzo Nuara. All’Angelus dello stesso giorno il Santo Padre ha salutato i partecipanti al Convegno, dando così per il fatto stesso un appoggio significativo a iniziative di tal genere.
da Radici Cristiane n. 50, dicembre 2009