sábado, 2 de julho de 2011

Segni dei tempi: i preti giovani scelgono la tradizione

 
Dopo l’intervista di padre Vincenzo Nuara, torniamo sul convegno dello scorso ottobre sul motu proprio Summorum Pontificum con l’articolo di Fabrizio Cannone, sempre tratto da Radici Cristiane.
Dal 16 al 18 ottobre 2009, sotto il titolo di Un grande dono per tutta la Chiesa, si è celebrato a Roma, a pochi passi dal Vaticano, il “II Convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum di S.S. Benedetto XVI”. La riuscita di questo importante evento è innegabile. Siamo sicuri che, nelle riflessioni sull’attualità dell’immortale liturgia latina, esso lascerà un segno indelebile.
di Fabrizio Cannone
Organizzato dall’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum e dal gruppo laicale Giovani e Tradizione, il convegno è stato presie­duto dall’animatore nonché fondatore dei due men­zionati organismi: il domenicano Padre Vincenzo Nuara.
Il primo giorno, detto di pre-convegno, è stato in realtà una sorta di breve ritiro spirituale per il clero e i seminaristi (con la recita del Rosario in comune, l’Adorazione Eucaristica, i Vespri e la Benedizione), e ha visto la partecipazione di quasi cento chierici.
Dopo il canto del Veni Creator nella cappella del­la Casa Bonus Pastor, sede dei lavori, e dopo l’intro­duzione di padre Nuara, il momento forte si è avuto con la conferenza di SE. mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare in Kazakhstan. Il tema era ri­preso dal titolo di un ben noto testo di dom Columba Marmion, Cristo, ideale del sacerdote.
II cambiamento dei “segni dei tempi”
II giorno seguente, sabato 17 ottobre, si è aperto il Convegno vero e proprio. La grande presenza di gio­vani sacerdoti e seminaristi, religiosi e religiose, mol­ti dei quali neppure trentenni, è stata una prova elo­quente di quanto gli attuali “segni dei tempi” vada­no sempre più nel senso di un ritorno alle radici del­la fede, della dottrina e della spiritualità cristiana.
Dopo la Santa Messa nella forma straordinaria, co­munemente detta Messa di san Pio V, celebrata da S E. mons. Schneider, il presidente del Convegno ha fat­to una relazione introduttiva. In essa, il domenicano ha detto che dalla promulgazione del Motu proprio che si stava per commemorare, la vita di molti dei pre­senti è cambiata. Ed è cambiata radicalmente e per sempre.
Secondo Padre Nuara, chi disse due anni fa che il documento pontificio sarebbe presto finito del dimenticatoio sbagliò gravemente, e il successo del con­vegno ne sarebbe una prova lampante. Se, come si espresse Benedetto XVI introducendo un testo di mons. Klaus Gamber, la “crisi di fede” è dovuta al “crollo della liturgia”, il Motu proprio è una risposta effica­ce sia all’una che all’altra: esso è il vero segno dei tem­pi nella Chiesa d’oggi.
Lamentando una situazione difficile in ordine al­l’applicazione del testo pontificio, il padre ha però ri­chiamato il valore ascetico della sofferenza per una giusta causa: proprio dalle pene patite nel silenzio e nell’abbandono dai sacerdoti e dai fedeli legati tota corde al rito tradizionale, verrà l’inizio della (vera) riforma della Chiesa.
Tempi di crisi liturgica
La seconda conferenza è stata curata da mons. Schneider, più una meditazione profonda e articola­ta che una lezione di taglio professorale-scientifico. «Nessuno può negare il fatto che la Chiesa di oggi stia soffrendo una grave crisi liturgica», ha detto il ve­scovo, entrando subito in medias res.
D tema affrontato era quello della “sacralità e bel­lezza della Liturgia nei Santi Padri”. Secondo il pre­lato, il culto di Dio deve essere consapevole della san­tità divina e questa nozione fondante e imprescindi­bile è presente fin dai testi liturgici più antichi che ci vengono dalla Tradizione. Tra i tanti riferimenti pos­sibili, sono stati citati brani dell’Antico Testamento, dell’Apocalisse, di Papa san Clemente I, della Passio­ne delle martiri Perpetua e Felicita, di Tertulliano e di san Giovanni Crisostomo, detto Dottore Eucaristico. In tutti la liturgia si configura come un’opera ange­lica, teocentrica, assolutamente sacrale e anagogica, tutta impregnata di orientamento sovrannaturale.
In pratica, l’esatto opposto di ciò che la moda li­turgica prevalente, intrisa di valori umanistici e intramondani, ci vorrebbe imporre già da vari decenni. Il simbolismo e la gestualità sono fondamentali per una retta comprensione del mistero celebrato: secondo il prelato dunque nulla, assolutamente nulla, dovrebbe essere lasciato al caso, all’improvvisazione e all’arbitrio umano.
Con toccanti parole poi, sua Ec­cellenza ha detto che la cosa più preziosa dell’intero universo è il corpo e il sangue di Cristo, presen­ti sull’altare del sacrificio e nel Ta­bernacolo: il rispetto ad essi do­vuto è dunque conseguenza di tale consapevolezza di fede.
Notava infine mons. Schnei­der che sia il Concilio di Tren­to sia il Vaticano n parlano di una liturgia in conformità coi “santi Padri”, dunque tale con­formità desiderata dalla Chie­sa deve al più presto tornare a esprimersi con atteggiamenti conso­ni alla ri-presentazione del Sacrificio della Croce. In conclusione, ha citato un bel testo eucaristico di san Pietro Giuliano Eymard.
La romanità, quintessenza della cattolicità
La relazione seguente è stata affidata al prof. Ro­berto de Mattei, e aveva l’impegnativo titolo di “Cat­tolicità e Romanità della Chiesa nell’ora presente”. Lo storico romano ha presentato una sintesi estremamen­te convincente, e in più passaggi toccante, del signi­ficato di Roma e della romanità all’interno della vi­sione cattolica del mondo. Arduo appare sintetizzar­la in poche battute.
In ogni caso, la caratteristica della romanitas, non è una nota aggiuntiva e di secondario valore per de­finire la vera Chiesa di Dio. A ben vedere, anzi, essa appare la quintessenza della cattolicità, ed esprime in modo netto e distinto, quasi plastico, sia la fede nel­la Provvidenza divina (che attraverso il beato Pietro scelse Roma quale sede del suo Regno in terra), sia l’ancoraggio storico culturale e liturgico della nostra fede su quella dei nostri predecessori, anzitutto i Som­mi Pontefici Romani.
Non è un caso infatti che i nemici della Chiesa sia­no anche, necessariamente, nemici della (vera) roma nità. Troppo forte è il legame tra diritto canonico e diritto romano, tra lingua latina e culto cristiano, tra primato (storico-politico) della Roma antica e Primato (giuridico e dottrinale) della Sede Petrina perché questa inimicizia sia elusa.     La modernità, inaugurata dall’anti-romanesimo luterano, registra due fenomeni speculari e convergenti: da un lato vuole “purificare” il cristianesimo dalla romanità, come vorranno tutte le sette protestanti, il giansenismo, e poi il modernismo e il neo-modernismo; dall’altro si esalta Roma, per farne una sorta di idolo in funzione anti-cattolica: si pensi qui a Féderico, a Machiavelli, al ghibellinismo, ai giacobini e al nazionalismo laico otto-novecentesco. Se vogliamo dunque essere cattolici integrali dobbiamo essere i primi assertori di quel principio meta-storico «onde Cristo è Romano» (Dante), e in tal sen­so la liturgia latina tradizionale appare il miglior modo per preservare, nella temperie odierna del relativismo e del pluralismo, la latinità e la romanità, l’universa­lità e la stabilità, lafides e lo ius, lapietos e la veri-tas della santa Chiesa di Roma.
Altri interventi
Nella medesima mattinata vi sono state anche due brevi ma importanti comunicazioni dovute una al Vice Presidente della Pontificia Commissione dei Beni Cul­turali della Chiesa e di Archeologia Sacra, dom Michael John Zielinski e l’altra a mons. Valentino Mi-serachs Grau, Presidente del Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Entrambi gli interventi hanno inteso significare l’importanza per l’Arte sacra e per la musica di Chie­sa del legame colla tradizione liturgica latina e gre­goriana: i due presuli hanno quindi criticato molte del­le recenti evoluzioni artistiche o musicali, che occul­tano quella sacralità così necessaria al culto cristiano e alla spiritualità dei fedeli.
Dopo il pranzo, v’è stato l’inatteso intervento di mons. Guido Pozzo, nuovo Segretario della Commis­sione Ecclesia Dei. Il presule ha ribadito l’importan­za della liturgia tradizionale per la continuità dottri­nale cattolica e ha notato che, nonostante le difficol­tà esistenti, l’applicazione del Motuproprio che si sta­va commemorando deve continuare a estendersi.
Molto attesa era la relazione seguente, tenuta da padre Stefano M. Manelli, figlio spirituale di Padre Pio e fondatore dei Francescani dell’Immacolata, una delle più giovani e promettenti famiglie della “rifor­ma francescana”.
Il sacerdote ha parlato del rapporto inscuidibile tra la vita religiosa, che lui vive in prima persona da ol­tre mezzo secolo, e la liturgia. La decadenza liturgi­ca attuale, più volte segnalata da Benedetto XVI, ha influito certamente sul calo delle vocazioni sacerdo­tali e religiose, e anche sulla più grave desacralizza­zione di monasteri, conventi e istituti un tempo fio­renti.
La decisione dei Francescani dell’Immacolata di tornare alla Messa e all’ufficio liturgico tradizionale sta dando frutti preziosi, sia in quantità di vocazioni, sia in un innalzamento della vita spirituale nelle loro comunità maschili e femminili.
Secondo padre Manelli, a norma del Motu proprio, sono in particolare i religiosi che debbono riprende­re gli antichi usi liturgici e ascetici: così essi forme­ranno quelle sante oasi di cui tutti i fedeli avvertono sempre più il bisogno.
L’ultimo a parlare è stato il noto teologo mons. Brunero Gherardini, recente autore di un importante mes­sa a punto sul valore (e i limiti) dei documenti con­ciliari. Dopo aver detto che il Motuproprio si confi­gura come una “sanatio”, ha illustrato da par suo il vero senso della Tradizione, all’insegna della conti­nuità dogmatica e magisteriale.
Con acume e profondità teologica, ha saputo mo­strare l’opposizione tra la Tradizione vivente, intesa in senso cattolico, e cioè la virtualità infinita del ma­gistero di fissare “nuovi” dogmi, già facenti parte del­la Divina Rivelazione, e la “tradizione vivente” del modernismo, che usa questa espressione per confor­mare il dogma e la dottrina alle variazioni pressoché infinite del fragile pensiero umano.
La Messa in S. Pietro e il saluto del Papa
D seguente 18 ottobre i convegnisti hanno avuto la grazia di partecipare alla Santa Messa pontificale nel cuore della Chiesa, cioè nella Basilica di San Pie­tro, n celebrante è stato S.E. mons. Raymond Burke, Prefetto della Segnatura Apostolica.
Giova ricordare che alla Messa conclusiva, come del resto già al convegno, erano presenti membri di tutti gli Istituti che usano del messale antico: dalla Fra­ternità san Pietro all’Istituto di Cristo Re, dai France­scani dell’Immacolata all’Istituto del Buon Pastore, oltre a figure ben note come mons. Camille Perl.
L’unità della “famiglia cattolica tradizionale”, pur tra tante difficoltà, non è il minor successo dell’ini­ziativa – destinata a ripetersi e ad ampliarsi – di pa­dre Vincenzo Nuara. All’Angelus dello stesso gior­no il Santo Padre ha salutato i partecipanti al Conve­gno, dando così per il fatto stesso un appoggio signi­ficativo a iniziative di tal genere.
da Radici Cristiane n. 50, dicembre 2009

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