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A che punto siamo nelle trattative con la Fraternità di San Pio X ?
Monsignore, lei ha partecipato al dialogo con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Che impressione personale ha avuto di queste riunioni? A che punto siamo? Crede che arriveremo presto a una riconciliazione?
La mia impressione è sostanzialmente positiva per quanto riguarda la cordialità con cui il dialogo, il colloquio, si è svolto e debbo dire che è sempre stato un dialogo molto franco, sincero, e a tratti anche vivace, come era anche comprensibile, data la problematica e la tematica in discussione. Penso che siamo arrivati ad un punto decisivo anche se non certamente conclusivo di questo cammino, che è servito a chiarire ampiamente e in modo approfondito le posizioni rispettive nella Fraternità San Pio X e degli esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede; ora si tratta appunto di passare ad un piano più valutativo, ad un livello valutativo dei punti controversi, per verificare la possibilità concreta di giungere al superamento delle difficoltà dottrinali e dei problemi dottrinali che si sono affrontati.
Esiste un modus procedendi nel caso che il Preambolo dottrinale non fosse firmato?
In questo momento il testo del Preambolo dottrinale è stato consegnato a Monsignor Fellay, ai superiori della Fraternità, perché essi possano esaminarlo e dare una risposta, che noi auspichiamo nella sostanza favorevole, positiva, affermativa. C'è sempre la possibilità di chiedere alcune precisazioni, alcuni chiarimenti che da parte nostra verranno certamente dati entro tempi ragionevoli. Porre il problema di quello che succederà qualora le difficoltà dovessero essere considerate gravi, insormontabili, mi pare che sia fuori luogo. In questo momento non ci si pone questo problema.
La Fraternità non è nata dal nulla ma come risposta a una gravissima crisi ecclesiastica soprattutto in paesi come la Germania, la Francia o la Svizzera. Questa crisi persiste. Crede che dopo un accordo fatto a Roma, la Fraternità possa coabitare in questi paesi sotto il tetto della Chiesa istituzionale?
Io risponderei semplicemente che chi è veramente e pienamente cattolico, può abitare pienamente e debitamente nella Chiesa cattolica, dovunque la Chiesa cattolica esiste e si sviluppa. Non è solo un'affermazione di principio, è un'affermazione esistenziale che corrisponde alla realtà della Chiesa cattolica. Questo naturalmente non significa che non ci siano delle difficoltà, anche a motivo della situazione critica in cui si trovano molti cattolici, il mondo cattolico, in questi ed in altri paesi, ma non credo che nella storia non si siano verificati casi analoghi e quindi la risposta è molto semplice: chi è veramente e pienamente cattolico, non solo ha diritto, ma vive bene e si trova bene nella Chiesa cattolica.
Quali sono le ragioni dell’ostilità di molti ambienti ecclesiastici contro una liturgia che la Chiesa e tantissimi santi hanno celebrato per un periodo così lungo e che è stato lo strumento di un sviluppo spettacolare della Chiesa?
E' una domanda complessa perché credo che ci siano molti fattori che intervengono per comprendere questo pregiudizio così ancora diffuso contro la liturgia della forma straordinaria del Rito Antico. E' da tener presente che per molti anni non è stata offerta una formazione liturgica veramente adeguata e completa nella Chiesa cattolica. Si è voluto introdurre il principio di una rottura, di un allontanamento, un distacco radicale tra la riforma liturgica proposta, instaurata, promulgata, da Papa Paolo VI e la liturgia tradizionale. In realtà le cose stanno diversamente, perché è chiaro che c'è una continuità sostanziale nella liturgia, nella storia della liturgia; c'è crescita, progresso, rinnovamento, ma non rottura, non discontinuità, e quindi questi pregiudizi influiscono in misura determinante nella forma mentis delle persone, degli ecclesiastici e anche dei fedeli. Occorre superare questo pregiudizio, occorre dare una formazione liturgica completa, autentica, e vedere come, appunto, una cosa sono i libri liturgici della riforma voluta da Paolo VI, altra cosa sono le forme di attuazione che in tante parti del mondo cattolico si sono verificate nella prassi, e che sono autentici abusi della stessa riforma liturgica di Paolo VI e contengono anche errori dottrinali che devono essere corretti e respinti. E' questo che il Santo Padre Benedetto XVI, in un discorso all'Ateneo Anselmiano, recentemente, nella tarda primavera di quest'anno, ha voluto ancora una volta ribadire. Una cosa sono i libri liturgici della riforma, altra sono le forme concrete di attuazione che, purtroppo, in tante parti si sono diffuse e che non sono coerenti con i principi che erano stati fissati ed esplicitati dalla stessa Costituzione del Concilio Vaticano II "Sacrosantum Concilium", sulla divina liturgia.
Il Preambolo confidenziale fu consegnato a Mgr Fellay il 14 di settembre. Un giorno dopo, Andrea Tornielli era già informato. Come mai le informazioni confidenziali del Vaticano passano così velocemente alla stampa?
L'abilità dei giornalisti è molto nota, è un'abilità di intercettare le notizie che veramente è ammirevole sotto un certo profilo ma direi che in questo caso i giornalisti, non solo il giornalista Tornielli ma anche altri, il giorno dopo hanno ripreso sostanzialmente il comunicato stampa che già informava di alcuni elementi essenziali del Preambolo Dottrinale e quindi direi che i contenuti profondi del Preambolo, nei loro particolari, non sono noti, almeno finora non sono stati resi noti, e i giornalisti non ne hanno parlato, non hanno descritto nei particolari lo svolgimento e l'elaborazione del Preambolo Dottrinale; quindi la riservatezza sostanzialmente in questo caso credo sia stata mantenuta. Spero che lo sarà anche in seguito.
Lei, prima di far parte di Ecclesia Dei, ha avuto delle esperienze personali con la messa latina? Come ha vissuto i cambiamenti liturgici negli anni sessanta?
Le domande sono due e alla prima rispondo che, prima del motu proprio Summorum Pontificum del 2007, io non ho avuto nessun contatto con la celebrazione della messa nel rito antico e ho cominciato a celebrare la messa nel rito della forma straordinaria proprio con il motu proprio Summorum Pontificum, che ha dato facoltà perché questa messa possa essere celebrata in questa forma.
Come ho vissuto negli anni sessanta, negli anni settanta i cambiamenti? Ecco, devo dire che, come conformemente al mio modo di essere stato formato e preparato dai miei educatori nel Seminario, e soprattutto anche alla Pontificia Università Gregoriana dai miei maestri di teologia, ho sempre cercato di capire quello che il Magistero proponeva attraverso la lettura dei suoi testi, non attraverso quello che teologi o una certa pubblicistica cattolica attribuiva al Magistero stesso. Quindi io non ho mai avuto problemi nell'accettare la messa nella riforma liturgica di Paolo VI, ma subito mi sono reso conto che, a motivo di questo grande disordine che si è introdotto nella Chiesa dopo il 1968, molto spesso la messa di Paolo VI era stata deformata e veniva celebrata assolutamente in modo contrario alle intenzioni profonde del legislatore, cioè del Sommo Pontefice; quindi questo disordine, questo crollo della liturgia di cui ha parlato l'allora Cardinale Ratzinger in alcuni suoi libri e in alcune sue pubblicazioni di liturgia, io anche l'ho sperimentato abbastanza direttamente e ho sempre voluto tener separate le due cose: una cosa sono i riti, i testi del messale, altra cosa è il modo in cui viene celebrata, o veniva celebrata la liturgia in tante circostanze e in tanti luoghi, soprattutto sulla base di questo principio della creatività, una creatività selvaggia che nulla ha a che fare con lo Spirito Santo anzi, direi, è esattamente il contrario di quanto lo Spirito Santo vuole.
Perché vale la pena promuovere la messa latina?
E' perché nella messa del rito antico sono esplicitati, evidenziati, certi valori, certi aspetti fondamentali della liturgia, che meritano di essere mantenuti e non parlo soltanto della lingua latina o del canto gregoriano, parlo del senso del mistero, del sacro, il senso del sacrificio, della messa come sacrificio, la presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucaristia, e del fatto che ci sono dei grandi momenti di raccoglimento interiore, come partecipazione interiore alla divina liturgia. Ecco, sono tutti elementi fondamentali che nella messa del rito antico sono particolarmente evidenziati. Non dico che nella messa della riforma di Paolo Vi non esistono questi elementi, ma parlo di una evidenziazione maggiore e questo può arricchire anche chi celebra o partecipa alla messa nella forma ordinaria. Nulla vieta di pensare che in un futuro si possa anche giungere ad una riunificazione delle due forme con elementi che si integrano a vicenda, ma questo non è un obiettivo da raggiungere in tempi brevi, soprattutto da raggiungere con una decisione presa a tavolino, ma richiede una maturazione di tutto il popolo cristiano a comprendere entrambe le due forme liturgiche del medesimo rito romano.