Continua a girare nella Rete – che è la prateria di tutte le bufale – la leggenda di Padre Pio che rifiuta il nuovo messale e continua a celebrare in latino perché “acerrimo oppositore del Concilio”. Questa bufala è venuta a scornare più volte nel mio blog e dunque ho deciso di prenderla per le corna e ora do conto del risultato della “verifica” condotta con l’aiuto di Stefano Campanella portavoce del santuario di San Giovanni Rotondo e di fr. Luciano Lotti, custode dell’Archivio di Padre Pio. All’obiezione che Padre Pio non poteva rifiutare il nuovo messale, perché promulgato sei mesi dopo la sua morte, i guardiani della bufala rispondono affermando che in previsione del nuovo rito il Padre scrisse a Paolo VI per chiedergli di esserne dispensato e di poter continuare a celebrare con il vecchio messale e aggiungono che la “dispensa” gli fu portata dal cardinale Bacci, con il quale il Padre avrebbe sfogato la sua contrarietà al Vaticano II con le parole «Per pietà, mettete fine rapidamente al Concilio». Nulla di ciò è nelle fonti. Il cardinale Bacci va a San Giovanni Rotondo ma non è latore della “dispensa” che il Padre chiederà dieci mesi dopo quella visita. La richiesta è motivata non dalla contrarietà alle innovazioni ma dalla debolezza della vista che gli impedisce di leggere i nuovi testi mentre i vecchi li conosce a memoria. Nei documenti non c’è traccia del presunto atteggiamento di contrarietà al Concilio, vi sono anzi elementi di accoglienza, comprese le novità liturgiche.
Il cardinale Bacci fa visita a Padre Pio il primo aprile 1964. A seguito dell’introduzione nella “messa con il popolo” di alcune parti da leggere in italiano, su sollecitazione del Padre il 17 febbraio 1965 il guardiano del Convento, padre Carmelo da San Giovanni in Galdo, scrive al cardinale Ottaviani facendo presente che “Padre Pio ha 78 anni, ha la vista indebolita ed è sofferente per la vita di lavoro che conduce e per le altre sofferenze a tutti note”; per queste ragioni chiede “che la Santa Messa da lui celebrata tutte le mattine ad orario inconsueto – 4,30 circa – e cioè due ore prima delle messe ad orario solite a celebrarsi nel nostro Santuario, venga considerata come messa privata e come tale esente dalle norme concernenti la messa con partecipazione di popolo; fermo restando l’aggiornamento a l’uniformità per le altre cerimonie da osservarsi nelle messe private”. Così è documentato nella Positio della causa, vol. III/1, p. 753. La lettera di risposta positiva del cardinale Ottaviani porta la data del 20 febbraio 1965 (Ivi, p. 754). Non c’è traccia, nei documenti, di alcuna frase di Padre Pio contro il Concilio. Anzi, dalla lettera del guardiano si apprende che la dispensa riguardava solo la lingua (a causa della “vista indebolita” che impediva a Padre Pio di leggere i nuovi testi, mentre quelli in latino li conosceva a memoria), ma Padre Pio osservò le altre norme liturgiche venute con il Concilio, come si può vedere dalle immagini delle Messe celebrate sulla mensa rivolta al popolo (il filmato della cosiddetta “ultima messa di Padre Pio”, celebrata il giorno precedente la morte, lo mostra rivolto al popolo e propongono immagini e audio del diacono e del suddiacono che leggono il Vangelo e l’epistola in italiano). La stessa ragione aveva indotto già nel 1961 il Padre a chiedere la dispensa dalla recita del breviario, sostituito con quella del rosario. Inoltre nella lettera famosa di Padre Pio a Paolo VI a sostegno dell’Humanae vitae si legge: “L’Ordine dei cappuccini è stato sempre in prima linea nell’amore, fedeltà, obbedienza e devozione alla sede apostolica; prego il Signore che tale rimanga e continui nella sua tradizione di serietà e austerità religiosa, povertà evangelica, osservanza fedele della regola e delle costituzioni, pur rinnovandosi nella vitalità e nello spirito interiore, secondo le direttive del Concilio Vaticano II” (Epistolario IV, p. 12 e 13).
Dice Giuseppe Corigliano - portavoce dell’Opus - che non vi sono fonti scritte sull’argomento, ma c’è un filmato di una “conversazione” del fondatore dell’Opus che ne parla durante un viaggio in America Latina compiuto nel 1974 (un anno prima della morte). Escrivà in quella “parlata” scherza su Alvarlo Del Portillo, che è al suo fianco e dice che don Alvado conosce tante gente, per esempio anche l’arcivescovo Annibale Bugnini (cioè il principale artefice della riforma liturgica). Tra scherzo e serietà riferisce che un giorno Del Portillo incontrando Bugnini gli accenna al fatto che egli - Escrivà - non ama celebrare con il nuovo messale: “non per contestazione del nuovo ma per affetto al vecchio”. L’arcivescovo lo interrompe esclamando: “Non è problema, gli dica di celebrare pure con il vecchio, gli do io la dispensa”. Conclusione: da quel giorno, in privato Escrivà userà sempre il vecchio messale, mentre in pubblico si atterrà al nuovo.
Il caso Escrivà è più appropriato del caso Padre Pio per chi voglia segnalare che anziani e santi sacerdoti trovarono qualche difficoltà a passare al nuovo mesale che arrivò alla fine della loro vita. E’ più appropriato per due motivi: perchè a differenza di Padre Pio - che morendo nel 1968 conobbe solo cambiamenti marginali e ad experimentum della liturgia eucaristica - Escrivà ebbe a che fare con il nuovo messale (che arriva nel 1969-70) e per un poco l’usò, fino alla dispensa; perchè la sua richiesta della dispensa non aveva la motivazione della vista, cui fece appello Padre Pio. Ma va precisato - credo sia decisivo per intendere l’atteggiamento dei due santi - che sia l’uno sia l’altro si attennero alle nuove norme nelle celebrazioni pubbliche. Nel caso di Escrivà va poi aggiunto che volle applicata in pienezza la riforma nell’Opus.