Un lettore ci segnala due interessanti articoli usciti ieri sul sito Avvenire.it, il sito ufficiale del quotidiano della C.E.I.
Sono molto interessanti, e se ne consiglia la lettura per intero, al seguente link
Il primo è scritto da Roberto Beretta (foto), collaboratore di Avvenire e si intitola Una critica troppo letteralista. E così si perde il senso della realtà. In esso l'autore esprime la delusione che potrebbe nascere nel lettore dei due libri di Amerio (Iota unum e Stat Veritas).
Secondo Beretta infatti sia la prima sia la seconda opera del "filoso ticinese", come lo chiama, «non riescono a tener testa al [loro] stesso mito – alimentato peraltro da personalità come Cristina Campo, Elemire Zolla, Augusto Del Noce.»
Per il giornalista, il difetto maggiore sarebbe il metodo condotto da Amerio per la presentazione di idee ed intuizioni alcune ottime e condivisibile altre interessanti e necessarie: quello della «critica [...] nel suo giuridicismo e letteralismo, che estrapola singole frasi dal contesto per trarne conclusioni teologiche generali e assolute; secondo un metodo di dissezione dei particolari che [...] conduce invece a perdere di vista il panorama globale, con esiti paradossali di incomprensione.»
Secondo l'autore il continuo puntualizzare, il rigore analitico e ed il metodo troppo formalistico rischiano di far perdere il senso della realtà e e di indurre il lettore in errore.
Sembra inoltre che Beretta non condividia nemmeno alcune delle opinioni di Amerio che definisce «solita solfa sulle idee anticonciliari [...] che potrebbero portare anche al sedevacantismo», ma su queste, come premette, non vuole esprire giudizi "ideologici.
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Il secondo articolo, invece, scritto dal critico Cesare Cavellieri (foto), ha un titolo forte "Ma la tesi resta forte: il Vaticano II non ha affatto rotto col passato". In esso, dando credito alla giusta rivalutazione del pensiero di Romano Amerio anche da parte dell'Osservatorio Romano (2007), Cavelleri ne illustra due dei più grandi meriti. Il primo è quello «di contrastare l’interpretazione del Vaticano II come discontinuità, svolta, rottura con la tradizione, quasi che da esso fosse nata una Chiesa diversa da quella fondata da Cristo.» e di essersi erto quale «indomito paladino della continuità della tradizione, dalla consegna delle chiavi a Pietro fino alla fine dei tempi, attraverso tutti i Concili finora celebrati e quelli che seguiranno in futuro.»
Il secondo merito di Amerio secondo Cavalleri è quello di aver dimostrato «che il dialogo non può essere separato dall’annuncio, allo scopo di favorire la libera conversione dell’interlocutore; che una pastorale valida non può non essere teologica, e che una teologia valida non può non avere un ancoraggio metafisico.» anche secondo quanto sostenuto da S. E. Mons. Mario Oliveri (vescovo di Albenga-Imperia) in un recente profilo di Amerio pubblicato su Studi cattolici.
Amerio cerca di spiegare, infatti, che «il primato della verità sulla carità va inteso in senso ontologico, non cronologico, dato che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono coeterni e coessenziali. Nella pratica ascetica, dottrinale, pastorale, sociale, tutto si tiene, come indica Benedetto XVI nella Caritas in veritate segnalando "il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della veritas in caritate (Ef 4, 15)", ma anche in quella, inversa e complementare, della caritas in veritate.»
Nel concludere l'articolo, Cavallieri lodando il metodo analitico di Romano Amerio, avvisa di non correre il rischio di presentarlo come novello S. Tommaso.
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fonte: Avvenire.it