Omelia pronunciata dal card. Raymond Leo Burke durante la S. Messa celebrata nel Santuario di Santa Maria de finibus terrae a Leuca il primo maggio 2012.
Dopo la statio liturgica presso queste coste luminose – donde il significato di Leuca in greco – dove l’apostolo Pietro approdò, secondo la tradizione, siamo saliti in pellegrinaggio qui dove la Santa Madre di Dio gode di una plurisecolare venerazione. Tra il carisma petrino, presente nel Papa, successore dell’Apostolo, e il carisma mariano c’è piena corrispondenza. Infatti, siamo venuti sulle orme di Benedetto XVI, il Papa che il Signore ha scelto per questo inizio del terzo millennio cristiano. La nostra fede, trasmessaci attraverso l’ufficio petrino, per la Tradizione, è guardata con gratitudine ed è illuminata tramite la devozione più antica del pellegrinaggio. Siamo rinnovati e cresciamo fino alla misura di Gesù Cristo che, nell’immagine venerata sull’altare, la Vergine Maria ci mostra, ma, anche nella quale il suo Figlio Divino ci indica la Madre come via sicura per arrivare a Lui.
Siamo venuti qui nel giorno che la Chiesa dedica a San Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria e artigiano. San Giuseppe era un costruttore – nell’originale greco del Vangelo che è stato appena proclamato, tèkton1 – termine che significa non un semplice artigiano o falegname, ma un lavoratore dell’edilizia, in grado di lavorare anche la pietra. San Giuseppe fu perciò costruttore di edifici, cioè preparato e capace nelle attività specializzate necessarie per costruire una casa.
Nella liturgia odierna, all’antifona d’introito abbiamo pregato con le parole del Salmista: “Se il Signore non edifica la casa, invano si affaticano quelli che la costruiscono”2. La parola ispirata del Salmo 126 ci fa ricordare la verità che oggi frequentemente dimentichiamo, cioè che Dio ha stabilito la legge umana del lavoro – come pure ricorda la preghiera colletta3 – pertanto, il nostro lavoro può essere espressione dell’amore, se ogni giorno per Cristo, con Cristo e in Cristo è offerto a Dio Padre con umiltà. Proprio così ha fatto San Giuseppe. Nella Lettera ai Colossesi di San Paolo, troviamo la descrizione della dignità e del fine del nostro lavoro umano, che vediamo manifestato in modo eroico nella vita di San Giuseppe: “Qualunque sia il vostro lavoro, agite di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l’eredità”4.
Fu il Venerabile Papa Pio XII, ad istituire la Festa di San Giuseppe Lavoratore, affinché nel giorno che il mondo secolare dedicava alla festa del lavoro, fosse dalla Chiesa richiamata la verità sul lavoro umano e cioè il suo nesso essenziale con Dio Padre e Creatore. Oggi, seguendo l’ispirazione del Venerabile Pontefice, ci accorgiamo che un’economia – che dalla sua radice greca significa “legge per il mondo abitato” – non basata sulla dignità degli uomini che abitano la terra e la corrispondente dignità del lavoro umano, ma sulla speculazione finanziaria, entra in grave crisi. La dignità dell’uomo che lavora, come ha testimoniato il Beato Giovanni Paolo II, non può essere rettamente riconosciuta se, prima di tutto, Dio non è riconosciuto.
La fede, che costituisce la vera conoscenza che noi abbiamo di noi stessi, la nostra vera autocoscienza, ci fa comprendere che apparteniamo a Dio. Ne scaturisce un percorso che porta a guardare a Gesù Cristo non come un devoto ricordo, ma come vita della nostra vita che nessun errore e nessun potere può strappare. È il percorso dei cuori attratti al Sacro Cuore di Gesù sempre aperto a riceverci, a purificarci e a rafforzarci con l’amore inesauribile che scaturisce in abbondanza dal Suo Cuore glorioso trafitto. Ciò riguarda tutti, vecchi e giovani, e spalanca un orizzonte e una direzione sicura, specie in questo tempo segnato da relativismo, materialismo e individualismo.
Eusebio, vescovo di Cesarea di Palestina, primo storico della Chiesa, vissuto al tempo dell’imperatore Costantino, a proposito di Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, scrive: “In lui v’era un esimio pudore, una modestia e una prudenza somma; eccellente nella pietà verso Dio, splendeva di una meravigliosa bellezza anche nel sembiante“5. Queste parole, San Giovanni Bosco, nella sua Vita di San Giuseppe, le attribuisce allo Sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Abbiamo bisogno di ricorrere al suo esempio e alla sua protezione perché il Signore ci conceda di vivere così la nostra vita, in unione con il Cuore Divino, specialmente in ogni aspetto del nostro lavoro.
San Paolo ci ha esortato nell’Epistola di oggi: “Servite a Cristo Signore”6. Riflettendo sulla verità del nostro lavoro, come non pensare al primato del nostro più perfetto lavoro, la Sacra Liturgia che giustamente si chiama opus Dei, ”opera di Dio”, a cui non anteporre null’altro, come dice San Benedetto7? Come non riscoprire la verità e la bellezza della liturgia come servizio di Dio, servizio all’altare? Sebbene i termini ministro e ministrante stiano ad attestarlo, nella cultura relativista, materialista e individualista di oggi, facilmente si dimentica che la liturgia va servita e non ci si deve servire di essa per mettere al centro noi stessi.
Gesù, come ci ricorda il vangelo odierno e l’antifona di comunione8, era conosciuto come figlio del falegname: San Giuseppe è stato per Gesù l’immagine vivente dell’operosità del Padre, il Quale, come dice Gesù, opera sempre9. Se la liturgia è l’opera di Dio in quanto richiede la fede – la fede è l’opera di Dio – noi dobbiamo fare della liturgia la nostra opera più importante, sia per servire il Signore in terra, sia per essere trasformati da Lui e trovare in Lui il vero senso del nostro lavoro quotidiano. L’antifona d’offertorio10 inneggia al Signore che porta a buon fine il nostro lavoro: egli lo fa dal suo tempio santo, quel tempio ove presentiamo le offerte del pane e del vino, frutto del lavoro delle nostre mani. Infatti, sono i santi Misteri che riceviamo – ricorda la preghiera dopo la Comunione – che perfezionano il nostro operato e ci assicurano il loro premio11. Così, ci prepariamo alla liturgia celeste ove opereremo per sempre a lode e gloria della Trinità Santissima.
Siamo venuti qui, sulle orme di Papa Benedetto XVI che sta incoraggiando e sostenendo un nuovo movimento verso la liturgia e la sua corretta celebrazione, esteriore ed interiore12. Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis il Santo Padre ci ricorda che il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio contiene ricchezze non pienamente esplorate13. L’esplorazione si è interrotta o è rimasta in superficie, perché la cultura secolare fortemente marcata dal relativismo, materialismo e individualismo, ha intaccato anche la liturgia latina specialmente la sua sacralità e la sua dimensione cattolica.
Così si è sviluppato un conflitto tra innovatori e conservatori, in gran parte emotivo: per superarlo razionalmente bisognerebbe quasi riprendere in mano la Memoria sulla riforma liturgica14, redatta nel 1949 sotto il Venerabile Papa Pio XII, che già prima del Concilio Ecumenico Vaticano II promuoveva il restauro della liturgia. In quella Memoria sono enunciati le necessità, i principi fondamentali, il programma organico e l’attuazione pratica. Vi si trovano anche le ragioni – all’epoca – della riforma liturgica: lo stato della liturgia, della scienza liturgica, del movimento liturgico mondiale, la situazione del clero, le promesse e iniziative della Santa Sede per la riforma liturgica definitiva. Alla luce di tali presupposti, si può rileggere la Costituzione Sacrosanctum Concilium nei suoi punti fondamentali: la natura della liturgia e la sua importanza nella Chiesa, l’educazione liturgica del clero – a partire dalla formazione nei seminari – e dei fedeli, la riforma liturgica e spirituale, e i suoi criteri.
Per distinguere la riforma dalle “deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile”15, per adoperare la loro descrizione da parte di Papa Benedetto XVI, basterebbe verificare se siano state osservate due condizioni irrinunciabili: “probe servata eorum [rituum] substantia” e “restituantur vero ad pristinam sanctorum Patrum normam”16, “conservata fedelmente la loro [dei riti] sostanza” e “siano riportati alla primitiva tradizione dei Padri”. Si deve tenere in conto anche quanto abbia pesato nell’impostazione e, di conseguenza, nell’applicazione della riforma, per esempio, lo spirito di critica e di insofferenza verso la Santa Sede, un certo razionalismo nella liturgia senza nessuna preoccupazione per la vera pietà, il fatto che i liturgisti non sempre fossero teologi, malgrado nella liturgia, ogni gesto e parola esprima una realtà teologica. Poiché tutta la teologia già da allora era in discussione, le teorie correnti cadevano sulla formula e sul rito, con una gravissima conseguenza: mentre la discussione teologica rimane nell’ambito degli specialisti, la formula e il rito si diffondono nel popolo. Se ne riscontra una eco nella Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Vicesimus Quintus Annus del 1988 ove si parla apertamente di “[a]pplicazioni errate”17.
Un altro tema importante è la desacralizzazione della liturgia già intravista da Paolo VI in alcune tendenze e sperimentazioni18: la legge liturgica che fino al Concilio era una cosa sacra, per molti dopo il Concilio non esisteva e non esiste più. Non vi è alcun amore per ciò che è stato tramandato; ciascuno si ritiene autorizzato a fare quello che vuole.
In occasione della pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum si è sostenuta l’incompatibilità dei due Messali Romani, quasi supponessero due ecclesiologie. L’intervento pontificio va letto, invece, come continuazione della riforma liturgica in linea con la CostituzioneSacrosanctum Concilium. Giova ricordare le parole di Papa Benedetto XVI sulla riforma liturgica: “Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture”19. Basandosi sulla realtà dell’unità organica della Sacra Liturgia, specialmente dopo la pubblicazione dell’Istruzione Universae Ecclesiae dello scorso anno, dobbiamo tutti, specialmente negli Istituti e nelle cattedre di Sacra Liturgia nei Seminari e Facoltà, favorire una discussione onesta e perseverante, affinché vi sia l’arricchimento vicendevole tra la forma ordinaria e quella straordinaria del Rito della Messa, per il quale il Santo Padre insistentemente lavora. Soprattutto tutte nostre chiese e cappelle devono essere luoghi dove la sacra liturgia è celebrata in modo esemplare come l’opera di Dio, affidata a noi e perciò la più alta e perfetta espressione della Sua santa Chiesa.
Preghiamo Santa Maria di Leuca e San Giuseppe, suo sposo, “fidelis servus ac prudens, super Familiam tuam … constitutus”20 – “servo fedele e prudente messo a capo della Santa Famiglia” – affinché protegga il Santo Padre Benedetto XVI, ottenga la riconciliazione della Fraternità San Pio X con la Chiesa universale di cui tutti siamo parte, sostenga il lavoro che la Scuola Ecclesia Mater compie per la promozione della Sacra Liturgia, della musica, arte ed architettura sacre, e ispiri in tutti noi l’obbedienza alla disciplina della Sacra Liturgia, opera di Dio affidata a noi per la salvezza del mondo.
Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, abbi pietà di noi.
Santa Maria di Leuca, prega per noi.
San Giuseppe, il Lavoratore, Sposo di Maria e Fedele Custode della Santa Famiglia, prega per noi.
1 Mt 13, 55; cf. Mc 6, 3.
2 Sal 127 [126]: 1.
3 Cf. “Rerum conditor Deus, qui legem laboris humano generi statuisti:…” Missale Romanum ex decreto Ss. Concilii Tridentini restitutum Summorum Pontificum cura recognitum, Editio Typica 1962 [Missale Romanum 1962], ed. Manlio Sodi e Alessandro Toniolo, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 600, “Oratio”.
4 Col 17, 23-24.
5 Eusebio, Praeparatio Evangelica, libro VII, 32-34.
6 Col 17, 24.
7 Benedicti Regula, Cap. XLIII, 7.
8 Cf. Mt 13: 55; “Nonne hic est fabri filius”? Missale Romanum 1962, p. 601, “Ant. ad Communionem”.
9 Cf. Gv 5: 17.
10 Cf. “Bonitas Domini Dei nostri sit super nos, et opus manuum nostrarum secunda nobis, et opus manuum nostrarum secunda”. Missale Romanum 1962, p. 601, “Ant. ad Offertorium”.
11 Cf. “Haec sancta quae sumpsimus, Domine: per intercessionem beati Ioseph; et operationem nostram compleant, et praemia confirment”. Missale Romanum 1962, p. 601, “Postcommunio”.
12 Cf. Joseph Ratzinger, Teologia della liturgia. La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana [Opera omnia, Vol. XI], Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 201, p. 26.
13 Cf. n. 3.
14 Cf. Carlo Braga, C.M., ed., La riforma liturgica di Pio XII: Documenti, I. La «Memoria sulla riforma liturgica», Roma: Centro Liturgico Vincenziano, 2003.
15 Benedictus PP. XVI, Epistula “Ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani”, die 7 Iulii 2007, Acta Apostolicae Sedis [AAS] 99 (2007), p. 796.
16 Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio Sacrosanctum Concilium, “De Sacra Liturgia”, AAS 56 (1964), p. 114, n. 50. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 1, p. 51, n. 87.
17 “[u]sus vitiosi”. Ioannes Paulus PP. II, Litterae apostolicae Vicesimus quintus annus, “Quinto iam lustro expleto conciliari ab promulgata de Sacra Liturgia Constitutione Sacrosanctum Concilium”, 4 Novembris 1988, AAS 81 (1989), p. 910, c, n. 13. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 11, p. 999, n. 1586.
18 Cf. “Resistite fortes in fide”, 29 giugno 1972, Insegnamenti di Paolo VI, Vol. 10 (1972), Città del Vaticano: Tipografia Poliglotta Vaticana, 1973, pp. 705-708.
19 “Agitur reapse de immutationibus percipiendis, quas intra unitatem voluit Concilium, quae historicum ipsius ritus progressum, absque inductis facticiis fractionibus, designat”. Benedictus PP. XVI, Adhortatio Apostolica Post-Synodalis Sacramentum caritatis, “De Eucharistia vitae missionisque Ecclesiae fonte et culmine”, die 22 Februarii 2007, AAS 99 (2007), p. 107, n. 3. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 24, p. 91, n. 107.
20 Missale Romanum 1962, p. 1071, “Praefatio de S. Ioseph, Sponso B.M.V.”.