Jaeger è monaco benedettino e maestro Zen, costretto al silenzio dal 2000,
dalla Congregazione della dottrina della fede guidata dall'attuale papa. Dal
2002 ha rinunciato all'esercizio della sua attività sacerdotale. Dal 1975 ha
intrapreso il percorso della mistica zen, fino a divenirne maestro. E' una delle
voci più alte della ricerca spirituale contemporanea, speranza in chi crede in
una religione aperta, a confessionale, anti dogmatica. Scaturita dall'esperienza
diretta con il divino.
WILLIGIS JÄGER
WILLIGIS JÄGER
L'immagine della mistica in Occidente è stata notevolmente
distorta. In questo termine aleggia un'ombra di bigotteria e di esotismo, di
segreto e di santità elitaria. E questo è proprio quello che la mistica non è.
Ecco perché è importante, prima di tutto, spiegare cosa sia effettivamente la
mistica, vale a dire null'altro che la realizzazione della realtà. Spiego. La
realtà che noi consideriamo reale non è vera realtà. La vera realtà si dischiude
ai nostri occhi solo quando abbandoniamo la consapevolezza abituale dello stato
di veglia ed entriamo in una sfera di coscienza superiore, che - rispetto alla
coscienza personale dell'Io - può essere definita come "coscienza
transpersonale". In molti rappresentati della psicologia avanzata troviamo
una distinzione tra i diversi livelli di coscienza. Lo stadio di coscienza
prepersonale, o preparazionale, è il livello del corpo e delle percezioni
sensoriali, delle emozioni, di semplici cognizioni sotto forma di immagini e di
simboli, e delle rappresentazioni mitiche, senza tuttavia una coscienza chiara.
Questo livello corrisponde alla coscienza del nostro Io. A livello della
coscienza transpersonale, l'essere umano supera la propria coscienza dell'Io,
immergendosi in una realtà che trascende l'ego. Ciò avviene anche sotto forma di
immagini e di simboli (visioni e profezie).
A
livello di coscienza cosmica avviene l'esperienza mistica vera e propria:
l'esperienza del vuoto, della "Divinità" senza predicati. Qui l'uomo fa
esperienza del "puro essere", l'origine di tutto. È lo stadio che precede tutto
quanto può crearsi. Ecco perché non si ha a che fare con un essere che è
sostanza. Dionigi l'Areopagita l'ha espresso in modo meraviglioso in una poesia:
"La causa prima di ogni cosa non è né essere né vita, poiché è stata lei stessa
a creare l'essere e la vita. La causa prima non è neanche concetto o ragione.
Perché è stata lei stessa a creare i concetti e la ragione".
L'esperienza mistica è l'esperienza dell'unità di forma e vuoto,
della propria identità con la Realtà Prima. Tale livello di coscienza è la meta
della vita spirituale. Questa coscienza è l'esperienza mistica e colui al quale
accade diventa un altro. Le sue concezioni religiose si trasformano. Compiere
questo passo significa, in un certo senso, morire; perciò nella tradizioni
mistica tale esperienza viene descritta come la "morte dell'Io".
Per
la mistica non si tratta, comunque, di eliminare l'io o di combatterlo. Si
tratta semplicemente di rimetterlo al proprio posto e di ridargli il peso che
gli spetta. Ecco perché ci si sforza di riconoscere l'io per quello che è
effettivamente: un centro organizzativo per la struttura personale dei
singoli individui. Questo centro organizzativo ha un valore irrinunciabile per
la nostra vita. È quanto ci rende umani. Questo è ovvio per la mistica.
L'esperienza mistica, però, porta a l'uomo a non identificarsi più in prima
istanza con questo Io palese, liberandolo ed aprendolo ad una realtà nella quale
l'Io non è più predominante.
Nel
cogliersi come realtà superiore, l'ego non diventa "meno ego", ma "più
ego". Ecco perché i mistici non provano un senso di perdita quando l'Io si
tira indietro. Fanno esperienza di qualcosa di molto più prezioso, che non
lascia nemmeno affiorare l'idea di una perdita. Di conseguenza, sono quasi
sempre delle personalità forti. Molti mistici del passato avevano un Io così
marcato, che hanno preferito finire sul rogo, piuttosto che tradire la propria
convinzione. Per la mistica, nella vita non contano né la giustificazione, né
l'appagamento dell'Io, né l'autorealizzazione. Si tratta esclusivamente di
smascherare tutti i progetti dell'ego - anche o proprio soprattutto
quelli religiosi - come transitori. Nella pratica contemplativa, quello che
conta è ridurre anche la volontà, quand'anche si tratti di buona volontà. Finché
compiamo gli atti religiosi o recitiamo le professioni di fede per ottenere un
tornaconto personale, non siamo ancora avviati sul cammino della mistica. Ci
irrigidiamo sullo schema del "Do ut des", del "non si dà nulla per
nulla".
Sarebbe troppo semplice accusare solo lo spirito dei tempi,
senza accorgersi che questo non fa che seguire una tendenza che tutte le
religioni affermate conoscono bene: la tendenza a costruire strutture che
preparano la strada alla mentalità del baratto. Ogni volta che vengono emanate
delle norme etiche e si esaltano le professioni di fede in quanto apportatrici
di redenzione, è in agguato la grande tentazione di usare tali norme e
professioni per tranquillizzare l'Io. In tal modo si è ben lontani
dall'abbandonarlo, anzi, non si fa che rafforzarlo. Aggiungerei: l'ego si infila
in una prigione autocostruita, nella quale alla fine non può che segnare il
passo.