Rupture, Continuity and Council - The Italian Debate Continues and Extends
Further contributions to the debates surrounding continuity, rupture and the Second Vatican Council today on Sandro Magister's site in an entry, The Church is Infallible, but not Vatican II.
In this entry we have a reply by historian and professor Roberto de Mattei to his critics; specifically Archbishop Agostino Marchetto and Massimo Introvigne, A Council Can Also Make Mistakes. (This entry is new and was written, we are told, specifically for Sandro Magister's site.)
Second, we have an article by David Werling which appeared in the American traditionalist newspaper, The Remnant, on April 18th "in reaction to a commentary by Francesco Arzillo that took up the defense of the 'hermeneutic of renewal in continuity' advanced by Benedict XVI."
Third (and also new and specifically written for Chiesa) is an article written by Fr. Giovanni Cavalcoli, a Dominican theologian who teaches in Bologna, which responds to the aforementioned article in The Remnant "in support of the arguments of Arzillo, in addition to, indirectly, those of pope Raztinger."
In this entry we have a reply by historian and professor Roberto de Mattei to his critics; specifically Archbishop Agostino Marchetto and Massimo Introvigne, A Council Can Also Make Mistakes. (This entry is new and was written, we are told, specifically for Sandro Magister's site.)
Second, we have an article by David Werling which appeared in the American traditionalist newspaper, The Remnant, on April 18th "in reaction to a commentary by Francesco Arzillo that took up the defense of the 'hermeneutic of renewal in continuity' advanced by Benedict XVI."
Third (and also new and specifically written for Chiesa) is an article written by Fr. Giovanni Cavalcoli, a Dominican theologian who teaches in Bologna, which responds to the aforementioned article in The Remnant "in support of the arguments of Arzillo, in addition to, indirectly, those of pope Raztinger."
Prima di avventurarmi nell'analisi del saggio di Rhonheimer, un po' specialistica e meno divulgativa, e che richiede un adeguato approfondimento, fatto di studio e di riflessione sui testi originali citati e collegati, inserisco una informazione riguardante una delle recenti tappe di confronto e approfondimento della situazione della nostra Chiesa.
Si tratta del Convegno organizzato dal Centro Culturale Vera Lux - Bologna, tenutosi il 12 giugno 2010 a San Marino. Oltre al Vescovo, Mons. Luigi Negri, al Convegno, introdotto dal Dr. Lorenzo Bertocchi, hanno partecipato relatori di spicco come Mons. Brunero Gheradini, Mons. Nicola Bux, Matteo D'amico, P. Giovanni Cavalcoli.
Trascrivo alcune parole significative dall'introduzione del gen. Lorenzo Bertocchi, che cortesemente mi ha fatto pervenire il testo degli Atti, Passione della Chiesa. Amerio e altre vigili sentinelle, edito da Il Cerchio, Bologna 2011.
... Per comprendere il cuore del problema occorre ritornare ancora una volta al famoso discorso di Benedetto XVI a Regensburg, laddove si parla della necessità «dell'allargamento del nostro concetto di ragione», capace cioè di superare le strettoie di un razionalismo empirico che di fatto riduce la verità al misurabile. Romano Amerio nelle sua importante opera Iota unum, Ed. Lindau, pag. 314, esprime ciò in un modo preciso: «alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell'uomo», quello che egli chiama “pirronismo” e che in estrema sintesi consiste nella presunta incapacità di poter raggiungere la verità. Questa sfiducia nella verità si traduce nella crisi dell'autorità e della dottrina della Chiesa come “garanzie di libertà”, così il fedele si perde in un caos dottrinale che sfibra la fede e conduce al soggettivismo in campo etico.
Il “pirronismo” si è veramente introdotto nella Chiesa? [...] E' sempre più chiaro ormai che il facile abbraccio con filosofie alla moda abbia intaccato la teologia, producendo in alcuni casi «dottrine fuorvianti» che il Papa stesso ha richiamato nell'omelia del 29 giugno 2010 parlando di Comunità che ne «patiscono l'influenza». [...] A volte vi è la tentazione di non parlare di questi problemi perché si ritiene siano già stati ripetuti troppe volte, oppure perché si possa generare chiusure negli interlocutori, ma a ben guardare il lavoro è tutt'altro che compiuto, pertanto speriamo che l'autorevole contributo dei relatori possa aiutare a chiarire alcuni noti della storia recente della teologia e più in generale della Chiesa stessa...
Fin dagli anni del Vaticano II ma soprattutto durante il cinquantennio del postconcilio si soppresse l'antagonismo Chiesa-mondo; si inneggiò ad un cristiano maturo non più in stretta collisione con i pericoli del secolo, ma a braccetto con essi; si chiuse l'era paradossalmente angusta della cristianità cattolica, per aprir quella indiscriminata e vaga del “popolo di Dio”; si ribaltò di sana pianta la base giustificativa del Sillabo e della Pascendi, aprendo ingenuamente a quel liberalismo ed indifferentismo e relativismo e modernismo che quei documenti fronteggiavano; si stravolse l'in-sé della Chiesa e della vita cristiana, affossando il soprannaturale nel magma del naturalistico, del razionalistico, dello storicistico, dell'immediato ed immediatamente disponibilie, tutto risolvendo in una Weltanschauung che, alle classiche virtù teologali, cardinali e morali, sostituiva i valori della spontaneità della libertà, del sentimento, dell'aperturismo a buon mercato. Nasceva, e in breve furoreggiò, un Cristianesimo umanitario, quello del buonismo acritico e superficiale, del dialogo, della condivisione, dell'aperturismo in ogni direzione, senza preoccupazioni dogmatiche etiche disciplinari, all'insegna anzi di quel “circiterismo” che Amerio riprende da Giordano Bruno per indicare ongi disinvolto embrasson-nous, perfino nel caso non raro di un amplesso letale. A ciò s'aggiunga l'allentamento della disciplina penitenziale, la crisi dell'obbedienza, la deformazione dialogica dell'apostolato kerigmatico, la degradazione del sacro nel secolare e della communio in una sequela senza fine di sfide. Sì, la crisi non poteva esser meno eversiva né meno pervasiva di com'è stata.
A mio giudizio resta difficile capire perché, pur avendo della crisi una conoscenza diretta ed obiettiva, non si sia corsi ai ripari. Paolo VI, il 7 settembre 1968, rilevò «l'ora inquieta d'autocritica, si direbbe d'autodemolizione» e «di rivolgimento assoluto» che la Chiesa stava vivendo. Celebre è rimasto il suo accenno del 30 giugno 1972 al «fumo di Satana» insinuatosi «nel tempio di Dio». Ed il 18 luglio 1975, inutilmente gridò il suo «basta con il dissenso alla Chiesa. Basta con una disgregatrice interpretazione del pluralismo... Basta con la disobbedienza qualificata come libertà». Tanto inutilmente, che il suo successore, il 7 febbraio del 1981, si disse costretto ad ammettere «realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità» lo sbandamento dei fedeli conseguente a «vere e proprie eresie in campo dogmatico e morale», alla manomissione della Liturgia, al relativismo, al permissivismo, al sociologismo e ad un illuminismo che spiana la via all'invadenza dell'ateismo.
Non meno incisiva né meno drammatica è la denuncia della crisi ecclesiale, con cui Papa Benedetto XVI tenta di scuoter le addormentate coscienze. Era ancora cardinale quando firmò la Via Crucis del 2005, che pose all'attenzione del mondo la «sporcizia... la superbia, l'autosufficienza e la mancanza di fede» fra gli uomini di Chiesa, nonché la Chiesa stessa nella condizione d'una «barca che fa acqua da tutte le parti». Pochi mesi dopo, da Papa, riprese con forza maggiore un suo vecchio discorso su «la dittatura del relativismo», causa prima della secolarizzazione montante, e sul relativismo insiste ancor oggi. Ma “le stelle stanno a guardare”.
3 - Per una conclusione - Lungi da me il segnar a dito le “stelle” che “stanno a guardare”: non ho la vocazione a far il cane da guardia. Ma nemmeno ho gli occhi così bendati da non vedere e non capire.
Vedo e capisco il sia dramma d'una Chiesa nella morsa d'una contraddizione storica, contro la quale occorre, e subito, impegnarsi a fondo; sia la ragione, quasi metafisica, che almeno in parte sottrae quel dramma al nostro intervento.
Quanto di quel dramma -e non è una misura da poco- è dovuto
- ad incuria,
- o ad un abbassamento della guardia;
- o ad una compiacente strizzatina d'occhi all'“inimicus homo” (Mt 13, 25.39),
- o ad una desistenza dal dovere della fedeltà e della testimonianza;
- o ad un colpevole rimescolamento delle carte fra il sì e il no, per fare scomparire del tutto la discriminante tra il bene e il male;
- o al “circiterismo” pasticcione e confuso di gran parte della teologia contemporanea, la cui sola unità di misura sembra l'abbandono della Tradizione e quindi della linfa che alimenta la vita ecclesiale;
- o ad una burbanzosa autosufficienza che inalbera la coscienza del singolo o di gruppi particolari a giudice supremo della legge di Dio, sia naturale che rivelata e della Chiesa interpretata e proposta;
quanto -insomma- è dovuto a tutto questo e ad altro ancora, non ha diritto di cittadinanza nella “città di Dio”, essendo antitetico alla costituzione e alla vita di essa. Di tutte queste storture e devianze e ribellioni s'intesse, sì, la passio Ecclesiae, ma è una passione che non s'identifica mistericamente con quella di Cristo, non arricchisce e non dilata la Chiesa come il sangue dei martiri. La mortifica, anzi la strozza, le rifila l'aria che dovrebbe respirare, la riduce al rantolo. Contro questa passio, pertanto, occorre prender posizione, essa va neutralizzata, e l'unica maniera per farlo è quella d'una fedeltà a tutta prova: la fedeltà dei santi.
Ho peraltro accennato, poco sopra, ad una causa quasi metafisica della passio Ecclesiae ed irriducibile per questo ad uno qualunque dei comportamenti umani. Essa nasce dalla sacramentale identità del Cristo fisico e del Cristo mistico e prolunga l'epopea del Golgota nel tempo del già e non ancora: la Chiesa è per questo il Christus patiens. Gli aggettivi “sacramentale” e “misterico”, cui faccio ricorso per qualificare l'identificarsi della Chiesa in Cristo e di Cristo nella Chiesa, portan il discorso sul piano dell'analogia, ancorché ontologicamente fondata. Non si tratta, infatti, di una identità assoluta, ma d'una continuità che il linguaggio dei Padri e della liturgia definisce in mysterio, e quindi di una repraesentatio della Chiesa come continua Christi incarnatio. In particolare d'un rapporto che riproduce nella Chiesa una cristoconformità tale da conferirle quella medesima “immagine del Dio invisibile” che Col 1,15 predica del Verbo incarnato ed in base alla quale la Chiesa ha, del Verbo incarnato, la forma storica d'un amore che si dona fino al sacrificio supremo di sé. La detta repraesentatio non è, dunque, una rappresentazione, se mai è una “ri-presentazione”, o meglio un'assimilazione di due soggetti fin al loro sacramentale ed unificante incontro. Sta qui la ragione per la quale la Chiesa è il Christus patiens, non il Christus passus: rivive nell'attimo che fugge la realtà stessa del Redentore, del Mediatore unico tra Dio e gli uomini, del Rivelatore fedele e qui si radica l'espressione “fuori della Chiesa non c'è salvezza”, oggi superficialmente contestata.
Commossi, pertanto, fin alle lacrime, ci mettiamo nelle braccia di questa chiesa, per aver accesso, attraverso la sua stessa passio, alla passio salvifica di Cristo.
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/